Sono innamorato della mia “chiesa-baita”!

Il cimitero è doppiamente “cimitero” durante tutti questi giorni di nebbia, di questo piovviginare fine che inumidisce prima i vestiti e poi il cuore, giorni di pioggia fredda sempre sul punto di trasformarsi in una “ghiacciaiola” gelata.

Il viavai continuo di fedeli delle giornate di sole si rarefà perché gli anziani, che sono coloro che sentono sempre di più la nostalgia e il rimpianto delle persone amate, temono di ammalarsi e se ne rimangono rinchiusi in casa. Solamente qualcuno, come presenza quasi spettrale, si aggira sui viali in cui si affacciano le tombe dei nostri morti, forse perché gravi ferite recenti lo spingono a recuperare memoria ed incontro con le persone che se ne sono andate.

Nonostante questo, nella “mia chiesa-baita” l’andirivieni è continuo. La casa di Dio tra i cipressi è quanto mai accogliente col suo tepore diffuso, con le sue luci calde, coi suoi fiori ordinati e sorridenti e con i testimoni di Dio dell’antico e nuovo tempo che attendono in fila sulle pareti di offrire il loro messaggio di speranza e di bene.

Spesso mi siedo in fondo alla chiesa per assistere dolcemente al dialogo silenzioso, ma intenso, dei fedeli con la Madonna della Consolazione, o con Teresa di Calcutta o sant’Antonio da Padova, con Padre Pio o Papa Luciani, con Papa Giovanni XXIII o Francesco d’Assisi o Papa Woytila. Un incontro intimo, un segno di croce, la lettura del messaggio di queste creature di Dio stampato loro accanto; spesso con gesto lento e affettuoso la mano si posa su un lumino rosso perché continui durante il giorno la preghiera del loro cuore.

La mia chiesa è la più umile tra quelle della nostra città, la più povera e silenziosa, però forse è la più cara ed accogliente. Io ogni giorno di più ne sono innamorato.

Di Canti e di raccoglimento

La nuova chiesa del cimitero – l’ho ormai detto cento volte – è stata per me un dono del Cielo. Non avrei mai pensato che un prefabbricato, messo in piedi appena in un mese, senza progetti, senza architetti e senza alcunché di pregiato, sarebbe stato accolto con tanto entusiasmo da parte dei concittadini, fosse ammirato ed apprezzato come se avessero costruito per loro una cattedrale.

Il fatto che proprio tutti affermino che la nuova chiesa offre un’atmosfera di intimità, quasi accogliesse tutti col calore familiare di una baita di montagna e che si sentano bene tra le sue mura sottili e le sue finestre che s’aprono sulle tombe, mi pare un ulteriore miracolo.

Il fatto poi che i fedeli, da un anno, gremiscano ogni settimana la chiesa, occupino tutte le 220 sedie, stiano in piedi lungo le pareti e nel corridoio centrale e che perfino partecipino alla messa sul piccolo sagrato e sotto la prospiciente galleria di loculi, mi è parsa la terza grazia!

A tutto questo si aggiunge la soddisfazione di avvertire una partecipazione reale sia alla preghiera che ai canti sorretti dal piccolo coro di una quindicina di ultraottantenni, cosa che mi fa enormemente felice; sono pochi i preti che possono godere di una fortuna simile a questa! In molte chiese, purtroppo, c’è aria di stantio; qualche prete canta a squarciagola solitario e le assemblee, spesso sparute, sonnecchiano annoiate.

Da noi le cose vanno fortunatamente in maniera tanto diversa. Però, qualche giorno fa, mi è giunta una lettera di una signora che dice di non essere la sola a lagnarsi della mancanza di possibilità di raccoglimento e di non apprezzare, anzi di essere disturbata dai canti. Povero mondo!

