Meglio sbagliare per eccesso

Ci sono persone che “vanno a nozze” quando, secondo loro, riescono a pescarmi in fallo, però penso anche, non so se a torto o a ragione e sarei molto felice se fosse quest’ultimo il motivo, che in città mi si consideri il difensore dei poveri, dei vecchi e degli emarginati per antonomasia. È vero, il problema degli “ultimi” mi sta veramente a cuore ed è altrettanto vero che reputo, lo ribadisco ancora una volta, che un cristianesimo che si esaurisce nei riti e nelle preghiere e non diventa impegno concreto a favore dei fratelli più fragili è “aria fritta”! Per mia fortuna ora anche Papa Francesco afferma la stessa cosa.

A causa di queste mie convinzioni, quando qualcuno constata che secondo lui un povero non è meritevole di aiuto perché ha dei comportamenti disdicevoli, mi rinfaccia l’episodio, quasi a volermi dire: “Vedi quanto sbagli?” e in queste ultime settimane questa “accusa” mi è stata rivolta con compiacimento e sarcasmo.

Veniamo ai fatti. Una signora di Viale Don Sturzo ha suonato il campanello della mia porta con in mano una scatola di tortellini dicendomi che una persona, tra le mille che ogni settimana vengono a ritirare generi alimentari, si era seduta sulla panchina del parco ed aveva lasciato per terra quattro o cinque scatole di tortellini. Ho tentato di spiegarle che forse si era trattato di un mussulmano timoroso che contenessero carne di maiale, anche se però erano tortellini ai funghi. “Veda di provvedere!” mi ha detto quasi li avesse pagati lei quei tortellini.

Due o tre settimane fa ho scritto di una signora bulgara che aveva perso casa e lavoro dopo essere stata investita da un’auto. Mi sono impegnato per il primo soccorso ma poi, constatando che era impossibile assicurarle alloggio e mantenimento, le ho consigliato di tornare in Bulgaria dai suoi. Lei, dopo qualche resistenza perché pensava di ottenere un risarcimento per il danno che le era stato arrecato, mi ha chiesto i soldi per il viaggio, soldi che io le ho dato volentieri. Sennonché una lettrice de “L’incontro” mi ha telefonato informandomi che quella signora era stata la badante di sua madre ed aveva usato sia il suo Bancomat che quello di sua madre per rubarle del denaro e inoltre che una sua amica l’aveva vista a Mestre nonostante, secondo me, dovesse essere già in Bulgaria. Ho pensato che molto probabilmente era stata lusingata dai soldi che si aspettava di ricevere dall’assicurazione.

Potrei proseguire con altri racconti simili però penso che bastino questi per tirare una conclusione e dare una risposta. Dal Vangelo arrivano moniti molto chiari: “Ebbe compassione della folla perché gli appariva un gregge disperso e disorientato perché senza pastore” ed inoltre “Chi non ha mai peccato scagli la prima pietra”. Una mia cara amica della San Vincenzo un giorno in cui le facevano notare quanto fosse credulona ed eccessivamente generosa con i poveri rispose: “Quando mi presenterò al giudizio di Dio se fossi accusata di questo errore potrei ribattere che suo figlio Gesù è stato il primo a sbagliare per eccesso, però se avessi sbagliato per difetto non saprei come difendermi!”.

“Il mandato”

Ci sono delle persone alle quali devo tutto. Il papà sognatore e ricco di ideali; la mamma concreta e generosa così da dare tutto di sé; don Giuseppe Callegaro, il prete della mia fanciullezza, cordiale, sorridente ed affettuoso; don Nardino Mazzardis, il sacerdote, nato in un paese disperso nella campagna, lucido, intelligente, fu lui il prete che costruì la mia coscienza ed innescò la scelta di farmi sacerdote; monsignor Umberto Mezzaroba, parroco della mia adolescenza e successivamente parroco delle mie prime esperienze pastorali, un prete di una fede assoluta e di una passione autentica per le anime; don Giuliano Bertoli che mi inserì nel mondo giovanile mediante gli scout; monsignor Aldo Da Villa, mio parroco a San Lorenzo che mi offrì una testimonianza maschia e forte del pastore di anime; monsignor Valentino Vecchi, prete dalle infinite iniziative che aprì il mio animo alla città e alla Chiesa che cammina.

A queste figure vicine devo aggiungere anche quelle ideali come Papa Pio XII, Paolo VI, Papa Giovanni Paolo II e i miei Patriarchi: Agostini, Urbani, Roncalli, Luciani, Scola e i preti che mi fecero sognare una Chiesa bella, libera, povera, da Vangelo come don Milani, don Mazzolari e padre Turoldo. A questi preti e vescovi devo molto per tutto il bene che mi hanno fatto e per questo li ringrazio e prego per loro.

