Il barbiere

Non dedico troppo tempo alla televisione, perché spesso mi annoia e più spesso ancora mi fa addormentare. I cronisti televisivi però, imperterriti, continuano a parlare nonostante io mi sia addormentato, arrivo perfino a guidare i miei sogni, tanto da farmi temere che possano arrivare ad inquinare le falde profonde del mio subconscio! Comunque ogni tanto scopro qualche “perla”, che rassomiglia al “Tesoro nascosto” della parabola evangelica.

Qualche giorno fa, nel notiziario regionale, ho ascoltato una splendida testimonianza; mi spiace solamente di averla scoperta un po’ tardi. Un giovane parrucchiere, non ho capito bene se della Marca Trevigiana o del Veronese, ha scelto di lavorare anche il lunedì, giorno che notoriamente è di riposo per barbieri e parrucchieri, non so se per tagliare i capelli gratuitamente a chi è in difficoltà o se per donare il ricavato dei suoi “tagli” ai poveri.

Ho appena intravisto la figura di questo giovane che nel suo negozio faceva “cantare” le forbici come sanno fare gli addetti di questa corporazione.

Una decina di anni fa un vecchio e famoso avvocato, il Cacciavillani di Dolo, mi confidò che la sua “carità” consisteva nel dedicare la mattinata, il dopo Messa della domenica, a tutta la povera gente che aveva bisogno di consulenze legali. Sono grato alla televisione per aver riferito questa testimonianza e mi auguro che lo faccia più di frequente piuttosto che propinare notizie futili o peggio ancora tristi e deludenti.

Ascetica minore

Più volte ho confidato che io mi alzo ogni giorno alle cinque e un quarto per aver modo di espletare le mie pratiche di pietà in un’atmosfera di silenzio, di solitudine e senza fretta o distrazioni esterne, purtroppo di quelle interne ne ho comunque molte e frequenti! Recito il breviario con fatica e spesso non condividendo il pensiero di chi ha steso “i salmi”.

Mi pare che il concetto di Dio e dei rapporti con il prossimo da parte degli ebrei dei salmi lascino molto a desiderare. Certe invocazioni rivolte al Signore di sterminare i nemici, le recito con le labbra non certamente con il cuore. Forse sarà per questo che dicono che solamente il quindici per cento dei preti recita ancora il breviario! Poi faccio meditazione. Mi avvalgo di una modestissima rivista della Chiesa Metodista che riporta le testimonianze dei discepoli di Gesù che vivono sparsi per il mondo intero.

Ho fatto questa scelta perché in quelle pagine trovo sempre una fede fresca, candida, profonda ed entusiasta. Io ho bisogno di questo tipo di testimonianza che faccia da contrappeso al mio naturale scetticismo.

Qualche giorno fa, uno di questi cristiani raccontava che mentre era nell’anticamera del medico, soffrendo egli fisicamente e psicologicamente per gravi disturbi di carattere alimentare, si accorse che per terra c’era un biglietto, lo raccolse e vi lesse: “Mai darsi per vinti, mai arrendersi”. Questa persona di fede lo interpretò come un messaggio del Signore e si abbandonò ad esso con fiducia. Voi non potete immaginare quanto bene mi abbia fatto cogliere questo messaggio e ancor di più cogliere la fede con la quale il protagonista lo ha interpretato.

La “paga” di Mattarella

Mi pare che i commenti, in occasione dell’elezione di Sergio Mattarella a Presidente della Repubblica, siano stati tutti positivi; ne hanno parlato tanto bene che credo che la “Congregazione per i Santi” dovrebbe prendere in considerazione l’idea di proclamarlo fin da subito “Beato”, sia pure a livello civile! Ben si intende io sono molto felice di questa elezione e più felice ancora per le qualità che Mattarella dicano abbia. Ho ammirato anche il Napolitano della vecchiaia però, per quello che è stato in gioventù, l’ho sempre visto avvolto in un’ombra cupa che non sono mai riuscito a dissipare totalmente.