Alla lettura di questa gentile, ma rigorosa critica, m’è venuta in mente la storiella del padre che va al mercato col figlio e con un asinello. Monta in groppa il padre e la gente: “Guarda quel vecchio in sella e il povero bambino a piedi!”. Scende il vecchio e monta il bambino: “Che gioventù, il vecchio a piedi e il ragazzo in groppa!”. Montano tutti e due: “Vergognosi, si approfittano di quel povero asino!” . Scendono tutti e due: “Guarda quegli allocchi, hanno un asino e non ne approfittano!”.

Sia ben chiaro! Io ascolto tutti, ma obbedisco solo alla mia coscienza, checché ne dica il mondo intero!

Al canto aggiungeremo, d’ora in poi, qualche minuto di silenzio!

La mia seconda inattesa giovinezza sacerdotale!

Sto vivendo una nuova giovinezza sacerdotale nella comunità che di domenica in domenica si sta formando attorno al piccolo altare di legno della mia nuova chiesa, che per tutti ha il profumo e dona l’atmosfera di una baita di montagna.

Auguro a tutti i preti di avere una chiesa appena costruita, che è ormai troppo piccola per contenere i fedeli che alla domenica si ritrovano per ascoltare il messaggio di Gesù e per incontrarsi col Signore. Solamente quasi mezzo secolo fa quando, pretino imberbe, facevo il cappellano nella chiesa di San Lorenzo in piazza Ferretto, la gente gremiva il tempio tanto intensamente. Ricordo che alla messa delle undici, celebrata da monsignor Da Villa, il prete che per certi versi sembrava un tribuno che arringasse il popolo a fidarsi del Signore, la chiesa era così piena che quando all’offertorio partivamo in quattro per raccogliere le offerte, arrivati in fondo alla chiesa non riuscivamo più a tornare indietro e quindi uscivamo a fatica per la porta d’ingresso e tornavamo in sagrestia passando per piazza Ferretto e il vicolo della canonica. Come ricordo, con uguale ebbrezza, quando iniziarono “le messe bit” – come si diceva allora. La chiesa era ancora piena come un uovo di giovani alla messa delle dodici.

La mia giovinezza di prete è stata veramente bella e fortunata! Non è stata meno bella la mia vita da parroco, quando la chiesa si riempiva e si svuotava per ben sette volte ogni festa, perché tante erano le messe. Ricordo ai tempi di don Adriano e di don Gino la “messa del fanciullo” delle nove del mattino, quando eravamo costretti a spingere a forza gli adulti verso il fondo della chiesa per far posto ai ragazzi che cantavano, battevano le mani, quasi toccati da una nuova Pentecoste dello Spirito.

Ma mai avrei immaginato che queste esperienze, affascinanti per un prete,avrei potuto ritrovarle oggi, nel 2010, nella nuova chiesa prefabbricata in cimitero. A meno di un anno di distanza dalla sua inaugurazione, i fedeli non stanno più in chiesa, tanto che ho dovuto trovare sedie da collocare sul sagrato per chi deve rimanere fuori. Ogni domenica mi vien da ripetere con convinzione e commozione: «Signore, non son degno che entri sotto il mio tetto!»

La “ricetta” per una chiesa gremita!

Il mio coro domenica mattina ha ricevuto a fine messa un caldo e prolungato applauso dall’assemblea che gremiva la chiesa, occupando tutte le 220 sedie, stando in piedi lungo le pareti e gremendo pure il sagrato.

Sono troppo vecchio per chiedere alla Veritas e al Comune di ampliare la chiesa del cimitero, mi accontento anche così e spero che i fedeli della mia splendida comunità facciano lo stesso.

Essendo stonato, ma tanto stonato, ho chiesto alla “Corale Santa Cecilia” del “Don Vecchi” il dono di animare alla domenica l’Eucaristia che celebro in cimitero alle dieci. Ho avuto immediatamente la disponibilità della signora Giovanna che è il Toscanini del mio gruppo corale. Abbiamo superato qualche difficoltà per il trasporto – perché il cimitero, come tante altre parti della città, non è servito dagli autobus dell’ACTV – mediante la disponibilità di due miei coinquilini, Primo e Rino i quali, facendo la spola “Don Vecchi-cimitero” trasportano soprani, contralti, organista e maestro del coro, tutta gioventù che ruota attorno agli ottant’anni.

