Una richiesta che è suonata insolita

Sono reduce da una brutta influenza che mi ha tenuto lontano per una quindicina di giorni dalla mia gente, tanto che ho vissuto il “mistero” del Natale, da solo, non potendo condividere con la mia cara comunità il grande evento dell’Incarnazione del “Figlio di Dio”, Gesù.

Questa esperienza solitaria mi ha provocato qualche disagio, mi sono sentito solo, sganciato dal respiro caldo e fraterno della mia gente. Sono rientrato la domenica in cui si celebrava il “Battesimo di Gesù” sul fiume Giordano, mistero che mette fine al ciclo natalizio, ed ho sentito il bisogno struggente di condividere con le persone a cui voglio sinceramente bene quale è stata la luce e la grazia che quest’anno ha illuminato e riscaldato il mio cuore, confidando d’aver compreso sempre più che il “Salvatore” lo posso trovare in maniera privilegiata nel volto e nell’umanità dell’uomo che, a detta della stessa Bibbia, è stato fatto ad immagine e somiglianza di Dio.

Questa verità, che mi pare affascinante, mi ha sinceramente “folgorato” e mi dona un’ebrezza immensa sapere di poter incontrare, ascoltare e farmi aiutare dall’Emmanuele, il Dio con noi, che posso ritrovare in ogni momento sul mio cammino.

Ai miei fedeli ho chiesto poi di fare un serio esame di coscienza per verificare la luce e la grazia che il buon Dio aveva donato ad ognuno di loro. Non avrò la gioia di beneficiare del loro dono e della loro testimonianza ma comunque, penso che il mistero natalizio abbia reso più bello e più ricco il cuore di ognuno di loro illuminandolo nuovamente con la luce di Dio.

La nuova religiosità

Talvolta invidio i miei colleghi che ho l’impressione siano paghi del gregge, sempre più piccolo, che vive all’ombra del Campanile e che non siano per nulla preoccupati delle “pecorelle smarrite” e, meno ancora, di quelle che stanno costruendosi in proprio le regole di convivenza con gli altri membri del “gregge”. Fino a poco tempo fa questo fenomeno era definito come una “religiosità fai da te” ossia la concezione di una prassi religiosa che non si rifà al vangelo e alla nostra tradizione ma che ognuno si costruisce a proprio uso e consumo.

Ho l’impressione che questa evoluzione cresca, di giorno in giorno, tanto da avere una comunità di praticanti che si muove in assoluta autonomia per quanto riguarda le regole della fede. Rimango ogni giorno sempre più perplesso perché non riesco a capire se questa prassi sia veramente la naturale evoluzione che porta ad una religiosità che si libera totalmente dalle regole ufficiali.

Da molti mesi avevo notato nella mia piccola assemblea generale una giovane donna dal volto pulito che partecipa con profonda pietà e devozione ai sacri riti.

Qualche giorno fa mi è capitato di incontrarla dopo la Messa e di ricevere da lei alcune confidenze sulla sua vita. Pensavo che vivesse sola, mentre invece mi ha confidato che vive con un compagno e che non si pone minimamente il problema del matrimonio.

Il fenomeno di sganciare la propria vita reale da precetti religiosi mi pare sia una prassi che ha preso piede molto rapidamente. Per ora non riesco a fare altro che riflettere e pregare sperando, in proposito, di riuscire a chiarirmi le idee.

Una sopravvissuta

Al mattino mi alzo verso le cinque per dedicare l’inizio della mia giornata alla preghiera e alla riflessione. Debbo confessare che non sono un grande mistico, tanto che spesso mi “arrampico sugli specchi” tra dubbi e distrazioni, spero comunque che il buon Dio accetti almeno i miei tentativi di ringraziarlo e lodarlo come ritengo giusto e doveroso fare.

Prima della preghiera, mentre mi faccio la barba e riordino il letto, ascolto Rai Uno.

Talvolta però mi capita, forse per distrazione della signora delle pulizie, di perdere la giusta sintonizzazione e mi ritrovo ad ascoltare un programma non previsto. L’altra mattina mi è capitato di scoprire di essere sintonizzato su Radio Oreb, un’emittente di Lisiera, una parrocchietta vicino a Vicenza.

