C’è ancora desiderio di pregare

Da molto tempo vado affermando che la gente prega poco per molti motivi, non ultimo perché non conosce più le formule delle bellissime preghiere che la tradizione cristiana ci ha tramandato.

Un tempo a catechismo s’imparavano a memoria le domande e le risposte del catechismo di San Pio X ma soprattutto s’imparavano le preghiere fondamentali con cui ci si rivolge al Signore in ogni occasione e per qualsiasi motivo. Ora invece a catechismo si dipingono cartelloni e si fanno recite. Quando ero parroco chiesi a suor Michela di prendersi cura dei bambini della prima elementare dicendole che sarei stato contento anche se, oltre al segno della Croce, avessero imparato il Padre Nostro, l’Ave Maria, l’Angelo di Dio, Il Gloria al Padre, l’Eterno Riposo, il Salve Regina e l’Atto di Dolore. Suor Michela le insegnò per anni ai più piccoli che hanno la coscienza pulita e che non dimenticheranno mai quanto hanno imparato da bambini, insegnò tutto questo e molto altro ancora.

Sapevo che la “moda catechistica” aveva preso ormai altre direzioni ma io però ho sempre seguito la mia coscienza e il buon senso piuttosto che la moda. Io, in occasione della Cresima, quando il parroco m’interrogò, m’inceppai sul Credo ed egli giustamente mi rimandò per due settimane affinché lo imparassi alla perfezione. Per molti anni anch’io ho fatto l’esame ai bambini della parrocchia prima di ammetterli ai sacramenti della Comunione e della Cresima, poi però, avendo affidato la loro formazione a vari cappellani succubi della moda, con mio grande dispiacere ho dovuto smettere e questo mi ha provocato qualche rimorso di coscienza.

Alcuni anni fa entrai in una chiesa vicina al Don Vecchi e curiosando sul banco della stampa notai un libretto piuttosto sgangherato con alcune preghiere, nel mio animo si accese immediatamente una luce, rubai l’idea e con l’aiuto dei miei tipografi stampai un fascicoletto che in copertina, sotto una bella immagine, riportava il titolo: “Libro delle preghiere, delle principali verità e delle regole morali per un cristiano”. In diciotto paginette riuscii ad inserire tutto il necessario per vivere una vita cristiana e per poter andare in Paradiso. Voi non ci crederete, però è documentabile, che siamo giunti alla trentatreesima edizione, che abbiamo stampato sessantamila copie e che ogni due o tre settimane ne ristampiamo altre due-tremila. La gente non crede e non prega? Forse le parrocchie e noi preti aiutiamo poco a credere e a pregare ma come afferma un vecchio detto: “L’uomo è religioso per natura”.

I cattivi maestri

Qualche tempo fa ho scritto che il nostro Parlamento è l’università, ossia il livello più elevato di insegnamento della maleducazione, della volgarità, della faziosità e del disinteresse per il bene della nazione. È ben chiaro che anche in quel luogo, così malfamato e popolato da persone inaffidabili e dai cattivi costumi, ci sono certamente anche uomini perbene che fanno il loro dovere con scrupolo e onestà ma purtroppo la visione d’insieme che se ne trae è davvero desolante.

È anche vero quanto sosteneva Carnelutti, principe del foro veneziano, che scrisse che bastano alcuni papaveri rossi perché tutto il campo di grano appaia scarlatto mentre la presenza di una miriade di viole passa inosservata perché sono fiori umili che l’erba nasconde.

Temo però che in Parlamento i papaveri purtroppo siano molti e il malcostume, l’insolenza, la mancanza di creanza non siano solamente una illusione ma una triste realtà. Chi si offre per governare il Paese dovrebbe sottoscrivere un codice di comportamento e la legge dovrebbe prevedere l’immediato decadimento dall’incarico di rappresentare la nazione per chi dovesse venir meno a questo codice etico. Questo fatto mi indigna però ve n’è un altro che mi sorprende e mi meraviglia ancor di più.

Pare, e speriamo sia vero, che in Italia ci sia una “ripresina” ossia che aumenti il PIL, che diminuisca la disoccupazione e che le fabbriche producano di più però, da quanto osservo alla televisione e leggo sui giornali, pare che i sindacati siano i primi a dispiacersi per questa crescita. A volte ho l’impressione che in Italia le forze sindacali siano reazionarie, disfattiste e non si preoccupino delle difficoltà degli operai ma se così non fosse mi aspetto che le varie sigle sindacali e tutte le altre parti coinvolte inizino a collaborare seriamente per il raggiungimento di quella pace sociale tanto necessaria.

