Un funerale povero a Mestre, città sempre più disumana…

Cristiano, il capoufficio della Veritas della direzione del cimitero, mi ha chiesto di accompagnare alla sepoltura la salma di uno sconosciuto che dopo essere stato parcheggiato per lungo tempo nei frigoriferi delle celle mortuarie, si congedava dalla città in cui è vissuto con un “funerale di povertà”

Ho chiesto se ci fosse stato qualche parente o qualche amico. La risposta è stata pronta e malinconica; “Nessuno! ha dei parenti, ma non ne hanno voluto sapere perché temevano di dover pagare qualcosa”.

La mattina era gelida il vento del nord sferzava i cipressi, le lapidi e i nostri volti nel cimitero quasi deserto.

Ci avviammo con la bara dei poveri trasportata su un carrello di ferro spinta da quattro necrofori in tuta da lavoro e gli scarponi infangati dal terreno melmoso del campo. Io davanti con la stola viola, dietro la bara Cristiano, il dirigente che non manca mai di accompagnare i poveri al sepolcro.

La terra era franata motivo per cui l’escavatore dovete rifare la fossa, poi la preghiera e la sepoltura.

Fui edificato dal contegno particolarmente dignitoso dei seppellitori, alla mia benedizione, cosa insolita, tutti si segnarono devotamente e poi presero le vanghe per coprire di terra benedetta la bara del fratello che si accomiatava tanto poveramente.

Sembrava che il mistero della morte di una persona sola in una città spesso anonima ed indifferente ai drammi dell’individuo, colpisse particolarmente la coscienza e il cuore di queste persone umili ma sane che percepivano la tristezza dell’indifferenza di un mondo disposto a beneficiare dell’apporto di tutti, ma che rimane sordo di fronte al dramma della persona. Ritornai in chiesa a chiedere al Signore che accogliesse benevolmente il figlio che ritornava a casa solitario, e lo ringraziai per la calda e semplice testimonianza di umanità che avevo colto in Cristiano e nei suoi quattro dipendenti, umani e fraterni in una città che di giorno in giorno diventa sempre più disumana.

Ebrezza e paura nel proporre il messaggio di Dio

Qualche settimana fa illustravo ai fedeli che gremivano la mia chiesa tra i cipressi che gli ebrei chiamavano le loro assemblee religiose: “Sacra convocazione”

Facevo questa premessa alla riflessione domenicale per ribadire che quando il Signore convoca il suo popolo lo fa sempre perché ha qualcosa di importante da suggerire ai suoi figli, qualcosa che Egli sa che essi ne hanno bisogno per vivere una vita più bella e più degna.

Continuavo poi la premessa, dicevo che sempre il buon Dio ha anche qualcosa di buono da donare loro per aiutarli a trascorrere una settimana più serena.

Il Signore di solito convoca nella mia nuova chiesa un’assemblea molto numerosa, tanto che già qualcuno deve seguire la messa fuori delle “mura” del nuovo edificio.

Ogni domenica avverto quindi nel mio animo l’enorme responsabilità di mettere a disposizione di Dio la mia povera voce, ma soprattutto il mio spirito come strumento che Dio sceglie per comunicare con il suo popolo.

Non so quanto tremasse la parola di Mosè quando faceva la stessa funzione che oggi è chiesta a me e ad ogni sacerdote. So però che Mosè come Geremia, quasi protestavano con Dio, il primo perché non aveva una parola calda e scorrevole, perché balbuziente, il secondo perché si sentiva troppo giovane per avere pensieri capaci di trasmettere la sapienza e l’amore di Dio.

Il compito che Dio mi affida settimanalmente l’avverto come un compito che da un lato mi da un’ebbrezza infinita per le proposte splendide di Dio, dall’altro lato una preoccupazione ed un’angoscia profonda per la mia inadeguatezza ad un compito così sublime.

Durante la settimana mi dedico a scoprire in anticipo il dono che il Signore mi pare voglia fare ai suoi figli e lo sento sempre e lo scopro immensamente importante per la gente che amo e che vorrei aiutare in tutti i modi perché è tanto cara con me e mi edifica ogni domenica con la sua compostezza, la sua fede e la carità verso questo povero vecchio prete!