C’è stata però una notiziola, data quasi sottovoce, che mi ha turbato alquanto. Un cronista ha scritto che Mattarella, diventando Presidente della Repubblica, ci rimette perché da magistrato aveva un compenso di quattrocentocinquantamila euro all’anno mentre ora, da Presidente, ne percepirà solamente trecentoventimila, quasi mille euro al giorno! “Io non ci sto!” aveva detto Scalfaro in passato, ed io meno ancora! È vero che tutto questo avviene nel rispetto della legge, però io ritengo che una ruberia ed un’ingiustizia “secondo legge” non sia né meno ruberia né meno ingiustizia!

Credo che Mattarella farebbe un atto esemplare se denunciasse questa ignominia e si dissociasse rinunciandovi. Aggiungo che finché lo Stato Italiano permette queste ingiustizie e queste ruberie non ci sarà mai magistratura o morale che possa condannare “il nero”, anzi penso rappresenti una giusta e lodevole “rivolta sociale”, checché ne pensino magistrati e parlamentari!

“Il Mughetto” e “Il San Camillo”

La settimana scorsa, facendo riferimento alla giornata per l’ammalato che si celebra in tutta Italia l’undici febbraio, festa della Madonna di Lourdes, ho ribadito con estrema franchezza che le parrocchie possono e debbono fare di più e di meglio per i propri ammalati. Pur sapendo di espormi al pericolo di essere accusato di autoreferenzialità. A supporto delle mie affermazioni, ho citato sommariamente le esperienze a cui, con l’aiuto dei miei numerosi collaboratori, ho tentato di dar vita.

Voglio ritornare brevemente su due di questi tentativi che, nonostante siano passati più di dieci anni da quando ho lasciato la parrocchia fortunatamente sono ancora attivi. Mi riferisco al “Gruppo del Mughetto” e al “Gruppo San Camillo”. Il primo è formato da alcune signore che, con la collaborazione degli scout della parrocchia, intrattengono, due pomeriggi alla settimana, alcuni disabili, più o meno gravi, dando così la possibilità alle loro famiglie di godere di un po’ di tempo libero per sbrigare i loro affari mentre il secondo è formato anch’esso da un gruppo di signore che sono impegnate, facendo frequenti visite agli infermi e agli ammalati della comunità.

Perché scrivo queste cose? Non certamente per farmi bello, ma per suggerire ai colleghi e ai cristiani impegnati che con queste iniziative si raggiungono almeno tre obiettivi: si aiuta la comunità a vivere secondo il Vangelo, si matura una cultura di solidarietà ed inoltre la parrocchia si crea una credibilità che favorisce “l’aggancio” con i non praticanti e con coloro che sono lontani. Questo non è poco ed è un’opportunità offerta a tutti!

Villa Salus

Non so bene quale sia la funzione specifica di Villa Salus nell’organigramma della Sanità approntato dalla Regione per la nostra città.

Per quel poco che mi è dato di capire credo che quello dell’Angelo sia l’ospedale d’eccellenza per le situazioni più gravi, mentre Villa Salus debba affrontare le situazioni meno impegnative e fare da supporto per completare le cure ai pazienti che si sono sottoposti ad interventi molto gravi nell’ospedale dell’Angelo.

Comunque, avendo frequentato in quest’ultimo tempo Villa Salus, a motivo del ricovero di una persona cara, mi è parso di avvertire che in questo ospedale periferico, in cui sono presenti un gruppetto di suore anziane, si respiri un’aria di famiglia, si avverta un clima di umanità, di rispetto e di attenzione particolare per i pazienti per cui tutto pare più sereno. Pure medici ed infermieri sembrano adeguarsi alla motivazione religiosa che ha dato vita a questa struttura e che tutto sommato, s’avverta che l’ambiente risente dell’amore per il prossimo, quell’amore che ha spinto quest’ordine religioso a dedicarsi ai fratelli ammalati. L’altra mattina poi, quando ho sentito la suora guidare la preghiera del mattino, ho capito quanto grande sia il valore aggiunto dello spirito di fede che impregna ancora questa struttura.

Le imprese di pompe funebri

Tutti i preti hanno a che fare con le imprese di pompe funebri perché fa parte del servizio di un sacerdote celebrare il commiato dei fratelli che ci precedono in cielo.