Gli angeli dei nostri giorni

Un paio di anni fa, o forse più, mi hanno invitato all’inaugurazione di quel brutto “angelo dalle vesti color argento” che uno scultore veneziano ha donato alla ULSS 12 perché fosse collocato nello splendido giardino pensile del nostro ospedale. L’invito a questo evento forse mi è stato rivolto per il ruolo di assistente religioso presso le corsie che ricoprivo o che avevo appena lasciato.

In quell’occasione fece la presentazione Cacciari che allora era ancora nostro Sindaco. Egli tenne una conversazione dotta sul tema dell’angelologia e lo tenne da persona veramente esperta. Seppi in quell’occasione che il nostro Sindaco filosofo aveva appena fatto una pubblicazione sul tema degli angeli, cosa che mi stupì alquanto ma che rafforzò la mia fede nella presenza degli angeli in questo nostro mondo. La cosa mi sorprese assai perché sapevo che Cacciari è un libero pensatore che, anche se estremamente attento e rispettoso nei confronti della fede, non ha mai fatto mistero di non essere credente.

Ogni volta che mi reco in ospedale non riesco a non gettare uno sguardo su quell’angelo mal riuscito che stona alquanto inserito com’è nella bellezza di Madre Natura così ben espressa dal giardino pensile della “Torre Maya”, gioiello architettonico della nostra città così povera di belle strutture.

Quest’anno, non so rendermi conto del perché, il 2 ottobre, festa liturgica degli Angeli Custodi, mi sono trovato a riflettere con attenzione su queste creature celesti tentando di interpretare in chiave attuale questo tema che nel passato rientrava nell’iconografia di una certa “mitologia cristiana”. A Ca’ Solaro, dove ho tenuto la mia breve riflessione durante la Messa del primo venerdì del mese, ho iniziato il sermone spiegando che il termine angelo significa messaggero e nel contesto cristiano messaggero di Dio. Ho proseguito affermando che è estremamente vantaggioso essere più attenti a quegli impulsi e a quelle folgorazioni interiori che offrono al nostro animo la possibilità di una maggiore apertura al bene, alla verità e alla solidarietà, intuizioni e folgorazioni che altro non sono se non i suggerimenti di un messaggero, quindi di un angelo del buon Dio.

Meglio ancora però quando scopriamo che il Signore spessissimo si avvale anche di “angeli” senza ali che testimoniano il bene e con la loro presenza ci invitano a farlo. Ricordo un bel romanzo del Cronin dal titolo “Angeli nella notte” che parla delle infermiere al capezzale degli ammalati che riordinano le lenzuola e che offrono parole di conforto e di affetto. Quel romanzo sugli angeli in carne ed ossa mi ha fatto capire che gli “angeli” esistono davvero e sono più di quanti noi posiamo immaginare perché riempiono il mondo intero con la loro cara e provvidenziale presenza.

L’Alto Adige

Forse i lettori de “L’incontro” ricordano una certa maretta che è nata e che si è manifestata sul nostro periodico tra una nostra cara collaboratrice e due coniugi anch’essi nostri preziosi collaboratori.

La prima, pur passando lunghissimi mesi in Alto Adige, terra che ama ed ammira, contemporaneamente nutre forti sentimenti patriottici che le rendono difficile accettare quel rifiuto per gli italiani che si respira ancora oggi tra quei monti.
I secondi, nati tra quei monti, si sentono fortemente partecipi delle aspirazioni di quella gente di montagna che ama quanto mai la propria lingua, le proprie tradizioni e la propria cultura.

La prima sottolinea quelle aspirazioni di autonomia e quegli atteggiamenti che negli anni sessanta hanno generato scelte anche violente che hanno mietuto vittime innocenti e che non si possono giustificare in nessun modo né in Alto Adige né in altre parti del mondo, scelte che tuttora evidenziano forti riserve nei confronti di chi, italiano come loro, ha il torto di non essere nato in quel territorio.
I secondi invece rivendicano con forza la loro cultura e le loro tradizioni, nate da percorsi ed esperienze diverse dalle nostre, che affondano le radici nella storia della popolazione del Sud Tirolo anche se vivono in un territorio al di qua delle Alpi.