Bella lezione?

Quando usciranno queste note di certo la tragicommedia della Grecia sarà, almeno dal punto di vista mediatico, finita anche se nel concreto il popolo greco dovrà continuare a pagare in silenzio gli errori dei suoi governanti.

Ricordo che al tempo in cui La Pira era sindaco a Firenze ci fu un grande sciopero in città, uno sciopero che la “Celere” di allora represse con la forza. Alla sera di quel giorno infausto il prefetto di Firenze poté scrivere al Governo: “La pace è ritornata a Rifredi!”. Ma quale pace? La pace della repressione non certo quella della libertà e della giustizia. Con quanto si è scritto in queste ultime settimane sulla Grecia, sulla sua situazione economica, su suoi rapporti con l’Europa, sul suo governo e sul suo popolo credo che potremmo riempire qualche volume della Treccani.

Io ho ascoltato e letto tutto quello che ho potuto per farmi un’opinione su questi eventi della storia recente d’Europa. Ho capito che la questione è terribilmente complessa, piena di egoismi, di sopraffazioni, di spavalderia gratuita, di avventurismo sociale, di gente che ha pronunciato parole non per trovare una soluzione possibile e vantaggiosa per tutti ma quasi sempre per coprire le proprie “vergogne”. Da questa diatriba nessun governo è uscito pulito e con dignità: troppi interessi, troppi egoismi e troppa prepotenza! Dico questo perché non ho letto alcun commento che non contenesse almeno un pizzico di verità, purtroppo però diluito in un mare di menzogne perché ognuno dei protagonisti ha tentato con ogni mezzo di fare i propri interessi e non quelli del “popolo europeo”, popolo che a tutt’oggi non esiste, dimostrando, ancora una volta, quanto i vari nazionalismi siano tutt’ora presenti e imperanti.

Ho fatto questa lunga premessa per confessare che sono assolutamente conscio della complessità del problema ma, sento anche il bisogno e il dovere di affermare che, nonostante le pantomime, le sbruffonate e le spacconate degli attuali governanti della Grecia, è fuori di dubbio che i debiti si devono pagare e che le condizioni, pur con la dovuta attenzione e il dovuto rispetto nei confronti di chi è povero, le stabilisce il creditore e non il debitore. Mi ha molto infastidito la farsa della consultazione popolare e la conseguente affermazione che la Grecia può dare lezioni di democrazia. I governi, se vogliono essere degni di tale nome, non possono comportarsi come bari o imbroglioni ma devono fare di tutto per onorare i loro impegni senza pretendere l’aiuto altrui ma chiedendolo con umiltà e correttezza e solo quando non esistono altre soluzioni.

Accontentato!

Non vorrei che gli amici de “L’incontro” pensassero che questo vecchio prete passi ormai il tempo a vedere i film che la televisione propina con estrema generosità. Vi ho confidato che sono di gusti un po’ particolari per cui rifiuto la banalità, la violenza e soprattutto la moda imperante. Ora, pur occupandomi di molte meno cose che in passato, per farle impiego più tempo perché rendo meno e quindi il tempo disponibile è comunque sempre poco anche se è pur vero che in questi ultimi mesi mi sono lasciato vincere dalla “tentazione” di vedere due o tre pellicole, cosa che ho già confidato in precedenti interventi.

Una di queste occasioni mi è capitata qualche sera fa guardando Rai Storia, uno dei pochi canali che ancora mi incuriosisce. Quella sera, nella rassegna di avvenimenti di un certo rilievo o di una certa curiosità avvenuti in tempi passati nello stesso giorno dell’anno, si raccontava la storia di una delle prime amanti di Mussolini: una donna che gli ha dato un figlio e che poi è morta a San Servolo, il manicomio di Venezia, non so se demente o fatta passare per tale dal Duce. In quella serata Rai Storia ha trasmesso il film di un famoso regista, di cui, come sempre, ho dimenticato il nome, sulla vita del dittatore di Predappio: uomo che non riesco a capire come sia riuscito ad incantare l’Italia e a portarla alla tragedia della guerra!

Fin dalle prime inquadrature ho intuito che si trattava di un film di spessore e così ho deciso di vederlo sennonché, a causa di un temporale, la visione è risultata tanto disturbata da dovermi rassegnare a spegnere il televisore il cui schermo era diventato un caleidoscopio estremante irritante. Mi sono bastate però le poche scene, che sono riuscito a vedere, per capire, più di quanto non sia riuscito a capire nel ventennio, quanto fosse squallida la persona di questo dittatore che, all’inizio della sua carriera politica, ha approfittato del denaro di una povera ragazza che si era innamorata di lui e che poi ha fatto rinchiudere a San Servolo dove morì dopo anni di solitudine e di disperazione.

