La redazione del blog utilizza “abusivamente” questo spazio per porgere i più affettuosi auguri di buon compleanno al neo-ottantenne don Armando Trevisiol!
Unitevi alla festa nei commenti!
Opere, pensieri e segnalazioni di don Armando Trevisiol
La redazione del blog utilizza “abusivamente” questo spazio per porgere i più affettuosi auguri di buon compleanno al neo-ottantenne don Armando Trevisiol!
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Ho partecipato recentemente come concelebrante, ad un funerale che si è tenuto in una delle trentadue parrocchie della nostra città.
Il celebrante, da quanto ho potuto constatare durante la funzione, fa parte a quell’ormai numeroso gruppo di sacerdoti che avvertono un bisogno irrefrenabile di operare dei piccoli o grandi cambiamenti nella liturgia ufficiale adottata dalla chiesa per la celebrazione della Santa Messa. Ci sono anche dei preti che si permettono delle variazioni che riguardanono la sostanza. Ho sentito di un prete olandese che buttava alle galline i frammenti delle Ostie che aveva consacrato durante la messa, ritenendo che fosse importante il segno della ripetizione della formula detta da Gesù durante l’ultima cena, ma probabilmente non accettava per nulla la dottrina della chiesa sulla presenza eucaristica di Cristo. Altri preti invece si permettono della trovate più di forma che di sostanza. Mi è stato riferito di un collega che prima della messa mandava un chierichetto dal fornaio a comperare mezzo chilo di pane che poi lui consacrava durante la messa.
A questo mondo purtroppo o per fortuna, siamo di tante teste!
Io sono per una applicazione abbastanza rigida delle forme liturgiche, perchè penso che la convinzione interiore del sacerdote dia pregnanza da sola al segno sacro.
Per venire all’ultima esperienza, il celebrante si permise delle varianti di poco conto, che mi sembravano più un vezzo che una scelta ideologica.
Quello che mi sorprese però non più di tanto fu il fatto che durante il funerale, in cui la norma non impone la recita del credo, disse all’assemblea fatta di tutti vecchi come me, “Ora, recitiamo il credo che è il segno della nostra fede, mettendo la mano sul cuore come quando si canta l’inno nazionale: “Fratelli d’Italia” la cosa nè mi turbò nè mi scandalizzò, pur portandomi la fantasia sul prato verde della Casa Bianca, ed accomunandomi a Bush o ad Obama, piuttosto che a Tommaso che si prostra dicendo “Dio mio e Signore mio!”
Nel volume in cui sono raccolte le lettere di don Lorenzo Milani, scritte alle persone con cui ebbe a che fare questo prete coraggioso, povero, intelligente e santo, ce n’è una che, per me, è come la stella polare che offre un orientamento sicuro.
Don Milani scrive questa lettera ad un certo “Pipetta”, non so se sia un cognome o un soprannome affibbiatogli da qualcuno? Questo Pipetta era, da quanto emerge dalla lettera, un povero proletario di sinistra che, a livello sociale, si trovava in piena sintonia con il prete fiorentino e di cui molto probabilmente era amico tanto da sognare assieme una società più giusta.
“Bada bene, caro Pipetta” scrive don Lorenzo Milani, “che ora sono con te nella barricata, e combatto con te la battaglia della giustizia, ma se domani, per un qualsiasi motivo, tu ti trovassi dalla parte di chi opprime, di chi usa il potere per fare ingiustizia, io ti tradirò perché io starò sempre con gli ultimi, con quelli che subiscono”.
Nella mia vita non ho mai aderito interiormente ad una fazione, ad un partito, ad un movimento perché ho amato e sempre preteso la libertà di stare con gli ultimi; mi ritenessero comunista o fascista!
Destra, Sinistra e Centro, per me sono parole vuote e paraventi spesso di disonestà e di imbroglio; a me interessa chi sta con gli ultimi, chi ne fa gli interessi e ne promuove i diritti.