Qualche tempo fa questi secondi amici mi hanno regalato un volume di Sebastiano Vassalli dal titolo “Il confine – cento anni del Sud Tirolo in Italia”. La lettura molto interessante, piacevole e mi pare imparziale mi ha offerto una visione più obiettiva facendomi conoscere torti e ragioni degli uni e degli altri ma soprattutto mi ha riconfermato la convinzione che ogni popolo ha il diritto di rivendicare la propria autonomia stabilendo rapporti rispettosi con tutti.

Credo comunque che sia ora di smettere di rimpallarsi le responsabilità dei torti reciprocamente subiti nel passato e di cui, nessuna delle due parti è immune da colpe, e ricordare invece che per contendersi quel lembo di terra di grande bellezza naturalistica, molti giovani d’altri tempi e di varie nazionalità sono stati mandati a vivere prima una vita di stenti e poi a morire.

Questo è l’anno in cui ricorre il centenario della Grande Guerra e probabilmente è l’anno giusto per uscire da ogni spirale retorica e imboccare la strada della comprensione reciproca e della pacifica convivenza accettando le differenze come un patrimonio di ricchezza globale. In questo mondo globalizzato come è ancora attuale il tema del volume “La venticinquesima ora”, che ho letto molti anni fa e che stigmatizza il triste costume dei popoli più forti di imporre confini!

Le grandi navi

Le dichiarazioni di Franceschini sul problema delle grandi navi a Venezia hanno riacceso una polemica che in verità non si era mai spenta.

Franceschini, Ministro della Cultura e del Turismo, non lo conosco più di tanto, so che era un democristiano che quando con Tangentopoli si è dissolta la vecchia Democrazia Cristiana è stato uno dei fondatori dell’Ulivo, formazione politica in cui sono confluiti molti superstiti dei vecchi partiti che avevano per decenni fatto il bello e il cattivo tempo nel nostro Paese. Nell’Ulivo Franceschini si candidò anche al ruolo di segretario ma senza successo e, dopo la parentesi della Margherita in cui militò anche Matteo Renzi, insieme a molti altri confluì nel Partito Democratico. Dopo un periodo vissuto nell’ombra, forse grazie anche all’appoggio che la sua corrente ha fornito a Renzi, gli è stato affidato il Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo.

La trovata di deviare le navi da crociera a Trieste è talmente dannosa per il nostro Comune da farci domandare in che mani stia l’arte che è la più grande risorsa del nostro Paese e l’unico “pozzo petrolifero” su cui possiamo contare. Mi lascia perplesso però il fatto che sull’argomento grandi navi a Venezia – ai centri sociali, ai comitati delle nobildonne, ai grillini, ai no grandi navi e all’estrema sinistra – si sia aggiunto anche il Ministro Franceschini. Credo che tutti costoro dimentichino la montagna di debiti in cui sta naufragando il nostro Comune. Nessuno inoltre pare preoccuparsi dei sette-ottocento dipendenti dell’indotto di questo tipo di turismo, per non parlare poi dei negozi di ogni genere che beneficiano dell’arrivo di oltre settemila croceristi, propensi a spendere, che le navi scaricano giornalmente nella nostra città.

Caro Sindaco, le grandi navi non le faccia entrare dal “Contorta”, dal “Vittorio Emanuele” o da qualsiasi altro canale ma trovi una soluzione accettabile senza lasciarsi intimidire da gente tanto scervellata e incosciente. Agisca però in fretta e ricordi che abbiamo eletto lei e non i figuri di cui sopra che non rappresentano nessuno se non la loro incoscienza.

Fallito?

Capita ogni tanto di leggere sulla stampa a carattere religioso, ma occasionalmente anche sui quotidiani e sui periodici d’informazione, sondaggi e statistiche sulla fede in genere ed in particolare sulla partecipazione alla Messa festiva. La sintesi di questi sondaggi rivela che vi sono notevoli differenze non solo tra le varie regioni d’Italia ma anche tra le parrocchie di una stessa diocesi. In Italia credo che i praticanti mediamente raggiungano a malapena il dodici per cento della popolazione con percentuali più elevate nel Veneto e più basse in Romagna, in Umbria ed in Liguria.

L’ultimo sondaggio promosso dalla diocesi di Venezia ha evidenziato una forbice molto larga con presenze che oscillavano tra l’otto per cento di alcune parrocchie e il quarantadue per cento di Carpenedo. L’anomalia di questo picco fortemente positivo era determinata da settecento fedeli provenienti da altre parrocchie che erano soliti partecipare alla Messa nella chiesa di Carpenedo.

