Villa Flangini e i ricordi del “mio piccolo mondo antico”

C’era una mia cara e preziosa collaboratrice, che per molti anni ha gestito la Malga dei Faggi, la casa di montagna per i ragazzi della parrocchia, che ogni giorno mandava qualcuno in paese a comperare “Il Gazzettino” per leggere esclusivamente gli annunci mortuari e l’oroscopo.

Questa abitudine mi spinge talvolta a dare una sbirciata veloce agli avvisi mortuari. Questa mattina ho scoperto con grande sorpresa l’epigrafe di Gianni Pellizzari, il titolare della fabbrica di scarponi “La Nordica” che trent’anni fa mi ha venduto Villa Rossi ad Asolo alla quale poi noi abbiamo dato il nome dei patrizi veneziani Flangini che l’hanno costruita nel 1870.

L’annuncio funebre ha ridestato nel mio animo ricordi, nostalgie, avventure e fatiche di ogni genere per comperarla, restaurarla e gestirla, un vero guazzabuglio di sentimenti!

Avevo creato in parrocchia un piccolo staff di collaboratrici che dedicavano il fine settimana alla ricerca di una struttura nei colli della pedemontana da dedicare agli anziani.

La signorina Russo lesse su “Il Gazzettino” l’offerta di vendita di una villa ad Asolo, il pomeriggio della festa del Corpus Domini, con don Gino partimmo per esplorare l’edificio. Ce ne innamorammo a prima vista, tanto da nascondere un mobile in stile impero che poi la signorina Rita trasformò in un divano.

Possedevo allora soltanto 70 milioni, la signora Albavera che poi vendette la sua casa perché potessimo comperare l’appartamento di Via Comelico, in cui ora è ospitato il sacrestano, ma che allora avevamo attrezzato per ospitare 5 anziane, ci prestò e poi regalò i 40 milioni mancanti.

Poi comincia subito l’avventura del restauro: con gli aiuti di Adriano Rossetto e di Luciano Busatto e la collaborazione di innumerevoli amici.

Arrivavamo ad ospitare in una stagione anche 400 anziani; per le prenotazioni c’era una coda infinita al Ritrovo di via del Rigo.

Ricordo l’inaugurazione con sei corriere di mestrini senza contare le automobili.

Villa Flangini è stata per me, ma anche per la parrocchia, una vera epopea: incontri con i pittori, ritiri per i cresimandi e i ragazzi della prima comunione, giovani in servizio, ed anziani a non finire!

L’anfitrione di casa dottor Zambon, elegante, signorile come un baronetto della Regina d’Inghilterra, che per anni gestì la villa portandola ai fasti antichi. L’immagine di Gianni Pellizzari, il venditore, ha portato a galla una folla di ricordi del “mio piccolo mondo antico” che credevo d’aver seppellito per sempre che ora però scopro che è ancora vivo sotto la cenere.

Noi vecchi d’oggi abbiamo la terribile sfortuna di poter vedere come appassisce presto “la gloria” del mondo che con tanta fatica abbiamo costruito!

Pazienza! Tra tanti vantaggi dobbiamo accettare anche queste melanconiche conclusioni!

Bandiere

In Italia ci sono tantissimi problemi, molto grossi e ce ne sono altri che sono assolutamente fasulli.

I giornali però mescolano questi problemi nella stessa pentola, motivo per cui tanta gente non capisce più quelli che sono importanti da quelli che sono banali.

Io non sono un grande ammiratore del Capo dello Stato, perché le sue scelte politiche del passato e i suoi amici non corrispondevano proprio ai miei gusti ed infatti questi e quelli han fatto decisamente fiasco.

Ora è saltato fuori il problema della bandiera e dei 150 anni dell’Unità d’Italia.

A me piacciono le bandiere, infatti quando sono andato in Svizzera con gli anziani della parrocchia, mi ha fatto una bellissima impressione il fatto che ci fossero bandiere in ogni dove e di tutti i colori. Mi dissero che erano le bandiere dei vari cantoni. Perché non potremo fare anche noi altrettanto?

Quando ero parroco a Carpenedo abbiamo creato il gonfalone della libera parrocchia dei Santi Gervasio e Protasio e per anni senza permesso alcuno, questo gonfalone ha sventolato indisturbato sui pennoni dell’asilo, del Patronato e della Malga dei Faggi.

Non so che male ci sia che ogni regione ed ogni città abbia la propria bandiera da accostare al tricolore che ci accumuna tutti.

Il problema vero semmai è che ogni regione abbia una sua autentica autonomia e perciò si punti alla federazione di stati piuttosto che allo stato unitario imposto con la forza dai piemontesi.