Svolgo molto volentieri questo servizio, da un lato perché mi da modo di riproporre le grandi verità cristiane che danno significato alla vita e offrono consolazione e speranza ai fratelli che vivono l’evento del lutto, e dall’altro perché spero tanto di essermi creato e di continuare a crearmi una folla di “amici” in cielo su cui poter contare. Questo ministero si inserisce però nell’organizzazione del funerale che è gestita quasi esclusivamente dalle imprese di pompe funebri, che in questi ultimi anni sono spuntate come funghi dopo la pioggia, perché pare sia una attività lucrosa. Io per temperamento e per scelta tento di favorire il loro lavoro come mi pare giusto che sia. Vi sono imprese serie che hanno rispetto ed attenzione anche per gli impegni di un prete, ma ve ne sono altre che pretenderebbero che il prete fosse al loro servizio facendo i loro interessi senza porsi problemi di sorta. Qualche giorno fa c’è stata una di queste imprese che pretendeva da me l’impossibile tanto da farmi venire la mosca al naso e dire al titolare: “Mi metta a libro paga e solamente allora potrà pretendere che sia a sua completa disposizione!”. C’è da aggiungere inoltre che al sacerdote giungono solo le briciole di questo loro “affare”. Questo mi dispiace perché, almeno nel caso mio, tutto quanto ricevo è interamente destinato ai poveri!

“La tromba dello spirito Santo”

Non fa parte della raccolta dei “Fioretti di Papa Giovanni” ma il modo in cui questo grande Pontefice accolse in Vaticano, subito dopo la sua elezione, Don Primo Mazzolari corrisponde ad una pagina di storia documentata. Tutti sanno che questo sacerdote, che a tutta ragione può essere definito un “profeta” del nostro tempo, ebbe molto a soffrire dalla Chiesa.

L’apparato gli fece chiudere “Adesso”, la testata che questo prete “libero e fedele” aveva fondato, gli proibì di predicare fuori dalla sua parrocchia ma soprattutto lo accusò di poca fedeltà alla Chiesa stessa.

Appena eletto Giovanni XXIII disse: “Per prima cosa è giusto e doveroso riabilitare gli umiliati”. Invitò don Mazzolari in Vaticano e lo accolse benevolmente con queste parole ormai diventate famose: “Ecco la tromba dello Spirito Santo”, probabilmente per lodare la franchezza, il coraggio e la libertà di questo prete che nonostante tutto amò la Chiesa che lo aveva fatto soffrire. Qualche giorno fa mentre portavo “L’Incontro” al primo piano dell’Ospedale, un signore, che era intento a leggere il nostro periodico, alzò gli occhi, mi vide e pronunciò nei miei riguardi quella frase di Papa Giovanni.

È stata la seconda volta che mi è capitato di sentirmi interpellare con queste parole. Io non posso sostenere di essere stato perseguitato dalla gerarchia ma, qualche tirata d’orecchi l’ho pure avuta e soprattutto sono sempre stato relegato ai margini della Chiesa ufficiale. Ritengo però tutto questo un dono piuttosto che un castigo, dono che mi ha aiutato a rimanere “libero e fedele”.

L’ambiguità del termine: “lavorare”

Al Don Vecchi ci è capitata la notevole fortuna che il catering, che ci fornisce i pasti a mezzogiorno, si sia trovato in difficoltà nel poter disporre di un centro di cottura a Mestre e abbia accettato di utilizzare la nostra cucina. Un tempo al Don Vecchi cucinavano dei volontari ma, con sorpresa, abbiamo constatato che, tutto sommato, questa soluzione era più costosa e meno appetibile di quella che oggi è comunemente adottata, cioè che un catering porti i pasti già confezionati.

Dopo un’attenta ricerca di mercato abbiamo scelto “Serenissima Ristorazione” perché è risultata la meno costosa, la più capace nel fornire pasti buoni e tanto abbondanti che i nostri vecchi si sono muniti di scatolette e pentolini con i quali fanno approvvigionamento anche per la sera pagando solamente il pranzo di mezzogiorno.