La scena successiva è stata ancora più allucinante. Trattava di un episodio di cui avevo sentito parlare vagamente ma di cui il regista ha descritto magistralmente il clima a dir poco agghiacciante. Nella sede del partito socialista, alla presenza di un numeroso gruppo di compagni, Mussolini affermò con la solita boria: “Io sono ateo e vi do la dimostrazione che Dio non esiste!”. Si fece dare un orologio e poi affermò con aria di sfida: “Sono le diciannove, concedo a Dio, se esiste, cinque minuti di tempo per fulminarmi”. Passato il poco tempo riprese la parola e affermò: “Ecco la prova che Dio non esiste”. Questo fu il Duce d’Italia! Mentre finiva di parlare, nel mio spirito la pellicola ha continuato a proiettare sul mio schermo interiore l’immagine di quel mattino lugubre a Dongo mentre Mussolini, con il cappotto della Wehrmacht e con accanto l’ultima amante, cadde sotto la raffica di un mitra. La sorte di chi sfida il cielo è sempre triste e desolata!

Il Tommaso che amo

Penso che ciascuno abbia il diritto di scegliersi gli amici che predilige. Io ammiro e amo San Pietro perché in ogni occasione è sempre stato franco e autentico. Le affermazioni del Vicario di Gesù sono sempre immediate e coraggiose ma soprattutto gli escono dal cuore. Amo anche Paolo, il convertito, l’uomo audace che ha saputo guardare avanti, che ha avuto fiducia nella capacità dell’uomo di aderire al messaggio di Gesù, che non si è adagiato contando sui “vicini” ma ha giocato tutte le sue carte sui lontani e ha vinto.

Amo in maniera appassionata Giacomo, l’uomo concreto, che non cammina con la testa tra le nuvole ma che, con tanta concretezza, cala nella realtà del quotidiano e del bisogno il comandamento di Cristo sulla solidarietà. Giacomo mi è tanto affine da risultarmi naturale aderire alla sua logica che non svolazza nella stratosfera ma con convinzione insegna ad essere concreti nella carità, anche se questo ci costringe a sporcarci le mani per raggiungere un risultato che non è mai perfetto. San Giacomo è stato il mio consigliere nelle imprese nelle quali mi sono lasciato coinvolgere, il mio “consulente fiscale” di “manica larga”, il mio confessore ma soprattutto il direttore spirituale che mi ha aiutato a sopravvivere alle critiche dei confratelli e alle malignità dei parolai.

Confesso però di avere un debole anche per San Tommaso. Ho la sensazione che, a causa di quella dolce, amabile e cordiale osservazione di Gesù “Tommaso non essere incredulo ma credente!”, la tradizione millenaria della Chiesa abbia trattato San Tommaso con qualche riserva presentandolo come un apostolo minore. Questo è ingiusto. Primo perché Tommaso non è stato un credulone ma ha voluto accertarsi dei fatti in tutta onestà; secondo perché San Tommaso con la sua pretesa di avere prove certe e convincenti mi garantisce che il Risorto non è un’illusone e un’utopia, il suo scetticismo infatti me ne offre una garanzia sicura; terzo perché Tommaso, una volta convinto, ha fatto l’atto di fede più bello che io abbia mai conosciuto: “Dio mio e Signor mio”. San Tommaso me lo tengo caro perché anch’io soffro della sua stessa fragilità e difficoltà di credere.

“La maggioranza silenziosa”

Ci sono frasi che, per motivi non sempre facili da comprendere, entrano nella “storia” e poi vengono utilizzate per riferirsi a situazioni ben diverse da quelle per le quali sono state pronunciate.

Ci fu un tempo, passato ormai da più di vent’anni, in cui pareva che alla FIAT di Torino gli scontri tra gli operai e la direzione, con i relativi e clamorosi scioperi, non dovessero più finire. Sennonché, quando pareva che la fabbrica stessa corresse il rischio di disgregarsi, ci fu una reazione da parte di operai benpensanti e di impiegati che portò circa quarantamila “colletti bianchi” a sfilare a Torino per chiedere che la situazione ritornasse alla normalità e che la produzione potesse riprendere evitando che il lavorare alla FIAT si trasformasse in un inferno.