Un nuovo sogno: la cittadella della solidarietà!

Sognare non costa niente ed io che di soldi ne ho sempre troppo pochi per fare ciò che riterrei necessario per il prossimo al quale ho scelto di dedicarmi, mi consolo sognando.

Poi capita che finisco di innamorarmi pazzamente dei miei sogni, ne rimango così contagiato dall’opportunità di concretizzarli tanto da finire a confidarli prima ai vicini e poi anche ai lontani.

Forse mi ha indirizzato in questo processo, una confidenza ricevuta personalmente dallo stesso Papa Giovanni, quando era nostro Patriarca a Venezia.

Diceva l’allora Patriarca: “Quando hai un progetto che ti sta particolarmente a cuore, parlane a destra e a manca, perché così è più facile che tu incontri qualcuno che ti possa dare una mano!”
Spero che questo sant’uomo abbia ragione.

Ogni giorno vengono al don Vecchi centinaia di persone italiane e straniere che cercano indumenti, mobili, arredo per la casa, generi alimentari ed altro ancora. Io sono orgoglioso e felice della carità che “profuma” il don Vecchi, ma sono anche preoccupo perché tutto è tanto inadeguato. E’ nato quasi per caso, sulla falsariga del progetto di don Zeno “Nomadelfia la città dei fratelli” il sogno di costruire sul grande campo in abbandono “la cittadella della solidarietà” un ristorante al prezzo fisso di 3 euro al pranzo, un ostello a 5 euro la notte, un grande outlet per indumenti, un’Ikea per i mobili, un banco alimentare, un gran bazar ed altro ancora.

Sognare queste cose alla vigilia dell’ottantunesimo compleanno e con un nemico in corpo può essere etichettarsi, come “illusione, dolce chimera!” o utopia!

Vi prego lasciatemi sognare, mi fa bene anche alla salute!

Politici al Don Vecchi

Il mio diario è sì un diario di incontro, di sensazioni e di riflessioni che nascono nel mio animo in un giorno ben determinato, con l’impatto con fatti e situazioni, ma questo giorno è solamente un giorno anonimo non contrassegnato da una data precisa. Motivo per cui a chi capitasse di leggerne il contenuto, ben difficilmente può far riferimento ad un giorno in particolare. Può darsi quindi che qualcuno possa scoprire che il riferimento ai fatti non coincida al momento in cui il periodico esce fresco di stampa, può quindi verificarsi che quando vedrà la luce questa pagina, ciò di cui parla sia totalmente superato.

In queste ultime settimane, il don Vecchi è stato visitato da tantissimi aspiranti ad amministrare la municipalità, il Comune o la Regione, forse spinti anche dalla mia pubblica dichiarazione che la nostra struttura rimaneva aperta ed accogliente a qualsiasi cittadino che intendeva candidarsi alla guida di suddette realtà.

A tutti io ho tentato di fornire informazioni adeguate dei bisogni e delle attese della categoria di cittadini che abitano al Centro: anziani autosufficienti o quasi, di condizioni economiche ultramodeste.

E’ mia viva speranza che chi ha preso coscienza diretta della situazione se ne ricordi quando sarà al governo della città. In questa occasione ho avuto anche modo di confrontare le campagne elettorali alle quali ho partecipato nella mia giovinezza a quella attuale.

Un tempo c’erano grandi tensioni sociali, proposte, ideali , orientamenti, scelte di fondo, grandi utopie!

Ora invece qualche progetto concreto, qualche soluzione di problemi esistenti, ma nulla più.

Mi è parso di avvertire un grande grigiore in cui tutti i colori, le proposte e i progetti si stemperavano tanto da non riuscire più a comprendere la matrice.

Dall’ospedale dell’Angelo alla città del Santo

Il medico che segue le vicende alterne della mia salute, dopo aver preso visione della Tac che mi è stata fatta a Villa Salus qualche giorno fa, mi ha consigliato la clinica universitaria di Padova perché nell’ospedale all’Angelo, che tutti hanno affermato essere un ospedale di eccellenza, non ci sono attrezzature adeguate al mio caso e alla mia età.