Al tempo della mia avventura con Radio Carpini, infinite volte, mi sono incontrato con il parroco di Lisiera e con altri responsabili di emittenti parrocchiali e, uniti, abbiamo lottato con tutte le nostre forze per difendere le nostre frequenze e per far crescere, sia in tecnica che nei contenuti, le nostre radio locali. Radio Oreb è sopravvissuta mentre Radio Carpini, che per spirito di corpo avevo donato al nostro Patriarcato, è ormai morta e sepolta da molto tempo. A Venezia esiste ancora “Gente Veneta”, anche per il valore della sua piccola equipe di giornalisti quanto mai impegnati, però, nel suo complesso, ho l’impressione che vi sia un’assoluta allergia per la funzione dei mass-media. Anche in questo settore pare che Venezia stia sprofondando e per quel che riguarda i mezzi di rievangelizzazione non c’è un Mose che ci permetta di sognare la salvezza.

Il mercato degli schiavi

L’operazione umanitaria Mare Nostrum, volta a soccorrere i disperati delle carrette del mare, da qualche settimana è stata interrotta perché, giustamente, anche l’Europa si facesse in qualche modo carico di questo dramma sociale che la riguarda direttamente. Nonostante l’impegno della nostra Marina sono stati centinaia, se non migliaia i disperati che sono affogati nel Mediterraneo. È certo che questa gente fugge da situazioni tragiche ed impossibili e perciò non vede altra ancora di salvezza se non la vecchia Europa, dove, nonostante la crisi, si vive meglio e con maggior sicurezza che in molte nazioni del Medio Oriente e dell’Africa settentrionale, è pur vero però che c’è un’organizzazione criminale che lucra in maniera patente sulla disperazione di questa povera gente. Lo schiavismo del sette-ottocento, che ha costretto molti uomini, donne e bambini a lavorare nei campi di cotone in America, non era di certo più barbaro di quello che oggi spoglia di ogni avere questi poveri disperati e poi li abbandona in mare alla mercé delle onde.

Di fronte a questa barbarie mi viene da chiedermi ancora una volta: “Ma dove sono i governi della vecchia Europa e dell’America, dove è la CEE, dove è l’ONU e dove sono tutti quegli apparati che dovrebbero garantire il rispetto dei diritti e delle regole di vita? Quanta burocrazia! Quanta ipocrisia!”.

Don Bonini

Qualche tempo fa, don Fausto Bonini, l’ex parroco del Duomo di Mestre, mi ha chiesto di potermi incontrare. Ho pensato che, poiché era stato “nominato” rettore della chiesa della Madonna della Salute e cappellano della Casa di Riposo avesse da chiedermi qualcosa per una sua nuova sistemazione pastorale all’interno della nostra Chiesa.

Ero preoccupato perché oggi io non ricopro alcun ruolo a Mestre se non quello che mi sono scelto da solo ma don Fausto, con garbo e cordialità, è venuto a ringraziarmi perché nei miei interventi l’ho sempre sostenuto ed ammirato.

Ero e sono convinto che la chiesa del Duomo, guidata da don Fausto, sia stata, fino a qualche mese fa, la mosca bianca delle parrocchie di Mestre, l’unica o quasi che sapesse dialogare con il mondo d’oggi, l’unica o quasi che fosse strutturata in maniera organica ed efficiente.

Non sono proprio riuscito a capire perché non sia stato chiesto a don Fausto di rimanere un’altra decina d’anni, non fosse altro per dargli la possibilità di testimoniare che è ancora possibile impostare, in maniera moderna, la pastorale parrocchiale.

Oggi a Mestre pare si sia optato per il passo del gambero, il ripiegamento su vecchi schemi è continuo e costante.

Non è che Venezia brilli per impegno, però è ancor più triste che, per inedia e per scelte incomprensibili, si sia lasciata spegnere la pur tenue speranza del dopo Concilio.

Centenaria

Il due gennaio la signora Gianna Gardenal, da vent’anni residente al Centro Don Vecchi, ha celebrato i suoi cento anni di vita. Alla signora Gianna voglio molto bene perché è una donna buona ed intelligente, vive una vita serena, amata dalle figlie e dai numerosi nipoti, affettuosamente assistita da Tania. Nonna Gianna passa le sue giornate pregando, ascoltando la televisione, perché è quasi cieca, e riposando quando è stanca.