Ora seguo ancora con attenzione queste dinamiche però, non avendo una responsabilità diretta, mi limito a farlo da osservatore esterno subendo limitatamente il peso della preoccupazione. Quello che invece mi tocca più direttamente è la partecipazione dei fedeli alla Messa nella mia “cattedrale tra i cipressi”, questa chiesa però è particolarmente consolante perché, anche se nei periodi di caldo e freddo estremi una decina di sedie tra le 220 disponibili restano libere negli altri periodi è sempre al completo, anzi spesso c’è gente in piedi e altri ascoltano la funzione all’esterno della chiesa.

Il punto “dolens” nel mio animo di prete è invece la partecipazione dei 250 residenti del Don Vecchi 1 e 2 dove anch’io abito. Qui nonostante la Messa si celebri in casa e quindi non ci siano difficoltà di sorta credo che in media non si raggiunga il cinquanta per cento di presenze. L’età avanzata, la struttura offerta dalla chiesa ed infine il sacerdote in casa non riescono a raccogliere una partecipazione maggiore. Qualcuno mi dice che va a Messa fuori e qualcun altro, anche se si professa cristiano, diserta quasi abitualmente l’incontro con il Signore. Sapeste quante volte mi verrebbe da dire: mi ritiro in una casa di riposo per non aver più questo peso sulla coscienza.

Sono purtroppo in pena!

Credo che tutti i lettori ormai sappiano che io scrivo quando ho tempo e soprattutto quando penso d’avere qualcosa da comunicare per il bene della fede, dei poveri e della mia città. Tanti lettori infatti mi dicono di aver scoperto che certi temi sviluppati nelle mie “Riflessioni” si riferiscono ad eventi vecchi di almeno un paio di mesi ma quando l’articolo viene stampato, anche se fa riferimento ad episodi datati, il messaggio che volevo trasmettere generalmente non perde la sua efficacia. Cosa pretendete, amici miei, da un prete di quasi novant’anni? Che cosa vi aspettate da me?

Vorrei rendervi partecipi della confidenza di un mio insegnante di settant’anni fa: “Caro Armando, sappi che io usualmente quando acquisto il giornale, per poterne valutare efficacemente la consistenza e la correttezza dei contenuti, lo lascio sul tavolo per almeno un mese”. Io non commento notizie e fatti datati per scelta come faceva lui ma per necessità, spero comunque che le ansie, le preoccupazioni, i sogni e i progetti di un vecchio prete possano essere di una qualche utilità anche per gli altri.

Vengo al sodo: oggi è il primo di ottobre e lunedì 19 ottobre sogniamo di aprire il “Ristorante” per i poveri occulti: i cittadini monoreddito, quelli che hanno stipendi da fame o peggio ancora sono disoccupati, cassaintegrati, ecc. So per certo che l’accettare quest’offerta richiederà loro molto coraggio anche se la proposta offre un ambiente signorile, un servizio inappuntabile ed un centro di cottura eccellente. Lo staff che si è fatto carico di questa impresa, e che ha come responsabili i coniugi Graziella e Rolando Candiani, ha fatto l’impossibile per far conoscere questa iniziativa benefica. Tutte le emittenti televisive e le testate dei giornali cittadini ne hanno parlato più volte ed inoltre abbiamo scritto a tutti i parroci, alle assistenti sociali e alle agenzie della solidarietà cittadina.

L’organizzazione del Ristorante è più che adeguata a ricevere un numero consistente di commensali grazie anche al contributo dell’Associazione Vestire gli Ignudi e al reclutamento di più di una trentina di volontari. Per me rimane un’incognita e una preoccupazione: le parrocchie conoscono veramente i loro parrocchiani in difficoltà e hanno strumenti per contattarli e convincerli ad approfittare di questa opportunità? Confesso che mi spiacerebbe “perdere” ma se ciò avvenisse saprei di aver fatto l’impossibile per “vincere”.

Verso le seimila copie

Da quel poco che vengo a sapere pare che tutta la carta stampata sia in crisi. Non c’è quotidiano, settimanale o mensile che affermi di incrementare la propria tiratura, anzi. Ultimamente poi mi hanno detto che anche le emittenti televisive stanno perdendo spettatori. Le testaste giornalistiche forse sono troppe o forse la gente preferisce destinare le magre risorse al cibo piuttosto che alla cultura e all’informazione.