Sono stato profondamente ammirato dall’umiltà, dall’onestà e dalla saggezza di questo medico. Avevo letto nel recente passato qualche notizia al riguardo, delle carenze tecniche e di personale del nostro nuovo ospedale, ma non ci avevo fatto tanto caso, sapendo che è sempre tanto facile criticare.

Io più volte ho manifestato pubblicamente la mia ammirazione per il nuovo ospedale, per la bellezza architettonica, per la sistemazione a verde della grande e piacevolissima hall d’accoglienza e per la funzionalità del tutto. Però già in passato ero rimasto un po’ perplesso quando la stampa cittadina denunciava la fuga di ottimi sanitari a motivo che l’organizzazione ospedaliera non li supportava adeguatamente di mezzi tecnici.

Ora però che m’è toccato di fare un’esperienza diretta il problema si è manifestato in tutta la sua cruda realtà.

Nella clinica padovana, ho trovato un affollamento ed un ritmo tanto convulso, fortunatamente pèrò mi ha accolto un giovane primario, che a detta di tutti è un eccellente professionista, il quale mi ha ricevuto con cordialità e simpatia, mi ha inquadrato il problema e mi ha indicato il percorso che intende seguire.

Ora, sono come sempre nelle mani di Dio, ma anche dell’uomo che ha scelto per darmi una mano!

Una nuova battaglia

Nota della redazione: don Armando questa battaglia l’ha affrontata., qui leggiamo i suoi scritti antecedenti l’intervento. Raccomandiamo a lettori e amici di continuare a sostenerlo con la preghiera!

Gli americani hanno voluto ricordare l’avvenimento che diede una svolta decisiva nella guerra degli alleati contro il 3° Reich, cioè lo sbarco in Normandia con un film grandioso che è stato intitolato “Il giorno più lungo” A ragione fu dato questo titolo perché nelle 24 ore dello stesso sbarco, si svolse un dramma bellico ed umano così intenso e di così grande portata da sembrar che il tempo normale non lo potesse contenere.

La notte che si è conclusa con il suono della sveglia alle 5,30, come ogni giorno, è stata per me la notte più tormentata e certamente la più lunga della mia vita.

Ieri sera il medico ha letto il dischetto della Tac che ho subito qualche giorno fa mostrandomi che “la bestia” come l’ha chiamata il servita padre David Maria Turoldo, che io mi ero illuso d’aver sconfitto mediante la chemioterapia, non era stata uccisa definitivamente, si era soltanto ritirata in un posto del mio organismo strategicamente più difficile da combattere e più nevralgico per la mia esistenza.

Mi sono accorto nella veglia notturna agitata ed insonne, che le mie difese psicologiche ed ascetiche erano ben più fragili di quanto non immaginassi, tanto che la notizia ha riportato in prima linea le tematiche fondamentali della vita, del presente e del dopo.

Le risposte teoriche racimolate con tante letture e tante meditazioni sono risultate sì importanti ma fragili a livello esistenziale.

Ora comincia una nuova battaglia che fatalmente devo affidare a soldati di ventura quali sono i medici, io starò a vedere e semmai a rafforzare il fronte interno con la preghiera e l’abbandono nel Signore pur avvertendo, ma questo dovevo saperlo da sempre, che se anche vincessi un’altra battaglia la guerra per me e per tutti è perduta!

La rivoluzione della solidarietà per costruire il mondo nuovo!

Fin da bambino ho sentito parlare di frequente di rivoluzioni che avrebbero finalmente sistemato il mondo in maniera definitiva e giusta.

I primi ricordi risalgono alla mia infanzia di balilla, allora si parlava della rivoluzione fascista. Più grandicello mi ha investito la rivoluzione franchista e quella opposta, la repubblicana, poi presi coscienza della rivoluzione per antonomasia, quella dei soviet, la rivoluzione d’ottobre che sembrava proprio dovesse espandersi nel mondo intero. Dopo di allora ho cessato perfino di prendere nota del nome delle rivoluzioni, da Mao a Peron, da Ataturk ad Hitler ……….di rivoluzioni ne sono avvenute per tutti i gusti!

