Il Papa in “gabbia”

Mai e poi mai avrei immaginato che nostro Signore ci regalasse un Papa così evangelico qual è Papa Francesco, però mi accorgo che la Curia del Vaticano non perde occasione per ingabbiare anche lui nelle vecchie prassi rituali così lontane dalla sensibilità degli uomini d’oggi.

Purtroppo penso che, pur con amarezza e riluttanza, talvolta lo stesso Papa debba accondiscendere alle scelte e alle manie di quella legione di Monsignori e Liturgisti che pare non abbia altro da fare che organizzare riti variopinti e macchinosi. Può anche darsi però che il Pontefice cada nei loro trabocchetti, mi riferisco alla Messa di Natale cui ho assistito dopo cena in poltrona davanti alla televisione.

Ho visto il Papa fare sforzi disperati per non addormentarsi mentre una bella ragazza, in mezzo ad un esercito di orchestrali, emetteva dei gridolini seguendo di certo uno spartito di musica polifonica. Forse in un teatro, a persone del mestiere, potranno anche piacere quei canti ma, per la gente come me, essi sono dei potenti sonniferi che fanno addormentare o, nel migliore dei casi, certamente annoiano.

Spero che, in uno dei prossimi sinodi o delle prossime riforme, Papa Francesco allontani dai sacri riti, canti, vesti e gesti che risultano assolutamente incomprensibili alla gente come me e spero anche che in Vaticano ci sia qualche soffitta in cui collocare “liturgie” vecchie di secoli.

I profughi

Su quest’argomento sono già intervenuto più di una volta nel passato mettendo in luce due aspetti: il primo di non facile soluzione ed il secondo necessario, impellente perché assolutamente scandaloso.

Per quanto riguarda il primo aspetto del problema, mi pare ovvio che l’Italia non possa accogliere una massa di disperati senza definire cosa farne e come integrarli nella nostra società. Di certo non possiamo mantenerli in eterno sia perché costano sia perché un uomo che non lavora diventa facilmente preda della delinquenza ma, purtroppo, a questo riguardo, non ho mai letto né un progetto né una proposta.

Per quanto riguarda il secondo aspetto, partendo da evidenze a livello locale, ho sempre sospettato che un po’ tutti, non solo nel mondo civile ma anche in quello religioso, lucrassero su questo dramma sociale.

Lo scoppio del bubbone di Roma me ne ha fornito una conferma fin troppo evidente: tanti, troppi hanno fiutato, tentato e colto l’affare.

Qualche domenica fa, durante la trasmissione “L’Arena” condotta da Giletti, che va in onda nel primo pomeriggio di domenica, ho appreso che, a dispetto dei cinquanta euro al giorno che lo Stato versa all’ente preposto, ciascun profugo riceve solo 2 euro e mezzo!

Mi domando ancora una volta cosa ci stiano a fare le moltitudini di magistrati, finanzieri, poliziotti e burocrati se non riescono a controllare un malaffare di questo genere.

Mi pare che oggi si parli della possibilità di un trasferimento per i dipendenti dello Stato però solo entro un raggio di cinquanta chilometri, altro che cinquanta chilometri, bisognerebbe trasferirli al Polo Nord!

L’automobile

Io ho preso la patente per guidare l’automobile venticinque anni fa, ormai sessantenne. Confesso che ho fatto un po’ di fatica per ottenerla, la prima volta fui rimandato perché non ho saputo destreggiarmi nel labirinto di strade di Marghera, da ripetente poi non è andata meglio perché per miracolo, nella seconda prova, non ho investito un giovane che portava il latte. Ho però incontrato, fortunatamente, un funzionario devoto che mi ha detto: “Padre, veda d’essere prudente quando guida”.

Credo d’aver fatto tesoro di questo saggio e doveroso consiglio, anche se, neppure oggi, dopo venticinque anni di guida, sono un autista provetto.

I miei rapporti con l’automobile non sono mai stati molto rispettosi nei riguardi di questo mezzo di locomozione, sia perché non ho mai comprato o posseduto una macchina nuova o di valore e sia perché non ho mai servito l’automobile ma mi sono sempre fatto servire da essa “educandola” al mio modo poco rispettoso delle sue esigenze.

Confesso che spero di essermi comportato in questo modo per una scelta di sobrietà e di coerenza. Ultimamente il comportamento e le parole di Papa Francesco mi hanno molto confortato e le ho avvertite come un’approvazione che mi ha gratificato a livello di prete automobilista.