Sempre poi ho preferito e preferisco chi testimonia in pubblico ed in privato queste scelte.
Per fare un esempio avrei preferito La Pira anche se fosse stato il segretario del Mis o dei liberali, a Bertinotti anche se rappresentasse la sinistra più radicale.
Ho sempre preferito i testimoni ai venditori di fumo!
Ogni tanto anche il governo fa qualcosa di buono!
A differenza di qualche mio confratello penso che il governo di sinistra o di destra, ha decretato che i cittadini potevano finanziare certe istituzioni in cui credono destinando l’8/1000 della tassazione del loro reddito. E ritengo altrettanto giusta quell’altra norma, che nonostante qualche tentennamento è stata riconfermata, ossia che sempre i cittadini possono pure destinare il 5/1000 della tassazione sul loro reddito per una associazione di volontariato che opera nel campo sociale.
Gandhi, il grande pensatore e mistico indiano, ha intelligentemente affermato che lo Stato ideale è quello in cui il governo decide meno per lasciar spazio ai cittadini di farlo direttamente. Gli interventi dei governanti pur avendo essi emolumenti perfino scandalosi, sono quasi sempre interessati!
La trovata del 5 per mille, che permette alle associazioni di volontariato di autofinanziarsi, gestendo in prima persona quella piccolissima e marginale parte di tasse imposta dallo Stato, è stata una soluzione geniale, perché se lo Stato lo facesse direttamente spenderebbe mille volte tanto!
Il guaio è che bisogna convincere i cittadini della validità dei servizi portati avanti da queste organizzazioni di volontariato. A me pare che gli organismi dei quali mi occupo, abbiano tutte le carte in regola. La Fondazione, con il suo servizio per offrire residenza confortevole ed economica agli anziani meno abbienti, mi pare che dovrebbe avere l’appoggio della stragrande maggioranza dei cittadini. Anche “Carpenedo solidale” con i magazzini che forniscono mobili, generi alimentari e supporti per gli infermi, “Vestire gli ignudi” che fornisce indumenti, hanno finalità largamente apprezzabili.
Ora si tratta di impegnarsi a fondo per far conoscere queste iniziative. Spero che i tanti amici mi diano una mano, perché solo così usciremo dall’anonimato. Se tutti coloro ,che direttamente o indirettamente hanno beneficiato di queste tre organizzazioni, ci daranno una mano, dovremmo avere un finanziamento sufficiente.
Un tempo ho sentito che i cittadini si avvalgono in maniera sovrabbondante del “jus mormorandi”. Forse è vero; vedere i difetti, sottolineare i limiti, evidenziare le lacune piuttosto che gli aspetti positivi della vita, della comunità e dei concittadini è un andazzo praticato da molti.
Mi accorgo che pure io non sono immune da questo difetto.
Più di una volta qualcuno mi ha avvertito che una certa critica acida non costruisce, anzi arrischia di demolire, altri ancora mi hanno fatto osservare che un pizzico di ottimismo, che l’attenzione al positivo costruisce molto di più che una critica feroce, seppur giusta ed onesta.
E’ risaputa la massima di San Francesco di Sales che afferma che si pigliano più mosche con una goccia di miele che con un barile di aceto. Ed ancor più nota l’altra sentenza “non c’è rosa senza spina”, ma è altrettanto vero che non c’è spina senza rosa!
Molte volte ho ritenuto giusto scrivere che a Mestre la chiesa non ha quasi più strumenti organizzativi per la cultura, la politica, lo sport, le categorie professionali, il lavoro, l’università, sperando che quelle affermazioni diventassero uno stimolo.
Non è successo nulla!
Provo ora premendo un altro tasto, quello opposto, anche perché una notizia mi favorisce a farlo, “Piazza Maggiore”, il periodico di grande formato edito dalla comunità di San Lorenzo e pure il “Gazzettino” ci hanno informato sulla serie di conferenze, ad altissimo livello organizzate dalla “Fondazione Duomo”, che si rifà a quella intraprendente comunità cristiana, fondata da qualche anno, da Monsignor Fausto Bonini.