Tale manifestazione, del tutto nuova e inaspettata, fu denominata dalla stampa: “la marcia della maggioranza silenziosa” e la città scoprì che a Torino e alla FIAT non esistevano solamente le bandiere rosse degli operai della FIOM manovrati dalla CGIL e dal partito di Botteghe Oscure. Questa marcia fece prendere coscienza alla città di quanti fossero i lavoratori stanchi di conflittualità e pronti a fare comunque il proprio dovere nonostante le mille difficoltà quotidiane. Questa presa di coscienza diede vita a nuovi equilibri e a risultati di ordine economico e lavorativo certamente più positivi.

In questi ultimi tempi vengo reso partecipe della vita di tantissimi concittadini ai quali porgo l’ultimo saluto affidandoli alla misericordia del Signore e come tante persone semplici, buone e generose anch’io sto prendendo coscienza di quella “maggioranza silenziosa” di uomini e donne che non riempiono le pagine dei giornali con i loro nomi e con le loro gesta ma si impegnano con serietà a fare il loro dovere e a dare il meglio di sé alla famiglia, al lavoro e alla società. Questa presa di coscienza mi conforta e mi aiuta a sperare in un mondo migliore ma soprattutto mi aiuta a capire che, com’è più facile accorgersi di un numero limitato di papaveri che sembrano colorare di scarlatto un intero campo di grano piuttosto che di un mare di violette che profumano in silenzio il nostro mondo, così succede anche per tutti quei ciarlatani e vendi vento che riempiono le pagine dei giornali nei confronti di quella “maggioranza silenziosa” su cui ogni società può e deve contare.

La mia “sposa bella”

Un po’ di romanticismo l’ho sempre avuto e mi pare di avere anche quel po’ di fantasia che serve per vestire di poesia e d’incanto le cose che amo. Qualche tempo fa mi sono lasciato vincere da un certo amarcord passando in rassegna uno dei miei scritti sulle Chiese che ho amato: da bambino l’austera chiesa neogotica costruita a ridosso della riva sinistra del Piave dopo la Prima Guerra Mondiale; da adolescente la splendida Basilica della Madonna della Salute che mi ha accolto materna durante il tempo del seminario; appena ordinato sacerdote il gioiello barocco della Chiesa dei Gesuati sulle rive del Canale della Giudecca ove ho vissuto le mie prime esperienza pastorali; da giovane prete il bel San Lorenzo, il Duomo mestrino che ha aperto il mio cuore alla città; da uomo maturo la chiesa neogotica del Meduna in cui sono vissuto per trentacinque anni come parroco ed infine da anziano la “sposa bella” della mia vecchiaia la “cattedrale tra i cipressi”.

L’ultimo mio amore è nato per caso perché il comune non aveva soldi per realizzare il pretenzioso tempio progettato dall’architetto Gianni Caprioglio che voleva donare il suo capolavoro a Mestre, la sua amata città. Il Presidente della Veritas, stanco dei miei continui interventi e solleciti, si sentì quasi costretto dall’opinione pubblica a ordinare una struttura prefabbricata in Romania dal costo di duecentocinquantamila euro.

Al primo impatto la nuova struttura sembrava un capannone per attrezzi ma poi, pian piano, arrivarono le luci, i fiori, i quadri, l’arredo sobrio ma ordinato e gradevole tanto che molti mestrini ritengono la mia “cattedrale” una delle più belle chiese di Mestre. Il clima di raccoglimento, il tetto e le travature in legno, che richiamano una baita di montagna, il silenzio del camposanto, la cornice dei cipressi e l’alta frequenza di fedeli fanno sì che la chiesa della “Madonna della Consolazione” sia una delle chiese più amate e frequentate della città. Non c’è ora del giorno in cui non vi sia qualcuno che si “ristora” col messaggio di pace e di intimità con Dio che la chiesa ed il suo sottofondo musicale offrono a chi la frequenta. Ora poi la chiesa è resa ancora più accogliente dalle riproduzioni del Beato Angelico, dai ritratti delle più belle figure dei Santi della nostra tradizione ed infine dalle due grandi opere, “La Deposizione” e “L’Assunzione al cielo della Madonna”, di uno dei più insigni pittori della nostra città: Luigi Scaggiante.

Finché reggono i rappezzi!

Il piccolo mondo dei residenti dei Centri Don Vecchi è formato esclusivamente da anziani che appartengono alla terza, alla quarta e alla quinta età, abbiamo infatti una mezza dozzina di anziani che ruotano attorno ai cento anni. Ogni giorno ho la possibilità di confrontarmi con costoro per capire quello che posso ancora fare e quello che invece devo rassegnarmi di non poter più fare.