Fortuna mia e loro, essendo i canti facili e “cantabili”, tutta l’assemblea, se non altro per un motivo di tenerezza verso tanta veneranda età, si lascia coinvolgere e canta; qualche anziano si è unito da volontario e la signora Buggio fa da soprano solista, pur potendo essere considerata una nipotina con i suoi quarant’anni. Nino, il violinista novantenne, ogni domenica giunge in bicicletta col violino a tracolla, accompagna il coro, assieme all’armonium suonato dalla signora Dolens, e in altri momenti si esibisce con i virtuosismi che, in tempi andati, strappava gli applausi dei “foresti” e dei veneziani, quando suonava al “Lavena” o al “Quadri” in Piazza San Marco; adesso fa ancora venire i brividi e fa sognare la beatitudine del Paradiso.

Domenica scorsa la chiesa era gremita, com’era gremito il porticato antistante la porta principale. Dicono che le chiese sono deserte e che poca gente va a messa la domenica, ma se penso alla mia chiesa mi vien da concludere che bisognerebbe che le prediche fossero più corte e più sostanziose, la liturgia più curata e l’animazione più accattivante e più consona all’incontro col buon Dio che ci viene a visitare.

Mi son permesso di scrivere tutto questo perché non voglio essere il solo a beneficiare di questa “ricetta”, almeno “provare per credere!”

Forse la mia idea non era del tutto sbagliata!

Nota: la redazione, che immette settimanalmente i pensieri di don Armando in questo spazio dando loro la forma di un blog, è felice di aver contribuito indirettamente a questo post!

Oggi mi ha raggiunto prima della messa un giovanotto che fa l’agente di commercio per una azienda che è disposta a finanziare “Piccoli cimiteri” di loculi cinerari da costruirsi in eventuali dependances di chiese o di luoghi sacri. Questo giovanotto, che aveva una busta con i relativi depliants e costi del progetto aveva scoperto sul mio blog che la loro iniziativa corrispondeva alla lettera al progetto che io avevo proposto alla “Veritas” e al comune per finanziare la chiesa del cimitero.

Sono stato contento dell’incontro per vari motivi: a) ho scoperto di avere un blog. A più di ottantanni possedere un “blog”, che non so neppure in che cosa consista, mi fa sentire moderno quasi fossi appena uscito dalla facoltà di informatica, b) la conferma che il mio progetto non era poi tanto peregrino quanto mi vollero far credere se pare che ci sia gente disposta a finanziare progetti del genere, mettendo a disposizione capitali che poi pensa di recuperare in vent’anni esigendo solamente la metà di quanto viene richiesto a chi acquista il loculo!

Le cose sono andate diversamente, ed io ne sono particolarmente felice perché la soluzione provvisoria è risultata quanto mai economica e positiva per i fedeli e per me. Da qualche tempo sto proponendo un altro progetto al comune per prolungare l’autosufficienza dell’anziano, per offrirgli una vita il più possibile normale ed umanamente rispettosa della sua persona e per abbattere i costi iperbolici che il comune deve addossarsi. So di certo che non la spunterò!

L’amministrazione civica è un pachiderma, spesso sordo alle proposte di chi opera per il prossimo, solamente spinto da ideali, è spendacciona per natura e purtroppo forse anche per scelta! Io faccio un’immensa fatica pensare ai 4600 “lavoratori” del comune che talvolta a taluno sembrano pagati per complicare la vita e creare impedimenti a chi vuol lavorare, ma capisco che mi debbo rassegnare.

Quando la semente trova il terreno buono…

Da tanto tempo raccolgo, tra le letture che vado facendo, passi, preghiere e riflessioni che contengono pensieri molto pregnanti e scritti in maniera incisiva tanto da creare un impatto di pensiero e di emozioni a chi gli capita di leggerli.

Dieci anni fa ho pubblicato un volume in occasione dell’anno santo “Il duemila con Dio”. Nel testo ho riportato per ogni giorno uno di questi pezzi di pensiero espressi con parole ricche di poesia e di impatto.