Fortunatamente per me e per l’umanità esse sono tutte miseramente fallite e tanto esse sono state più grandi e più estese, tanto più grande è stato il tonfo del cumulo infinito di rovine provocate da esse. In tutta questa porzione di secolo XIX° e XX°, l’unica che è rimasta in piedi è stata la rivoluzione di Cristo, quasi sempre incruenta, pagata col sacrificio dei suoi adepti piuttosto di quello dei suoi avversari, come avviene sempre, non troppo rumorosa e poco appariscente , essa accompagna ed irradia la vita del singolo e della società aiutandola a sognare e a vedere un mondo nuovo ed una vita più solidale.

In questo ultimo scorcio di tempo, a dire il vero, sono sempre più interessato a quell’aspetto particolare di questa grande rivoluzione pacata, incruenta e gentile che comunemente è chiamata solidarietà. Credo sempre di più che nella misura in cui si educheranno le coscienze a condividere, ed essere solidali, a pensare che solo aiutandosi si trovano soluzioni e pace, si realizzerà in maniera quasi impercettibile, ma vera, il mondo nuovo.

Sto ritornando bambino quando sognavo percorrendo il rettilineo sull’argine del Piave che da Eraclea porta a San Donà, spingendo i pedali per raggiungere il punto dell’orizzonte in cui il cielo e la strada si congiungevano.

Ora so che potrei pedalare anche per un millennio senza raggiungerlo, ma so ancora che questo sogno m’aiuta ad andare avanti!

Quando arriva il tempo di decidere…

L’ultimo mestiere che io avrei potuto fare è il diplomatico. Credo che il diplomatico debba osservare, tacere, dire senza dire, arrotondare gli spigoli delle parole e delle argomentazioni, sorridere, inchinarsi, chiudere in cassaforte le sue intenzioni, le sue reazioni, i suoi convincimenti, attendere, far buon viso a cattivo gioco, trastullarsi nei salotti parlando di mille facezie lasciando fuori dalle dimore dorate i problemi veri, le sofferenze e le attese della gente.

In questo ultimo tempo, di fronte a qualche difficoltà, che avevo tentato di risolvere con qualche cambiamento marginale, c’è stata una reazione imprevista come se io mi trastullassi con dei cambiamenti capricciosi e poco motivati.

Siccome ci tenevo quanto mai, che con le realtà che mi sono vicine, vi fossero rapporti non solo cordiali, ma anche amichevoli e collaborativi, ho tentato con tutte le mie forze di pazientare, di dimostrare che non volevo danneggiare alcuno, ma nel contempo risolvere qualche problema interno che gli altri non potevano conoscere nè avere elementi per redimere. Poi forse per la mia assoluta mancanza di risorse diplomatiche, ho dovuto dire con franchezza “Qui il capo sono io e solo io ho la facoltà di decidere, piaccia o non piaccia!”

Mi è costato ma l’ho dovuto dire! Le mie gatte me le pelo io!

Non ho la pretesa di essere né il migliore, né il più saggio e neppure ho l’arroganza d’essere l’unico a saper fare il mio mestiere. Sono disposto a mettermi da parte al più piccolo cenno e in qualsiasi momento e di lasciare la barra ad un altro capitano, ma finchè rimango al posto di comando le decisioni le prendo io, assumendomene ogni responsabilità. Così ho sempre fatto e così continuerò a fare piaccia o non piaccia.

Io non ho stima alcuna di chi rimane in balia dei consigli e non ascolta la sua coscienza.

Con la concorrenza migliora anche il trasporto dei defunti

Fino a l’altro ieri gestiva il trasporto dei defunti una impresa, che aveva subappaltato dalla Vesta, suddetto servizio. Normalmente l’impresa era definita municipalizzata in quanto il Comune solamente aveva la prerogativa di poter occuparsi del trasporto dei defunti.

Non ho mai capito bene come andassero le cose. Molto probabilmente ci guadagnava la Veritas senza sporcarsi le mani avendo il solo merito di procedere al subappalto, ci guadagnava di certo chi in realtà faceva il servizio e più ancora di certo ci perdeva il Comune dovendo ogni anno ripianare un bilancio malconcio e scriteriato con somme rilevanti.

