Godere il presente per sognare il futuro

Gesù fa un discorso sulla morte e l’aldilà; afferma testualmente “Non abbiate timore, fidatevi del Padre mio e anche di me; vado a prepararvi un posto e quando l’avrò preparato verrò a voi perché siate dove io sono”, Domenica scorsa, per dare un supporto forte e comprensibile a questo discorso, ho ritenuto necessario parlare positivamente del presente.

I non credenti, e soprattutto i laici, attaccano spesso noi cristiani perché ci ritengono storicamente rinunciatari, persone che non apprezzano sufficientemente la vita attuale per rifugiarsi in quella futura che noi riteniamo migliore.

Io purtroppo non do tutti i torti a chi ci accusa di questa “fuga in avanti” e non ci ritiene sufficientemente impegnati a costruire una società più giusta e migliore nella quale ogni uomo possa avere la sua parte di felicità.

Soprattutto i cattolici italiani, a motivo della caduta – per me provvidenziale – dello Stato pontificio, furono impediti dalla gerarchia ecclesiastica di essere eletti ed elettori al parlamento. Questo ha influito negativamente sulla loro coscienza, motivo per cui l’impegno politico è stato visto con una certa diffidenza e perciò per decenni e decenni essi rimasero ai margini dei luoghi in cui si dava volto e respiro alla vita della nostra società.

Prima ancora, ed in maniera più incisiva, il movimento giansenista aveva ancora più negativamente inciso nella coscienza dei cristiani dando una lettura fosca e cupa al presente per rifugiarsi nella vita futura.

Credo che sia innegabile il fatto che i sacerdoti abbiano parlato per secoli con più entusiasmo della bellezza e della felicità del Paradiso ed invece abbiano messo in guardia i fedeli dai “piaceri della vita presente”.

Per poter parlare quindi con fiducia e serenità della vita futura promessa da Cristo, ho ritenuto doveroso ribadire, convinto, che la nostra vita è uno splendido dono di Dio ed una bella avventura da vivere con pienezza e fiducia in tutto quello che possiamo cogliere di interessante e di bello quaggiù, ricordandoci poi dell’affermazione di Cristo “sono venuto perché abbiate la gioia e la vostra gioia sia grande”, ad avallare questa tesi.

Quindi m’è parso opportuno soffermarmi sulla bellezza del Creato, bellezza sublime che noi diamo per scontata, anzi che non ci accorgiamo neppure di poterne godere. Ho quindi insistito nell’aiutare i fedeli ad accorgersi di tutte le cose belle che la natura e soprattutto le persone ci possono offrire e delle quali noi dobbiamo prendere coscienza per coglierle a cuore aperto.

Non soltanto possiamo godere, anzi, se solamente lo facciamo con fiducia siamo aiutati anche ad attenderci da un Dio così generoso e provvido un mondo futuro ancora migliore ove passeremo non soltanto il numero limitato di anni che possiamo vivere quaggiù, ma tutta l’eternità.

25.05.2014

Il Vangelo di “don Spritz”

Questa mattina ho terminato di leggere “L’odore del gregge”, il volume uscito da poco del giovane prete padovano don Marco Pozza. Di questo prete, che ho incontrato per caso un paio di anni fa sullo schermo della televisione, ho parlato altre volte perché, per un certo verso, è un sacerdote “sui generis” dell’ultima generazione, con una mentalità, un linguaggio e un comportamento per me, educato alla vecchia maniera, del tutto particolare.

Non posso dirvi che sono stato “folgorato” dalla lettura della sua opera, comunque sono stato interessato a conoscere questo prete a motivo dell’età, perché nella nuova generazione sacerdotale vi sono parecchi giovani preti che sono più vicini, come mentalità, al primo millennio che al terzo in cui viviamo altri più vicini al quarto millennio. Comunque “don Spritz”, come l’hanno denominato i giovani, è l’espressione più autentica della mentalità, del comportamento e del linguaggio dei giovani del nostro tempo.

Faccio un rapido cenno alla sua biografia e alla sua personalità. Don Pozza è nato nel padovano nel 1979, ha quindi 35 anni. Mandato dal suo vescovo a Roma presso l’Università gregoriana a specializzarsi in teologia, una volta laureato è tornato a Padova, dove è stato incaricato di assistere i carcerati dell’istituto penitenziario patavino “I Due Palazzi”.

Da ciò che ho potuto capire questo prete ha una notevole presa sui giovani ed un enorme seguito nel sito internet che egli ha aperto e che cura attualmente. Dalla foto riportata nel suo volume è un bel ragazzo con due occhi vivacissimi e sorridenti.

Nel volume, che è uscito da poco, egli inquadra alcune delle principali parabole del Vangelo dandone una interpretazione quanto mai personale, usando una terminologia che certamente si rifà al linguaggio giovanile, tutta piena di iperbole ed espressioni tipiche del gergo dei nostri giovani. Conclude il volume con una confessione personale nei riguardi di Cristo intitolata “Vi racconto il mio Gesù”.

Ripeto: lo stile è tutto frizzante, spumeggiante, esagerato, tanto che leggendo mi riaffiorava alla memoria la scena delle folle di giovani che si dimenano, applaudono e si esaltano all’ascolto di certi cantanti che a me fanno pena e disgusto perché mi sembrano burattini vestiti da pagliacci che saltellano sul palco emettendo suoni striduli e irritanti.

Di certo “don Spritz” è in sintonia con un mondo che io non voglio rifiutare in maniera pregiudiziale, ma che comunque faccio estrema fatica a comprendere e ad accettare. Sono però felicissimo che il giovane collega conosca il linguaggio di questo “mondo nuovo” e sappia comunicare con esso offrendogli la parola di Gesù.

