Sto vivendo una nuova giovinezza sacerdotale nella comunità che di domenica in domenica si sta formando attorno al piccolo altare di legno della mia nuova chiesa, che per tutti ha il profumo e dona l’atmosfera di una baita di montagna.
Auguro a tutti i preti di avere una chiesa appena costruita, che è ormai troppo piccola per contenere i fedeli che alla domenica si ritrovano per ascoltare il messaggio di Gesù e per incontrarsi col Signore. Solamente quasi mezzo secolo fa quando, pretino imberbe, facevo il cappellano nella chiesa di San Lorenzo in piazza Ferretto, la gente gremiva il tempio tanto intensamente. Ricordo che alla messa delle undici, celebrata da monsignor Da Villa, il prete che per certi versi sembrava un tribuno che arringasse il popolo a fidarsi del Signore, la chiesa era così piena che quando all’offertorio partivamo in quattro per raccogliere le offerte, arrivati in fondo alla chiesa non riuscivamo più a tornare indietro e quindi uscivamo a fatica per la porta d’ingresso e tornavamo in sagrestia passando per piazza Ferretto e il vicolo della canonica. Come ricordo, con uguale ebbrezza, quando iniziarono “le messe bit” – come si diceva allora. La chiesa era ancora piena come un uovo di giovani alla messa delle dodici.
La mia giovinezza di prete è stata veramente bella e fortunata! Non è stata meno bella la mia vita da parroco, quando la chiesa si riempiva e si svuotava per ben sette volte ogni festa, perché tante erano le messe. Ricordo ai tempi di don Adriano e di don Gino la “messa del fanciullo” delle nove del mattino, quando eravamo costretti a spingere a forza gli adulti verso il fondo della chiesa per far posto ai ragazzi che cantavano, battevano le mani, quasi toccati da una nuova Pentecoste dello Spirito.
Ma mai avrei immaginato che queste esperienze, affascinanti per un prete,avrei potuto ritrovarle oggi, nel 2010, nella nuova chiesa prefabbricata in cimitero. A meno di un anno di distanza dalla sua inaugurazione, i fedeli non stanno più in chiesa, tanto che ho dovuto trovare sedie da collocare sul sagrato per chi deve rimanere fuori. Ogni domenica mi vien da ripetere con convinzione e commozione: «Signore, non son degno che entri sotto il mio tetto!»