Il caro “quotidiano”

Recentemente una brutta influenza con febbre alta e tosse cattiva mi ha messo fuori combattimento per una quindicina di giorni.

Ho trovato colleghi quanto mai cortesi che mi hanno generosamente sostituito nelle mie normali incombenze pastorali quali la Messa festiva e quotidiana. La cosa mi è pesata alquanto perché sono ben conscio che oggi i giovani preti, che vivono con serietà il loro impegno pastorale, sono quanto mai impegnati, e mi è pesata altrettanto perché la vita dell’ammalato mi è parsa quanto mai scomoda ed insignificante, così non ho fatto altro che sognare e desiderare la mia quotidianità, segnata da tempi ed impegni ben determinati.

Si parla spesso di “terribile quotidiano” come di qualcosa di monotono, di ripetitivo e di poco appagante, a me però, che in questa occasione è venuto a mancare per un paio di settimane, a causa di una banale influenza, è parso qualcosa di caro e di quanto mai desiderabile. Ho sentito quindi il bisogno di fare un proposito serio: vivere la quotidianità cogliendone la sua ricchezza perché anche lo scontato e il ripetitivo ci offrono la loro bellezza e il loro messaggio.

Non è giusto lasciarla passare

All’inizio dell’anno, su sollecitazione di un consigliere della Fondazione Carpinetum, ho scritto una lettera ad uno dei sub commissari che aiutano Zappalorto nella gestione del nostro Comune per informarlo che i settanta anziani del Don Vecchi di Campalto da ben tre anni sono praticamente prigionieri in quella struttura perché Via Orlanda, la strada che congiunge il Don Vecchi al centro di Campalto, è assolutamente impraticabile. Sollecitavo questo pubblico amministratore ad affrontare il problema, per arrivare poi, in seconda istanza, almeno ad inserirlo nel programma di interventi che il Comune si impegna ad affrontare nei prossimi tre anni.

Dal Comune silenzio assoluto!

Ritengo però che non sia lecito permettere ad un funzionario, a cui paghiamo lo stipendio, di essere tanto maleducato da non rispondere alle richieste dei cittadini. Aspetterò ancora un paio di settimane e poi mi farò nuovamente vivo, intervenendo per l’ennesima volta. Sono convinto che purtroppo noi cittadini non interveniamo con sufficiente determinazione nei riguardi di questi burocrati, se non altro per far capire loro che sono al nostro servizio. Un tempo mi è capitato di leggere un articolo sul numero esagerato di segretarie di cui potevano disporre il sindaco e i singoli assessori. Non credo siano state tutte licenziate tanto da costringere il sub commissario a rispondere personalmente!

Troppo facile e troppo incosciente

In merito alla manifestazione oceanica di qualche settimana fa in Francia, organizzata per affermare il diritto di satira, avrei qualche commento da fare. I fatti della vita sono terribilmente complessi perciò, è saggio e onesto solamente chi tenta di tener conto del maggior numero di sfaccettature possibili.

In relazione a quegli eventi, sui quali ho già espresso la mia opinione e su cui è intervenuto perfino Papa Francesco, ribadisco che io reputo disdicevole e irrispettoso schernire mediante la satira le convinzioni altrui: una cosa è discutere ed altro è irridere, sbeffeggiare e prendere in giro sentimenti personali verso i quali si deve sempre nutrire rispetto. Aggiungo poi che è facile manifestare in Francia, protetti da ventimila poliziotti con le armi spianate, e vorrei che quei quattro milioni di francesi si chiedessero: “Quale prezzo dovranno pagare i cristiani che dimorano in paesi a prevalenza islamica?”

Papa Giovanni, ai detrattori di Papa Pacelli a cui, proprio perché al sicuro tra le mura vaticane, veniva imputato di non aver fatto proclami solenni contro la barbarie nazifascista, ha ricordato che le dittature presentano poi il conto e purtroppo è sempre un conto salatissimo. In questo caso sono i cristiani che vivono in quei paesi in cui l’integralismo islamico raccoglie i maggiori consensi le figure più esposte a forme violente di rappresaglia. Ogni intervento diventa accettabile quando chi lo fa è disposto a pagarne le conseguenze!