Io ho letto una storia dell’Unità d’Italia vista, non con gli occhi dei vincitori piemontesi, ma con quelli degli stati preesistenti, leggendola ho capito che l’unità d’Italia è stato un sopruso piuttosto che una risposta alle attese del popolo.

La Lega, quando tenta di salvaguardare i dialetti, le tradizioni e le culture locali, non va contro natura, anche se una certa retorica nazionale e soprattutto fascista dà come assoluti dei principi e dei valori che non sono per nulla scontati. Che poi si debbano trovare raccordi, compensazioni e quant’altro per convivere e prosperare assieme ai vari popoli italiani, a quelli europei e del mondo, questa è un’altra questione che non confligge certamente con la valorizzazione di culture ed esigenze locali.

E’ tempo di liberarci da un certo dogmatismo sociale e politico che non ha vere radici, ma solo pretesti ed inconfessati interessi.

Riflessioni e meditazioni a volte difficili ma ricche di speranza

Tutti i miei amici sanno ormai che di primo mattino, dopo aver recitato, con tanta fatica e fra tante distrazioni e non pochi dubbi e ribellioni, il breviario, dedico qualche tempo alla meditazione.

Prima però di ritornare al pensiero che stamane mi ha fatto bene e che desidero rendere partecipi anche i miei amici de “L’incontro”, vorrei anche confidare un altro pensiero, appena letto nella Bibbia, che mi ha turbato e messo in crisi.

Un certo protagonista del popolo eletto, promette a Dio che se l’avesse aiutato a sconfiggere i moabiti o i filistei o chi so io, avrebbe sacrificato la prima creatura che avrebbe incontrato al suo ritorno a casa. Vince ed incontra per prima sua figlia, nel fior degli anni, che esultante accoglieva il padre vincitore.
La parola data a Dio non si può ritirare!

Concede due mesi di tempo alla sua figlia “perchè pianga tra i monti la sua verginità” e poi l’immola.

Ho fatto tutti i salti mortali che mi sono permessi alla mia età però non sono riuscito a comprendere e meno che meno apprezzare “questo pio israelita!”

Per ora lascio ai biblisti il compito di illuminarmi, ma sarà ben difficile che ci riescano!

Per me gli ebrei, tutto sommato, si comportavano pressappoco come gli altri popoli e molto probabilmente se lo son detti loro di essere i preferiti da Dio!

Io sono ben convinto che il Signore ama tutti per fortuna e non fa preferenze!

Vengo al pensiero positivo, che ho compreso senza tanti salti mortali e che tenterò di mettere in pratica.

Dice un buon cristiano che abita in Australia e che ama il mio stesso Signore: “quando la vita ci spinge in nuove direzioni o ci porta ad uno stadio nuovo, spesso ci troviamo a disagio. Possiamo cercare di aggrapparci a quello che ci è familiare piuttosto che attenerci saldamente alla vita e permettere che il cambiamento ci porti lungo sentieri nuovi.

La paura di ciò che non conosciamo sopraffa molti di noi e ci impedisce di godere la vita in tutta la sua abbondanza. Tuttavia, Dio ci chiama verso nuovi orizzonti, nuove avventure e nuovi sentieri. A volte possiamo sentirci come se un vento ci strappasse via dei pezzi, proprio come dal soffione. Ma Dio ha un posto già preparato dove possiamo mettere radici e fiorire di nuovo”.

Questo pensiero non è scritto nella Bibbia, però è molto più sensato di quello che uccide sua figlia per una promessa tanto assurda quanto tragica!

Il “Quinto Vangelo” quello che lo Spirito Santo ispira e fa scrivere nel nostro tempo è più aggiornato e più convincente di quello antico. Comunque mi fa tanto contento e apre il mio animo alla fiducia e alla speranza il fatto che il mio Dio ha già un posto preparato dove possiamo mettere radici e fiorire di nuovo nell’avvicendarsi delle stagioni della nostra vita!

Non ci sono più vocazioni, la gente non si confessa e non viene più a messa, ci sono pochi profeti e quelli che ci sono poco ascoltati. Però di certo il Signore, che non è uno sprovveduto o a corto di fantasia, ha già provveduto; chissà che splendido domani ci sta preparando ed allora perché dovrei scoraggiarmi, uomo di poca fede!

Mio padre, un uomo, e un cristiano

Io ho una famiglia numerosa, mi ci vorrebbe una Treccani per ricordarmi i compleanni, gli onomastici e le varie ricorrenze. Ricordo bene però la data di nascita di mio padre, 2 agosto 1905. Se fosse vivo avrebbe compiuto 104 anni.

Per me però i volti di papà e mamma rimangono sempre gli stessi, mesto e malinconico quello della mamma, che era una donna riservata e taciturna, sorridente ed espansivo quello del babbo, che era invece chiacchierone, socievole ed estroverso, tutto sommato ottimista.