Ho anche pure letto delle polemiche, a mio parere troppo faziose, sorte da qualche esponente di Centro Destra che accusano don Fausto di sinistrismo. Per fortuna il parroco del Duomo non si scompone e snobba con un silenzio dignitoso queste insinuazioni. I cristiani di destra e di sinistra pare che non abbiano ancora capito che l’importante è fare!
Impegnarsi perché i “diritti umani” diventino patrimonio comune, cultura diffusa, non è di destra nè di sinistra, ma è solamente civiltà!
Almeno due volte la settimana mi reco all’ospedale per rifornire de “L’incontro” gli espositori in cui i concittadini, che per i motivi più diversi si trovano all’Angelo, possono trovare e leggere il nostro settimanale.
Uno degli espositori è collocato sulla parete accanto all’ingresso della cappella dell’ospedale.
Solitamente faccio una capatina a quel luogo sacro in cui dimora Cristo Gesù e che dovrebbe rappresentare il cuore pulsante della chiesa di Dio.
Nelle prime ore del mattino non c’è quasi mai nessuno in quella bella cappella, riscaldata ed illuminata che pur con sobrietà è stata costruita funzionale e con buon gusto, anche se ora un certo gusto devozionale arrischia a farne un qualcosa che sa di bigotto.
Comunque buttai l’occhio su un banco in cui c’era un foglio con una riproduzione di una suora, vestita antico stampo. Di primo acchito pensai che si trattasse di Santa Bertilla, la consorella santa delle suore Dorotee che un tempo a decine servivano gli ammalati nell’ospedale di Mestre. Mi accorsi invece che si trattava di Santa Teresa del Bambin Gesù.
Con questa santa un tempo ebbi quasi uno scontro, che poi è rientrato. Lessi, mentre ero adolescente, la sua autobiografia e mi era parsa sentimentale, sdolcinata tanto che la rifiutai quasi sdegnosamente. Fortuna volle che più avanti negli anni mi capitasse di leggere una biografia, di un autore olandese di pregio, tanto che mi riconciliai con questa giovane carmelitana che ora stimo come una santa di grosso spessore religioso.
Purtroppo il foglio reclamizzava “la novena delle rose” a Santa Teresina del Bambin Gesù novena mediante cui, a parere di un certo padre Putigan, si può ottenere, a buon mercato, la grazia che si desidera.
Talvolta nelle nostre chiese si mortifica il sacro con una religiosità di nessun respiro spirituale, ma talora lo si fa anche permettendo che certi bigotti lo facciano, immeschinendo quelle sacre ed alte realtà che dovrebbero trovare nel luogo sacro la cornice più idonea ed invece arrischiano di mortificarla con iniziative e pratiche che sono il sottoprodotto della spiritualità.
In questi giorni, per una certa associazione di idee, mi è tornata in mente una storiella, che mi è stata raccontata tanti anni fa.
In una caserma il comandante aveva fatto ridipingere una sedia, le aveva messo accanto un piantone perché le reclute non si sedessero rovinando la pittura della sedia e dei loro pantaloni.
Il capitano poi si dimenticò di ritirare l’ordine, quando il colore si fu asciugato, motivo per cui nessuno riusciva più a comprendere perché la sedia avesse la sentinella accanto, pensando che si trattasse di un segreto militare si continuò nel tempo a presidiare inutilmente la sedia!
La storiella, critica nei riguardi della burocrazia militare e la scarsa duttilità, mi venne in mente in questi giorni per un motivo di ben altro genere.
Uno dei fedeli della piccola chiesa del cimitero, sapendo il mio amore per la musica, mi ha regalato un compact disc di canti gregoriani, così che da mane a sera ho modo di ascoltare questi frati che a “buon mercato” cantano da quando alle 7,30 apro la chiesa fino alle 16,30 quando la chiudo.