Per Venezia non c’è salvezza

Mi rattrista il dover parlar male ancora una volta di Venezia perché, nonostante tutto, l’amo e sono orgoglioso di abitarvici, però ogni giorno di più mi convinco che per questa città non c’è più salvezza.

Voglio evitare di ripetermi sulla cattiva amministrazione, sulle occasioni perdute, sul mal governo e sull’acqua alta, ma vorrei richiamare la vostra attenzione sullo sconfinato esercito di burocrati impietosi, stupidi ed irresponsabili che la stanno soffocando.

I motivi di sconforto, di amarezza e di sdegno sono stati tanti, questo è solo l’ultimo.

Una cara signora, che ha avuto l’incarico dalla sorella deceduta alcuni anni fa di distribuire ad opere benefiche il patrimonio che ha lasciato, ha deciso di donare alla Fondazione i proventi della vendita di un “bacaro” che si trova vicino a San Marco.

Si tratta di una cifra ingente con la quale potremo finanziare la struttura per le emergenze abitative destinata a: divorziati, disabili, vecchi preti, operai ed impiegati di altre città che lavorano a Mestre, parenti di degenti in ospedale, giovani che tardano a sposarsi per la mancanza di un alloggio. Un complesso di 65 appartamenti che offriranno un servizio quanto mai necessario e soprattutto creeranno quella cultura e quella mentalità solidale di cui Mestre ha bisogno come il pane quotidiano.

Ebbene i burocrati del Comune, che sono poi gli stessi che hanno fatto perdere a Venezia il grattacielo di Cardin, le carceri, lo stadio e quant’altro, stanno facendo l’inimmaginabile per impedire o ritardare un’operazione benefica di notevole portata culturale e sociale.
Perché? Proprio non lo so!

L’ultima spremitura

Ieri sera il tipografo, che è uno dei tanti artigiani che per sopravvivere al pesante fardello fiscale fa tutto da sé, è venuto a portarmi personalmente i mille volumi che raccolgono il mio diario del 2014: una vera montagna di carta stampata.

Più volte ho confidato ai miei amici che, con il progredire dell’età, sono diventato sempre più prolisso.

Vent’anni fa in otto, dieci righe riuscivo a mettere a fuoco un messaggio, un sentimento o una critica, mentre ultimamente, per esprimere gli stessi concetti, tre pagine manoscritte sono appena sufficienti.

Quest’ultimo volume, che conta ben 456 pagine, assomiglia più ad un vocabolario che ad una raccolta di riflessioni.

La curiosità morbosa mi ha spinto a sfogliarlo per leggere qua e là qualche pagina e vi devo confessare che ho trovato il volume abbastanza sbrodoloso.

Mi costa presentarmi così male in arnese ad amici e concittadini, purtroppo però tutto questo è uno dei tanti effetti della vecchiaia!

Ringrazio comunque Dio per avermi dato la possibilità di parlare a cuore aperto alla mia gente e di aver fatto sapere alla Chiesa e alla città come la pensa un prete ultraottantenne.

Tutto sommato credo che non sia male confrontarsi anche con il passato: io di certo lo rappresento!

Soldato semplice

Quando, alcuni giorni fa, ho spedito al Presidente e ai membri del Consiglio di Amministrazione le mie dimissioni da direttore della Fondazione dei Centri Don Vecchi, ruolo da me ricoperto fino al 31 dicembre, per una strana associazione d’idee sono ritornato con il pensiero ad un romanzo della mia fanciullezza: “I ragazzi della Via Pàl”.

I più anziani ricorderanno che in quell’esercito immaginario tutti avevano un ruolo di comando tranne Nemecsek, unico soldato semplice, che riceveva ordini da tutti.

Nella mia lettera di dimissioni ho rimesso nelle mani del consiglio le sorti dei Don Vecchi, la cui costruzione è stata l’impresa che più mi ha impegnato ed appassionato negli ultimi vent’anni della mia vita.

Con suddetta lettera però ho anche dato la mia totale disponibilità alla Fondazione per svolgere, qualora mi venga richiesto, le attività che ancora sono in grado di fare.
Confesso che mi è costato un po’, ma non più di tanto!

Sono ben cosciente che essere fedele a questa scelta mi costerà molto perché da tanti anni mi sono abituato a prendere decisioni ma soprattutto perché da sempre ho portato avanti con tanta e forse troppa determinazione gli obiettivi che credevo giusti, comunque anche questo sacrificio fa parte della stagione che sto attualmente vivendo.