Durante quest’estate, vivendo più spesso in casa e incontrando più frequentemente la foto di papà, che mio fratello, don Roberto ha fatto stampare in occasione della sua morte in centinaia e centinaia di copie con una scritta lapidaria: “Attilio Trevisiol, un uomo, e un cristiano”. Papà è ritratto con la sua insuperabile “Guzzetti”, con il pullover tutto pieno di segatura e di trucioli (l’eterno cruccio di mamma!). Vedendo la foto sono riandato a riflettere al ritratto spirituale di mio padre.

Papà aveva fatto la sesta e per i suoi tempi si riteneva, scherzosamente quasi un intellettuale!

Era un bravo falegname secondo un’accezione del passato, cioè passava con disinvoltura dai serramenti, alla carpenteria e non rifiutava neppure il mobile se glielo commissionavi, il suo orgoglio era soprattutto la carpenteria dei tetti.

Volle una famiglia numerosa, sette figli, che crebbe ai sani principi della vita con la parola ma soprattutto con l’esempio. Era schierato senza tentennamenti e senza dubbi con la chiesa, i preti e per la democrazia cristiana.

Portava in tasca una lettera di De Gasperi, che lui diceva essere autentica, ma che sarà stata stampata in milioni di copie per una delle campagne elettorali!

Quando poi mio fratello prese in mano le redini della bottega, perciò lui poteva prendersi permessi ordinari e straordinari, prendeva la sua “Guzzetti” ed andava all’ospedale di San Donà, ogni settimana, a trovare gli ammalati del paese, conosceva tutti e dispensava a piene mani le sue preghiere, e a nostra insaputa anche quelle dei suoi due figli preti. Era un modo per manifestare l’orgoglio d’aver donato alla chiesa due figli.

A noi poi, per metterci in pace, ci tacitava dicendo che nel ritorno diceva qualche Ave Maria in nostra vece. Spesso invidio mio padre perchè non ebbe mai dubbi, incertezze e perplessità, si impegnò per il bene, un bene certo, assoluto, mentre noi figli del nostro tempo, abbiamo mille tarli che rodono anche le certezze più sicure!

Belle anime vergini in preghiera per noi povera gente

Mi è giunta qualche giorno fa in una busta bianca una bella cartolina che ritrae papa Wojtyla che affacciato alla sponda di una grande imbarcazione in navigazione, guarda sorridente e fiducioso il mare sconfinato. Nel retro della cartolina un ringraziamento per “L’incontro”, che qualcuno recapita perfino in un Carmelo di Venezia.

Una scrittura minuta ed ordinata di una carmelitana scalza che mi ricorda, che prega per me e che chiede la mia benedizione.

La cartolina mi ha fatto molto felice; mi è parso di sentire un soffio fresco e profumato di primavera raggiungermi in casa durante questa torrida estate.

L’anno scorso ho pubblicato qualche pezzo di una singolare corrispondenza spirituale tra le monache di un eremo toscano “Le piccole allodole di Dio”, con Gandhi e in questi giorni mi è capitato di leggere una relazione dello scambio epistolare tra don Mazzolari e la priora di questo piccolo e sperduto convento toscano.

Centinaia di lettere delicate e sublimi tra anime veramente grandi per la fede, la libertà interiore e l’amore all’uomo.

Io non sono uomo e prete da potermi inserire in questi circuiti ascetici e mistici!

Le carmelitane mi scrivono con accenti delicati e spirituali pregni di fede pressappoco a Natale e a Pasqua ed io rispondo con qualche parola sobria tolta da un repertorio assai banale.

Non sono mai stato in quel convento di Venezia e quasi certamente, conoscendomi, non ci andrò neanche in futuro. Mi fa però molto piacere sapere che a Venezia ci sono delle anime vergini che amano l’amore e che donano la loro freschezza spirituale a noi povera gente impolverata dai problemi e dalle vicende poco sublimi di questo povero mondo. Io non coltivo nel mio animo volti come Beatrice di Dante o la Laura del Petrarca, che mi facciano sognare bontà e bellezza, amore e poesia, però mi fa piacere e mi consola che tra le vecchie mura screpolate ed umide di un vecchio convento veneziano ci siano queste belle e care creature, che posso solo sognare, le quali pregano anche per questo vecchio prete che i guai se li va a cercare in ogni occasione!

Critiche eccessive

Sono sempre stato convinto che la scelta politica assomigli molto ad una scelta di fede. Le ragioni per le quali uno aderisce ad un partito, obiettivamente, sono sempre quasi inconsistenti, valgono solamente per chi fa quella scelta, ma quasi sempre non sono razionalmente condivisibili dagli altri.