La tarda conferma

La società civile si è accorta per tempo dei Centri Don Vecchi, la soluzione che affronta in maniera realistica, rispettosa degli anziani ed economica il problema del domicilio assistito.

Sono veramente innumerevoli i comuni che si sono interessati alla nostra esperienza con i Centri Don Vecchi. In realtà, nonostante gli apprezzamenti e i consensi, non c’è stato molto seguito.

I comuni purtroppo sono imbrigliati in un’esasperata burocrazia che rende praticamente impossibile ogni iniziativa. Il mondo ecclesiale pareva invece che non avvertisse questo problema e che non avesse colto la nostra sperimentazione come qualcosa di estremamente valido. In questi giorni però sono venuto a conoscenza che la Conferenza Episcopale Italiana, l’Arcidiocesi di Firenze e la relativa Cassa di Risparmio hanno deciso di realizzare entro il 2016 un “condominio solidale” a Novoli, periferia di Firenze.

Si tratta in pratica di un mini Don Vecchi per cinquanta anziani e, anche se tutto sommato “la montagna ha partorito il topolino”, siamo felici che realtà così significative della Chiesa Italiana, pur con vent’anni di ritardo, praticamente sanciscano la validità del nostro progetto.

Benedizione delle case

Io sono da sempre un propugnatore quanto mai convinto della validità del vecchio strumento pastorale denominato “Benedizione delle case”, definizione che potrebbe essere opportunamente aggiornata con quest’altra “Visita annuale alle famiglie della parrocchia”.

So pure che sono un “profeta” per nulla ascoltato e, ad eccezione di pochissimi colleghi, per nulla seguito.

Per fortuna non mi sono mai lasciato condizionare da alcuna moda e perciò procedo imperterrito per la mia strada. Qualche settimana fa, dopo aver proposto l’iniziativa al parroco di riferimento senza esito alcuno ed essendo io assistente spirituale, regolarmente incaricato dai Centri Don Vecchi, ho preso l’iniziativa cominciando con quello di Marghera: una breve visita pomeridiana per un incontro con una quindicina di residenti al giorno. Sono più che felice, sono strafelice: un incontro cordiale, un rapporto confidenziale di anziani che hanno trovato finalmente un porto sicuro.

Ho constatato che non tutti sono santi e che non tutti vanno a Messa alla domenica, ho però trovato tanta apertura, tanta fiducia e riconoscenza.

La carità apre i cuori più chiusi e più freddi!

Il sesso degli angeli

Ormai da molti decenni o forse da secoli è di dominio pubblico la citazione che “Mentre Costantinopoli, circondata dagli Ottomani, stava per cadere, all’interno della città gli esperti di cose religiose, per nulla preoccupati della situazione a dir poco tragica, discutevano sul sesso degli angeli”.

Ancora una volta devo anche constatare la validità di un’altra massima antica “Non c’è nulla di nuovo sotto il sole!”.

Oggi sono sotto gli occhi di tutti il disagio e la difficoltà che incontra la religione nel riproporre, con esito positivo, l’annuncio cristiano alla gente del nostro tempo a causa dell’evoluzione sempre più rapida della sensibilità e della cultura, motivo per cui ci è necessaria una più che mai difficile (innovazione) nella pastorale. Papa Francesco ci offre uno splendido esempio.

Il Pontefice, pur usando soluzioni ereditate dalla tradizione, sta entusiasmando vicini e lontani con l’autenticità, l’onestà e la coerenza con cui fa la sua proposta evangelica mentre qualche settimana fa mi sono imbattuto in un “documento” che offre un’impostazione radicalmente rivoluzionaria, e per me vecchio prete, strana e campata in aria, di quello che un tempo era chiamato catechismo.

E’ giusto ed opportuno fare nuove esperienze però è pure doveroso, prima di proporle agli altri, valutarne i risultati.

Nel nostro caso, a quanto mi sia dato sapere, essi sono più che deludenti.