Confesso che ho fatto fatica a leggere fino in fondo questo testo coloratissimo di immagini che pur si rifanno al testo sacro e spero tanto che invece i nostri “ragazzi da discoteca” ed anche da sballo incontrino finalmente chi parla la loro lingua ed offra sbocchi positivi al loro vivere.

19.05.2014

“Il Quinto Evangelo”

Molti anni fa mi è capitato di leggere un volume di Mario Pomilio intitolato “Il quinto evangelio”. In questo volume l’autore afferma che la rivelazione del Nuovo Testamento raccolta dai quattro evangelisti Marco, Luca, Matteo e Giovanni, non termina con l’ultimo evangelista ma l’azione di Dio nella storia umana è continuata e continuerà fino alla fine del mondo. Questa azione continua di Dio è recepita nel “quinto evangelo”, quello che è redatto da ciò che l’uomo riesce a recepire di divino in ciò che accade nel mondo. La rivelazione e la redenzione non si sono concluse, ma sono un fatto permanente perché Dio ama e salva l’uomo in ogni tempo ed in ogni situazione.

Questo discorso per me è stato di capitale importanza perché mi sono sentito dentro l’attenzione e il progetto di Dio per la mia salvezza.

Più recentemente ho letto un altro volume, del giornalista Luigi Accattoli altrettanto illuminante e complementare a quello di Pomilio; si intitola “Fatti di Vangelo” e riporta il frutto della ricerca di questo pensatore. Egli infatti raccoglie fatti, episodi, incontri, discorsi espressi da uomini di alto profilo spirituale che, riferendosi al messaggio di Gesù contenuto nei Vangeli, compiono azioni e scelte in linea con la proposta che il Figlio di Dio è venuto a farci.

Posso ben dire che per me la lettura di questi due volumi non solo è stata illuminante, ma ha cambiato radicalmente la mia lettura del progetto di salvezza contenuta e descritta dai Vangeli. Perciò la mia fede non è stata più ancorata al passato e non mi sono più limitato a riviverla attraverso il “memoriale” che la riprende e la ripropone con i gesti liturgici che recuperano il ricordo di fatti avvenuti secoli fa, ma mi sento totalmente immerso nell’abbraccio di Dio che mi ama, mi parla e mi salva con parole e fatti a me contemporanei.

Il mio Dio non è rimasto il vecchio Dio conosciuto al catechismo e nei miei studi di teologia, ma è diventato un Dio contemporaneo, presente nel mio oggi, che mi parla, mi guida e mi salva oggi. Il mio Dio non è più quello “un po’ vecchiotto” conosciuto attraverso i discorsi e le immagini del passato, ma è un Dio vestito con gli abiti di oggi, che mi parla con la lingua parlata oggi, il Dio con cui posso colloquiare come con uno che è dentro alla mia storia, ai miei drammi e alle mie attese.

Non so se sia riuscito a descrivere questa mia evoluzione interiore. Vorrei dire che oggi non mi sentirei né cristiano né credente, se non avessi scoperto il “Dio dei viventi”. A buona ragione devo confessare che sono enormemente grato a Pomilio e ad Accattoli, “evangelisti” dell’oggi che hanno reso l’avventura cristiana come un’avventura piena di fascino che mi coinvolge fino al “midollo” dell’anima.

09.05.2014

“Moda” che non sfonda

Ormai da più di un anno ho ritenuto doveroso aderire ad una legittima richiesta di don Gianni, l’attuale parroco di Carpenedo il quale, rimasto solo in parrocchia, mi ha chiesto di celebrare una santa messa alla domenica nella mia vecchia chiesa nella quale ho celebrato per 35 anni di seguito.

Sia per la mia disponibilità di tempo, sia per una mia richiesta specifica, celebro alle ore 8 del mattino. A quell’ora ci sono pochi fedeli e per di più sono buone persone che si accontentano anche di un povero vecchio prete quale sono io.

Qualche domenica fa, uscendo di chiesa, incontrai una mia coinquilina del “don Vecchi” che, tutta elegante, stava salendo i gradini per entrare in chiesa per la messa successiva alla mia. Sapendo che normalmente va a messa a San Pietro Orseolo, la chiesa parrocchiale a due passi dal “don Vecchi”, mi venne spontaneo chiederle come mai era da quelle parti. Lei, con un sorriso amichevole e felice, mi disse: «La mia nipotina questa mattina fa le letture».

La messa dopo quella che celebro io è rimasta, come un tempo, la “messa del fanciullo”, ed è frequentata da una marea di bambini che animano la celebrazione a modo loro con canti ritmati, mani che si alzano al cielo, letture e preghiere dei fedeli a turno. La liturgia della messa dei bambini ha tutta una sua coreografia che, solo a pensarci, mi fa venire “la pelle d’oca” e mi fa struggere di nostalgia. Ricordo certe messe guidate da don Adriano e da don Gino, così belle, così vive e così affollate che dovevamo costringere gli adulti in fondo alla chiesa tanto era gremita di bambini: lupetti, scout, chierichetti, ecc. Non dimenticherò mai queste feste di fede!

Poi arrivò qualche cappellano “moderno” con il messaggio di non so quale teologo che di pastorale di certo non ne sapeva nulla, ad insegnarci che era sbagliato riservare una messa per i bambini perché loro dovevano partecipare con i genitori, ma soprattutto che il messaggio cristiano era destinato agli adulti (come Gesù non avesse mai detto: «Lasciate che i bambini vengano a me»), oppure a premere perché la prima comunione si facesse alle medie, come se San Pio X non avesse aperto le balaustre ai bambini. Resistetti, però un qualche impoverimento lo dovetti registrare.

Ora non so come vadano le cose nella mia vecchia chiesa e nelle altre parrocchie della città, però rimango ultraconvinto che il modo migliore ed infallibile per arrivare agli adulti è “possedere” i bambini.