Ora poi che si sono sbiadite al massimo le ideologie, le motivazioni della scelta di un partito da sostenere sono ancora più inconsistenti. Ho notato però che anche in questo settore, quando un cittadino si è “convertito” da poco ad una determinata fede politica, diventa piuttosto fanatico, cosa che pensavo avvenisse solamente nei riguardi della religione.

Sono arrivato a queste conclusioni qualche mese fa notando di settimana in settimana lo slittamento a sinistra di “Famiglia Cristiana”, la rivista che è nata e cresciuta all’ombra dei campanili d’Italia e che ora, non so per quale morbo, sta diventando sempre più decisamente antigovernativa.

Io, ripeto ancora una volta, sono vecchio, inesperto di politica ma non riesco proprio a comprendere perché questa rivista cristiana, se la prenda tanto con le “ronde”.

Ci sono cittadini nottambuli, che desiderano perseguire i ladri e i lazzaroni, non so con quale dogma confligga la loro offerta di servizio!

Secondo, abbiamo un sacco di soldati volontari, che ci costano un patrimonio e marciscono fortunatamente nelle caserme senza far nulla; non so proprio quale articolo del credo proibisca che diano una mano alla polizia nel perseguire il crimine e salvaguardare la sicurezza!

Terzo, io non ho nulla contro gli extracomunitari, anzi, sono loro riconoscente perchè fanno i lavori che gli italiani non vogliono più fare, mi commuovo di fronte alle mamme che stanno lontane dai figli per poter dar loro da mangiare.

Non trovo però strano, che debbano chiedere permesso per entrare in casa d’altri, cioè in casa nostra, che dicano dove stanno e cosa fanno.
Non mi pare proprio qualcosa di disdicevole. Tutti gli Stati fanno così.

Il ministro Maroni giustamente s’è riferito al Vaticano. Se tu provi ad entrare senza permesso, nel piccolo Stato del Vaticano, la guardia svizzera ti blocca anche se gli dimostri di fare tre comunioni al giorno!

Credo che se “Famiglia Cristiana” ci offrisse meno frivolezze e meno faziosità forse sarebbe davvero un po’ più cristiana!

Ed ora, so per esperienza, che mi si accuserà di reazionario e leghista.
Pazienza! Oro buono non prende macchia!

Il dialogo e la conoscenza renderebbero la nostra vita più facile

Più di una volta avevo incontrato nei corridoi, spesso affollati del don Vecchi, due giovani, un ragazzo ed una ragazza che venivano a trovare i loro vecchi genitori, che un po’ come tutti gli anziani del don Vecchi, erano acciaccati e traballanti.

Io poi abito in un alloggio la cui porta si affaccia nel “corso” principale della struttura, una specie di corso del Popolo o di viale Garibaldi per i quali passa tantissima gente.
Si solito un cenno di saluto e nulla più.

Al don Vecchi siamo decine e decine di persone che ogni giorno transitano all’interno del “borgo”.

Spesso è gente frettolosa, che tornando dal lavoro dà un saluto al proprio vecchio o gli porta un po’ di provviste e poi torna sollecito alla sua famiglia o alle sue cose.

Gli addetti ai rapporti con i residenti mi avevano più di una volta informato che quei figlioli avevano molta attenzione per i loro vecchi genitori, li aiutavano nelle loro difficoltà, che non erano proprio poche.

Non sempre avviene tutto questo, però fortunatamente non è raro che dei figli abbiano, pure tra le tante incombenze della vita d’oggi, queste premure per i loro genitori.

Il babbo di questo giovane era ammalato da tempo, pareva che la situazione si fosse stabilizzata, senonchè, non so per quale motivo s’è rotto questo equilibrio precario, fu necessario il ricovero in ospedale e in pochi giorni egli è venuto a mancare.

Questi due figli sono venuti a trovarmi prima del funerale, hanno parlato quasi sempre loro. Nell’oretta che abbiamo passato insieme, come in un film ho preso conoscenza della vita di questa creatura e di questa famiglia.

Mi è stata tanto cara questa conversazione pacata, in cui ho preso conoscenza delle vicende di queste vite, con gli aspetti belli e quelli meno belli come avviene per tutti.

Quanto sarebbe opportuno che ci ritagliassimo degli spazi per il dialogo, per la confidenza, per l’incontro!

Se conoscessimo un po’ di più le nostre vicende, i nostri rapporti sarebbero certamente più caldi, più umani e più fraterni, li comprenderemo molto di più e forse ci daremmo meglio una mano a superare le difficoltà che non mancano mai.

Noi, uomini del nostro tempo, viviamo a stretto contatto di gomito, da mattina a sera con centinaia di uomini e donne, ma spesso, come afferma uno scrittore d’oriente “pare che tra noi e il prossimo che ci divide la muraglia cinese”.
Purtroppo ciò è vero!