Desiderio di primavera

Il mio tragitto per ritornare al Don Vecchi, dal Cimitero ove si svolge il mio “lavoro” quotidiano, non può che essere quello che passa per Viale Garibaldi, viale che, all’inizio del secolo scorso, fu pensato come il Corso che avrebbe collegato il centro di Mestre con Treviso, città che per molti motivi e per molti anni esercitò un legame ideale con Mestre. Basti pensare che fino al 1926 tutte le parrocchie di Mestre facevano parte della diocesi della Marca Trevigiana.

I miei ripetuti transiti quotidiani mi sollecitano ad osservare i colori e i profumi dei due filari di vecchi tigli che fiancheggiano questo corso che gli architetti hanno progettato ispirandosi nientemeno che a Versailles.

Da qualche settimana è iniziata la caduta delle foglie con i loro mutevoli colori che dal verde cupo dell’estate hanno cominciato a perdere intensità per poi ingiallire, diventare marrone ed infine scomparire lasciando i rami spogli che alzano le loro dita scheletriche verso il cielo.

Ora ogni giorno sogno il verde tenero delle foglioline primaverili ed il profumo intenso di questi tigli. Come ti sogno primavera!

Sarei tanto grato al Signore se almeno per una volta ancora mi permettesse di godere della poesia di questa strada amata.

La scommessa difficile

Le vicende della nascita dell’ultimo Don Vecchi ci hanno offerto una medaglia con due volti estremamente diversi.

La prima faccia si è presentata quasi trionfale, mano a mano che il progetto maturava mi sembrava fosse avvolto dall’inno alla gioia del finale della nona sinfonia di Beethoven: prestito a tasso zero di quasi tre milioni di euro, offerta di trentamila metri quadrati di superficie da parte del Comune, un prezzo estremamente conveniente praticato dell’impresa appaltatrice per una struttura che in soli dieci mesi fu ben bella sfornata.

L’altra faccia della medaglia è stata totalmente diversa: la fretta di riempire i sessantacinque alloggi, l’accettazione di anziani al limite estremo dell’autosufficienza e forse un po’ più in là, il venir meno della diaria promessa dalla Regione e per finire il timore che la struttura possa poi rivelarsi assai dispendiosa per i costi di gestione. Motivo per cui è stato gioco forza correre ai ripari offrendo solamente un monitoraggio e riducendo all’osso il personale, anche perché l’ubicazione ai margini della città rende quanto mai difficile reperire volontari.

Comunque come Cesare quando passò il Rubicone pronunciando la famosa frase: “Il dado è tratto!” anche noi non abbiamo che una possibilità: “Vincere la scommessa”.

Il cuore mi dice che la vinceremo comunque!

“L’ultima spremitura”

In questi giorni è uscito l’ultimo volume che raccoglie le pagine del mio diario del 2014 con un titolo significativo e molto meditato: “L’ultima spremitura”.

Quando ho superato gli ottant’anni, alla fine di ogni anno, ho avvertito il bisogno di indicare anche nel titolo del volume il fremito dell’attesa del mio incontro con il Signore. Da questo stato d`animo sono nati i titoli: “Sul far della sera”, “Luci del tramonto”, “Tempi supplementari”, “Vespero”, “L’attesa del nuovo giorno”, “Crepuscolo” ed ora “L’ultima spremitura”.

Se il Signore mi accordasse ancora qualche anno, finirei per trovarmi a disagio e in difficoltà per trovare un titolo adeguato all’età ed al mio stato d’animo.

Quando ho scelto per il 2014 “L’ultima spremitura”, ho preso in considerazione non solamente la mia veneranda età ma, pure il tipo di vita che ormai nonostante tutti i miei sforzi riesco ad esprimere. Sono ben conscio come ho scritto nella prefazione, di essere arrivato al tempo del “vinello”, ossia un prodotto che del buon vino ha quasi solamente il colore.

Spero che questo volume vada in mano solamente agli amici più cari perché con gli altri non mi farebbe fare altro che una brutta figura.

Zappalorto e colleghi

Qualche tempo fa ho parlato bene di Zappalorto, il commissario che governa attualmente il Comune di Venezia, non tanto per le sue qualità ma perché speravo riuscisse a rabberciare alla meglio i danni procurati dalla classe politica che ha portato alla deriva la situazione economica della nostra città.