A parte poi il fatto che gli adulti o i vecchi che da bambini han fatto esperienze religiose così entusiasmanti non le potranno mai dimenticare e sarà sempre facile riaprire rapporti di fede partendo da esse.

08.05.2014

La “pietà minore”

Noi vecchi preti siamo di certo condizionati dal nostro passato, per quanto ci possiamo sforzare di aprirci al nuovo, di avere fiducia nello spirito di Dio che apre alla Chiesa i nuovi percorsi per proporre il messaggio evangelico nei tempi nuovi. Per noi è pressoché impossibile voltare pagina ed abbandonare totalmente le devozioni che nella nostra giovinezza hanno alimentato la nostra fede.

A me si pone di frequente il problema su quello che è bene togliere e quello che invece è opportuno tenere, pur non facendone un feticcio o un problema di fede.

Anche quest’anno, all’inizio del mese di maggio, mi sono posto questo problema e, pur sapendo che il mio invito non avrebbe modificato granché le scelte dei fedeli, li ho sollecitati a partecipare al “fioretto” in parrocchia, a dire il rosario in famiglia o comunque a ravvivare la devozione alla Vergine Santa. D’altronde come avrei potuto dimenticare le mie esperienze di bambino in rapporto al mese di maggio?

Ricordo con comprensibile nostalgia quel mese che favoriva pratiche di pietà a livello di rione e soprattutto famigliare. Come posso dimenticare quei rosari in famiglia dopo cena, che certamente non brillavano per compostezza e pietà, comunque rappresentavano un’esperienza di preghiera!

A casa mia dicevamo il rosario nella cucina piuttosto angusta. Papà, mamma e noi sette figlioli, ognuno rincantucciato in ginocchio con i gomiti sulla sedia. Mi pare fosse la mamma a guidare la preghiera mariana che allora recitavamo in latino. Penso che neanche nostro Signore avrà potuto decifrare quel “latino” molto e molto approssimativo. Mi ricordo ancora quando, più grandicello, seminarista delle medie, organizzavo il rosario per tutte le famiglie della mia strada. Il punto di riferimento per la lode a Maria era un capitello dedicato a sant’Antonio; per noi rappresentava pur un segno di religione e non faceva molta differenza se dentro alla piccola edicola ci fosse la statua del “Santo” o della Madonna!

Cominciavamo un’ora prima a battere su una stanga di ferro che per noi rappresentava il campanile. La gente veniva, certe anziane si portavano la sedia, ma la maggioranza s’accomodava in qualche modo. Talvolta partiva qualche scapaccione da parte dei grandi per quietare i più irrequieti e ogni sera la preghiera si concludeva col canto “E’ l’ora che pia ….”, cantata con tutti i falsetti possibili. Quattro chiacchiere fra i grandi e poi tutti a letto!

Penso che le regole liturgiche venissero sacrificate, però tutto sommato ci ricordavano che lassù, in quel cielo stellato, c’era “Lei” ad ascoltarci.

Io non sono ancora riuscito a risolvere il problema se queste devozioni popolari alimentino o soffochino la fede, però propendo a pensare che ben difficilmente possiamo conservare la sostanza se non usiamo un “cartoccio”, pur malconcio, per contenerle. Spero che i giovani preti mi offrano una soluzione più aggiornata.

06.05.2014

Sorpresa iniziale

Non so se l’ho battezzato, comunque uno dei miei “ragazzi” che conosco dall’infanzia s’è incontrato un po’ tardi con una ragazza che invece conosco da tre, quattro anni soltanto, ma che stimo e a cui voglio veramente bene. Questi “incontri” oggi spesso vanno a finire in una convivenza; nel caso mio invece, con mia enorme soddisfazione, l’incontro è sfociato in un annuncio di matrimonio davanti all’altare.

Uno dei problemi che io ritenevo del tutto marginali sta però nel fatto che lei è ortodossa, mentre il mio ragazzo cattolico.

Per salvare le due diverse tradizioni pensavo che gli esperti di liturgia delle due Chiese sorelle avessero studiato una qualche formula che accontentasse ambedue i riti e che il matrimonio celebrato sia in una o nell’altra chiesa fosse ritenuto comunque un matrimonio valido a tutti gli effetti. Al massimo supponevo che, per omaggio alla tradizione, il prete e il pope avessero invocato la benedizione del Signore con due preghiere nate in contesti diversi ma che ambedue chiedessero al Signore il dono dei figli e il dono di un amore fedele e duraturo.

Dai primi approcci sembra invece che le cose stiano diversamente. Il pope, almeno se la fidanzata ha capito bene, avrebbe detto che se si fossero sposati in una chiesa cattolica avrebbero dovuto ripetere il rito anche in quella ortodossa perché gli ortodossi non riconoscono valido il matrimonio dei cattolici.

Io chiesi pure all’esperto della mia curia come stessero le cose, perché mi pareva assurda la soluzione prospettata, perché le finalità del matrimonio – amore reciproco e fedele, fecondità e scelta di essere un segno visibile di Dio amore (sostanza del matrimonio religioso) – credo che non possano essere diverse. L’esperto della curia mi ha detto che mi avrebbe concesso senza difficoltà il permesso di celebrare il matrimonio nonostante la sposa non sia cattolica. Neanche questa soluzione mi è piaciuta, come non ho condiviso quella del pope, perché la mia curia mi pare parta da una posizione altrettanto autoritaria e supponente.

Da tanti anni sento parlare di ecumenismo, incontri, discussioni ed altro per arrivare all’unità, però se siamo ancora a questo livello penso che neppure l’eternità sarà sufficiente alle Chiese cristiane per rispondere positivamente all’invito di Gesù di convenire in “un unico ovile sotto un solo pastore”.