Arrivò una legge che abolì la privativa del Comune essendo ormai lampanti che i comuni non sanno gestire, sono sempre in perdita e fanno malissimo ogni cosa a cui mettono mano. Nonostante questa legge si andò avanti per anni con una tiritera di rinnovi dell’appalto, finalmente anche l’ultimo anello della catena è fallito!

Ora ogni singola impresa si arrangia per conto proprio, come avrebbe dovuto avvenire fin dal principio se una certa sinistra non fosse infatuata per una gestione pubblica che sempre e in tutti i campi è onerosa e scalcinata.

Da un po’ di tempo a questa parte sto accorgendomi che il regime di concorrenza affina il servizio: necrofori con divisa, ingaggiati e corretti, senza problemi per sollevare il cofano come invece avveniva un tempo.

Ora poi si è arrivati a delle “liturgie” specifiche che riescono perfino a sorprendermi, quelli di una agenzia rimangono impietriti sull’attenti accanto al feretro finché non esce il prete per la messa, quelli della Caritas hanno aggiunto il segno di croce contemporaneo prima di lasciare il feretro per la funzione.

Tutto questo diventa il segno della validità del libero mercato e l’ulteriore condanna del collettivismo dell’utopia marxista!
E’ poco, ma meglio di niente?

La politica non è un tema da evitare

Mio fratello don Roberto, che ancora una volta sento il bisogno di affermare, essere un prete veramente capace ed un parroco quanto mai valido, ha scritto sul suo settimanale che non desidera che gli aspiranti amministratori del Comune e della Regione si facciano conoscere in parrocchia in occasione delle elezioni e perciò li dispensa anzi li invita a non bussare alla porta della parrocchia. Con tutto l’affetto e il rispetto che nutro per mio fratello parroco, la penso in maniera diametralmente opposta.

Sono convinto infatti che la politica sia in se stessa una cosa nobile e degna, offrirsi e lavorare per il bene comune è un ottimo impegno, confrontarsi su progetti e sui programmi mi pare non solamente giusto ma anche doveroso. Se poi qualcuno obietta che ci sono persone che si servono della politica per fare i loro interessi privati, che ci sono persone ambiziose, persone assolutamente partigiane, persone per nulla preoccupate del bene comune, ma solo interessate alla poltrona, non ho nessunissima difficoltà ad ammetterlo. A questo mondo è sempre stato che ci sono persone ignoranti, furbe, disoneste, montate, superficiali, incapaci di riconoscere i propri limiti, ma ciò non avviene solamente negli aspiranti amministratori pubblici e nei politici, ma anche tra i preti, i magistrati, gli avvocati e via di seguito.
Questi sono i limiti della nostra umanità perciò non credo che si debba pretendere dagli altri ciò che noi non riusciamo a fare.

E’ vero che mi pare che in questo nostro particolare frangente la classe politica appare molto scadente, corrotta, carrieristica, litigiosa e faziosa, quella che poi si dice di ispirazione cristiana mi pare alla deriva e che non sia per nulla riscattata dalla batosta di tangentopoli, ma è altrettanto vero che quella laica di destra e di sinistra vada meglio, anzi!

Sono d’accordo col Papa che auspica una classe politica di giovani cristiani più ricca di valori e di ideali e meno compromessa.

Ho raccontato i miei sogni a un ministro…

Scrivo questa pagina di diario in un ritaglio di tempo, nell’attesa di presentarmi all’appuntamento fattomi fissare dal ministro Brunetta, che si dichiara idoneo di essere capace, non solamente di salvare l’Italia, ma anche la vecchia Repubblica di Venezia che sta ormai da secoli seguendo un declino che pare inarrestabile di decadenza, sotto ogni punto di vista.

Non capita ogni giorno di parlare con un ministro della Repubblica, a me è capitato di incontrare il professore Brunetta l’ultima volta dieci anni fa, ma allora era solamente un aspirante sindaco di Venezia, docente universitario e socialista dichiarato.