Sono già felice che tra me e quei due ragazzi non ci sia più la muraglia, l’abbiamo abbattuta, come il muro di Berlino, soltanto con un’ora di confidenze!

Tutti corrono, ma verso dove?

Da qualche mese adopero sempre come prima lettura nella messa dei funerali, un brano di una lettera di San Paolo, perché è breve, lapidaria e dà un annuncio preciso, forte, limpido, senza sbavature o possibilità di fraintendimento.
“Fratelli la vostra Patria è nei cieli!”

Siccome spesso il funerale coincide con la messa d’orario, c’è qualche fedele “fedele” che è costretto a sentire sempre lo stesso messaggio.

Però, confesso, che almeno per ora, non riesco a scegliere, pur nel vasto repertorio di brani indicati per questa circostanza, un messaggio diverso.

Mi pare che in questo momento, un prete debba soprattutto dare questa notizia ad un popolo, che pare impazzito e che, quasi punto da un virus misterioso, corre pazzamente verso una meta che non conosce.

Ricordo che tantissimi anni fa ho visto un bellissimo ed impressionante documentario che riguardava la vita di certi ratti. Il documentario illustrava uno stranissimo e sorprendente comportamento di certi piccoli topi che vivevano nella tundra e si moltiplicavano in maniera davvero impressionante. Ad un certo momento scattava come una molla e questo popolo di topi si metteva a correre in maniera folle verso il mare, entrava nelle acque gelide affogando tra le onde fredde.

La voce fuori campo commentava che la legge sapiente della natura faceva scattare questa molla, perché non essendoci cibo per tutti, la natura provvedeva alla sopravvivenza della specie facendo affogare la stragrande maggioranza e lasciando ai pochi superstiti il compito della riproduzione.

L’uomo d’oggi mi pare abbia ormai un comportamento abbastanza simile; preso dalla frenesia di certi miti, corre pazzamente affollando strade in colonne d’auto assurde, riempiendo ristoranti, città, spiagge, treni, laghi, aerei con un flusso incessante di masse d’uomini.

Non so se il monito forte e preciso di San Paolo, a cui do voce, possa in qualche modo fermare la corsa suicida, permettere alla gente di chiedersi: “Dove vado? Perché lo faccio? Dove mi porta questa corsa sfrenata?” Non so proprio. Temo di no!

Però io voglio fare la mia parte, compiere il mio dovere, tentare di fermare la mia gente perché rifletta, recuperi libertà e saggezza e possa vivere una vita più serena, più saggia e più bella!

Ho visto lacrime, smarrimento, difficoltà negli occhi di chi lascia il proprio paese…

Confesso che ho seri motivi per sentirmi profondamente coinvolto dal problema degli extracomunitari presenti a centinaia di migliaia nel nostro Paese.

Dopo la prima guerra mondiale il nonno “che suppongo fosse dei bianchi” del mio paese natio, quindi non avesse nulla a che fare né coi “rossi”, né coi “neri”, trovandosi in difficoltà fece fagotto ed emigrò in Brasile con tutti i suoi figli, mia madre compresa. Non fecero fortuna ma vissero dignitosamente. La mamma era allora fidanzata a mio padre, il nonno la riaccompagnò in Italia, ella si sposò, il nonno rimase ancora un paio d’anni finchè nacqui io, poi se ne tornò dagli altri figli a San Paulo, ove è morto e dove sono morti tutti i miei zii.

La mamma visse tutta la vita con la nostalgia del padre e dei fratelli lontani.

Un paio di loro, dopo la seconda guerra mondiale, ritornarono per qualche mese, ebbi modo così di rendermi conto dell’immensa nostalgia del paese natio, della propria terra e della propria gente.

Quando si presentò il problema dell’immigrazione anche da noi, mi sentii totalmente coinvolto dallo smarrimento di tutta la gente che cercava lavoro e pane piovendo da tutti i paesi satelliti della Russia, caduti nella più profonda miseria.

Diedi vita al “senior service” un’agenzia di volontari che per molti anni mise a contatto l’offerta con la richiesta. Molti mi dissuasero, non chiedevo di certo documenti, chiedevo solamente se avevano bisogno. Un monsignore qualificato in un incontro tra preti mi ammonì: “Ricordati don Armando, che prima di tutto vale la legalità”.

Tirai dritto per la mia strada essendo convinto che prima di tutto e soprattutto vale “la carità” .

Ora sono fuori corso e non competono più a me scelte del genere, poi credo che le cose siano decisamente cambiate e che lo Stato, seppur confusamente, stia pian piano riordinando le leggi in rapporto a tanti fattori, però ancora adesso ho visto lacrime, smarrimento, difficoltà.