Infinite volte mi ha ringraziato per averle dato il suo “quartierino” in cui vive felice, accarezzando i suoi fiori e, ad ogni nostro incontro, mi ripete che questi ultimi vent’anni, vissuti al Don Vecchi, sono stati i più belli della sua vita. Con fare sornione poi mi ripete che sta aspettando la chiamata al cielo, ma lei è una donna paziente perciò aspetta volentieri anche se il Signore è in ritardo.

Non è che al Don Vecchi tutto scorra liscio e tranquillo, i problemi di cinquecento anziani e delle relative famiglie sono molti ma, se non ricevessi altre attestazioni d’affetto e di riconoscenza all’infuori di quelle della cara nonna, queste sarebbero più che sufficienti per gratificarmi e aiutarmi ad andare avanti.

Mia madre

Noi siamo sette fratelli e siamo quasi egualmente suddivisi nel rassomigliare a nostro padre o a nostra madre.

Mio padre era facondo, aperto, ottimista ed entusiasta, mentre mia madre era pensosa, riservata, incline alla malinconia, ma quanto mai convinta delle proprie idee.

Mio padre era un democristiano, non solo della prima ora ma anche disposto a dare la vita per lo scudo crociato, per De Gasperi e per i suoi governi. A mia madre non interessava la politica, ed era più che comprensibile dovendo governare quella masnada di figli, però, ogni tanto, sbottava di fronte alle solite chiacchiere sulle riforme: “vorrei andare io al governo!”. Sono certo che li avrebbe messi tutti in riga. Io, che assomiglio a mia madre, non vorrei, come lei, andare al governo, ma non riesco a trattenermi dall’affermare con rabbia: “manigoldi, sfrontati, vendi vento, imbroglioni!”.

Conosco due fratelli che fanno gli imprenditori e quando devono decidere un affare, un lavoro, si sono accordati su come valutare le varie opzioni. Uno dei due elabora una strategia mentre l’altro, da “avvocato del diavolo” ne fa tutte le pulci possibili e, grazie al contradittorio, insieme arrivano alla soluzione più vantaggiosa.

Ora se anche in Parlamento ci fosse questa mentalità positiva, questa voglia di fare, credo che le forze di governo e quelle di opposizione dovrebbero collaborare per concretizzare le scelte migliori per i cittadini e per il Paese e questo sarebbe un comportamento da veri uomini.

Invece lo scontro per lo scontro e la volontà di demolire sempre l’avversario è un comportamento fazioso, distruttivo ed imbecille, anche se si sfoggia una dialettica apparentemente stringente.

I nostri emiri!

Uno dei miei nipoti, giovane comandante dell’Alitalia, col penultimo sfoltimento del personale della compagnia di bandiera ha dovuto cercare lavoro nel lontano Qatar.

Trovare un posto da pilota non è come per un idraulico cercarsi una nuova bottega. Qualche tempo fa mi raccontava della strana vita di quel mondo feudale, la cui stabilità comincia a vacillare, dove i qatarioti sono tutti stipendiati dallo stato e non hanno quindi alcuna necessità di lavorare. Il petrolio da un lato e lo sfruttamento di manodopera indiana dall’altro permettono loro di vivere senza lavorare.

In questi giorni di fine anno, nei quali ho appreso che ben altri seicento veneziani hanno attraversato per sempre il Ponte della Libertà e che nello stesso anno altri quattro-cinque milioni di turisti sono calati a Venezia mi sono chiesto: ma di tutto questo “oro” portato dai “foresti” chi ne ha beneficiato? Come si chiamano gli emiri, i califfi e i sultani di Venezia?

Ogni anno si restringe il numero dei veneziani e i pochi che rimangono si impoveriscono sempre di più, con le amministrazioni di sinistra che si sono succedute al governo della città che si sono dimostrate più inique di quelle del Qatar dove almeno i pochi abitanti locali possono vivere senza lavorare.

Possiamo vivere anche senza la porpora!

Il Gazzettino, pur consistendo di un unico fascicolo di varie pagine, idealmente è la risultante di due giornali: quello generale, che riguarda fatti di cronaca nazionale ed internazionale, e quello dedicato al Nordest con la cronaca propria di Venezia – Lido – Mestre – Marghera – Marcon – Chioggia – ecc. Rimane però, nonostante tutto, un povero giornale che dice poco a livello di informazione generale ed altrettanto poco, forse ancora meno, a livello locale. Non è poi finita perché è invalsa l’abitudine di far “salterellare” una notizia dalla prima pagina riproponendola in quelle dedicate al Nordest con poche altre informazioni specifiche a quelle della nostra città, tanto che una notizia di cronaca rischia di apparire come qualcosa di veramente serio.