Allora sul suggerimento, di non so chi, mi chiese di accettare di fare l’assessore alla sicurezza sociale, non potei accettare ma poi non ci fu neanche bisogno di una rinuncia formale perché Brunetta fu battuto alle elezioni.

In questi dieci anni la mia vita sociale mi pare non abbia avuto grossi contraccolpi, anzi, anche grazie al mio povero impegno, siamo riusciti ad offrire alla città altri duecentocinquanta alloggi per anziani poveri.

Non ho fatto fallimenti, non ho debiti, non sono nati scandali nella gestione del don Vecchi, non ho amministratori iscritti nel libro degli indagati, spero di avere le carte in regola per chiedere a Brunetta di inserire nella parte sociale del suo programma due progetti assolutamente innovativi e soprattutto umanamente ed economicamente validi:

1) Una trentina di alloggi per anziani con autosufficienza precaria. E’ mia intenzione di poter offrire ad un anziano al limite o forse un po’ oltre l’autosufficienza un alloggio in cui vivere come un vecchio padrone di casa di un tempo e di far sì che il costo di tale vita non sia maggiore di quanto non costerebbe la vita con la sua famiglia se ciò fosse possibile.

2) La creazione di una cittadella della solidarietà, una specie di “Nomadelfia” in cui, in uno spazio ristretto e razionale, chi è in difficoltà trovi risposta ad ognuno dei suoi bisogni.

In questo discorso, che ora solamente accenno, penso che avrò bisogno di tutte le pagine del diario del 2010-2011-2012, se avrò la possibilità di scrivere queste pagine!

Villa Salus, un esempio da seguire

Nota della redazione: questa riflessione risale come sempre ad alcune settimane fa e si riferisce agli esami che hanno poi condotto al recente intervento.

Stamattina sono stato a Villa Salus per un prelievo di sangue, necessario per una TAC che devo subire fra qualche giorno.
Sono stato letteralmente stupito ed ammirato per l’efficienza, l’ordine, la pulizia, la cortesia e la comprensione di chi non sa come muoversi nel mondo della sanità che in questi ultimi anni si è terribilmente complicato.

Villa Salus la frequento, anche se saltuariamente, per i miei doveri pastorali, da cinquant’anni, ma normalmente avevo sempre visitato gli ammalati nei reparti, e non ero mai sceso nell’interrato e negli ambulatori.

Questa mattina ho fatto la scoperta di questo mondo sconosciuto, già di primo mattino uno stuolo di medici, infermiere e tecnici si muovono con estrema coordinazione ed efficienza, silenziosi, rapidi e cortesi, ed un popolo ancora infinitamente più numeroso di pazienti attendevano il loro turno senza tempi morti, attese assurde e smarrimenti burocratici.

In questo mondo dell’utopia si muovono quasi senza toccar terra una ventina di suorette piuttosto anziane ma consapevoli del loro ruolo e capaci di dare anima e vitalità ad un mondo tanto complesso e sofisticato.

In un quarto d’ora ho risolto il mio problema e ho ricevuto informazioni esatte sul luogo e l’ora del prossimo appuntamento.

Le Mantellate di Pistoia, o almeno quel che rimane di questo ordine religioso, probabilmente senza tante lauree e nonostante l’età avanzata reggono una realtà così complessa e la fanno funzionare pagando infermieri e medici, non creando passività in bilancio e riuscendo ad acquisire macchinari all’avanguardia. Mi verrebbe quasi da suggerire che i managers ospedalieri che sono stati fin quì scelti dagli amministratori per meriti di partito, si debbano invece inviare in convento per fare un paio di anni di noviziato!

Per bonificare l’Italia servono moralità, ideali, valori, vita ordinata oltre che clientele elettorali!

Riconoscenza

Don Armando, impossibilitato di farlo a livello personale, ringrazia di cuore le centinaia di amici, lettori e fedeli per le testimonianze di affetto, per gli auguri e per le preghiere fattegli pervenire in occasione del suo recente ricovero in ospedale, e spera di ricambiare, impegnando fino in fondo le forze residue e il tempo che il Signore gli vorrà ancora concedere per il bene della comunità.