Io passo spesso lunghe ore, nella mia cattedrale. E mi assorbo questa “lagna gregoriana” che dal Pontefice all’ultimo pretino di Curia, dicono essere il canto della chiesa per antonomasia!
Mi sto domandando sempre più di frequente: “Perché quel canto è più religioso del canto del gen rosso o verde?” Se mi dicessero che era il canto del 1200 o 1300 non farei verbo, ma se si tratta del canto con cui gli uomini del terzo millennio possono esprimere meglio la lode del Signore, mi pare sia una sciocchezza madornale.
Molto probabilmente si continua a dire così perché “ab immemorabile” si è detto così, come per la sentinella della sedia.
Poco tempo fa si è celebrato l’anniversario della scomparsa di Fabrizio D’Andrè e milioni di italiani, io compreso, abbiamo ascoltato con interesse le canzoni di questo novelliere! Credo che se qualcuno di Chiesa avesse commissionato al cantautore genovese qualche canto di lode al Signore, i fedeli pregherebbero con più gusto e partecipazione con buona pace dei frati e di chi si ostina a dire che quel loro canto è gradito a Dio e ai suoi figli di adozione!
In questo ultimo tempo mi sono trovato a prendere delle decisioni importanti circa la struttura di accoglienza per i familiari degli ammalati che provengono da altre regioni, per farsi curare in un ospedale di eccellenza qual è l’ospedale all’Angelo.
Penso di avere almeno il merito di aver sensibilizzato l’opinione pubblica cittadina in maniera che Comune, Ulss e Regione, si siano sentiti e sentano ancora sul collo il fiato caldo dei cittadini.
Il progetto del Samaritano è complesso e di difficile realizzazione, specie se a portare avanti l’idea è un vecchio prete ottantenne solitario e con il seguito sì della simpatia e della fiducia della città, ma non di un gruppo organizzato e con mezzi economici adeguati.
Il mio sogno era ed è quello di creare un servizio per chi è in difficoltà e di dire alla città con i fatti che la comunità cristiana non offre “fumo solidale”, ma parla con i fatti di solidarietà. Purtroppo però non sono riuscito a trascinare nell’impresa: parrocchie, preti, organizzazioni cattoliche, curia e quant’altro!
La Provvidenza ha voluto che un’organizzazione, di ispirazione cristiana, proveniente da un’altra città, ricca di ideali, di esperienza e forse anche di mezzi economici, si è offerta a portare avanti l’iniziativa e a questa disponibilità due cittadini acquisiti si sono resi disponibili a pagare l’affitto per un anno di quattro appartamenti per una soluzione transitoria finché la combinazione IVE, Comune, Ulss e Regione non realizzeranno la struttura definitiva de “Il Samaritano”
Di fronte a questa situazione ho ritenuto giusto e doveroso passare la mano, offrire il mio avallo per quanto può essere utile e la mia collaborazione.
Io non mi sento uno sconfitto ma purtroppo la sconfitta è la chiesa mestrina e veneziana!
La mia colpa o meglio il mio fallimento semmai è quello di non essere riuscito a coinvolgere chi dovrebbe rappresentare il cuore e la carità dei cristiani della chiesa di Mestre.
Ora la mia energia la dedicherò a questi fratelli di fede ai quali va la mia ammirazione e simpatia.
Ho sempre supposto che le mie preoccupazioni di non avere successori nel mio ministero pastorale e le lagne perpetue di cristiani comuni, di superiori religiosi e di vescovi per la carenza di vocazioni alla vita consacrata, sono solo espressione di poca fede in quel Dio dalle risorse infinite in cui pur diciamo di credere!