Questo fenomeno però, una volta ancora, mi preoccupa soprattutto per quanto riguarda l’informazione religiosa e pastorale, una volta ancora ripeto la mia amarezza e la mia preoccupazione per quello che riguarda i mass-media della Chiesa veneziana e del Triveneto. Radio Carpini, l’emittente che vent’anni fa ho consegnato alla diocesi con i suoi duecento volontari e con la sua rete di ripetitori che “copriva” tutte le zone pastorali della diocesi e che dal Monte Torrion raggiungeva una larga fascia di territorio fino a raggiungere perfino Ravenna, è stata chiusa ormai da tempo e l’emittente Telechiara, al cui “battesimo” ho partecipato anch’io in tempi in cui pareva che nel Triveneto ci fosse un sussulto di entusiasmo per i mass-media, l’anno scorso è stata venduta ad un gruppo di imprenditori padovani. Gente Veneta, il settimanale di cui ero tanto fiero fino a poco tempo fa, pare stia arrancando faticosamente.

Tutto questo però non m’induce a demordere “nonostante l’età” ma anzi mi sprona ad un impegno maggiore soprattutto per quanto riguarda la Chiesa di Mestre. La nostra editrice stampa il mensile “Sole sul nuovo giorno” in 250 copie, “Il messaggio di Papa Francesco” in 500 copie settimanali e “L’incontro” si avvia ormai verso le seimila copie settimanali. La consapevolezza dell’esigenza di una proposta religiosa che raggiunga il maggior numero di concittadini possibile e della necessità di riqualificare il settimanale con ulteriori apporti di gente capace, mi ha spinto a chiedere aiuto a qualche sacerdote e a qualche laico. Mi auguro di tutto cuore che tante risposte generose vengano a tamponare la grossa falla che mette in grave pericolo i mass-media diocesani.

Il sordomuto

Fin troppe volte ho confidato agli amici il tormento che mi provoca il dover prendere frequentemente la parola per riproporre il messaggio di Cristo. L’importanza del messaggio evangelico e l’amore che porto alla mia gente sono tali da farmi desiderare di essere un brillante comunicatore, non tanto per ottenere il plauso degli ascoltatori ma per offrire il dono della parola di Dio di cui tutti abbiamo estremo bisogno.

Questo tormento, che mi accompagna da sessant’anni, tanto è il tempo che il Signore mi ha finora concesso per offrire al Popolo di Dio questa semente, ha però almeno un aspetto positivo quello di costringermi ad una riflessione personale che tuttora mi fa scoprire motivazioni che riescono a incidere sui miei comportamenti e a farmi vivere una vita cristiana più seria e coerente.

Qualche settimana fa la liturgia della Chiesa mi ha riproposto, una volta ancora, il miracolo di Gesù che guarisce un sordomuto. Gli evangelisti molto probabilmente ce lo hanno trasmesso sia per dimostrarci che Gesù è il figlio di Dio e in quanto tale può derogare alle leggi naturali sia per insegnarci ad aiutare il nostro prossimo. Ritengo tutto questo quanto mai giusto però a me piace poi cogliere soprattutto i risvolti esistenziali delle scelte e dei comportamenti di Gesù. Il miracolo mi pare sia un invito pressante ad aprirci agli altri, a comunicare, a donare il meglio di noi stessi, a dialogare con tutte le realtà che fioriscono dall’accettarsi e dal volersi bene anche se purtroppo spesso le cose non stanno proprio così. A questo proposito ricordo un passaggio di un poeta giapponese che diceva pressappoco: “In autobus, negli ipermercati, nelle piazze siamo così pigiati l’uno contro l’altro da avvertire la fisicità del prossimo però, a livello esistenziale, pare che tra l’uno e l’altro passi la muraglia cinese che ci divide e ci fa ignorare che l’altro ha bisogno della tua umanità così come tu hai bisogno della sua”. L’invito perentorio di Cristo: “Apriti” risuona nel mio cuore come una parola ineffabile, che mi fa intravedere il vero “miracolo” dell’accettarci: il sentirsi cittadini del mondo e figli dello stesso Padre.

I silenzi del sindaco

Ho già scritto che avevo deciso, fin dal momento in cui è stata ufficializzata la vittoria di Brugnaro, che avrei rispettato i giorni della luna “di miele” o meglio i primi cento giorni di governo della città. Questo silenzio però non può durare più a lungo. Ormai da decenni ho sentito il dovere e il bisogno di donare il mio cuore e la mia voce a chi non ha voce e i poveri appartengono certamente a questa categoria.