E’ mia intenzione incontrare il pope di Mestre che, da quanto mi è dato sapere è un buon cristiano, ma se le norme delle due Chiese pretendessero la celebrazione diversa dell’unico sacramento – perché il rito nunziale non può che essere questo – tanto volentieri parteciperò dall’ultimo banco della chiesa ortodossa, pur con tanta tristezza per tanta chiusura reciproca.

Per me è assolutamente assodato che oggi né semplici cristiani e neppure preti sanno più perché le varie confessioni religiose cristiane siano divise, oppure sappiamo tutti bene che le cause della divisione hanno poco o nulla a che fare con la fede in Gesù Figlio di Dio.

Mi pare sia tempo che se i vertici sono ancora condizionati dal passato, almeno noi “base”, troviamo con semplicità il terreno del dialogo e della comunione.

06.05.2014

Le parole e i fatti

Io il cardinal Bertone, già segretario di Stato di Papa Benedetto e messo in pensione da Papa Francesco, non lo conosco affatto e per quanto ne so può essere un santo prelato. O meglio, un paio di anni fa, quando si fece un gran parlare del “corvo” nascosto in Vaticano e qualcuno arrivò a sospettare che avesse qualche collegamento con il grande prelato, lessi una lunga intervista che questo cardinale rilasciò a “Famiglia Cristiana”. A dire la verità rimasi un po’ deluso perché nelle due tre pagine di affermazioni di fedeltà alla Chiesa e al Pontefice, non emergeva una posizione chiara e convincente.

In seguito ogni tanto mi è capitato di leggere pure qualche insinuazione dei soliti laici, però le ritenni sempre pettegolezzi e cattiverie. Sennonché, prima su un giornale di solito serio lessi che il cardinal Bertone si era ritirato in una suite di 800 metri quadri (ancora una volta pensai ad una delle tante malignità). Poi, qualche giorno fa, un lettore che spesso mi manda delle email sugli argomenti più disparati con critiche talvolta benevole e talora amare, me ne ha mandata una in cui dice che un prelato indignato ha affermato a radio 24 che quel cardinale si è accontentato, per trascorrere la sua vita di pensionato, di un immobile di 700 metri quadrati, 600 di appartamento e 100 di terrazza.

Il lettore mi ha domandato che cosa ne penso di questa vicenda. Queste notizie toccano un mio nervo che da una vita rimane scoperto. Spero che ci sia ancora qualcuno che ricordi che chiesi pubblicamente al vescovo Luciani di fare il suo ingresso a Venezia in “600” e al vescovo Olivotti di liberarsi della Mercedes. A quei tempi ricevetti dei richiami ufficiali, ora però che lo stesso pontefice abita in un appartamento poco più grande del mio, che è di 49 metri quadrati, e che in poco tempo ha chiesto ai preti di non usare auto di lusso, credo di non correre più questo pericolo perché sento ben coperte le mie spalle, seppure alla fine della mia vita e dopo tanti anni di solitudine.

La pedofilia dei preti recentemente ha recato infiniti guai alla nostra Chiesa, però la ricchezza, o perlomeno l’agiatezza di un certo clero, è un’altra piaga. All’infuori di Papa Francesco che non solo ha scelto il nome del Poverello di Assisi innamorato di Madonna povertà, ma pure coi fatti l’ha seguito fedelmente, mi pare che vi sia ancora troppa indulgenza da parte del Popolo di Dio nei riguardi di questa piaga.

La storia della Chiesa per fortuna è quanto mai ricca di preti e vescovi dalla vita sobria, però credo che la vergogna di una vita agiata e più che confortevole sia ancora presente, prova ne sia che gli appartamentini del “don Vecchi” destinati ai preti vecchi, per un motivo o per l’altro sarebbero ancora tutti sfitti se non li avessi destinati ad altri anziani.

02.05.2014

“Madonna dI rosa”

Questi giorni di primavera favoriscono alquanto una iniziativa che da anni una piccola ma generosa ed intelligente équipe di amici del Centro don Vecchi ha posto in atto e sta perfezionando nel tempo. La denominazione dell’iniziativa riassume assai bene le finalità che essa persegue: “minigite- pellegrinaggio”.

La proposta, concentrata in un tempo molto limitato, persegue almeno tre obiettivi diversi tra loro, ma che si coniugano assai bene per raggiungere una forma di umanesimo integrale, anche se a livelli abbastanza elementari.

Essa offre:

  1. un’occasione di aggregazione sociale e di fraterno rapporto;
  2. la possibilità di scoprire le realtà di ordine naturale, sociale ed artistico del nostro territorio;
  3. un approfondimento di carattere spirituale di un qualche aspetto specifico della nostra lettura cristiana della vita.

Questi obiettivi, che a livello teorico possono sembrare eccessivamente pretenziosi, abbiamo tentato di tradurli in un’esperienza esistenziale quanto mai semplice e gradevole. Cercato un borgo con una chiesa relativamente significativa e preso contatto con i relativi responsabili, si chiede loro la fruibilità della chiesa e di un salone attiguo. Si prosegue, per tempo, con un annuncio dell’uscita. Partenza in autobus nel primissimo pomeriggio, celebrazione liturgica particolarmente curata e tesa a mettere in luce una verità cristiana che illumini un aspetto reale della nostra vita, celebrazione con presentazione dell’argomento trattato, canti appropriati, quanto mai incisivi sull’argomento prescelto, ed approfondimento mediante una serie di preghiere dei fedeli. Normalmente il rettore della chiesa ne illustra la storia e accenna a come essa si innesti nel territorio e nella sua sensibilità religiosa.