Ora da un paio di anni raccolgo questi messaggi forti per l’opuscolo mensile che andiamo pubblicando con l’editrice de “L’incontro” grazie ad un gruppetto di meravigliosi collaboratori.

Mi spiace che per carenza di mezzi e di una rete distributiva riusciamo a pubblicare un numero limitato di copie, ma spero che già la ricerca e la pubblicazione possano essere una semente che trova un terreno buono e renda il trenta, sessanta e magari il novanta per cento.

A questo proposito ricordo un pezzo che aveva come titolo “La preghiera del pagliaccio”. Questo povero diavolo, che non avendo cultura e formazione religiosa, diceva: “Signore, io non ti so pregare, sono umile e povero so solamente giocare con le palline, un gioco di destrezza!” Così alla sera pregava il buon Dio facendo rimbalzare le palline colorate verso il cielo e le raccoglieva con abilità. Qualche settimana fa il mio pensiero è ritornato alla preghiera del giocoliere, avendomi donato un marmista la pila dell’acqua santa e il bellissimo tabernacolo.

Più di trent’anni fa sposai una coppia di ragazzi, a quanto mi ricordo non mi sono sembrati molto devoti e troppo propensi a fare il corso per fidanzati. Poi come sempre li persi di vista. Essi sono riemersi dalle nebbie di un lontano passato, in occasione della nuova chiesa del cimitero per regalarmi la pila dell’acqua santa e il tabernacolo. Lui fa il marmista, lei la segretaria dell’azienda. Hanno però fatto il tutto con tale entusiasmo e tale tenerezza che credo che neppure un Te Deum da pontificale possa eguagliare la consistenza dell’opera che hanno regalato per la chiesa e il cuore con cui l’hanno fatto!

Di nuovo padre e pastore di una “vera” comunità, grazie Signore!

Quando il 2 ottobre del 2005 sono uscito, nel tardo pomeriggio, dalla chiesa di Carpenedo gremita di fedeli, mi è sembrato di essere un povero diseredato, solo, senza patria e senza famiglia. Mi sono ritrovato tra le mura bianche e solitarie della mia nuova e piccola dimora di meno di 50 mq. con solamente qualche libro, qualche quadro e qualche relitto del mobilio che per tanti anni ha reso calda la mia grande casa di inizio ottocento che da due secoli s’appoggia alla chiesa ed ha ospitato i parroci di Carpenedo.
Ero inoltre lucidamente consapevole che dovevo recidere il più possibile tutti i rapporti con “la sposa” che ormai non era più mia.

Questa separazione è stata molto dura e la sensazione della rottura ideale con la mia gente non è durata qualche giorno o qualche mese, ma ha continuato a farsi sentire per anni.

La nuova piccola comunità che si raccoglieva ogni settimana nella piccola cappella del cimitero era così striminzita che non riusciva a riscaldare il mio cuore abituato alla folla che sette volte ogni domenica riempiva la mia vecchia parrocchia.

D’estate, quando faceva bello, la gente, dispersa tra le tombe, mi riempiva maggiormente l’animo e mi rincuorava, ma poi con le prime brezze autunnali il rimpianto e la nostalgia avevano ancora una volta il sopravvento.

Ora finalmente mi sento padre e pastore di una vera comunità, la chiesa gremita in un ambiente caldo di fraternità, i volti ormai noti e cari, la partecipazione attenta e devota, lo scambio di saluti cordiali mi fanno sentire di poter dare volto e parola al Maestro e le parole e le preghiere sgorgano ora appassionate e fraterne. Ora posso dire d’avere una numerosa splendida comunità con cui camminare con passo lieto e constante verso il Regno. Ogni giorno ed in ogni occasione, ringrazio il Signore di questo grande ed inestimabile dono!

Chiesetta del cimitero: di mio ci sono i santi e tanto amore!