Quando incontrai Brugnaro al Don Vecchi, durante la campagna elettorale, egli mi concesse qualche momento di colloquio personale ed io ne approfittai per raccomandargli che se fosse stato eletto sindaco avrebbe dovuto riservare una particolare attenzione ai concittadini meno abbienti e sviluppare un dialogo costruttivo con le persone che gestiscono il privato sociale perché essi rappresentano il meglio della popolazione in quanto sono i cittadini più generosi, più intraprendenti e più disinteressati. Sia prima che dopo la sua elezione a sindaco scrissi a Brugnaro a titolo personale e come cittadino particolarmente interessato alle sorti della nostra città e soprattutto della popolazione più svantaggiata e, affinché il nuovo sindaco si ricordasse di questa “voce scomoda”, ogni settimana gli ho inviato copia de “L’incontro”.

A tutto questo però ha risposto con un “assordante silenzio”. Per essere benevolo ho pensato che a causa dei debiti comunali e della conseguente necessità di risparmiare egli avesse smobilitato la segreteria del Comune della quale, già in passato, conoscevo la sovrabbondanza di personale e che perciò fosse in difficoltà nel rispondere: penso però che almeno una segretaria possa permettersela! Ho incontrato il giovane assessore alla sicurezza sociale però anche questo colloquio non ha prodotto risultato concreti! Ora un caro amico mi ha assicurato che mi procurerà un nuovo colloquio ma se non dovessi riuscire a cavare un ragno dal buco dovrò decidermi a parlare alla nuova amministrazione comunale attraverso l’opinione pubblica, come ho sempre fatto in passato ottenendo anche qualche risultato.

Gli amici telematici

Mi sorprendono e mi stupiscono alquanto i miei colleghi preti, sia anziani e purtroppo anche giovani, che non hanno compreso l’assoluta necessità di utilizzare i nuovi mezzi di comunicazione.

A me piace il suono delle campane e quando ero parroco più di qualche parrocchiano si lamentava che le suonavo troppo. Un giorno ho avvertito la necessità di utilizzare il campanile della mia parrocchia, di quelle di Caorle, di Jesolo, di Mira, di Burano e perfino il campanile di San Marco per collocare i trasmettitori di Radio Carpini con cui riuscivamo a trasmettere il messaggio in cui credo ad almeno un milione di potenziali ascoltatori.

Lo stesso successo lo abbiamo ottenuto con la carta stampata e in queste ultime settimane stiamo raggiungendo una tiratura di quasi seimila copie per il settimanale “L’incontro”.

Spessissimo incontro persone che si rivolgono a me come fossi un loro amico d’infanzia e quando chiedo loro se mi conoscono tutti mi ripetono: “Come si fa a non conoscerla sappiamo tutto di lei e delle sue imprese solidali.” Questo mi rende molto felice perché mi conferma che “ho fatto centro”. Una volta un primario dell’Angelo mi disse: “Ce l’ho con lei”, al che obiettai: “Perché?” e lui continuò: “Perché mi turba la coscienza con i suoi scritti!”. Non poteva dirmi cosa più bella.

I miei amici sanno che in questo periodo sono tutto preso dall’apertura del nuovo ristorante per i poveri che vivono in silenzio e con dignità la loro difficile situazione ma come avrei potuto comunicare questa notizia ai miei quattrocentomila concittadini di Mestre e Venezia? Mi sono detto: “So io cosa fare!”. Qualche telefonata e le testate cittadine: Il Gazzettino, La Nuova Venezia e Il Corriere del Veneto mi hanno subito offerto il loro “megafono”. Qualche altra telefonata e “Rai Tre”, “Televenezia”, “Telechiara” e “Rete Veneta” mi hanno subito messo a disposizione i loro teleschermi”. Non so se riuscirò a bucare ma se non avessi questi amici telematici sono certo che fallirei.

I nuovi “misteri”

Come tutti sanno io non solo sono del secolo scorso ma addirittura dell’altro millennio. L’educazione, la cultura, il tipo di religiosità, la dialettica e soprattutto la capacità di usare i mass-media sono qualcosa che potrei paragonare ad un bollo sopra una lettera infatti, purtroppo, non sono riuscito a padroneggiare queste tecniche e questi strumenti di dialogo e di proposta. In verità questi strumenti non li ho mai rifiutati, li ho anzi apprezzati quanto mai perché li ritengo indispensabili per uno come me che desidera annunciare il Vangelo a tutti, proprio a tutti ma purtroppo per farlo sono costretto ad avvalermi dell’aiuto di gente più giovane, gente che più di me è parte di questo “mondo nuovo”. Io scrivo ancora a mano con la penna biro consapevole che la biro rappresenta il livello più alto di modernità che sono riuscito a raggiungere.