Villa Flangini

Qualche settimana fa quattro pullman di anziani sono saliti ad Asolo per festeggiare San Martino a Villa Flangini, la bellissima villa veneta che acquistai nel 1978 con i soldi dell’anziana Dolores Albavera, del dottor Adriano Rossetto e di Luciano Busatto. In un paio d’anni, dopo un restauro radicale, la villa veneta della metà del settecento è diventata un’autentica dimora principesca ove per un quarto di secolo ogni anno quasi cinquecento anziani hanno passato due settimane da sogno.

Don Gianni, il giovane parroco di Carpenedo, che pare abbia i piedi per terra ed imposti la pastorale non lasciandosi condizionare da certi discorsi fumosi e bizantini sembra voler rilanciare la splendida esperienza del recente passato per gli anziani e per la comunità.

Per reclamizzare l’uscita autunnale, don Gianni ha ricordato il mio impegno per Villa Flangini e ha riportato a galla gli anni felici della mia vita da parroco.

La mia chiesa

Ricordo con una certa nostalgia la figura di un prete, protagonista di uno dei tanti romanzi a carattere religioso Il romanziere inglese Bruce Marshall, che quando parlava della sua parrocchia, ma soprattutto della sua chiesa la chiamava, quasi con linguaggio da innamorato, “la mia bella sposa”.

Mi ritrovo anch’io ad ottantasei anni ad essere innamorato della mia “sposa bella” quando penso alla mia chiesa che tutti dicono offra il calore e l’intimità di una baita di montagna. Di certo la mia “cattedrale tra i cipressi” è l’ultimo amore della mia vita ma confesso che questo amore non è meno bello ed intenso di quello della mia giovinezza per la chiesa neogotica di Eraclea, mio paese natio o per la Basilica della Salute che mi avvolse di tenerezza durante il tempo del Seminario.

Fu pure splendido l’amore per la chiesa dei Gesuati, che accompagnò le primizie del mio sacerdozio, incantevole fu l’amore per il mio bel duomo di San Lorenzo nella stagione del fiorire del mio apostolato, esso era sempre gremito di folla e più ancora ho amato la chiesa neogotica del Meduna in quel di Carpenedo che fu per trentacinque anni la calda casa della mia comunità, ma l’attuale “sposa bella” del Camposanto mi fa sognare l’amore anche da vecchio prete alla soglia dell’eternità.

Incerti del mestiere

La vicenda di questo parroco mi ha costretto a verificare il mio passato nei riguardi dei pericoli che possono incontrare i preti.

Ricordo le mie vicende alla mensa della San Vincenzo a Ca’ Letizia. Non ricordo quanti anni vi ho passato ma sono stati tanti e difficili.

I poveri di un certo tipo non sono “beati” ma di certo aiutano gli altri a diventarlo.

Ricordo un certo Guerrino De Santis, che era veramente terribile, un giorno mi ha tirato un pugno da peso massimo ma per fortuna mi sono scansato in tempo ed egli si è quasi sfracellato la mano sul muro che mi stava alle spalle. Un’altra volta, un altro tipo di cui non ricordo più il nome, mi ha lanciato un sasso di due chili, ma fortunatamente ha sbagliato la mira ed il sasso ha mandato in frantumi una vetrata. Questo “attentato” ha avuto però un lieto fine.

Alcuni anni dopo sua madre mi ha chiesto di fargli il funerale perché prima di morire le aveva chiesto che fossi io a celebrare la sua messa funebre. Un’altra volta poco dopo mezzanotte mi telefonò una giovane sposa di via Piave perché il marito croato stava tentando di sfondare la porta per ucciderla, anche questa volta ebbi fortuna perché, avendo ella telefonato anche ai carabinieri, salii le scale accanto ad un milite con lo schioppo in mano. Non mi sento però per questo né un martire né un eroe e credo che questi si debbano considerare come “incerti del mestiere!”.