Al momento specificamente spirituale segue una bella e abbondante merenda, con panini imbottiti, vino e bevande a volontà, merenda che quasi sempre si conclude con canti popolari spontanei, quindi una passeggiata turistica nella piazza principale del borgo o di una delle tantissime cittadine del nostro Veneto.

Il fatto poi che l’uscita costi solamente 10 euro, tutto compreso, facilita alquanto le adesioni sempre numerosissime.

L’ultima uscita dell’altro ieri ha avuto come meta San Vito al Tagliamento con il relativo santuario della “Madonna di Rosa”, con 115 partecipanti.

L’eucaristia è risultata quanto mai intensa di spiritualità e aveva come tema: “Prendere coscienza della nostra ricchezza umana”. La merenda è stata piacevolissima e soddisfacente, il giro nella piazza di una bellezza particolare per i suoi palazzi medioevali ben conservati, per la roggia di acque limpide che l’attraversa e per essersi potuti abbandonare sulle sedie fuori dal bar come turisti di lusso. L’entusiasmo ha raggiunto le stelle e la richiesta a gran voce è stata di ripetere presto l’iniziativa in un’altra località.

Mi sono dilungato a descrivere questo evento per proporlo alle parrocchie come soluzione che con poca fatica e meno soldi dà una risposta alle attese globali della persona.

Confesso che a mio parere il risultato di un ritiro spirituale, spesso sopportato e con poche presenze, è di molto inferiore ad una di queste gite-pellegrinaggio che arricchiscono tutta la persona e passano senza fatica, anzi con molto gradimento, valori quanto mai importanti.

29.04.2014

Una brutta notizia

Un paio di giorni fa ho letto sul Gazzettino una notizia che mi aspettavo prima o poi, ma che comunque mi è giunta amara: monsignor Fausto Bonini, parroco del duomo di Mestre, lascia la parrocchia per limiti di età.

Il solito Alvise Sperandio normalmente informa con qualche giorno di anticipo notizie sul mondo ecclesiastico che probabilmente qualcuno della curia gli passa puntualmente. Il giornalista del Gazzettino non solo dà questa notizia, ma informa pure sui probabili aspiranti a condurre la più grande e più significativa comunità cristiana della nostra città.

Quando monsignor Bonini giunse a San Lorenzo, almeno a livello formale aveva qualche compito, se non di direzione o coordinamento, almeno di rappresentanza della Chiesa mestrina verso i responsabili della città civile. Non so se don Fausto ogni volta che è intervenuto in questo settore l’abbia fatto in forza del mandato ricevuto o per iniziativa personale, comunque tutti abbiamo avuto modo di avvertire che ogni volta che il parroco del duomo ha preso posizione su qualche argomento di interesse comunitario, la reazione della città e quella dei suoi rappresentanti s’è fatta immediatamente sentire accusando sempre “il colpo”. Questo suo modo di intervenire ha creato dunque in passato un grave problema, benché sia convinto che una città abbia bisogno di avere anche a livello religioso chi la esprima, ed è indubbio che le due città, Mestre e Venezia sono qualcosa di decisamente diverso con problematiche diverse.

Quello che invece mi preoccupa particolarmente è che dal prossimo giugno verrà a mancare il punto di riferimento più avanzato della pastorale nella nostra città post industriale. Don Fausto ha indubbiamente posto in atto un progetto pastorale di tutto rilievo che a tutti i livelli rappresenta a Mestre il punto più avanzato della testimonianza di una comunità cristiana in città.

Il sonnecchiare delle parrocchie mestrine ebbe, nella comunità del duomo, non solamente un modello avanzato di pastorale, ma anche un pungolo che poteva almeno turbare la coscienza di chi ha meno fantasia e spirito di ricerca per aprire varchi sulla nostra società in rapidissima evoluzione.

Alvise Sperandio, assai esperto e molto tempestivo nel raccogliere gli umori e i presunti orientamenti della curia, ha pure fornito una triade di nomi di possibili aspiranti o di probabili successori di don Bonini. Se le cose stanno come le prospetta il giornalista del Gazzettino, a mio parere c’è almeno un nome di uno di questi tre che ha le qualità per portare avanti il progetto pastorale di don Fausto. Dato che nella Chiesa non è entrata ancora la prassi, come era nella Chiesa antica, di consultare il popolo di Dio per queste scelte, non mi resta che pregare perché Mestre abbia almeno un parroco autorevole ad esprimere la Chiesa della nostra città e per fare da mosca cocchiera.

24.04.2014

Il mondo corre veloce

Talvolta mi chiedo perché mi angustio e mi arrovello per immaginare quale tipo di pastorale sia valida ed efficace per il tempo e la società dei nostri giorni. Avendo 85 anni dovrei mettermi l’animo in pace e godermi il vespero della vita lasciando che i giovani preti studino e scoprano il modo di offrire e di far accettare il più facilmente possibile la proposta cristiana. Purtroppo non ci riesco a stare alla finestra e a non lasciarmi trascinare dentro la mischia e, perlomeno a livello di coscienza, avverto l’urgenza e l’assoluta necessità di provare a proporre di adeguare la nostra pastorale ai tempi nuovi.

Credo che sia ormai un dato certo che l’evoluzione della mentalità degli uomini del nostro tempo è assolutamente accelerata. Le mutazioni che un tempo avvenivano in un secolo ora avvengono in pochissimi anni. Quando mi occupavo di Radiocarpini i miei collaboratori più giovani mi sollecitavano continuamente perché comprassi strumenti tecnicamente più aggiornati e quando dicevo loro che i computer avevano solamente tre anni e quindi erano praticamente nuovi, loro mi facevano osservare che quegli strumenti erano arcaici, roba da museo! Adesso capisco che non avevano tutti i torti.