Canzoni e rivoluzioni

Dovrebbe essere evidente e logico che un prete, ed un prete della mia età, sia poco interessato al festival della canzone di San Remo. Io infatti non lo sono!
Quest’anno però è capitato che proprio nei giorni in cui si è tenuto il festival, io fossi costretto e letto per un attacco influenzale.

Sono rimasto a letto tentando di far passare alla meglio le giornate che, non potendo occuparmi delle cose di cui sono solito occuparmi, non passavano mai.
Confesso che ho fatto qualche breve e saltuaria incursione televisiva perfino sul festival.

Di solito la televisione l’adopero come sonnifero, perché per me è il farmaco più efficace per aiutarmi a dormire, ma lo scenario del festival, che la stampa ha definito come meraviglioso, a me è parso d’incubo, motivo per cui non sono in grado di esprimere alcun giudizio su quell’evento fatuo ed effimero rappresentato da questa chermesse canora.

La domenica seguente però ho seguito la rubrica “Arena” da cui ho appreso il “dramma” o meglio la “farsa” della ribellione del pubblico, dei critici e dell’orchestra che si sono ribellati al giudizio del popolo italiano che ha scelto “Io amo L’Italia” piuttosto di quell’altra proposta alternativa che non conosco. Premetto che credo che Pupo, il principe e il tenore siano stati furbetti nel scegliere una canzone sentimentale, di effetto, che tocca le corde del cuore dell’Italia degli italiani piuttosto di quella fasulla distorta ed artificiosa del popolo dei drogati, delle discoteche e della trasgressione.

“I detentori della verità” però si sono ribellati ancora una volta al responso del “popolo bue” rifiutando con sdegno inconsulto il pensiero di chi lavora, ragiona, ha buon senso e non ne può più di quel popolo di sfaccendati, e di sperperoni. Ancor una volta capita quello che avviene in politica, che è l’altra faccia della stessa medaglia; tutti sono decisamente di sinistra, perseguono utopie impossibili, ma poi nel segreto della cabina votano Berlusconi, che certamente non è un santo, e non fa quindi miracoli, ma almeno tenta di tenere i piedi per terra.

Di nuovo padre e pastore di una “vera” comunità, grazie Signore!

Quando il 2 ottobre del 2005 sono uscito, nel tardo pomeriggio, dalla chiesa di Carpenedo gremita di fedeli, mi è sembrato di essere un povero diseredato, solo, senza patria e senza famiglia. Mi sono ritrovato tra le mura bianche e solitarie della mia nuova e piccola dimora di meno di 50 mq. con solamente qualche libro, qualche quadro e qualche relitto del mobilio che per tanti anni ha reso calda la mia grande casa di inizio ottocento che da due secoli s’appoggia alla chiesa ed ha ospitato i parroci di Carpenedo.
Ero inoltre lucidamente consapevole che dovevo recidere il più possibile tutti i rapporti con “la sposa” che ormai non era più mia.

Questa separazione è stata molto dura e la sensazione della rottura ideale con la mia gente non è durata qualche giorno o qualche mese, ma ha continuato a farsi sentire per anni.

La nuova piccola comunità che si raccoglieva ogni settimana nella piccola cappella del cimitero era così striminzita che non riusciva a riscaldare il mio cuore abituato alla folla che sette volte ogni domenica riempiva la mia vecchia parrocchia.

D’estate, quando faceva bello, la gente, dispersa tra le tombe, mi riempiva maggiormente l’animo e mi rincuorava, ma poi con le prime brezze autunnali il rimpianto e la nostalgia avevano ancora una volta il sopravvento.

Ora finalmente mi sento padre e pastore di una vera comunità, la chiesa gremita in un ambiente caldo di fraternità, i volti ormai noti e cari, la partecipazione attenta e devota, lo scambio di saluti cordiali mi fanno sentire di poter dare volto e parola al Maestro e le parole e le preghiere sgorgano ora appassionate e fraterne. Ora posso dire d’avere una numerosa splendida comunità con cui camminare con passo lieto e constante verso il Regno. Ogni giorno ed in ogni occasione, ringrazio il Signore di questo grande ed inestimabile dono!