Molti dei miei coetanei dormono fino alle otto e poi ciondolano qua e là fino all’ora di pranzo, fanno poi il pisolino fino alle quattro o alle cinque del pomeriggio e quindi si riposano sui divani fino alle sette e trenta, ora in cui si ritirano nei loro alloggi per la cena e per dormicchiare davanti al televisore prima di coricarsi. In verità ci sono anche un certo numero di donne che hanno l’incombenza di badare ai nipoti, quattro o cinque su trecento vanno ancora a servizio perché la pensione esigua non consente loro di vivere nemmeno al Don Vecchi. In genere riscontro dagli ospiti una collaborazione molto scarsa: solo qualcuno serve a tavola durante il pranzo e qualche altro scende ai magazzini per dare una mano.

In questo clima, a me, non rimane altro se non la mia coscienza a stimolarmi ad impiegare bene il tempo che il Signore sta ancora concedendomi. Procedo con sempre maggior fatica anche se mi alzo ancora alle cinque, scrivo e impagino “L’Incontro”, celebro i riti funebri, bado alla mia cattedrale tra i cipressi che mi è sempre più cara, brontolo quando vedo disordine, mi preparo per le prediche.

Nonostante tutto però sono sempre più scontento di me: mi vedo prolisso, poco incisivo nei sermoni e sempre più preoccupato che il mio piccolo mondo pastorale imploda. Ritorno frequentemente sulle considerazioni che faccio da qualche anno domandandomi: “Devo rimanere sulla breccia fino all’ultimo come Papa Woytila? Devo congedarmi dalla mia città come Reagan? Oppure dimettermi come Papa Benedetto per passare in silenzio e in preghiera il tempo del tramonto?”. Per ora sto accettando con un po’ di vergogna i miei limiti sempre maggiori comunque, con la fine dell’anno, lascerò definitivamente “L’Incontro” e qualche altro impegno tentando di tirare avanti finché reggeranno i miei rappezzi.

Recupero della ricchezza posseduta da cristiani emarginati o espulsi

Nelle ultime settimane ho avuto l’opportunità di seguire alla televisione alcuni servizi ben fatti e ben documentati su Galileo e su Lutero. Confesso che mi hanno sconvolto e che hanno messo a soqquadro la libreria dei “Volumi ideali” dai quali ho appreso i valori e le verità su cui ho costruito piano piano la mia cultura sulla Chiesa e sul suo operato durante i suoi venti secoli di storia.

Fortunatamente questo piccolo terremoto interiore e culturale non ha interessato neppure minimamente il mio rapporto con Gesù e le verità che supportano la mia fede, però confesso che esso mi ha reso più consapevole della necessità di non accettare in maniera acritica il pensiero di tanti teologi imperanti nel mondo ecclesiale e di uomini di Chiesa che normalmente esprimono con presunta autorevolezza la sua dottrina.

Le parole e le scelte di Papa Francesco mi hanno rassicurato ed incoraggiato in questa verifica e ricerca religiosa tanto da sentire il desiderio e il bisogno di recuperare gli aspetti più validi del pensiero e della testimonianza di certi cristiani che la Chiesa ufficiale ha prima emarginato, poi condannato ed infine cacciato in malo modo. Fino a non molto tempo fa avevo giudicato i fedeli della Chiesa Valdese arroganti nei riguardi dei cattolici e li ritenevo le teste di ponte del pensiero laico. Dopo la recente visita del Papa alla Chiesa Valdese e soprattutto dopo la sua confessione umile, franca e consapevole dei torti, delle cattiverie, delle persecuzioni e delle sofferenze causate dalla Chiesa Cattolica nei secoli a questi seguaci di Gesù, che con onestà intellettuale hanno tentato di interpretare la parola di Cristo, ho cambiato radicalmente idea tanto da sentire il bisogno di recuperare la loro ricchezza spirituale e la loro ascesi religiosa.

Tornando a Galileo e a Lutero sono stato costretto a cambiare cornice alla loro vita e al loro pensiero sostituendo la loro cornice dozzinale di carta pesta con una d’argento. Contemporaneamente ho ritenuto doveroso cambiare la cornice anche a certi teologi domenicani e francescani e a certi cardinali e Papi che per molti motivi non brillarono per coerenza evangelica: da una cornice d’oro li ho declassati ad una di piombo.

Delusione

Qualche tempo fa ho avuto modo di apprendere che un collega, che stimo per il suo impegno, mi rifiuta in modo quasi stizzito e astioso.