Le previsioni preoccupanti sul calo del numero di preti e religiosi in genere, gli inviti pressanti alla preghiera perché Dio mandi operai nella sua vigna sono, credo, espressioni di questa poca fede, per cui si teme che non ci sia più gente che difenda la causa di Dio e si faccia carico del messaggio evangelico. La mia cultura storica è meno che mediocre, però è pur sufficiente per affermare che il buon Dio se l’è sempre cavata bene e quando una istituzione religiosa ha cominciato a declinare ne ha fatto spuntare un’altra che era certamente migliore. E’ indubbio che preti, frati e suore sono in declino sia come numero che come qualità e di ciò dovremmo rammaricarci quanto mai anche perchè non riusciamo a trovare soluzioni a questa carenza. Però mi viene da dire che la Provvidenza ci ha già pensato alla grande come Essa è solita fare.
Qualche tempo fa, faceva parte ad un incontro in cui partecipavo anch’io, una signora quarantenne di bell’aspetto, sobriamente elegante, funzionario d’alto grado in un ente importante. Ad un certo momento, quasi a rassicurarmi per il suo sostegno alla causa che mi stava a cuore come prete, mi confidò di soppiatto: “Sono anch’io religiosa” e mi fece il nome della congregazione.
Qualche giorno dopo mi invitò a cena per sviluppare e concludere il problema che ci interessava e chiacchierando venni a sapere che appartengono a questa congregazione 1800 tra uomini e donne tutti inseriti nel cuore del nostro mondo.
Ora anche se chiude la “congregazione dei sacri cuori di Gesù e Maria”, ormai ridotta ad una ventina di vecchierelle, già fuori corso, non cade certamente il mondo!
Oggi ho letto un brano del Vangelo di San Giovanni. Debbo premettere di aver incontrato un sacco di fedeli che magnificano la prosa ed il pensiero di questo evangelista. Mentre io per struttura mentale e per sensibilità, dei quattro evangelisti se dovessi fare una graduatoria di gradimento metterei all’ultimo posto Giovanni preferendogli Luca, Marco e Matteo. Certi voli pindarici di questo apostolo che sanno di un misticismo estraneo al mio modo di sentire, mi creano un certo disagio, abbastanza vicino al rifiuto. Eppure debbo confessare che, qualche giorno fa, una frase di San Giovanni, mi ha letteralmente incantato ed ha aperto nel mio animo uno squarcio di cielo talmente sublime ed invitante da suscitarmi una ebbrezza meravigliosa. Giovanni introduce il suo discorso, che poi completa con delle varianti sul tema, affermando: “Dio è amore”, “Chi ama conosce Dio”. Quante volte ho letto questa frase, ma soltanto oggi mi pare di averne compreso il significato reale e profano. Non sono stati certamente i miei lontani studi di dogmatica a farmi conoscere il volto e il cuore di Dio, certi discorsi astrusi, aridi, senz’anima non mi hanno di certo mostrato il volto accattivante e caro del Padre dei cieli.
L’amore è il modo migliore se non l’unico di farmi intuire lo splendore del Padre, della parabola del prodigo, che accoglie il figlio degenere senza batter ciglio e senza un rimprovero. Se le nostre piccole e brevi esperienze dell’amore umano talvolta povero e passeggero mi scaldano il cuore e mi riempiono di ebbrezza, quanto mi sentirei compreso, difeso ed inebriato se mi inoltrassi con passo deciso verso l’amore infinito di Dio!
Per Natale, una giovane professionista, che mi aiuta in occasione dell’Eucarestia che celebro i giorni festivi in cimitero, mi ha regalato il volume di Magdi Cristiano Allam, il vice direttore del “Corriere della Sera” che recentemente si è convertito dall’Islam al cristianesimo ricevendo il battesimo, il Giovedì Santo in Basilica di San Pietro, dal Papa Benedetto XVI.
Il suddetto autore racconta la conversione e le motivazioni che l’hanno condotto a questa difficile e pericolosa scelta. Sto leggendo il volume con avidità perché scritto bene, da persona onesta ed intelligente, che conosce profondamente le problematiche che attualmente investono anche il nostro Paese per la presenza ormai di centinaia di migliaia di islamici, presenti in maniera attiva ma che stanno creando difficoltà di non poco conto nei rapporti di convivenza sociale, culturale e religiosa.