Oggi tiene banco un articolo che presenta come estremamente importante la notizia che il nostro Patriarca non compare nell’elenco dei quindici nuovi Cardinali. Sono convinto che Mestre e Venezia possano vivere anche senza Cardinale e che il nostro Patriarca possa continuare a fare del bene anche se le sue tonache ufficiali continueranno ad essere di un colore rosso comune piuttosto che rosso scarlatto. Confesso che per quanto mi riguarda, questa esclusione non mi tocca più di tanto: il Patriarca è quello che è, la porpora non aggiungerebbe proprio nulla anzi così avrà più tempo libero per dedicarsi a Venezia dove di gatte da pelare ne ha finché ne vuole. Penso poi che sia ora e tempo per i veneziani di cominciare a dimostrare quel che valgono finendola, una buona volta, di montarsi la testa con le glorie del “vecchio leon”!

L’uomo nuovo

Mi ha sempre entusiasmato il discorso di San Paolo sull’uomo nuovo, l’uomo del Vangelo che sa abbandonare la vecchia pelle della cattiveria, del compromesso, dell’acquiescenza alle passioni per diventare una creatura nuova, libera, aperta, felice, sana, pulita e solidale. Però proprio in queste ultime settimane mi è parso d’aver capito che questo processo di liberazione sia, nonostante i venti secoli di storia cristiana, ancora all’inizio e che la Chiesa fino all’altro ieri l’abbia non solo non incentivato ma anzi osteggiato.

In questi giorni, seguendo i programmi che la televisione manda in onda in occasione del centenario della Grande Guerra, ho fatto l’amara scoperta che l’uomo ha ormai accettato passivamente il guinzaglio come il cane, il morso come il cavallo e il giogo come il “pio bove”.

Alcuni anni fa ero rimasto perplesso e stupito dalle parole di Don Milani quando parlava della “santa disobbedienza”, lui, la “santa disobbedienza” l’aveva conquistata pagandola a caro prezzo confinato a Barbiana, un piccolo borgo di quaranta abitanti. Sono arrivato alla conclusione che, finché non avremo acquisito l’assoluta convinzione del primato della nostra coscienza su qualsiasi altra imposizione esterna, saremo costantemente oppressi e schiavizzati da un piccolo mondo di furbi, di esaltati, di prepotenti e di irresponsabili. I programmi messi in onda dalla televisione, appunto per il centenario del primo conflitto mondiale, hanno rafforzato la mia convinzione che gli eroi non sono quelli che sono andati a morire per niente o ad uccidere altri uomini senza alcun motivo ma quei pochi che hanno saputo resistere e che si sono fatti giudicare ed uccidere piuttosto che compiere l’atto più barbaro: quello di sparare ad altre persone assolutamente incolpevoli. Se i nostri fanti avessero rivolto i loro fucili contro i generali, lo Stato Maggiore e il Governo, non solo non avrebbero evitato quell’inutile massacro, ma avrebbero anche liberato l’umanità da personaggi tanto loschi, imbecilli, boriosi e criminali! Ho la profonda convinzione che l’uomo d’oggi debba fare una profonda ed accurata analisi per liberarsi da miti, da pseudo valori, da tradizioni ingiuste, da forme pseudo ascetiche, dal fascino delle divise e dei gradi. È ora che scopriamo finalmente che ogni altro essere umano che Dio ha messo in questo mondo, vale nella misura in cui mi rispetta, mi aiuta e mi permette d’essere uomo!

Niente di nuovo sul fronte occidentale

Penso che quasi tutti abbiano letto il famoso romanzo di Remarque “Niente di nuovo sul fronte occidentale”.

Il titolo nasce da uno di quei soliti bollettini di guerra che, in mancanza di fatti eclatanti, tentano quasi di insinuare che, tutto sommato, si sia in tempo di pace, mentre il romanzo citato narra la storia terribile di ciò che avviene durante i normali bombardamenti.

Un soldato, per ripararsi, si era riparato in una buca provocata da una precedente granata, senonché anche un soldato “nemico” aveva fatto la stessa scelta e in un terribile attimo il protagonista pensa: “Se non lo colpisco a morte sarà lui a farlo!”. Afferrata la baionetta si avventa su di lui ferendolo a morte e per un’intera notte è costretto ad ascoltare il rantolo del “nemico” moribondo.