La nuova chiesa del cimitero è nata non da una intuizione artistica di un architetto colto e amante del bello, ma dall’assemblaggio quasi occasionale di una ditta Moldava che produce prefabbricati a buon prezzo, da alcuni tecnici della Veritas che si occupano di loculi e di cinerari e da un’impresa artigiana dell’interland che si occupa di riscaldamento e che per l’occasione ha appaltato anche l’illuminazione e l’amplificazione sonora.

Io ho tentato, molto discretamente non avendo un ruolo istituzionale, di rabberciare le varie parti, mettendoci qualcosa che potesse raccordare il tutto e di fare di un “capannone” una “casa del Signore”

Fortunatamente la Divina Provvidenza, senza essere per nulla interpellata ci ha aggiunto il profumo del legno, il senso di un rifugio di montagna che dona la sensazione di intimità e crea un senso di famiglia, il tepore del riscaldamento a cui non eravamo abituati, l’impiantito di legno, che sembra un tappeto persiano e il buon gusto di suor Teresa che colloca i fiori con vera maestria hanno fatto il resto, tanto che i fedeli non cessano di complimentarsi per la “bellissima chiesa” che credono che io abbia costruito!

Di mio, ci sono i santi che ci accompagnano nella nostra ricerca di Dio e nella nostra lode al Signore. Li ho scelti con cura, sono i miei santi. In realtà avrei invitato anche don Mazzolari, don Milani, don Gnocchi e qualche altro amico del cielo, ma per ora non è ancora prudente farlo! Avevo già sistemato il tutto, se non che a motivo della luce si sono resi liberi altri due posti. Ci ho pensato un po’, poi senza esitazione ho invitato con piacere Papa Luciani, e con un po’ meno di entusiasmo, a motivo dell’età, anche Sant’Antonio. Sono contento che il nostro vecchio patriarca, che non ha avuto vita certamente facile e Venezia, ritorni e incontri un’accoglienza diversa, un luogo e della gente che gli vuol bene e ci dia una mano con il suo esempio ad amare la chiesa ed il prossimo.
Ora poi abbiamo l’acquasantiera offerta da Pedrocco, l’icona che saluta chi entra.

Mi auguro che un po’ alla volta la mia chiesa diventi la più amata della nostra città, il rifugio di chi soffre e cerca consolazione.

Un percorso spirituale nella chiesetta del cimitero che spero diventi abituale

Durante il Giubileo, ma credo che ci sia l’usanza di farlo anche dopo quella ricorrenza, per lucrare l’indulgenza si dovevano visitare le quattro Basiliche maggiori: San Pietro, San Paolo fuori le mura, Santa Maria Maggiore e San Giovanni Evangelista. Non mi è mai stata spiegata il perché di questa usanza e la clausola relativa per ottenere l’indulgenza, ma penso che la chiesa voglia far incontrare i fedeli con le colonne portanti della nostra fede, con i testimoni più importanti del cristianesimo.

I pellegrini in Terrasanta credo che abbiano pure un percorso di visita già segnato, la natività, il Santo Sepolcro, la Trasfigurazione, l’Ultima Cena. Mi pare inoltre che pure a Bologna ci sia la visita alle sette chiese.

Anch’io ho sognato che chi entra nella nuova chiesa del cimitero abbia un percorso spirituale ed ascetico da compiere e mi pare che ci sia già qualcuno, che pur non avendo ricevuto inviti o indicazioni, abbia cominciato a farlo. Entrando uno vede illuminato il Tabernacolo e il Cristo in croce, punto focale dell’incontro religioso.

Poi cominciando da destra si incontra la Madonna con accanto una preghiera che aiuta il visitatore a dare forma al suo incontro con la Madre, poi si passa a Padre Pio con l’invito alla preghiera e alla confessione del male che si annida nel cuore di ogni uomo, quindi Sant’Antonio, il Santo della carità e della confidenza con Dio, poi l’incontro con San Francesco, con accanto la preghiera che aiuta a scoprire il creato come dono bello di Dio, quindi Papa Luciani, il Santo di casa nostra, benevolo e familiare, il vecchio Patriarca della nostra terra e di noi veneti. Si passa poi a Papa Woityla, con il suo invito al coraggio e all’aprire il cuore a Cristo, infine l’incontro con Papa Giovanni, che ti mette il cuore in pace e ti fa sentire la paternità di Dio.