Sono convinto che il proseguo della lettura sarà ceratemene stimolante perché la conversione di questo maomettano è passata attraverso queste questioni di carattere religioso.
Voglio qui sottolineare una sua confessione, che per me è estremamente significativa e che dovrebbe influenzare il comportamento pastorale delle nostre comunità e dei singoli cristiani. “La mia conversione non è stata oggetto di un colpo di fulmine conseguente ad un evento traumatico gioioso o triste che sia, così come non è stata per nulla una mera adesione razionale scaturita dalle letture dei testi sacri o dal confronto puramente intellettuale con chi è a favore o chi è contrario alla fede cattolica. E’ stata invece il frutto maturo di un lungo percorso di vita vissuta, fatta di studio e di conoscenza diretta delle genti del sapere ma, soprattutto, di esperienze di incontro con cristiani veri che hanno coinvolto tutto me stesso, sedimentando pian piano nel mio animo e nella mia mente strati sempre più consistenti di adesione spirituale e razionale”.
Precedentemente a questa confessione Magdi aveva citato in maniera pignola una serie sconfinata di incontri con uomini e donne di fede che avevano testimoniato con la loro vita la validità del messaggio cristiano.
Tutto questo mi convince una volta di più che la proposta cristiana passa soprattutto mediante una testimonianza globale del Vangelo di Gesù.
Guai ad essere rigidi nel sognare il domani. C’è un proverbio popolare che dice: “Gli uomini si muovono ma è Dio che li conduce” ed un altro simile per un certo verso, “l’uomo propone ma Dio dispone”.
Una volta ancora sono costretto a riscrivere, in maniera diversa da quanto l’avevo predisposta, la storia del Samaritano e per giunta debbo confessare che l’imprevedibile svolta che la Provvidenza mi indica e forse “mi impone” è molto migliore di quella che io avevo immaginata.
Mi illudevo quasi d’aver “scoperto l’America” mentre ora mi accorgo che c’è chi mi ha preceduto da tanto tempo e alla grande! Ad un tiro di schioppo opera una associazione che ha alle spalle una delle più grosse realtà finanziarie gestite da rappresentanti del mondo cattolico, che da molto tempo e da molti anni opera nel settore dell’accoglienza ospedaliera avendo elaborato una dottrina e fatto una lunga esperienza.
Quasi per incanto, in un momento difficile, è spuntata una proposta capace di coniugare il presente col futuro de “Il Samaritano” non rinnegando nè la dottrina che lo dovrà ispirare, nè abbattendo le fragili fondamenta su cui appoggiava il sogno, ma migliorando decisamente l’una e le altre. Un breve colloquio con persone tanto diverse che la Provvidenza ha fatto incontrare, un incontro con chi ha alle spalle realtà economicamente e spiritualmente forti, mi ha fatto intravedere una strada possibile e più sicura. Pur un po’ stordito, ma deciso mi è parso giusto abbandonarmi al disegno di Dio che è sempre migliore del mio progetto!
Ho sentito parlare molte volte del “mal d’Africa”, una specie di “influenza” che colpisce chi va in quella terra bruciata dal sole, dalla miseria e dalle lotte tribali.
Pare che, chi fa l’esperienza dell’Africa, finisca per essere attratto dalle “sirene” della savana, dalla danza e dal vitalismo della negritudine, tanto da sentire fatalmente il bisogno di ritornarvi.
Credo che mia sorella Lucia, l’infermiera dell’oculistica del vecchio Umberto 1°, abbia preso seriamente ed in maniera cronica il “mal d’Africa”.
Mi pare che mia sorella mi abbia detto che da ben 36 anni ritorna nella missione di Wamba, ove si trova l’ospedale in cui il prof. Rama, per tanti anni, andava ad operare i casi difficili ogni anno e che ha trascinato con sè un numero consistente di altri medici e infermieri.