Pensavo che il commissario, pur deciso nel riassestare la disastrosa situazione economica del Comune, facesse sì dei “tagli” per recuperare il denaro necessario a colmare la voragine provocata dai nostri politici incompetenti e faziosi ma, in maniera intelligente ed attenta ai soggetti da tassare. Senonché il caso dei trentamila euro di tasse sulla spazzatura inflitti alle quattro vecchie suore del Convento di Clausura di via San Donà, quasi siano loro a creare montagne di rifiuti, mi ha fatto venire la mosca al naso.

È pur vero che pare sia quasi un vezzo per gli amministratori pubblici “mungere sempre i soldi occorrenti” dai poveri grami che di soldi ne hanno sempre avuti pochi e non da chi magari ne ha anche troppi ma, che poi lo facciano anche i burocrati che non hanno la necessità di raccogliere consensi e voti è veramente troppo!

Ricorderò sempre mio padre, padrone di una botteguccia di falegname, che ripeteva spesso che pagava più tasse lui di Agnelli.

Un tempo sorridevo di questi suoi sfoghi, oggi ho capito che aveva ragione.

Veronesi, ateo che non mi turba

Qualche tempo fa transitavo a piedi in una viuzza che sbocca in via San Donà per raggiungere le poste di Carpenedo perché oggi è un miracolo trovare un posto per parcheggiare.

Camminavo pensando ai fatti miei quando un signore che abita in quella zona e che vive in maniera pressoché eremitica, mi fermò, mi fece entrare in casa sua e per un’oretta mi intrattenne su argomenti di ogni specie: aveva voglia di parlare con qualcuno. Tra le varie cose mi chiese un parere sul volume di Umberto Veronesi, il famoso oncologo, che non perde occasione per dichiararsi ateo. Il mio interlocutore arrivò a regalarmi la “critica” che Repubblica aveva fatto su questo volume.

Ho letto con una certa preoccupazione la pagina del notissimo giornale, al quale non spiace di presentarsi come laico schierato. La mia preoccupazione nasceva dalla paura che le argomentazioni di Veronesi potessero mettere in crisi la mia fede.

Sul finire della vita diventa preoccupante, almeno per me, che qualcuno ti sfasci tutta la tua “lettura” del mistero della vita stessa! In realtà le argomentazioni di Veronesi, così come mi era già successo con Eco e Scalfari, mi risultarono quanto mai fragili, ingenue, faziose e forse anche arroganti.

Ho concluso che certi atei esibizionisti, tanto critici nei riguardi dei credenti non lo sono per nulla nei riguardi di se stessi.

Questo è per me quanto meno poco serio!

Olmi e la grande guerra

Una volta ancora, uno dei più bravi registi del nostro Paese, ha fatto “centro” con il suo ultimo film “La valle tornerà verde”.

Olmi, in occasione del centenario della Grande Guerra, ha affrontato il tema da par suo e ci ha offerto un film di grande poesia ma, soprattutto ricco di grande speranza.

Ultimamente, in maniera quasi morbosa, ho cercato di vedere svariati documentari sulla prima Guerra Mondiale, avendo modo di toccare con mano l’insipienza “dell’intellighenzia” del nostro Paese all’inizio del novecento, la crudeltà e lo sprezzo per la vita umana dei nostri generali e la brutalità assurda e sanguinaria di quella guerra e di ogni guerra.

Olmi conclude che nonostante tutto le nostre valli alpine torneranno a fiorire. In questo titolo ho ritrovato l’incanto, la poesia e l’estasi di quello splendido volume che lessi da ragazzo: “Come era verde la mia valle”.

Un giorno feci osservare a Monsignor Vecchi come fosse triste la montagna per le ferite di una valanga e il vecchio prete mi rispose: “Se ripasserai tra qualche anno avrai modo di constatare che il verde avrà preso il sopravvento” e poi soggiunse “Il progetto di Dio finisce sempre per avere il sopravvento sulla violenza insensata dell’uomo”.

Sono riconoscente a Olmi e pure a Monsignor Vecchi per questa loro felice sapienza.

Quando la prima Comunione?

Ultimamente nel vicariato, il gruppetto di parrocchie che insistono sulla vecchia comunità cristiana di Carpenedo, è nata un po’ di maretta tra i preti, sulle modalità e sull’età in cui accostarsi alla prima Comunione.

La cosa non è del tutto nuova perché da molti anni l’ex parroco di viale Don Sturzo ha portato avanti, solitario, una certa “rivoluzione” nel modo di preparare i bambini ad accostarsi all’Eucarestia e soprattutto nei tempi in cui far fare la prima Comunione. Io sono sempre andato diritto per la mia strada concordando totalmente con San Pio X che aprì le porte ai bambini per incontrare il Signore in tenera età.