Spero proprio che i fedeli compiano per intero il pio pellegrinaggio, leggendo le preghiere-messaggio, magari accendendo un lumino per lasciare traccia ai fratelli che seguiranno della propria presenza e della propria fede.

Spero che un po’ alla volta il pio esercizio di questi incontri, diventi un tonificante religioso per tanti mestrini che ogni giorno entrano numerosi in cimitero.

Un esempio che ogni mestrino dovrebbe seguire!

Io sono sempre stato esigente con me stesso e purtroppo lo sono anche con gli altri. Non riesco né a comprendere, né a tollerare che dei sessantenni – o perché sono andati presto a lavorare, o perché sono stati occupati presso enti statali o parastatali, o perché hanno avuto, per motivi diversi, degli abbuoni – se ne vadano in pensione e vivano il resto della vita oziando, trascinandosi da una sedia all’altra o da una passeggiata alla visita ad un ipermercato.

Nella vita ognuno deve dare il suo contributo sempre, viva vent’anni o ne viva cento, e questo indipendentemente dalla pensione “legale”. Ognuno mangia, respira, cammina per strada, beneficia del lavoro degli altri, e perciò è giusto che ricambi, occupando il suo tempo ed impegnando le sue capacità a favore del suo prossimo. San Paolo, a questo proposito, è perentorio: “Chi non lavora non mangi!”

C’è un lavoro retribuito con lo stipendio, e c’è pure un lavoro che deve accontentarsi della riconoscenza o del benessere del suo prossimo. Preferisco infinitamente chi lavora in nero – dicano pure quello che vogliono sindacati o politici – a chi perde il tempo facendo nulla.

L’altra domenica indicai alla ammirazione dell’assemblea che gremiva letteralmente la nuova chiesa del cimitero, il signor Nino Brunello che, a novantadue anni, ogni domenica si presenta puntuale col suo amato violino, quel violino che lui ha suonato per la sua intera lunga vita, per accompagnare il canto del gruppetto di anziani del Don Vecchi che aiutano l’assemblea a lodare il Signore col canto.

Quella mattina il vecchio violinista, che aveva suonato con altri orchestrali fino a mezzanotte all’hotel Gritti di Venezia, alle dieci s’era presentato, sereno e sorridente, a compiere gratuitamente e con entusiasmo, il suo servizio all’altare. Sentii il bisogno di indicare all’ ammirazione dell’assemblea questa bella testimonianza di fede e di laboriosità. Tutti gli batterono le mani.

Quanto sarei felice che ogni mestrino meritasse l’applauso dei suoi concittadini per il dono del proprio tempo e delle proprie capacità.

Aspettando le “vecchine”, prezioso tesoro per ogni chiesa

Qualche giorno fa il Vangelo mi ha giustamente costretto a riflettere sulla profetessa Anna, quella “Betta dalla lingua schietta” che, incontrando la Madonna nel tempio, in occasione della sua purificazione e della presentazione di Gesù, le predisse che fare la mamma in maniera seria è un “mestiere” faticoso, difficile e talvolta anche ricco di amarezze.

La Madonna accettò la lezione e la mise in pratica, tanto che rimproverò Gesù per il fatto che si era fermato a Gerusalemme per discutere con i dottori nel tempio ed infatti, dopo la reprimenda “perché hai fatto questo? tuo padre ed io ti abbiamo cercato”, Gesù – ci informa il Vangelo – “cresceva e si fortificava in età, sapienza e grazia”.

Tutto serve nella vita, se è accettato con intelligenza, umiltà e buona volontà.