In questo frangente ho scoperto che Vania, la cuoca, donna squisita, capace e generosa, con l’aiuto di una giovane collaboratrice, prepara ogni giorno cento pasti, molti dei quali confezionati e messi in contenitori termici per chi non può venire in sala da pranzo, oltre a quelli destinati ai Centri Don Vecchi di Campalto, di Marghera e degli Arzeroni. Il menù spesso prevede: antipasto, primo piatto, secondo con contorno, purè, insalata mista e dessert. Io non conosco lo stipendio di questa donna, di certo penso dovrebbe essere quanto mai consistente perché il suo si può veramente definire “lavoro” mentre per tanti, forse troppi altri, dovrebbe definirsi “passatempo”.

Temo però che, a motivo della pianificazione sindacale, non percepisca più dei vigili di Roma, degli spazzini di Napoli o degli impiegati del Comune di Venezia. Anche in questo caso la nostra società zoppica, zoppica troppo!

La pastorale più attuale è quella più antica

Da qualche tempo abbiamo dovuto far ricoverare a Villa Salus suor Michela, l’anziana superiora di suor Teresa. Qualche giorno fa, quando sono andato a far visita a questa cara suora che da una trentina di anni è stata impegnata prima nella parrocchia di Carpenedo e poi al Don Vecchi, ho conosciuto l’anziana signora che è ricoverata nella stessa camera. Con sorpresa appena sono entrato nella stanza mi ha salutato con un “don Armando” tanto affettuoso che pareva fossimo amici d’infanzia, poi ha cominciato a sciorinare tutti i motivi per i quali mi conosceva bene. Fra l’altro mi disse di essere una fedelissima lettrice de “L’Incontro” informandomi inoltre che ogni settimana aspetta con impazienza che la figlia le porti il periodico del quale legge dalla prima all’ultima parola.

Quello che però mi sorprese più di tutto fu il suo desiderio di sapere se l’Enrico Carnio, che scrive ogni settimana su “L’incontro”, sia il padre di Giovanni, quel giovanotto che andava a trovare gli anziani in casa di riposo e che lei aveva conosciuto perché suo marito, a quel tempo, vi era ricoverato. Una volta saputo che quel giovane, già avvocato, che un paio di anni fa ha deciso di entrare in seminario per farsi prete, era proprio il figlio di quell’Enrico che scrive su “L’incontro”, non cessava più di tessere le lodi di quel giovane che trattava con infinita amabilità gli anziani. Una volta in più si è rafforzata in me la convinzione che il metodo più aggiornato e più efficace per gli operatori pastorali non è quello che si rifà agli aggiornamenti fatti dagli specialisti, ma quello che persegue l’attenzione e la cura di chi è vecchio, indifeso o ammalato! Questa è una bella scoperta in questo tempo in cui non si sa cosa fare per evitare che le pecorelle continuino a fuggire dall’ovile!

Pastorale dell’ammalato

L’undici febbraio si è celebrato in tutta Italia “la giornata dell’ammalato”.

Nella nostra città, fortunatamente, esiste ancora un rimasuglio di organizzazione che riesce a portare nelle parrocchie delle locandine che ricordano questo aspetto della vita. Però, a mio modesto parere, questo è poco, troppo poco, anzi talvolta mi viene da pensare che sia perfino dannoso perché illude i cristiani, ma soprattutto le parrocchie, di potersi ritenere con la coscienza in pace per queste locandine apposte nelle bacheche delle chiese.

Sono quanto mai meritevoli i membri della San Vincenzo e gli accoliti che fanno assistenza nei nostri ospedali però credo sia poco, troppo poco anche questo e soprattutto manchi un minimo di coordinamento e di messa in rete delle iniziative. Sono pochi i parroci che riescono a conoscere e visitare i propri ammalati in casa o in ospedale. La Chiesa purtroppo arranca anche in questo settore! Ricordo i miei tentativi durante la mia lunga vita di parroco, quando, per un lungo periodo, sono riuscito ad essere aggiornato settimanalmente su chi era ricoverato in ospedale e a cui scrivevo per assicurare il ricordo e la preghiera della comunità. Purtroppo “la privacy” spense questa iniziativa. Ricordo il quindicinale che stampavamo per i degenti degli Ospedali di Mestre con le testate “L’Angelo” e successivamente “Coraggio” ma purtroppo anche questa iniziativa venne meno perché isolato e non sostenuto da alcuno. Ricordo ancora il gruppo parrocchiale “San Camillo” per l’assistenza agli infermi che per fortuna continua ad operare a Carpenedo. Nonostante vari fallimenti però non mi sono ancora arreso, o meglio credo di non dovermi arrendere e di dover offrire la mia testimonianza in materia di solidarietà. Noi non possiamo abbandonare a se stesso il mondo degli ammalati perciò, due volte alla settimana, con Suor Teresa, portiamo ottocento copie de L’Incontro, un centinaio di opuscoli con “Le preghiere e le principali verità cristiane”, un centinaio de “Il messaggio di Papa Francesco”, ogni mese centocinquanta “il Sole sul nuovo giorno” ed altrettanto fanno dei volontari per Villa Salus e per il Policlinico. Di certo con tutto questo non salveremo il mondo ma possiamo almeno sperare di riuscire a testimoniare che si può fare di più e di meglio rispetto a quel poco che si è fatto fino ad oggi!