So che ognuno di noi, pur operando all’interno del grande alveo di Santa Madre Chiesa, si propone ed opera in maniera diversa e so anche che tra me e lui vi sono diversità sul modo di vivere l’ascesi cristiana, l’impostazione pastorale con cui porsi di fronte al mondo contemporaneo e le modalità concrete con cui offrire il messaggio di Cristo.

Sono sempre stato convinto che la diversità arricchisca e per questo ero certo che mi accettasse così come io ho sempre accettato lui ma purtroppo non è così. Sono venuto a sapere, in modo fortuito, che da molto tempo mi rifiuta, ossia rifiuta il mio modo di testimoniare Gesù nel nostro tempo precludendo alla sua comunità l’opportunità di confrontare i nostri due modi, così diversi, di interpretare il ruolo del prete oggi.

Questa scoperta mi ha profondamente addolorato e mi ha indotto a verificare, ancora una volta, le mie posizioni ideali anche se la venuta di Papa Francesco e la sua testimonianza mi pareva avallassero le mie scelte di cristiano e di sacerdote. In questi giorni ho ripreso in mano i miei “averi”, le mie ricchezze ideali che con tanta fatica sono riuscito a consolidare durante la mia lunga vita. Ne faccio una verifica sommaria:

  • Sono per una Chiesa povera e per i poveri.
  • Ritengo che ognuno abbia da offrire il suo piccolo apporto di verità.
  • Penso sia un dovere sacrosanto obbedire senza essere servili o obbedienti solo a livello formale.
  • Ritengo sempre valido il primato della coscienza.
  • Ritengo che la solidarietà debba essere l’obiettivo principale del nostro vivere da cristiani.
  • Ritengo doveroso il confronto di idee con tutti: con chi sta in basso, con chi è al proprio livello o con chi sta in alto.
  • Ritengo che la carità se non diventa concreta e il prete non si sporca le mani con le problematiche di questo mondo il suo impegno si riduce ad aria fritta.
  • Temo infine una vita cristiana troppo contrassegnata da riti.

Questi sono alcuni dei miei “tesori” che custodisco con attenzione e ai quali mi ispiro nel mio operare. Quando avrò un po’ più di tempo cercherò di presentarne qualche altro.

I greci

Io mi intendo molto poco di politica italiana, quasi nulla di quella europea e meno di nulla di politica economica motivo per cui, pur tendendo le orecchie a quanto si dice alla televisione e gli occhi a quanto si scrive sui giornali, non posso esprimere giudizi né su quello che sta avvenendo in Europa, e in particolare in Grecia, né sugli eventi che stanno scuotendo il nostro mondo occidentale.

Mi pare però evidente che i tedeschi abbiano amministrato il loro Paese in modo certamente più serio di quanto non abbiano fatto i Greci e, anche se favoriti da scelte di politica economica a volte quasi imposte agli altri Paesi Europei, sono riusciti a produrre ricchezza e quindi benessere per il proprio Paese. I governi che si sono succeduti alla guida della Grecia invece, non hanno certo brillato per capacità, correttezza ed onestà portando il loro Paese sull’orlo del fallimento e cercando di uscire da questa impasse con estenuanti trattative gestite a volte con arroganza.

Probabilmente nelle scuole ateniesi non si insegna la favola della cicala e della formica, racconto infantile che però vale più dei “testoni” che hanno governato e che stanno governando la Grecia. L’imbroglio e l’arroganza forse però sono vecchi vizi dei greci perché ricordo che, quando studiavo greco, si diceva: “Temi i greci anche quando offrono doni”, figurarsi quindi quando si trovano in difficoltà e chiedono aiuti. La mia preoccupazione però è che questi pessimi maestri rovinino anche le coscienze di noi italiani. Proprio in questi giorni ho avuto modo di apprendere che si sono iscritti alla “Scuola di Atene”: Vendola, Grillo, Brunetta con la Meloni, Cuperlo e tanti scolari che mi sembrano i “bulli” del nostro tempo. Spero tanto che i “grilli parlanti” non temano le opinioni di questi individui perché altrimenti avremmo un’Europa piena di Pinocchi tanto creduloni da seguire i suggerimenti dei “gatti e delle volpi” di lingua greca.

Il fiuto della gente

Una volta, soprattutto nel mondo ecclesiastico, si infiorettavano i discorsi con sentenze latine. Qualche anno fa ho riletto quel bellissimo volume “Il giornale dell’anima” nel quale don Loris, o più precisamente il Cardinale Francesco Maria Capovilla, ha raccolto propositi, riflessioni, confidenze e pensieri spirituali di Papa Roncalli. Durante la lettura di quel corposo volume mi sono imbattuto mille volte nelle massime latine con le quali Papa Giovanni XXIII condensava le sue riflessioni. Ho constatato che in quel tempo la cultura ecclesiastica dei vecchi preti e soprattutto di quelli più intelligenti e più colti era veramente vasta mentre noi preti del terzo millennio abbiamo, quando va bene, una cultura da quotidiani e da telegiornali fatta di informazioni non supportate dalla sapienza del passato.