Ora, pur essendo quel parroco in pensione, pare voglia proporre con una certa pressione la sua tesi e che abbia trovato anche qualche nuovo adepto. Già scrissi che la validità di certe scelte si misura dai risultati e per quanto riguarda la vitalità della parrocchia di San Pietro Orseolo, i risultati.

Incontrandomi con mio fratello don Roberto, che credo sia il parroco di una delle più belle e vivaci comunità cristiane della diocesi, gli chiesi la sua opinione in merito a questo problema. Mi rispose senza esitazione: “Da me i ragazzi fanno la prima Comunione in terza elementare, a quell’età essi sono limpidi ed innocenti, chi la fa in quinta, quando i ragazzini pensano già alle “tosette”, incide ben poco sulla loro coscienza.

Ancora una volta vale la prova del nove sulla validità di questa scelta, infatti la parrocchia di Chirignago ha il più bel vivaio di ragazzi e di giovani.

Le novità non sono sempre garanzia di validità!

Elefanti e grilli

Spesso mi capita di scoprire dei fiori belli nei luoghi più impensati o di incontrare persone giuste e perbene ove mi sarei aspettato soltanto volgarità e cattiveria. Così, qualche giorno fa, ho scoperto una bella verità leggendo un trafiletto in un periodico povero e senza pretese.

Un po’ di curiosità e di attenzione può aiutarci spesso ad incontrare suggerimenti di cui abbiamo veramente bisogno per vivere più serenamente.

Riporto l’articoletto sperando che faccia bene ai lettori de “L’Incontro” quanto ha fatto a me.

L’autore partendo da questa frase di San Paolo:
“Tutte le cose vere, tutte le cose onorevoli, tutte le cose amabili, tutte le cose di buona fama, quelle in cui è qualche virtù e qualche lode, siano oggetto dei vostri pensieri” (Filippesi 4:8) ha tratto queste felici conclusioni.

“Avete mai avuto un elefante in casa? Quasi certamente no! Ma se lo aveste avuto, avreste saputo con esattezza dove si trovava, in ogni momento. E un grillo? Io sì, l’anno scorso, ed ho passato giorni interi a cercarlo. Sentivo il suo frinire stridulo e quando ero certo di averlo trovato, il frinire cessava.
Quel minuscolo animaletto ha occupato molto del mio tempo e delle mie energie. Quando alla fine ho desistito e ho smesso di pensarci il grillo se n’è andato!
A volte la vita ci viene incontro con degli “elefanti”, sfide importanti come un divorzio, la malattia, la morte. Ma per la maggior parte, passiamo i nostri giorni in compagnia dei “grilli”: piccoli fastidi, piccole cose che ci irritano e ci preoccupano, che tengono in ostaggio la nostra mente, distogliendola da cose ben più serie. Quando siamo frastornati dallo schiamazzo dei grilli, possiamo metterli a tacere andando a Dio, con la preghiera e la meditazione. Possiamo pensare a tutte le cose onorevoli, giuste, pure, in cui vi sia virtù e lode. Se ascoltiamo Dio non sentiremo più il frinire dei grilli!”

Adorazione perpetua

Ormai da alcuni anni, per iniziativa di don Narciso Danieli, a Santa Maria Goretti, almeno una persona ad ogni ora del giorno e della notte veglia e prega di fronte all’Eucarestia.

Da quanto ho appreso ben quattrocento fedeli si sono offerti per compiere questo servizio affinché almeno un rappresentante della nostra città incontri e parli al Cristo nell’Eucarestia dei nostri problemi e delle nostre attese.

A Venezia un tempo si faceva qualcosa di simile nella chiesa di San Giuliano poi, non so per quale motivo, l’iniziativa si spense.

Ho appreso però qualche settimana fa che qualcuno si sta dando da fare per riprendere l’adorazione perpetua in un’altra chiesa di Venezia.

Mi rende felice il sapere che qualcuno a nome di tutti possa ascoltare e parlare a Gesù di Nazareth rappresentato dall’Eucarestia e si faccia portavoce dell’intera città. Però pensando a San Giacomo e a San Giovanni Crisostomo mi farebbe ancor più piacere se ci fossero almeno altri quattrocento cristiani che, inquadrati da qualcuno, fossero in costante disponibilità a colloquiare e servire il Signore presente a Mestre e Venezia sotto il segno del povero.

Qualcosa esiste ma sarebbe opportuno che questo servizio fosse organizzato in maniera più seria ed efficiente.