Il funerale di un maomettano

Io dovrei essere uno specialista su tutto quello che riguarda i funerali perché nella chiesa in cui oggi svolgo il mio ministero non posso che celebrare il rito del commiato. Fino ad una trentina di anni fa nel nostro Veneto era scontato che tutti scegliessero il rito religioso. È vero che nel primo dopoguerra si sono celebrati anche funerali con le bandiere rosse, con tanto di falce e martello, ma è stata una stagione quella che è durata poco; ben presto si è tornati alla normalità. Ogni tanto ho sentito dire di funerali di Testimoni di Geova celebrati nelle relative “Sale del Regno”, ma mi pare che l’intenso proselitismo di questa congregazione stia incontrando pure esso il muro di gomma di questa società secolarizzata. I funerali con rito civile sono ormai pochi e desolanti, motivo per cui anche agnostici e non praticanti preferiscono, nonostante le loro posizioni ideali, il rito religioso.

Io sono felice di queste scelte perché, quando mi si presenta una di queste opportunità, ne approfitto per fare una catechesi sulla bellezza della nostra fede. Oggi purtroppo pare stia invece nascendo una “moda” in linea con i nostri tempi poveri, o meglio, sprovvisti di qualsiasi valore positivo, ossia: mettere il defunto in una bara da pochi soldi e portarlo direttamente al forno crematorio. In questo modo tutto diventa più sbrigativo!

Qualche settimana fa invece mi è capitato di vedere il funerale di un maomettano svoltosi nel giardinetto del nostro cimitero, ove solitamente si disperdono le ceneri. Sono rimasto edificato: vi partecipavano un centinaio di persone, tutti maschi, composti, corretti, allineati, un Imam ha recitato alcune preghiere e ha fatto un discorso, comunque un rito breve, dignitoso, coinvolgente ed edificante. Peccato che la cerimonia abbia messo ancora una volta in luce uno dei limiti dell’Islam: l’esclusione della donna! Quel defunto avrà pur avuto una mamma, una sposa, una figlia a cui sarebbe stato giusto concedere di piangere e pregare per la morte del suo congiunto?

Religiosità sofferta

Mi è capitato di incontrare, qualche settimana fa, una signora relativamente giovane della quale conoscevo solamente i suoi ottimi genitori. Nel brevissimo approccio che ebbi con lei, prima del rito funebre, mi confidò la drammatica situazione di divorziata che non poteva accostarsi all’Eucarestia, mi disse pure che la seguiva un buon prete del quale io ho molta stima.

Non conosco i particolari che la portarono alla separazione e ad un nuovo matrimonio, motivo per cui mi è difficile formulare un giudizio seppur sommario, nutro però una grande perplessità nel ritenere che “il peccato” di separarsi dal coniuge, ammesso che questa creatura abbia delle colpe, sia l’unico peccato che non possa essere perdonato, per cui chi lo ha “commesso” non può incontrare il Signore anche “fisicamente”. Sono convinto che ai nostri giorni servirebbe un Concilio Ecumenico almeno ogni dieci anni perché la religione tenga il passo con la vita reale della gente del nostro tempo! Ho l’impressione che Papa Francesco la pensi così. I suoi primi tentativi di aggiornamento dottrinale purtroppo però sono stati vani a causa di una folla di “parrucconi” avulsi dalla vita reale che sembra si sentano messi da parte se non hanno la possibilità di porre veti e rendere l’esistenza simile ad un percorso di guerra pressoché impraticabile!