Una ventina di anni fa mi capitò di leggere un volume che riferiva i dati di una visita pastorale fatta dal Patriarca Luigi Flangini alle parrocchie di Venezia alla fine del `700. Fui stupito dai dati e dalle notizie. Ad esempio il Patriarca ammoniva i preti di fare l’omelia alla domenica, perché tantissimi non erano soliti farla. Appresi ancora che San Luca, che oggi è una delle parrocchie più piccole della città, aveva a quel tempo 12 preti, ma altre parrocchie ne avevano anche di più. Oppure i parroci riferivano che in parrocchia c’erano perfino 5 o 6 parrocchiani che non facevano la comunione a Pasqua.

In questi giorni mi è capitato di leggere sulla rivista “Impegno”, edita dalla Fondazione Mazzolari, la relazione della visita pastorale che il vescovo di Cremona fece nel 1941 a Bozzolo, paese in cui era parroco il famoso don Primo Mazzolari, relazione in cui è scritto che in quella comunità di 4208 anime c’erano solamente due abitanti non cattolici, che tutti i bambini erano battezzati, che i matrimoni concordatari erano 1052, mentre i matrimoni civili soltanto 4. Che non c’era stato neppure un funerale civile, che dei 62 morti soltanto 7 erano deceduti senza sacramenti perché morti improvvisamente, che a Pasqua si comunicavano 600 uomini e 1600 donne. Che oltre che nelle messe festive si predicava per la novena dell’Immacolata, la novena di Natale, quella di san Pietro, quella dei morti, mese di maggio…

Se si confrontano questi dati di settant’anni fa con la situazione attuale, ci si rende immediatamente conto di come sia cambiata la vita religiosa nelle nostre parrocchie. Credo ad esempio che oggi le confessioni per giovani e adulti si possano contare a decine anche in parrocchie di cinque-seimila abitanti, ed anche per i bambini ora si tengano quelle due tre volte all’anno quando sono organizzate.

In questi ultimi anni si è fatto un gran parlare di nuova evangelizzazione e qui nel Veneto s’è parlato ancor di più nel Sinodo di Aquileia, però non mi pare che si sia andati molto più in là del parlare.

Per quanto mi riguarda, pur non avendo soluzioni da suggerire, mi pare di dover comunque denunciare la mancanza di un grosso sforzo per trovare soluzioni aggiornate e concrete per passare il messaggio cristiano agli uomini del nostro tempo.

20.04.2014

Attenti ai ladri!

Se un prete non tenta di vivere intensamente almeno la settimana santa, che prete è? Questa settimana, pur in un clima di aridità spirituale, ho tentato di recuperare il significato e il valore prezioso della Pasqua seguendo le orme di Papa Francesco, vero maestro di vita e di fede.

Chi mi conosce un po’ sa che non riuscivo in passato neppure a nascondere il mio disagio e la mia noia per certi pistolotti interminabili, scontati e poco mordenti di certi nostri grandi prelati. Il Papa attuale invece è sempre nuovo, sempre sorprendente e soprattutto sempre capace di donare frasi che sembrano perle preziose.

Spesso mi domando: “Ma dove li va a trovare Papa Francesco dei pensieri così sublimi e così convincenti?”. A me di questo Papa piace soprattutto il modo di parlare, perché rende ancora più incisivo e convincente il suo pensiero col tono della voce, con la pausa, con lo sguardo.

Quando legge una sua qualche omelia mi entusiasmano certi suoi passaggi e la concretezza delle sue argomentazioni, però quando l’ascolto – e noi oggi abbiamo non solo la fortuna di ascoltare le sue parole, ma di vedere anche il suo volto e la sua mimica – è veramente insuperabile. Mai una frase, un pensiero, sono scontati, da repertorio, ma sempre pare che escano dal suo cuore come da una sorgente viva e fresca, senza mediazioni di sorta. Le parole del Papa talvolta le sento come delle dolcissime carezze paterne, e tal’altra sembrano chiodi che penetrano a fondo anche se incontrano la roccia più dura.

Poco tempo fa m’è parso che abbia manifestato una preoccupazione angosciata quando disse: «Non lasciatevi rubare la speranza!» Mai come in quell’occasione ho preso coscienza di aver ricevuto un dono – di certo non per mio merito – un patrimonio di valori, di ideali, un messaggio così importante ed una proposta così vantaggiosa, però ho capito anche che custodisco tutto ciò in un “vaso di argilla” e perciò corro il terribile pericolo che mi sia rubato da gente, da ladri prezzolati, da mascalzoni pieni di supponenza che non hanno più nulla da perdere e perciò hanno la volontà sadica di profanare, di sporcare e di spegnere le luci che danno senso e perché alla vita.

Come mi tocca e mi mette in guardia il monito e la preoccupazione di Papa Francesco: “Non lasciatevi rubare la speranza!” (se ciò avvenisse diventereste dei miserabili in balia degli eventi).

L’altro ieri poi ho colto un’altra perla preziosa per la quale sarebbe giusto “vender tutto” per acquisire questo tesoro: “Rifiutate il pane sporco!”. Quanti menarrosti, quanti vendivento, quanti imbonitori e furbastri sono disposti ad “offrire pane sporco” per raggiungere fini loschi ed interessati?

Ogni tempo ha i suoi guai, però il buon Dio in ogni tempo, per fortuna, ci manda i maestri giusti; basta ascoltarli e seguirli!

19.04.2014

La “Nave de vero”

“Tanto tuonò che piovve”. I tuoni furono tanti, e tanto rumorosi, e i lampi nel cielo dell’informazione più ancora. Però non è arrivata una pioggerellina di marzo o un piovasco di primavera, ma un autentico diluvio.

