Il cimitero è doppiamente “cimitero” durante tutti questi giorni di nebbia, di questo piovviginare fine che inumidisce prima i vestiti e poi il cuore, giorni di pioggia fredda sempre sul punto di trasformarsi in una “ghiacciaiola” gelata.
Il viavai continuo di fedeli delle giornate di sole si rarefà perché gli anziani, che sono coloro che sentono sempre di più la nostalgia e il rimpianto delle persone amate, temono di ammalarsi e se ne rimangono rinchiusi in casa. Solamente qualcuno, come presenza quasi spettrale, si aggira sui viali in cui si affacciano le tombe dei nostri morti, forse perché gravi ferite recenti lo spingono a recuperare memoria ed incontro con le persone che se ne sono andate.
Nonostante questo, nella “mia chiesa-baita” l’andirivieni è continuo. La casa di Dio tra i cipressi è quanto mai accogliente col suo tepore diffuso, con le sue luci calde, coi suoi fiori ordinati e sorridenti e con i testimoni di Dio dell’antico e nuovo tempo che attendono in fila sulle pareti di offrire il loro messaggio di speranza e di bene.
Spesso mi siedo in fondo alla chiesa per assistere dolcemente al dialogo silenzioso, ma intenso, dei fedeli con la Madonna della Consolazione, o con Teresa di Calcutta o sant’Antonio da Padova, con Padre Pio o Papa Luciani, con Papa Giovanni XXIII o Francesco d’Assisi o Papa Woytila. Un incontro intimo, un segno di croce, la lettura del messaggio di queste creature di Dio stampato loro accanto; spesso con gesto lento e affettuoso la mano si posa su un lumino rosso perché continui durante il giorno la preghiera del loro cuore.
La mia chiesa è la più umile tra quelle della nostra città, la più povera e silenziosa, però forse è la più cara ed accogliente. Io ogni giorno di più ne sono innamorato.