La situazione è molto cambiata dai tempi dei primi “esploratori”; è morto il prof. Rama, è perita tragicamente la signora Treccani che finanziava l’ospedale e guidava i volontari, il medico milanese gentleman all’inglese, aveva fatto dell’ospedale una ragione di vita; si è sposato con una del posto che pare abbia combinato qualche guaio amministrativo, è stata fatta ritornare in Italia suor Aldina, la missionaria mezza assistente sociale, ma Lucia ci ritorna due o tre volte l’anno. Ora si sta mettendo in proprio riuscendo a racimolare cento, centocinquantamila euro all’anno e finanziando numerosi progetti a livello infantile.
Lucia ha sposato l’Africa, non ne ha risolti i suoi eterni problemi, e sa che non li risolverà mai, però in cambio ha trovato un motivo per vivere, per sognare, per donare un po’ del suo cuore di donna.
Io pure mi sono convinto che il “mal d’Africa” non sia proprio una brutta malattia!
Come ho confessato più volte io mi ritengo un cercatore appassionato degli aspetti nobili e belli della vita umana.
In realtà non passa giorno che non faccia qualche felice scoperta.
Spesso sono dei fiori piccoli ma delicati e gentili e talvolta sono quanto mai interessanti. Questo atteggiamento di attenzione e di ricerca però mi fa scoprire spessissimo anche le cose deludenti del portamento umano. Non parlo di ciò che è reperibile nei giornali perché quasi sempre essi sembrano il letamaio destinato a raccogliere ciò che c’è di più scarto della vita, ma anche vivendo semplicemente il quotidiano ho modo di imbattermi in fatti veramente deludenti e perfino squallidi.
Qualche tempo fa ho celebrato il commiato cristiano per un’anziana signora che non conoscevo. Prima di arrivare alla partenza per il cielo aveva passato settimane e settimane in ospedale, amorevolmente assistita solo da una conoscente che si è prodigata in maniera veramente encomiabile. Mi informai pensando che non avesse parenti, mentre invece ho appreso dell’esistenza di una nuora e di un nipote. La prima si ricordò della mamma del marito defunto partecipando al funerale, forse perché aveva fissato l’appuntamento con il notaio per l’eredità un’ora dopo il commiato. Il secondo neppure si presentò per l’ultimo saluto alla nonna che gli aveva lasciato un patrimonio consistente.
Io comprendo il senso materno e i legami familiari, ma sono convinto che favorire o solamente permettere queste forme di egoismo e di aridità umana sia veramente male.
In casi come questo fare la scelta dei poveri, destinando il patrimonio ad opere di solidarietà, non solamente è comprensibile, ma perfino doveroso.
E’ tempo di bollare l’egoismo con tutti i mezzi dei quali uno dispone!
Anch’io mi lascio andare ai riti imposti dalla tradizione e spesso lo faccio molto volentieri anche se in fondo all’animo il solito “grillo parlante” interviene criticamente con le sue battute scoccianti, ma arrischiano di rappresentare lo spillo che fa scoppiare la bolla iridata del sogno.
Come non dovrei gradire la cordialità degli auguri di capodanno?
Gli auguri sono una espressione di simpatia, di amicizia e di fraternità che allarga il cuore ed aiuta a sentirsi in un mondo più caro e più amico.
Ora poi che la gente è più espansiva e meno inibita del passato e che il bacio, l’abbraccio hanno superato i tabù di un tempo, pur nella semplicità e nella limpidezza diventano segno caldo di questi sentimenti cari e promettenti.
Per il capodanno di questo 2009 ho fatto e ricevuto molti auguri e ciò mi ha fatto molto felice, anzi mi è dispiaciuto non aver potuto abbracciare tutti i miei concittadini per sentire il loro calore ricevuto e donato di una cordialità che dovrebbe essere presente in tutti i rapporti umani.