Per l’inaugurazione dell'”ipermercato metropolitano”, “La nave de vero”, sono giunti 2400 invitati e migliaia e migliaia di non invitati. Ho letto la sequenza di cifre sul Gazzettino: cinquantacinquemila metri quadri di superficie, 120 negozi, 15 ristoranti, 2400 posti auto, 600 dipendenti.

Non trascrivo di certo questi dati per fare ulteriore pubblicità al nuovo ipermercato che di certo non ne ha bisogno perché i padroni hanno comperato pagine su pagine di stampa locale, ma perché è un avvenimento che dovrebbe interessare la curia, il clero e perfino i semplici fedeli. L’apertura del nuovo ipermercato è come un fungo spuntato improvvisamente dopo la pioggia: un intero paese abitato da migliaia e migliaia di creature che, come tutti, hanno bisogno di speranza e di fede.

Ho la sensazione però che nessun ufficio di curia si sia posto il problema di “come possiamo offrire l’annuncio cristiano per questa nuova realtà”. Né penso pure che nessun fedele, per quanto devoto, abbia sollecitato la curia a predisporre un progetto per offrire il messaggio di Gesù. So di certo che il patriarca Agostini, quando la nostra città era in sviluppo, si era informato su quali fossero le aree ove sarebbero stati fatti sorgere i nuovi insediamenti abitativi e predispose un piano per acquisire i terreni per costruire le nuove chiese che avrebbero dovuto servire le comunità crescenti.

So ancora che un imprenditore cristiano che opera nel settore degli ipermercati, in una occasione come quella de “La nave de vento”, vi ha costruito una chiesa aperta al pubblico ed ha invitato un sacerdote a celebrare i divini misteri.

Leggendo i resoconti della stampa ho appreso che queste nuove strutture sono diventate le nuove “piazze reali” delle nostre città, mentre le vecchie piazze sulle quali si affacciano le porte delle nostre chiese sono sempre più deserte. Ho appreso inoltre che i progettisti del nuovo ipermercato metropolitano hanno predisposto spazi per concerti, spettacoli ed altre manifestazioni. Credo che se qualcuno avesse chiesto per tempo, i costruttori avrebbero pensato anche ad un luogo per lo spirito e forse anche adesso si potrebbe pensare a qualcosa del genere sull’esistente.

Quando poi so che un nostro prete, neanche troppo vecchio, usa un motoscafo, attraversando mezza laguna, per andare a celebrare la messa festiva a Torcello, parrocchia che conta 16 fedeli, mi viene da mettermi le mani sui capelli!

Talvolta, quando sento parlare di pastorale, ho l’impressione che si parli di una cosa che si rifà pressappoco all’età del ferro o del bronzo, perché i tempi sono corsi fin troppo veloci. Nel Vangelo, a Pasqua, abbiamo letto che già duemila anni fa Gesù disse che si fa trovare e lo si potrà incontrare “avanti” e non nel passato. Don Mazzolari ha scritto che Cristo non è più reperibile neanche nelle magnifiche cattedrali gotiche perché ora e sempre sarà ove scorre la vita ed ora, per la maggioranza dei mestrini, essa si svolge negli ipermercati.

15.04.2014

Alla luce della fede

Mi rendo sempre più conto che la gente ha certi stereotipi di idee in campo religioso che talvolta hanno poco o nulla a che fare con la religione e la fede. Perciò quando il sacerdote fa qualche osservazione nei riguardi del pensiero cristiano e riesce a farlo con convinzione e con autorità, i fedeli rimangono quasi sorpresi di certi discorsi che in realtà sono stati loro fatti fin dall’infanzia.

Vengo ad un esempio capitatomi in questi ultimi giorni. Il martedì santo ho celebrato il funerale di una cara nonnetta che dopo una vita lunga e buona, è tornata da quel Signore che l’aveva mandata su questa terra circa novanta anni fa.

Normalmente, nelle mie brevi omelie, cerco di incorniciare l’evento del commiato alla luce della fede tentando di creare in chiesa un’atmosfera coerente ad essa. Cominciai dicendo che se la mia piccola chiesa prefabbricata avesse avuto il campanile, avrei suonato a festa per quell’occasione, e continuai con l’affermare che per la cara donna a cui stavamo dando l’ultimo saluto, la Pasqua giungeva quest’anno con qualche giorno di anticipo perché lei non era risorta la domenica ma quella mattina, che per il calendario era un martedì. Di conseguenza dovevamo vivere l’evento del commiato in un clima di speranza e di gaudio perché la nostra cara sorella giungeva al traguardo e si incontrava col Padre per essere introdotta nella sua casa.

Mi spinsi anche ad accennare all’alternativa: se infatti non avessimo letto alla luce della parola di Cristo questo commiato, ciò avrebbe voluto dire che i novant’anni di fatica, di ricerca, di impegno sarebbero stati spazzati via da un sol colpo, da quella realtà che noi chiamiamo morte.

Ebbi subito la sensazione che la piccola comunità che circondava la bara fosse quasi costretta ad entrare in quella logica, per essa prima tanto lontana. Non so quanto durerà questa presa di coscienza positiva, comunque quello era ciò che io potevo fare in quel momento.

Non è così nelle nuove comunità cristiane nei paesi di missione. Mi diceva mia sorella Lucia, che da molti anni segue una piccola comunità cristiana che vive nel centro del Kenia, che in una delle sue tantissime visite a quella missione, le capitò di partecipare al funerale di un cristiano del villaggio. Dopo il rito funebre: pranzo e festa per l’intera comunità. Lucia chiese ad uno degli anziani: «Come mai in un giorno di lutto tanta festa?». Lui rispose, sorpreso da questa domanda: «Perché il nostro fratello è giunto alla meta ed è entrato nel Cielo di Dio».