Mi è capitato di vivere in un’epoca nella quale tutto si evolve con una velocità che per quanto io mi sforzi di correre perdo sempre più terreno. Da ragazzo ho letto “Piccolo mondo antico” di Fogazzaro, romanzo in cui ho colto il risucchio e la tenera nostalgia del passato e il disagio nel comprendere il mondo nuovo, accettando i cambiamenti causati da sessanta settant’anni di evoluzione, oggi però questo lasso di tempo ha inciso tanto profondamente sul nostro modo di vivere da trasformare il passato prossimo in passato remoto in un soffio e da renderci perfino difficile immaginare il futuro.

Io comunque vivo bene lo stesso, guardo con simpatia i tempi nuovi e mi faccio aiutare dai più giovani per non apparire simile all’uomo delle caverne.
Mi piacerebbe un mondo saper usare con disinvoltura Internet e quell’aggeggio misterioso chiamato smartphone. Mio papà mi raccontava che mio nonno un giorno riferì alla famiglia allibita che nell’osteria, dove andava a giocare a tresette, avevano acquistato “una scatola che parlava”, io non sono a questo livello ma comunque ho collocato tra i misteri ai quali è giusto credere anche questi strumenti di comunicazione sociale e così facendo mi trovo bene.

Il male oscuro

Credo che sia abbastanza ovvio affermare che le malattie più pericolose sono quelle di cui non si sa di essere affetti. Mi è capitato più volte che qualcuno mi abbia confidato che mentre pensava di stare bene un male subdolo e senza sintomi evidenti stava minando la sua salute tanto che quando se n’è reso conto era tardi e talvolta troppo tardi.

Ho letto tempo fa un interessante articolo di Carlo Carretto, il famoso presidente dei giovani di Azione Cattolica, che quando venne rimosso dal suo ruolo perché ritenuto scomodo dalle gerarchie ecclesiastiche, ha scelto di farsi religioso nell’Ordine dei “Piccoli Fratelli di Gesù” di Charles De Foucauld. Carretto scriveva che la febbre o un qualsiasi dolore sono una grazia del cielo perché rappresentano un campanello d’allarme che ci avverte del pericolo perché sono i sintomi del male subdolo ed oscuro che ci sta minacciando.

Qualche giorno fa una troupe di Raitre è venuta da Roma al Don Vecchi per fare un “servizio” sul nuovo ristorante, destinato alle famiglie in difficoltà, e sull’impegno della Fondazione dei Centri Don Vecchi a favore dei poveri. L’intervistatrice non mi è parsa un granché perché mi è sembrato cercasse di pescare nel torbido facendo emergere la diffidenza nei riguardi degli extracomunitari e dei profughi piuttosto che sottolineare quanto la Fondazione ha fatto e sta facendo per i vecchi, per chi ha bisogno e anche per i fratelli che fuggono dalla guerra e dalla miseria.

Pensavo che le immagini tragiche che la televisione ci mostra ogni giorno di quegli uomini, donne, bambini, affamati, stanchi, disorientati avessero turbato, impietosito e fatto emergere sentimenti di pietà, di condivisione e di generosità e che l’esplicito monito di Papa Francesco “a non voltarsi dall’altra parte, invitando ogni comunità a farsi carico di una famiglia” avessero convinto tutti. Invece con infinita sorpresa e tristezza ho sentito riserve, preoccupazioni, stupide paure, egoismo, timore per il proprio benessere e per la propria tranquillità. Cari vecchi lasciate che vi dica che, anche senza saperlo, portate dentro di voi i peggiori virus e i più malefici bacilli quali l’egoismo, il razzismo, la mancanza di generosità e di consapevolezza che siamo tutti fratelli, che dobbiamo darci una mano e pensare ai più poveri e ai più provati. Vecchi miei curatevi e presto perché questi bacilli portano alla morte del cuore e dell’anima. Se poi il bacillo dell’egoismo si diffondesse sareste i primi a subirne le conseguenze perché nessuno penserebbe più a voi come è stato fatto finora.

Televenezia

In Via Piraghetto, nella sede di Televenezia, c’ero già stato in precedenza per un’intervista però, quando un ex generale dei carabinieri che collabora con quell’emittente mi ha chiesto di partecipare ad una rubrica che lui conduce, ho accettato subito e con entusiasmo.