Preti e il martirio

Una notizia particolare di qualche tempo fa ha tenuto banco per un paio di giorni sulla stampa locale. Un tossicodipendente avrebbe tentato di ricattare per estorcere denaro un giovane parroco, minacciandolo di portare a conoscenza dell’opinione pubblica cittadina presunte avances omosessuali di suddetto sacerdote. Quasi certamente si tratta di una delle solite infamie proprie di questo genere di personaggi. Molto probabilmente il giovane parroco, non conosce sufficientemente il mondo dei poveri, capaci di questo e di altro ancora ma, quello che mi ha dato da pensare, è stato il modo pavido con cui ha affrontato la cosa: il primo giorno il prete è andato a dormire fuori di casa e poi, con il consenso del Patriarca, se n’è andato lontano da chi lo aveva minacciato.

Una volta ancora mi è venuto da pensare che la nostra chiesa locale è povera, spaurita ed inerme perché ha smarrito il senso del coraggio e del martirio. Ho l’impressione che finché le comunità cristiane ed i preti delle chiese di Venezia non metteranno nel loro apostolato in conto anche il coraggio, il sacrificio e perché no anche il martirio saremo destinati ad andare di male in peggio.

Accanimento

Un paio di anni fa mi è capitato di celebrare il funerale più squallido della mia vita.

All’ora fissata dall’agenzia delle pompe funebri i necrofori hanno portato la bara davanti all’altare e poi, come al solito, se ne sono andati. Mi sono ritrovato solo sull’altare con davanti la bara senza fiori né croce. L’unica cosa che sapevo era il nome della defunta: Natalina.

Tra i frati si dice che in tre “si fa capitolo” ossia, quando si è almeno in tre, si possono celebrare in coro le lodi del Signore con le preghiere liturgiche del breviario.

Quella mattina anche noi facemmo capitolo: il Buon Dio, la defunta e questo povero vecchio prete! La cosa però non è finita lì; pensavo che non si potesse andare oltre ma evidentemente mi sbagliavo!

Per il trigesimo e per l’anniversario della morte usualmente avverto i parenti che per la ricorrenza celebro il suffragio, così ho fatto anche per la figlia di Natalina, la defunta solitaria. Sennonché la figlia mi ha telefonato che non voleva che si pregasse per la madre perché lei, la figlia, non era credente. Essendo però convinto che con o senza permesso si possa pregare per gli altri, lo avrei fatto anche per Natalina, ma poiché il nome era inserito nel computer e non sapendo io come fare per toglierlo, l’invito è partito pure una seconda volta provocando la solita telefonata di protesta, tanto astiosa che finì per farmi perdere la pazienza e decidere che d’ora in poi pregherò non solo per la madre morta, ma anche per la giovane figlia viva, informandola che c’è qualcuno che prega per lei.

Oche giulive

In rapporto alla cattura in Siria delle due ragazze del Varesotto e della loro recente liberazione, non ho potuto riscontrare che un aspetto positivo: quasi tutti concordano con me che non è giusto che due oche giulive e senza criterio costringano il Governo a perdere tempo e a sborsare somme ingenti di denaro pubblico per la loro liberazione.

Un vecchio proverbio di tanto tempo fa sancisce che: “Chi è causa del suo mal pianga se stesso!” e non pretenda che gli altri paghino per la sua stupidità. È vero che in tutto il mondo vi sono persone con grandi ideali che mettono a repentaglio la loro vita però, quasi sempre, si appoggiano ad organizzazioni serie e si impegnano per cause per le quali possono dare un contributo valido (vedi i Medici del Cuamm che mettono a repentaglio la loro vita per assistere i malati di Ebola o i missionari che fanno altrettanto per donare il messaggio evangelico) ma tutti costoro partono disposti a pagare con la vita le loro scelte. Mi auguro che Renzi o il Ministro facciano una dichiarazione pubblica in cui si affermi che il nostro Stato non offrirà più assistenza a gente scriteriata, che combina guai e poi imputa ad altri il compito di risolverli.

Una qualche emozione!

Una parrocchiana di San Pietro Orseolo, che scrive per “L’incontro”, ha chiesto al nuovo parroco l’autorizzazione a porre nel banco della sua chiesa, riservato alle varie pubblicazioni, anche il nostro periodico.