Gli toglie il portafogli e vede la foto della moglie e dei tre bambini di questo “nemico” che faceva il fornaio. Tutta la notte si tormenta domandandosi: “Perché l’ho fatto? Perché pure lui l’avrebbe fatto.”.

Remarque usa il racconto come una condanna senza appello della guerra! Qualche mese fa hanno cambiato il responsabile della Caritas diocesana ed anche in questo caso potrei usare lo stesso titolo “Nulla di nuovo sul fronte occidentale!” consapevole che in queste parole si consuma il dramma del limite, della disorganizzazione della Caritas diocesana e della mancanza di un progetto.

Sembra che il mondo continui a girare imperterrito; a tutti giova illudersi che ogni cosa vada per il meglio, mentre i poveri soffrono in solitudine il loro dramma!

Suor Cristina

Nella mia prolungata pausa natalizia, a motivo dell’influenza, guardando la televisione ho avuto modo di imbattermi in due esecuzioni canore di Suor Cristina, la suoretta che si è ormai fatta un nome, a livello internazionale, nel campo della musica moderna.

Alle esecuzioni sono seguite delle interviste nelle quali questa suoretta, dal volto bello e pulito, se l’è cavata con onore, senza strafare e senza coinvolgere più di tanto la fede e nostro Signore.

Ho avuto l’impressione che ella sia ancora all’inizio di una carriera quanto mai difficile e pericolosa e che, per ora, sia ancora protetta dall’entusiasmo, dalla buona fede e dalla semplicità di un cuore desideroso di fare opera di apostolato mediante la sua bella voce e la sua gioia di cantare.

Ho sempre affermato che questi modi particolari di lodare il Signore e di testimoniarlo in ambienti totalmente laici, mi fanno piacere e aprono il mio cuore alla speranza di un dialogo vero e rispettoso con il mondo estraneo alla Chiesa. Confesso però che quel salterellare sul palcoscenico e soprattutto quei suoni strani, irrequieti, spesso urlati oltre ogni misura mi hanno indotto a pormi almeno una domanda per la quale finora non ho trovato alcuna risposta: “Ma che cosa canta quella ragazza? Che cosa dice a Dio e agli uomini?”. Io non conosco gli attuali linguaggi musicali, ho però l’impressione che siano sguaiati, senza senso, confusi ed irrequieti proprio come il modo di vestire, di parlare e di comportarsi dei nostri giovani. Non ho la minima speranza che i giovani, che partecipano ai concerti fiume dei più famosi cantanti attuali ne traggano motivi di speranza, orizzonti più aperti e positivi e soprattutto più ordine nel vivere e nell’amare! Non vorrei proprio che Suor Cristina si sgolasse tanto e mettesse in pericolo la sua freschezza umana per risultati così deludenti!

Come è bella la mia Chiesa!

Passati gli ottant’anni non si può scherzare neppure con l’influenza. Per una settimana abbondante mi hanno messo ai “domiciliari” nel mio alloggio di 49 metri quadrati e ho così trovato il tempo per seguire varie trasmissioni di “RAI Storia”, per ascoltare i discorsi di Papa Francesco e per contemplare, da innamorato, il volto della “mia Chiesa”: non l’avevo mai vista così bella, così libera, così carica di fascino e di dolcezza. Ora la mia Chiesa fortunatamente non ama comandare e comunque, anche se lo volesse, non avrebbe la forza per imporre alcunché ad alcuno. Si muove libera e leggera, indica orizzonti aperti e promettenti, testimonia con umiltà il messaggio di Gesù, ama gli uomini come sono, si veste come loro, si lascia coinvolgere dai drammi della loro vita, parla di bontà, di speranza e di perdono.

Ora la mia Chiesa non ha più potere né denaro, non tresca più sotto banco, non chiede di essere difesa da alcuno e mai avrei immaginato che avrei potuto anch’io dar volto ad una Chiesa così libera e così bella.

In questi giorni di ritiro e di meditazione ho pensato lungamente e con dolore a tutti quei miei fratelli di fede che, sia in tempi lontani come in anni più recenti, sono stati inquisiti dall’Inquisizione fino all’apparato ecclesiastico come quello del Santo Uffizio, con provvedimenti che dall’inizio del secolo scorso fino ai nostri giorni hanno condannato, proibito, fatto tacere le anime più belle impedendo loro di sognare e di perseguire la Chiesa di Gesù.