Avevo un rospo nell’animo che non sapevo come buttare fuori e finalmente l’intervista televisiva mi permetteva di chiarire ai miei concittadini la vicenda dei profughi, dell’aiuto ai poveri di casa nostra e del pasticcio che è nato quando don Gianni, presidente della Fondazione Carpinetum, ha comunicato alla stampa che al Don Vecchi non abbiamo pensato solamente ai profughi, mettendo a loro disposizione due alloggi, ma anche ai poveri di casa nostra con l’apertura del ristorante che offrirà la cena ai concittadini che soffrono in silenzio e con dignità. La stampa ha dato un’interpretazione faziosa e reazionaria di questo annuncio quasi che la Fondazione volesse scusarsi con Salvini per aver pensato ai profughi e non alla nostra gente.

Spero che i miei successivi interventi al Gazzettino, al Corriere del Veneto, a Raitre, a Telechiara, a Rete Veneta e a Televenezia e la lettera che ho inviato a tutti i parroci e agli operatori sociali della città abbiano rimesso le cose a posto. La Fondazione non fa solo chiacchiere, come sta facendo Salvini, ma fatti: attualmente ha messo a disposizione degli anziani poveri quattrocento appartamenti e offre aiuto a più di tremila famiglie distribuendo vestiti, mobili, frutta, verdura, generi alimentari dimostrando abbondantemente, se mai ce ne fosse bisogno, la sua attenzione e il suo impegno concreto nei confronti della povera gente mestrina, italiana, dei paesi dell’Est e della sponda africana e ora, con il ristorante, sarà offerta la cena a centodieci famiglie in difficoltà indipendentemente dal colore della pelle e dalla religione professata.

L’opportunità di parlare per mezz’ora a ruota libera dagli studi di Televenezia comunque mi ha permesso di affermare, in modo chiaro e senza ambiguità, che la solidarietà deve essere per tutti altrimenti non è assolutamente solidarietà e che atteggiamenti razzisti, discriminatori, ed egoisti sono una autentica infamia per chi li promuove ma anche per chi li custodisce nel proprio animo.

Bianco su nero

Riflettendo sulle sensazioni che provo nell’impatto con realtà con le quali non ho né dimestichezza né rapporti frequenti, ho capito che nel mio animo avviene un processo di ripensamento, quasi una rimuginazione, con la quale rielaboro le sensazioni stesse e le immagini dell’ambiente in cui vengo a trovarmi.

Recentemente sono stato ricoverato per quattro giorni in ospedale per un problema che fortunatamente si è rivelato banale ma che di primo acchito si temeva potesse essere una paralisi o una ischemia cerebrale. Io nel nostro ospedale ci vado due volte alla settimana per portarvi un migliaio di copie de L’Incontro, motivo per cui ho molta dimestichezza con questa struttura della quale vado orgoglioso sia per la sua notevole bellezza architettonica sia per la sua funzionalità. Una cosa però è entrare in ospedale, immergersi nel giardino interno e percorrere velocemente il grande sentiero pensile del primo piano, altra cosa è entrarvi per essere ricoverati. L’ospedale ha le sue liturgie ben precise e complicate, offre un’atmosfera particolare e soprattutto ti fa sentire come una creatura debole ed indifesa che dipende, anima e corpo, dai camici bianchi.

In ospedale purtroppo ci sono stato molte altre volte e non solo a Mestre, nell’ultimo ricovero però mi ha particolarmente colpito e fatto riflettere la presenza di un giovanottone robusto la cui faccia e le cui braccia erano nere come l’ebano ed emergevano ancora più marcatamente nere dal camice bianco che indossava. Un secondo incontro, ma non a livello personale, l’ebbi con un medico sempre di colore e il terzo con un’infermiera, di pelle decisamente nera, chiacchierona ed affettuosa che mi ha accompagnato per un esame: tutti cordiali, professionalmente preparati e disponibili. Questi incontri mi hanno fatto pensare che il mondo sta diventando un villaggio globale dove l’incontro tra culture, religioni, tradizioni e costumi è ormai un fatto ineluttabile che nessuno potrà mai fermare.

Ho concluso quanto sia bello ed inebriante sentirci tutti figli di uno stesso Padre e fratelli con qualità diverse ma che possono essere una risorsa per tutti. Infine pensando a Salvini e compagni ho provato un sentimento di malinconia e di commiserazione.