Sempre più vicini allo zero!

In una delle infinite critiche che quotidianamente vengono rivolte alla classe politica, non solo da parte dei giornali ma anche dai semplici cittadini, ho letto che la stima e la credibilità di cui godono oggi i nostri politici è del tre per cento, e per di più con la tendenza a diminuire ulteriormente.

Peggio di così si muore!

Gli aggettivi per recriminare il comportamento dei nostri parlamentari sono letteralmente esauriti, non si trovano più qualifiche, recriminazioni, invettive, insulti e sarcasmo che riescano ad esprimere tutta la delusione, lo sconcerto e l’amarezza per una classe politica parolaia, attaccata al privilegio, spendacciona ed inconcludente. Oltre alla vecchia guardia, fatta di cariatidi ed abbarbicata a schemi superati da decenni, anche le nuove leve pare abbiano imparato fin troppo bene il mestiere a stare a galla e di tentare di crearsi uno “spazio politico”. Si tratta di persone che, non solo non godono più di alcuna credibilità, ma non hanno più neppure la capacità di arrossire, di vergognarsi per la disistima, il disprezzo e il rancore che ogni giorno crescono nel nostro popolo nei loro riguardi!

Una sola Messa

Ricordo un parroco di Venezia che ha raggiunto una certa notorietà con lo slogan che ha coniato per promuovere una campagna contro l’eccessivo numero di Messe che vengono celebrate a Venezia a motivo del numero consistente di chiese, di preti che abitano nella città insulare in rapporto alla costante e progressiva diminuzione di abitanti.

Questo parroco ha scritto nel suo bollettino parrocchiale: “Più Messa e meno Messe!” volendo affermare che la celebrazione eucaristica deve essere più ricca spiritualmente, più viva e partecipe, mentre una certa esagerata ripetizione del rito sacro rischia di svilirlo e di fargli perdere, presso i fedeli, la sua ricchezza spirituale. Posso essere anche d’accordo su questa tesi di fondo, purché non la si porti alle estreme conseguenze!

Recentemente mi è capitato di leggere che in una parrocchia di duemilacinquecento anime, anche la domenica, si celebra una Messa soltanto; sarà anche una bella Messa, celebrata bene, con la partecipazione di tanti fedeli, ma credo che si sia esagerato nel puntare al “più Messa” perché una qualche attenzione per gli impegni dei fedeli del nostro tempo la si deve pur avere!

Villa Salus

In questi giorni sono ritornato a Villa Salus, in occasione del ricovero di una persona cara, ed una volta ancora ho provato la sensazione di trovarmi in una struttura ordinata, efficiente ed accogliente. Io non conosco la capienza di questa struttura ma dal parcheggio, dal personale e dal numero di utenti mi è parso che sia ben maggiore di quella dell’Ospedale all’Angelo.

Ho incontrato la Superiora della piccola comunità di suore anziane che “gestiscono”, o meglio, danno anima e calore umano alla struttura ospedaliera, è una mia coetanea, tanto minuta e dolce che credo si imponga soprattutto per la sua amabilità, la sua discrezione e il rispetto per gli operatori, dai primari ai medici, dagli infermieri agli inservienti.

Villa Salus mi ha dato l’impressione di un alveare operoso in cui ognuno ha il suo compito e lo svolge con attenzione e rispetto verso gli ammalati e i loro familiari. Una volta ancora sono stato costretto a chiedermi: “Perché nelle strutture pubbliche non si raggiunge questo clima di umanità e di serena operosità?”.

Non è che all’Angelo non ci siano persone perbene, però il clima generale è ben diverso: più freddo, anonimo, poco coinvolto nel dramma dell’ammalato e dei suoi familiari. Ho l’impressione che nel nostro Paese, tutto quello che è gestito dal pubblico non riesca a scuotersi di dosso il senso della burocrazia, della freddezza nei rapporti e del poco amore per il proprio lavoro ma soprattutto dell’insufficiente attenzione verso gli utenti. Questo peccato originale non ha ancora trovato una forma di battesimo che lo possa redimere!