Il discorso su Anna mi ha fatto venire in mente un pezzo di Bergellini, l’intellettuale fiorentino che con penna felicissima, sorniona ed intelligente, dedica una bellissima pagina alle “vecchine” che bazzicano molto di sovente in ogni chiesa. Non possiamo concedere sempre l’aureola a tutte queste vecchine, perché qualche pettegolezzo, qualche “manietta” ce l’hanno anche loro, ma è pur vero che danno respiro e cuore alle sacre mura solenni del tempio e rimangono testimoni di una fede convinta e di antichi valori cristiani.

Io non ho la fortuna di avere queste vecchine, nella cappella ottocentesca perché è troppo piccola e tanto fredda, nella prefabbricata perché è troppo nuova per ospitare nonne che hanno bisogno di tempo per mettere radici.

Non è vero che non ho “vecchine” in assoluto, in verità ne ho troppo poche perché diventino il cuore e le labbra della nuova chiesa “Santa Maria della Consolazione”. Ma in futuro chissà!

Una chiesa amata perché semplice

I fedeli mi hanno chiesto di rinforzare gli altoparlanti esterni alla nuova chiesa perché, nonostante essa offra posti a sedere di più di quelli esistenti nella vecchia cappella dell’ottocento, ci sono ancora fedeli che sono costretti a partecipare alla Messa stando fuori della chiesa.

Ho ordinato altre 30 sedie e credo poi che con un po’ di buona volontà si possa trovare ancora qualche spazio all’interno, comunque sono molto contento nel costatare che non ho sbagliato a chiedere al Comune una struttura di cui la Comunità cittadina aveva vero bisogno.

Sono poi ancora più contento che la gente gradisca quanto mai il nuovo luogo di culto.

I fedeli non cessano di farmi complimenti, pensando che la risposta della civica amministrazione sia stata determinata dalla mia insistenza, e soprattutto si dice contenta della struttura che giudica quanto mai bella e adatta agli incontri di preghiera.

E’ vero che la nuova chiesa offre un clima di molta intimità; si determina subito nella assemblea un clima accogliente, familiare, infatti la gente risponde, canta, partecipa ai sacri misteri; forse non è distratta dalla maestosità del tempio, motivo per cui il dialogo con Dio e con i fratelli diviene immediatamente l’elemento focale dell’incontro religioso.

Di frequente mi viene da pensare alla definizione con cui il vescovo di Barletta, don Antonino Bello, parla della comunità cristiana del nostro tempo come “La chiesa in grembiule”, come chiesa dimessa, povera rispondente al sogno e alle attese dei cristiani semplici ed evangelici.

Forse è per questo che i mestrini dimostrano ogni giorno di più il loro gradimento per la chiesa prefabbricata del cimitero, sentono l’esigenza che non solo la chiesa dei cuori non abbia nulla di maestoso ed incombente, e perciò s’aspettano che anche l’abito che indossa sia consono ad un popolo di Dio umile ed autentico.

La bella accoglienza dei mestrini per la nuova chiesa prefabbricata del cimitero

All’infuori di Monsignor Bonini, con mio stupore e sollievo, non ho fortunatamente sentito alcuna voce critica nei riguardi della nuova chiesa del cimitero. Temevo tanto che l’ orgoglio di una città che da decenni e decenni, è stata trattata ed è vissuta come lontana periferia anonima ed incolore della perla della laguna, ed ha subìto un complesso di inferiorità, fosse esplosa rivendicando una chiesa adeguata all’importanza che Mestre è andata ad assumere nel tempo. Invece no!

Forse oggi la gente deve fare i conti con stipendi che superano di poco i mille euro, l’incertezza del posto di lavoro e una vita quanto mai costosa, perciò anche il problema dell’orgoglio architettonico pare passato in secondo ordine!

Ho registrato due reazioni largamente diffuse ed ambedue sorprendenti.
La prima, tantissimi hanno additato il merito di questo intervento a me vecchio e povero prete che, sì ha stuzzicato l’opinione pubblica e la civica amministrazione, ma non più di tanto. In realtà avrei potuto recare più noie, ma ho sempre ritenuto opportuno riservare i miei “strali” a cause più consistenti. Il merito e la saggezza di questi interventi tampone, va addebitato positivamente al vicesindaco Mognato e all’assessore ai lavori pubblici dott.sa Laura Fincato, e semmai in secondo ordine ad uno staff di giovani e bravi tecnici della Veritas.