Ad una ragazza che mi implorava aiuto per legalizzare la sua situazione, dicendomi che in Moldavia chi guadagna tantissimo prende 200 euro al mese, chiesi: “ma come fanno a vivere?”

Ella mi rispose che in ogni famiglia almeno una donna lavora all’estero per mandare i soldi a casa! Povere donne, bambini senza mamme! Ci sono popoli che pagano ancora così duramente la follia del comunismo!

Io non so se le leggi attuali siano le migliori e le più opportune, sono però certo che ognuno deve fare la sua parte per trovare un nuovo ordine in Europa e sono altresì certo che ognuno di noi può fare qualcosa!

Ricordo di mons. Alessandro Maria Gottardi, mio vecchio insegnante

In queste ultime settimane le orazioni contenute nella liturgia della Messa mi hanno riportato a più viva memoria, un mio insegnante di teologia: mons. Alessandro Maria Gottardi.

Mons. Gottardi giocò un ruolo molto importante mezzo secolo fa nella chiesa veneziana; nato da una notissima e agiata famiglia di farmacisti, si laureò a Roma nella facoltà di teologia, fu per lungo tempo vicario generale e contemporaneamente si occupò dei laureati cattolici, pur mantenendo la sua cattedra di teologia in seminario.

Infine la santa Sede lo nominò “vescovo di Trento”, ove visse fino a tardissima età.

Io in verità fui più amico del fratello Piero di questo insegnante, che per molti anni fu amministratore della San Vincenzo cittadina, proprio nel periodo in cui io fui assistente eclesiastico.

Mentre il fratello Piero era un veneziano puro sangue, cordialone ed espansivo, il Monsignore era un docente rigoroso, pignolo, cerebrale, motivo per cui la materia, ch’egli insegnava, non mi fu mai molto simpatica, perché a mio modo di pensare l’insegnamento era piuttosto formale, artificioso e soprattutto perché egli adoperava delle dispense, che a mio parere davano poco spazio all’anima mia che aspirava ad una religiosità di largo respiro.
Comunque ogni incontro deposita qualcosa di valido in chi lo riceve.

In questi giorni ho provato riconoscenza per mons. Gottardi, se non altro per averci segnalato la bellezza di certe “collette” della liturgia eucaristica, motivo per cui per due settimane ho pregato con più entusiasmo ed intensità.

Ne riporto due brevi passaggi di queste preghiere nella speranza che a qualcuno porti il beneficio che ha donato a me le sottolineature di un vecchio docente, che purtroppo non mi fu molto simpatico.

La preghiera iniziale della messa della ventesima settimana recita cosi:

O Dio infondi in noi la dolcezza del tuo amore, perché amandoti in ogni cosa e sopra ogni cosa, otteniamo i beni da te promessi che superano/ogni desiderio.

Bella davvero questa invocazione!
L’orazione della 21° settimana è ancora più bella:

O Dio, concedi al tuo popolo di amare ciò che comandi, e di desiderare ciò che prometti, perché fra le vicende del mondo, là siano fissi i nostri cuori dove è la vera gioia.

Queste preghiere mi hanno indotto ad una pace postuma con mons. Alessandro Maria Gottardi!

Vacanze in città lontano dalla moda e dalle code

Immagino che non ci sia a Mestre qualcuno così ingenuo da pensare che verso sera, o prima di andare a letto, ripensando ai fatti o agli incontri della giornata, riporti sulla carta sensazioni o riflessioni provate in rapporto a quello che ho visto o sentito durante il giorno.

Le cose non stanno così. Quando qualcosa della realtà in cui vivo, provoca in me delle reazioni o dei sentimenti, faccio un appunto poi, quando ho un po’ di tempo, butto giù qualche riga per mettere a fuoco quello che ho provato, oppure ho concluso sperando che tutto questo possa aiutare qualche amico lettore de “L’incontro”. Quindi il legame o il rapporto tra il giorno segnato sul diario e l’avvenimento sono del tutto fittizi. Spessissimo ciò di cui descrivo sotto il nome di un giorno è datato in realtà in tempi più lontani, talvolta perfino di mesi.

Qualche volta mi è capitato di fare riflessioni sulla pioggia come fosse caduta il giorno prima, mentre nel giorno segnato sul calendario, il sole spaccava le pietre.

Oggi sto godendo particolarmente della mia città in solitudine, per cui sto provando le dolci e soavi sensazioni di San Benedetto da Norcia “O beata solitudine, o sola beatitudine”

La città è semideserta in questi giorni vicini a ferragosto, il ritmo sia di veicoli che di persone è di molto rallentato per cui mi godo appieno questa “fase agostana” e sento tanta commiserazione e compatimento per le pene di chi è imbrigliato in venti, trenta chilometri di coda, mentre io posso muovermi agilmente, trovo da parcheggiare ogni dove.