L’ho fatto però senza rancore perché la mia Chiesa mi pare così bella da rendere ingiusto attardarsi nel passato: quelle sono ormai cose di ieri!

Abbinata Camusso-Orlandini

La Camusso ha un’impostazione facciale, uno sguardo torvo e un parlare così cupo che se facesse l’attrice di cinema o di teatro non potrebbe accettare altro che parti in fosche tragedie.

Un tempo esistevano le tipologie della vecchia zitella, eternamente scontenta e critica, della suocera cattiva e della docente di matematica con una forma di sadismo per i numeri e per le formule algebriche.

Forse la segretaria della CGIL è rimasta una degli ultimi se non l’ultimo epigono di questa categoria.

Per Orlandini le cose stanno diversamente, lui sembra uno di quegli uomini maturi che, nonostante gli anni siano ormai passati, non rinunciano a partecipare ad una partita di calcio nel campetto della parrocchia, questo purché, però, non apra bocca perché altrimenti si trasforma in un vulcano che non cessa di eruttare bordate di lava liquida e ribollente e di lapilli incandescenti! Orlandini sa tutto, lui ha una ricetta per tutto, potrebbe fare da precettore perfino a Domineddio.

Qualche giorno fa mi sono scoperto a pensare che se avessi molto denaro gli metterei a disposizione un centinaio di milioni dicendogli: “Orlandini, facci vedere ciò che sei capace di fare!”. Io so che c’è più di uno che mi ritiene un ingenuo, uno sprovveduto che non ci sa fare con i conti e forse ha ragione, ho imparato però a ripetermi, per non abbattermi, che: “Io, da sprovveduto qualsiasi, sono riuscito a fare in vent’anni quanto è alla vista di tutti” e mi piacerebbe vedere quello che sono capaci di fare gli altri con tutta la loro sicumera!

Credo che Marchionne “sopravviva” facendosi discorsi come i miei!

La scoperta natalizia

Ho confidato, fin troppe volte ai miei amici e fedeli, i tormentoni che mi affliggono ogni volta che debbo rivolgermi al “popolo di Dio” per attualizzare il messaggio di Gesù, tormentoni che crescono di intensità in rapporto all’importanza del “mistero cristiano” che debbo celebrare.

Natale è certamente uno dei pilastri portanti del messaggio di Cristo e l’Incarnazione è uno dei pilastri su cui poggia il progetto della Redenzione.

Nella settimana precedente il Natale di quest’anno mi sono arrabattato fino all’inverosimile per trovare un filone di pensiero che valesse la pena di essere offerto alla mia gente, ho però finito con l’imbarcarmi in un discorso penoso, complesso ed arzigogolato.

La notte della Vigilia mi sono addormentato con fatica per la predica che dovevo fare il giorno seguente, una predica che recuperasse l’incanto e la poesia del presepio della mia infanzia e, contemporaneamente, lo traducesse in un messaggio esistenziale valido e pregnante.

Non so se nel sonno o nel dormiveglia mi è apparso un filone che mi è piaciuto e che mi è stato suggerito dal poverello di Assisi, mi sono ispirato al Presepio e ho fatto delle bellissime scoperte che hanno illuminato il mio spirito e scaldato il mio cuore.

Ho scoperto il silenzio, condizione necessaria per sentire la flebile voce del Bambinello, ho avvertito la sobrietà, condizione assoluta per non lasciarsi travolgere dalla crisi economica che ci attanaglia, ho visto la fiducia assoluta in Dio di Maria e Giuseppe, ho ammirato i poveri pastori che riuscirono a provvedere anche ad uno più povero di loro, mi sono lasciato avvolgere dalla tenerezza della natività che è condizione indispensabile per avere rapporti caldi con gli altri, ho avvertito l’aleggiare degli angeli che ci hanno fatto intuire il mistero in cui siamo avvolti ma, soprattutto, mi sono reso conto che il Figlio di Dio con il Natale è diventato figlio dell’uomo e che soltanto quando mi apro agli altri, dono loro la mia solidarietà e li amo, posso godere dell’incanto e della poesia del Natale perché così mi inserisco nella logica di Dio.

Ho avuto la netta sensazione che i fedeli che gremivano la mia “cattedrale tra i cipressi” abbiano condiviso questa mia “lettura del Natale” e ne sono stato particolarmente felice!