Credo che noi preti dobbiamo riprendere a passare le nostre grandi verità con più decisione e soprattutto con più coraggio, non temendo di essere in contrasto con una tradizione che è solo formalmente religiosa, ma che in realtà si è rifatta ad una mentalità agnostica e per nulla credente.

20.04.2014

Il recupero

Questa è una vecchia storia il cui inizio ho già raccontato un paio di anni fa e su cui sono ritornato un paio di volte, ma che sento il bisogno di riprendere per informare su come essa stia continuando.

Degente nel nostro ospedale, una mattina mi capitò di scambiare qualche parola con una giovane signora che stava pulendo la stanza. La nostra gente, soprattutto quella più semplice e genuina, stabilisce subito un rapporto quasi familiare quando incontra un sacerdote, specie quando egli è anziano.

Da questa cara signora venni a sapere che fino a poco tempo addietro c’era un prete che celebrava la messa ogni domenica nel piccolo borgo ai margini della città in cui lei abitava. In questo villaggio il cuore della comunità era costituito dalla chiesa e dalla scuola. Prima però venne chiusa la scuola, per portare i pochi alunni a Favaro, poi fu chiusa pure la chiesa per mancanza di sacerdoti, tanto che gli abitanti provavano un senso di smarrimento e di abbandono. Venuta a sapere che ero andato in pensione, mi disse , con un sorriso accattivante: «Perché non viene lei?». In quel momento ci sarei andato correndo perché anch’io, uscito dalla parrocchia, mi sentivo orfano e allo sbando.

Per qualche tempo, per motivi un po’ futili, la cosa sembrò irrealizzabile, però, col passare dei mesi, le difficoltà si risolsero e si arrivò ad una soluzione minimale che parve l’unica possibile: celebrare l’Eucaristia il primo venerdì del mese. Ciò è poco per una comunità, però ora ho la sensazione che di mese in mese anche questo “poco” sia sempre più atteso, la preghiera si fa sempre più calda e familiare e sembra che il senso dell’abbandono e della solitudine si stia pian piano dissolvendo, anzi rifiorisca un senso di comunità fatta di comunione e di condivisione ideale. Ogni mese, quando nel tardo pomeriggio parto per Ca’ Solaro, ho la sensazione di ritornare ai tempi della mia infanzia, di ritrovare la cara gente del mio paese che pure viveva in stretto contatto con la terra, che ritmava la vita con le stagioni, che si rivolgeva al Signore con semplicità e con fiducia e, pur non parlando troppo di comunità, viveva una vita di famiglia.

L’incontro con la cara gente di Ca’ Solaro mi aiuta a recuperare i tempi della mia fanciullezza, a guardare con più simpatia e familiarità uomini e donne, e a sentirmi a casa mia condividendo con loro il ritorno della vita e della natura che ci avvolge tutti con un abbraccio ricco di poesia e di bellezza.

18.04.2014

Il caudatario

La redazione di “Gente Veneta”, il settimanale della nostra diocesi è poco numerosa ma assai versatile. Io ne provo quasi invidia perché ogni settimana quei tre quattro giornalisti riescono a sfornare 32 pagine fitte fitte di avvenimenti, di notizie e di commenti che riguardano la vita ecclesiale del Patriarcato di Venezia, delle parrocchie, ma pure la vita civile delle nostre due città e dei grossi paesi che compongono la nostra diocesi. Inoltre presentano i grandi eventi che riguardano la Chiesa universale, mentre le nostre dodici pagine de “L’Incontro” escono spesso assai tribolate.

Nel numero del 12 aprile di “Gente Veneta”, come ho accennato nell’editoriale (de “L’Incontro” del 15/6/2014, NdR), la redazione ha dedicato pagine su pagine e molti servizi, tutti assai interessanti, sulla vita veneziana del cardinal Roncalli e ciò in occasione della sua santificazione. Fra i tanti articoli, tutti interessanti, ho letto con curiosità quello di Serena Spiazzi Lucchesi, che si rifà alle confidenze di don Sergio Sambin che oggigiorno deve essere uno dei preti più anziani della diocesi, ma che ai tempi di Roncalli ne era il giovane cancelliere (ossia l’addetto alla stesura degli atti ufficiali del Patriarca Roncalli).

In quell’articolo monsignor Sambin accenna alla “corte patriarcale”, che era formata dal segretario, mons. Loris Capovilla, da lui stesso in qualità di cancelliere, da don Paolo Trevisan, crocifero, e da don Carlo Seno come caudatario, ossia chierico incaricato di sorreggere la “coda” (una specie di telo lungo tre quattro metri, che costituiva lo strascico dei paludamenti patriarcali). Io ricordo pure che alle cerimonie liturgiche c’era anche un nobiluomo con lo spadino ed una guardia della basilica, vestito con un costume del `700, oltre ad un piccolo stuolo di chierici, in abito liturgico, per il servizio.

Il cardinal Roncalli è stato una persona aperta ai tempi nuovi nella sostanza, però nella forma apparteneva al “Piccolo mondo antico” che in pochi decenni è quasi scomparso e di cui Papa Francesco sta “scopando via” gli ultimi rimasugli.

Mentre leggevo queste cose con una certa morbosità, pensavo che lo stesso Roncalli ebbe in gioventù qualche noia perché sospettato di tendenze moderniste, e nella maturità qualche altra perché non ha mantenuto una distanza assoluta nei riguardi dei socialisti in congresso a Venezia e perché nella stessa nostra città c’erano dei cattolici come Vladimiro Dorigo che erano considerati troppo “di sinistra”.

Una volta ancora devo concludere che nella Chiesa ognuno deve fare la sua parte per adeguarla ai tempi nuovi e sbaglia non chi va avanti, ma chi tenta di ingessarla in un passato che comunque sarà spazzato via dall’evolversi della situazione.

14.04.2014