Cosa cerca la gente?
Immagino la pace, il silenzio, il riposo tranquillo, ma allora perché li va a cercare lontano, in luoghi scomodi e costosi, quando tutti sanno che la sagra durante agosto si sposta puntualmente a causa delle ferree leggi economiche ove negli altri mesi c’è silenzio e pace.

E’ arcinota a tutti questa alternanza di situazioni, eppure non passa anno che la gente non segua il magico pifferaio della moda che puntualmente li delude a caro prezzo.

Mi viene da pensare che la libertà più elementare la si conquista prima di tutto pensando con la propria testa, non intruppandosi con la maggioranza! Anche quest’anno quindi mi sto godendo beatamente le vacanze in città.

La comunicazione cristiana nella nostra diocesi

Ieri ho precisato il mio pensiero sull’importanza di avere strumenti adeguati per offrire il messaggio cristiano, per difendere le posizioni della chiesa, per contrappormi a certe soperchierie dei “furbi”, che non mancano mai, per promuovere la solidarietà e soprattutto per partecipare al discorso circa la costruzione di un mondo nuovo e più onesto.

Sono assolutamente del parere che nonostante qualche splendida eccezione, a livello di comunità parrocchiale, si fa troppo poco in proposito.

Più volte ho avuto modo di apprezzare pubblicamente l’azione di Monsignor Bonini in proposito mediante “Piazza Maggiore”, c’è anche qualche altra parrocchia in cui esce un periodico modesto, ma dignitoso, oltre c’è il deserto.

A livello diocesano le cose vanno bene, molto meglio, col settimanale “Gente Veneta”; mi spiace invece la pratica scomparsa di quello che è stata la mia utopia: “Radiocarpini”.

Per quanto riguarda il settimanale della diocesi “Gente Veneta” sta costantemente aumentando in autorevolezza e partecipazione attiva alla messa a punto del pensiero collettivo apportando un serio contributo sia a livello informativo che a livello di formazione di una cultura civica che tenga conto dei valori che i cristiani possono e debbono offrire.

So che la diocesi è pure attrezzata con i recenti mass-media; purtroppo la mia mancanza di conoscenza in proposito, dovuta all’età, non mi permette di esprimere un giudizio sulla validità e l’incisività di questi nuovi strumenti tesi a formare l’opinione pubblica.

Un altro aspetto del problema è certamente quello di un impegno pastorale teso a formare i giornalisti ed operatori del settore con una pastorale specifica e quello d’avere rapporti cordiali e collaborativi con le testate giornalistiche, radiofoniche e televisive presenti nel nostro territorio. Non sono al corrente se ci sono sacerdoti qualificati e deputati a questo compito che io reputo essere di capitale importanza, ma so che quando ci sono questi rapporti è possibile sfruttare graficamente i loro strumenti.

Pare che troppi preti siano ancora fermi alla predica domenicale come strumento di evangelizzazione, non essendosi ancora accorti che il sermone raggiunge una percentuale pressoché insignificante di cittadini e che spesso non sfiora neppure quelli che svolgono un ruolo significativo nella vita cittadina.

Di certo la chiesa non può più rannicchiarsi nelle anse del fiume, ma deve affrontare le problematiche della città ove essa scorre, nè tutto questo può essere deputato solamente agli addetti ai lavori.

Uomini al guinzaglio

Thomas Merton, il famoso monaco americano, trova spunto per la sua ricerca interiore, da fatti minuti della vita quotidiana.

A pensarci bene questo mistico ha perfettamente ragione, perché quella che apparentemente sembra la monotonia del quotidiano, è invece piena zeppa di fatti, situazioni ed eventi minuti, che con un pizzico di fantasia e di attenzione ti possono far volare alto ed aiutarti a scoprire il volto migliore e più profondo della vita. Specie durante la bella stagione, facendo di buon mattino il solito percorso dal don Vecchi al cimitero, ho modo di incontrare ogni giorno almeno tre o quattro signori che conducono il loro cane al guinzaglio per fare la passeggiata mattutina, permettendo al loro cane di annusare l’erba con la rugiada, d’accertarsi delle novità ed anche fare i loro bisognini nei luoghi e nella forma in cui essi preferiscono.

E’ veramente, quello dei cani a passeggio, uno spettacolo interessantissimo. Osservando, pur rapidamente con la mia nuova Punto, trovo lo spettacolo quanto mai vario, perché i cani, grandi o piccoli, hanno degli interessi che mi risultano sconosciuti.