In queste ultimissime settimane, venendo a conoscenza delle folle sterminate che sono andate ad ascoltare e ad acclamare Papa Francesco, sono arrivato alla conclusione che la gente ha un fiuto particolare per valutare gli uomini di spessore e per dare loro il giusto riconoscimento. Pochissimi giorni fa un milione di persone si sono recate a Roma per ascoltare il Papa esprimersi sui problemi della famiglia, alcuni giorni prima settantamila ragazzi e giovani scout avevano partecipato, in maniera vivace, all’incontro con il sommo Pontefice e la settimana successiva settecentomila persone a Torino si sono unite a Papa Bergoglio per venerare la sacra Sindone.

Non passa settimana che alla catechesi del Papa, Piazza San Pietro non si riempia di fedeli desiderosi di ascoltare la lezione di catechismo del Pontefice e ogni domenica la stessa piazza è pressoché insufficiente per contenere la folla accorsa per l’Angelus. Non credo che ci sia personaggio in tutto il mondo che abbia il “successo” del Papa, nonostante egli sia anziano, il suo italiano non sia perfetto, le sue prediche assomiglino spesso ai sermoni dei vecchi parroci di campagna e il suo charme sia modesto. Papa Giovanni avrebbe detto a proposito di questo fenomeno: “Vox populi, vox dei”. È il Signore che si manifesta sotto le povere e logore vesti del nostro Papa e il popolo lo avverte e lo segue come pastore dell’umanità.

L’ateo cristiano

Recentemente i familiari di un nostro concittadino, trovato morto da alcuni giorni in casa, mi hanno chiesto di celebrare il commiato cristiano per questo nostro fratello. Come sempre mi sono messo in contatto con loro per ricevere qualche informazione, sulla sua vita e sulla sua testimonianza umana, per non correre il rischio di dire qualche parola “stonata” durante la breve omelia o meglio durante la breve catechesi nella quale, ogni volta, tento di fare emergere le verità della fede sulla vita e sulla morte ma, soprattutto, sulla benevolenza e sulla paternità di Dio.

Ho avvertito immediatamente che i congiunti del defunto erano di una decisa estrazione religiosa, l’ho capito dalle parole con le quali mi hanno parlato del defunto, dalla cura con la quale hanno preparato la liturgia del commiato e soprattutto perché mentre mi parlavano sono emersi dalle nebbie della memoria lontani ricordi del defunto, membro un po’ anomalo di questa famiglia cristiana. Quando però ho chiesto se era credente ho percepito imbarazzo e titubanza. Dopo un po’ mi hanno confessato che lo ritenevano nella sostanza un credente anche se non frequentava la chiesa, per poi affermare in maniera franca e sicura: “Noi però siamo credenti e vogliamo pregare per lui in occasione della sua partenza per l’aldilà”. A queste parole non ho avuto più alcun dubbio, anzi in realtà non l’ho mai avuto, sull’opportunità di celebrare il commiato cristiano per questo nostro fratello.

Questo problema l’ho già affrontato seriamente anche in passato e mi pare di averlo risolto in maniera molto tranquilla. Ancora una volta ho pensato al discorso di Sant’Agostino sui cristiani formali e su quelli reali: “Ci sono uomini che la Chiesa possiede e Dio non possiede ed altri uomini che Dio possiede e la Chiesa non possiede”. Di certo il mio defunto apparteneva a questa seconda categoria. La sua onestà, la sua volontà di essere autentico e sincero con se stesso e con gli altri, la sua disponibilità nella ricerca della verità e nell’aiutare il prossimo mi hanno dato questa certezza, motivo per cui ho pregato di tutto cuore con i parenti del defunto e l’ho consegnato con serena fiducia all’amore del Padre, sicuro che Egli lo avrebbe riconosciuto come suo figlio. Questo evento mi ha riconfermato che in questo nostro tempo non è tanto di primaria importanza portare la gente in Chiesa quanto seminare sempre e ovunque i valori cristiani.

Il problema di Medjugorje

Qualche giorno fa ho scritto che sono quanto mai preoccupato per Papa Francesco perché si ritrova tra le mani una bruttissima “gatta da pelare”, deve infatti prendere una decisione sulla veridicità delle apparizioni di Medjugorje.