Don Corrado, così si chiama il sacerdote, ha acconsentito di buon grado. La prima volta un nostro collaboratore ha portato una quarantina di copie mentre La settimana seguente, passando per viale don Sturzo, ho portato io il numero successivo de L’Incontro. In chiesa non c’era nessuno, ho deposto allora in bella nostra il nuovo numero lasciando pure le due copie che erano rimaste della settimana precedente. Ho provato una certa emozione nel tentare di contribuire ad aiutare questa piccola comunità cristiana a riflettere sulla pastorale e sulle vicende religiose della nostra città.

Ormai sono ben poche e certamente tra le meno importanti le parrocchie che non accettano “L’incontro” e, una volta ancora, ho pensato all’utilità di un periodico, distribuito gratuitamente, per aiutare la Chiesa mestrina a verificare e maturare la propria coscienza religiosa.

Libertà e rispetto

Io idealmente c’ero tra i quattro milioni di francesi che hanno condannato in maniera forte la violenza del fondamentalismo islamico.

Io ci sono e ci sarò per quanto si tenterà di fare per disinnescare la crudeltà, l’assolutismo e la barbarie dell’islamismo impazzito e fuori da ogni norma umana e civile ma, dopo aver affermato questo con assoluta decisione, devo altresì affermare che coltivo, nel mio animo, altri due sentimenti ben chiari e motivati.

Primo: ritengo, che nonostante tutte le atrocità, si debba battere soprattutto la via del dialogo e del compromesso se non vogliamo macchiarci degli stessi crimini del fondamentalismo islamico. La prova di forza, le armi e la violenza non possono che generare la stessa brutalità della quale certi mussulmani si stanno attualmente macchiando.

Secondo: pur condividendo il principio della libertà di stampa, della critica e perfino dello scontro dialettico, non riesco né a comprendere, né a giustificare, né tanto meno ad approvare il sarcasmo e l’ironia della satira su argomenti che toccano, tanto intimamente, la sensibilità e le convinzioni di altri esseri umani. Credo che la libertà di parola non possa e non debba mai ricorrere al disprezzo, all’irrisione che sono propri della satira. Sapendo poi quanto, giustamente, i mussulmani siano attenti e gelosi della loro fede e del loro profeta, ritengo che l’attenzione e il rispetto dovrebbero essere ancor più rigorosi quindi, se i giornalisti del giornale che ha subito la pur tanto deprecabile e sproporzionata reazione, si dedicassero all’informazione sarebbero ora più meritevoli ma purtroppo pare vogliano insistere con la satira.

L’ateo a buon mercato

I miei amici e i miei lettori sanno quanto io rispetti ed ammiri gli uomini che si pongono in umile e sincera ricerca e che confessano di non essere riusciti ad approdare alla fede, e quanto io rifiuti coloro che si dichiarano atei con tanta sicumera e arroganza guardando dall’alto e giudicando con commiserazione i credenti, quasi fossero loro e solo loro i figli della ragione.

Partendo da queste considerazioni confesso che certe prese di posizione, sia da parte di singoli atei militanti sia di qualche loro organizzazione, non mi turbano più di tanto mentre tengo in assoluta considerazione sia le tesi che le motivazioni con le quali certi non credenti motivano il loro agnosticismo o ateismo.

Qualche settimana fa mi è giunta una e-mail di una giovane donna che, senza tentennamenti o dubbi di sorta, affermava di vivere bene nonostante non fosse credente e che il suo modo di operare era più umano e civile di quello di chi si professa credente. Non obietto, vi sono di certo atei corretti, onesti, altruisti e perbene ma voglio che personaggi del genere sappiano pure che la loro condotta, umanamente corretta, non basta perché l’ateo deve pur addure delle ragioni che spieghino la storia millenaria della fede di una stragrande parte dell’umanità, l’ordine dell’universo e il senso della vita. Se uno vuole essere coerente e razionale deve giustificare e dar ragione del mondo in cui vive!