I padroni pazienti ed obbedienti, per amore o per forza, sono costretti ad assecondarli anche se sono poco più grandi di un topo, tanto che in questi ultimi giorni mi sono chiesto, durante il mio filosofeggiare sulla passeggiata mattutina dei cani, se piuttosto di essere il padrone a tenere al guinzaglio il cane, non sia quest’ultimo a condurre al guinzaglio il suo padrone?

Poi ho compreso che l’uomo d’oggi, che come non mai s’illude di essere libero, non sia al guinzaglio di mille bestie: dall’opinione pubblica, al giornale che legge, dalla sua automobile, alle scelte politiche irrazionali e da mille altri idoli del nostro tempo che gli hanno messo il collare al collo e gli impongono ogni capriccio! Povero uomo!

Quante storie sarebbe importante conoscere!

Al don Vecchi vive più di un bel pezzo da novanta ed oltre. Non tutti sono ugualmente efficienti, ma qualcuno brilla veramente per lucidità e saggezza.

In quest’ultimo tempo ho avuto modo di approfondire maggiormente la conoscenza e la stima verso un mio coinquilino, con cui non avevo avuto finora un rapporto approfondito. E’ stata veramente una bella sorpresa apprendere ciò che ci stava sotto il comportamento corretto e riservato di questo vecchio signore d’altri tempi.

Il suo ricovero in ospedale, prima per un incidente d’auto e la visita in casa sua, dopo i postumi dell’incidente, mi dettero modo di conoscere in maniera più approfondita non solamente la calda umanità, la lucidissima intelligenza, che lo sorregge ottimamente, ma anche le vicissitudini che hanno caratterizzato il suo lungo passato.

Il signor Manzella, che all’apparenza sembra un tranquillo e nobile signore del Centro sud, ha un passato vivace ed intenso, infatti ha partecipato, da protagonista, alla guerra sui mari dell’ultimo conflitto mondiale.

Ufficiale di complemento ha conosciuto direttamente le vicende epiche delle squadriglie di sommergibilisti che hanno operato nell’Adriatico, nell’Oceano Atlantico e perfino nel lontanissimo Oceano Pacifico.

E’ stato per me interessante ascoltare il racconto appassionato di questo vecchio lupo di mare che narrava con sapienza e distacco vicende così tragiche e disumane.

In questi ultimi tempi, tante volte mi è venuto da pensare: “Noi vediamo spesso volti stanchi e logori, ma dietro quei volti quante vicende, quanti drammi e quante storie che rimangono coperte da un velo di riservatezza, se si permettesse che venissero a galla scopriremmo la calda umanità di uomini e donne che hanno rischiato, sofferto e lottato e che meritano tutta l’attenzione, la stima e la riconoscenza dell’intera comunità.

Una città di cui essere orgogliosi

Io non brillo per obiettività, spesso mi accorgo di essere partigiano e di avere atteggiamenti, che pur non essendo dettati da motivi egoistici, non sempre hanno delle motivazioni razionali ben solide.

Vengo al motivo di questa confessione pubblica.

Mio cognato Amedeo, al chiudersi di una giornata passata serenamente, come tante altre con gli amici del don Vecchi, fu colpito improvvisamente da ictus che gli tolse immediatamente coscienza e che praticamente lo ridusse ad una vita puramente vegetativa.

Telefonammo al 118 e dopo una decina di minuti fu soccorso e portato all’Angelo. Andai il giorno dopo e lo trovai morente in una stanzetta linda, ordinata. Il primario l’aveva già visto e i medici stavano tentando le cure del caso, ma ben presto si capì che non c’era più nulla da fare.

Mia sorella e i miei nipoti lo assistettero giorno e notte per una quindicina di giorni più per un bisogno del cuore che per necessità od opportunità alcuna. L’Angelo è una struttura affascinante da un punto di vista architettonico, specie ora che le palme del giardino pensile si sono sviluppate in tutto il loro splendore, ma il servizio, la pulizia, la preparazione professionale dei sanitari, la premura e la gentilezza degli infermieri non è certamente da meno.

I miei quattro nipoti che lavorano nel mondo dell’aria, quali piloti, comandanti o tecnici di volo, sono stati ammirati e sorpresi di tanta efficienza e di tanta premura ed umanità, tanto da sentire il bisogno di ringraziare a voce e per iscritto dell’assistenza al loro padre durante i quindici giorni di degenza che lo separavano dalla morte. Fossero tutti gli uffici pubblici efficienti quanto il nostro ospedale!

A Mestre strade, piazze stanno decisamente migliorando: la città è certamente più ordinata e più bella. Speriamo che una volta conclusi i cantieri del tram possiamo finalmente provare anche noi un pizzico di orgoglio d’abitare in una città, che da periferia e dormitorio, sta diventando pian piano la sorella meno nobile, ma più efficiente di Venezia!