Dopo vent’anni di indagini, di studi, di verifiche, gli esperti recentemente hanno portato al Papa i risultati di questa inchiesta infinita. Io non conosco l’esito di questa indagine pluridecennale però suppongo che non avalli l’autenticità di queste presunte apparizioni a catena. Sono più che certo, partendo da alcuni accenni del Papa, dal suo modo di pensare e di agire, che egli sia ancora meno convinto di quanto non lo siano i teologi ai quali è stato necessario così tanto tempo per arrivare alla conclusione del loro lavoro e per riferire le loro conclusioni.

A Medjugorje ogni anno aumentano i fedeli che sperano di assistere alle apparizioni perché hanno bisogno di qualcosa di eccezionale e di straordinario per rinvigorire la loro fede.

Io ho ascoltato tante persone che mi hanno parlato con grande entusiasmo di queste apparizioni e molte di loro si sono meravigliate perché io, a Medjugorje, non ci sono ancora andato e non sono nemmeno troppo entusiasta di questo fenomeno, anche se genera conversioni e ritorni alla fede. Più volte ho confessato il mio scetticismo verso queste rivelazioni ma soprattutto ho confessato di non sentire l’esigenza di fare questa esperienza perché quello che Gesù e la tradizione cristiana mi hanno donato mi è più che sufficiente per credere. Che la Madonna sia apparsa e continui ad apparire credo che nessuno lo possa mai affermare con assoluta certezza, neppure i presunti veggenti, però se tanta gente trova in quel luogo aspro e remoto la testimonianza di fede di tanti credenti e si sente spinta a Dio, il fatto che ne possa beneficiare mi pare sia già un dono del Cielo. Che poi i veggenti vedano o credano di vedere la Madonna per me non ha nessuna importanza. L’unica cosa di cui sono preoccupato è che qualcuno, soprattutto i veggenti o la Chiesa, trasformi l’evento in un business.

Io comunque ribadisco sommessamente che sono scettico per natura, che i discorsi e i messaggi attribuiti alla Madonna sono abbastanza smorti, scontati e ripetitivi: dalla Madonna mi aspetterei qualcosa di più.

La scoperta di una ricchezza che non avevo valutato fino in fondo

Moltissimi anni fa ho letto, non so più dove, un articolo di un famoso scrittore fiorentino: Piero Bargellini. Ho conosciuto e letto con tanta ammirazione gli scritti di questo autore cattolico durante la mia adolescenza. Bargellini mi piaceva non solamente perché affrontava tematiche che mi erano quanto mai care durante i miei primi anni di liceo, trascorsi in seminario per prepararmi al sacerdozio, ma anche per il suo stile fresco, scorrevole, pieno di incanto e di poesia. A mio parere Bargellini ha attinto alla sorgente del Poverello di Assisi per la sua lettura degli eventi e al Beato Angelico nel dare soavità ai suoi scritti.

Ricordo un pezzo, letto non so più dove, che aveva come titolo “Le vecchine delle nostre Chiese” e con il quale Bargellini ha tratteggiato, con la tecnica di un delicatissimo acquarello, le vecchie signore tanto devote che normalmente frequentavano le nostre Chiese. Lo scritto di Bargellini ha fatto emergere dai miei ricordi i volti e i comportamenti di quelle vecchiette in scialle nero, sempre presenti ad ogni triduo e ad ogni novena, intente talora ad accendere una candela davanti al Santo preferito, talaltra a far scorrere tra le dita i grani del rosario, confidenti affettuose del parroco e talvolta scandalizzate dal modo di vestire e di comportarsi delle ragazze del loro tempo.

Anch’io, in tutte le chiese in cui ho prestato il mio servizio, ho conosciuto queste devote che non mancavano mai alle Messe feriali, al rosario e ai sacri riti e che talvolta ho avuto l’impudenza di definire bigotte. Ora però, che almeno nella mia “cattedrale tra i cipressi”, un po’ alla volta esse sono venute meno e che mi ritrovo a celebrare i funerali spesso con la presenza dei soli parenti dei defunti invitati a partecipare al rito di suffragio con lettera personale, rimpiango queste care anziane, che ne sapevano poco di teologia, ma conoscevano però quasi tutto di Gesù, della Madonna, di Santa Rita, di Sant’Antonio e di Padre Pio; senza di loro la chiesa mi pare più vuota, più solitaria e meno viva, tanto che ho deciso di fare un appello alle mie coetanee: “Non lasciatemi solo ma restatemi accanto “vecchine” care, almeno noi vecchi rimaniamo accanto al Signore”.