La seconda nota, pure positiva, che ho registrato è che la gente ha giudicato la soluzione bella e positiva, tanti perfino l’hanno dichiarata una chiesa bellissima!

Approfondendo la motivazione di questo consenso ho avuto la sensazione che il nostro popolo abbia apprezzato il senso di intimità, di famiglia; in effetti la nuova chiesa offre un clima familiare, sobrio, ma caldo ed accogliente. Qualcuno si è spinto a dire che gli sembrava di sentirsi in uno chalet di montagna.

Se il gradimento si può misurare dalla partecipazione debbo concludere che è ben superiore di quanto non avessi sperato.
Se il giorno lo si vede dal mattino credo che lo spazio sacro ci permetterà di fare del grande bene.

La gente ascolta, canta, prega coralmente, finora ha riempito letteralmente la chiesa e perfino seguito la preghiera da fuori, nonostante le giornate piovose!

Sono indotto a pensare che la nostra gente sia alla ricerca di una religiosità condivisa, sobria e calda, vissuta con semplicità e fraternità, con il minimo di orpelli e di fronzoli!

Abbiamo dedicato la sala di preghiera alla “Madonna della consolazione”. Mi auguro tanto e prego perché tanta gente vi possa trovare pace, conforto, coraggio e speranza e che le presenze dei santi del nostro tempo, presenti nel nuovo edificio, aiutino tutti a trovare la strada giusta per vivere una vita serena.

Un’Europa a volte infame e ingiusta!

La nuova chiesa prefabbricata, allestita a tamburo battente, perché fosse pronta prima dell’inizio dell’inverno, proviene dalla Romania.

La ragione dell’acquisto da un paese così lontano, suppongo sia duplice: il costo minore ed in secondo luogo la disponibilità a fornire in pochissimo tempo il prodotto.

Sembra che gli elementi per il montaggio siano stati preparati in circa un mese e l’assemblaggio in circa tre settimane.

C’è da dire che questa estrema rapidità, perché si tratta di un manufatto di trecento metri quadrati, provvisto di isolamento termico, di intonaco esterno ed interno, è stato determinata dal fatto che la Veritas ha fornito alcuni tecnici, un ingegnere a tempo pieno che ha studiato nei minimi particolari un piano di lavoro e di altri tecnici che hanno seguito gli impianti elettrici, di condizionamento termico, di amplificazione sonora e che nei momenti di emergenza hanno inserito operai specializzati italiani. Però l’elemento portante è stato sopportato dallo staff di operai rumeni che hanno lavorato giorno e notte.

L’ingegnere che ha tenuto le file del cantiere mi ha fatto osservare che il confronto tra gli operai italiani e rumeni non reggeva, i nostri hanno un rendimento certamente maggiore, ma poi soggiunse che da un lato l’educazione dei rumeni fondamentalmente è rimasta quella del regime e tutti sanno che nei regimi comunisti il rendimento è estremamente basso e dall’altra le paghe di questi operai rumeni che, a tutti gli effetti devono considerarsi personale specializzato, non superano i 200 euro al mese, solamente il capo cantiere percepiva 250 euro.

Avevo già sentito una notizia del genere, ma ora avevo sotto gli occhi questa ingiustizia o peggio questa infamia che persiste tra gli operai dell’Unione Europea.

Da questa notizia ho compreso, ulteriormente quanta strada deve fare ancora l’Europa per essere una nazione, quanta solidarietà dobbiamo avere verso     questi popoli che mandano le loro donne in Europa a fare le badanti dei nostri vecchi, perché le loro famiglie possano sopravvivere e quanta vergogna dobbiamo provare per il permettere o peggio per il nostro favorire queste radicali ingiustizie e quanto meschino ed egoista sia il neonazionalismo che serpeggia nel nostro Paese.