Ai fedeli della chiesetta del cimitero di Mestre

Cari amici, per un breve periodo non potrò essere con voi nelle messe in quella che ho sempre definito la mia “cattedrale tra i cipressi” e che amo tanto, bella come una baita di montagna.

I postumi del Covid, che ha colpito anche me nelle scorse settimane, sono ancora forti per un ultranovantenne. Inoltre, a breve, dovrò sottopormi ad un intervento per una cataratta ad un occhio, quindi era necessario prendere un periodo di riposo.

Come già avvenuto in passato, ringrazio don Gianni Antoniazzi che si è reso disponibile a sostituirmi durante questa mia assenza che mi auguro il più breve possibile.

Non vorrei diventare un piagnone. Ho avuto il tifo a 20 anni, la cistifellea, un tumore al colon quand’ero parroco a Carpenedo, mi hanno tolto un rene una decina di anni fa, e ogni volta che tornavo a casa mi rendevo conto di quanto è bella la vita. Tutto è stato un dono, non una disgrazia, e sono sempre tornato.

Cari amici, conto di rivedervi tutti presto nella nostra piccola, grande Cattedrale.

La Corale Santa Cecilia

In un mio recente intervento ho esposto i problemi pastorali che vivo in qualità di pastore della mia “parrocchietta” dei Centri don Vecchi. Mi sono soffermato in particolare sui crucci che riguardano la nostra piccola comunità, perché sognavo e sogno ancora che nessuna delle mie “cinquecento” pecore esca dall’ovile e si perda.

Desidero inoltre che i lettori conoscano le nostre eccellenze, che per fortuna non sono né poche né piccole. Se ne avrò l’opportunità, spero di poter illustrare anche le altre attività che si svolgono all’interno di questo piccolo borgo di anziani particolarmente fortunati: le gite pellegrinaggio, le attività culturali e ricreative, le iniziative benefiche e altro ancora.

Con queste righe, voglio raccontare l’attività della corale Santa Cecilia che da più di quindici anni anima le liturgie del centro di Carpenedo e la celebrazione eucaristica domenicale nella “cattedrale tra i cipressi” del nostro cimitero. Tengo a precisare che il coro di Carpenedo è il più importante, ma anche Campalto e gli Arzeroni hanno il loro coro di anziani.

Il coro Santa Cecilia è stato creato una quindicina di anni fa da una residente, la signora Giovanna Miele Molin, maestra elementare in pensione, e attualmente ricopre il ruolo di codirettrice e la sua vice, signora Mariuccia Buggio, soprano e voce solista che si esibisce molto di frequente in concerti in città. Al momento il coro è composto da una quindicina di anziani. Fino a un paio di anni fa, tra loro c’era anche una residente che suonava l’organo ma purtroppo, come tanti altri suoi colleghi cantori, ci ha lasciato.

La fortuna ha voluto che il dottor Carmelo Sebastiano Ruggeri, specializzato in gerontologia, geriatria, medicina interna, gastroenterologia e farmacologia clinica, oggi in pensione, e grande appassionato di musica, si offra di accompagnare il coro durante le prove e le celebrazioni. La sua generosità è veramente esemplare e si esprime nella dedizione verso il prossimo e verso il culto di Dio. Dopo essersi accorto che lo strumento che suonava per accompagnare il coro era più che modesto, ha promosso, via Internet, una raccolta fondi tra colleghi, amici e conoscenti per l’acquisto di uno nuovo.

Così, dalla prima domenica di Avvento, la nostra “cattedrale” e il nostro coro dispongono di uno strumento quanto mai valido per cantare la lode al Signore. Sia io che la comunità cristiana del Don Vecchi e della chiesa del cimitero ringraziamo di tutto cuore l’organista, le maestre e i coristi per il loro ammirevole e disinteressato servizio al popolo di Dio.

Scambiamoci libri

Sono sempre più convinto che sia necessario investire di più nella ricerca, e non solo nel campo della tecnica e della scienza, ma anche in quello della pastorale, soprattutto per chi si occupa della proposta religiosa. Ho la sensazione che in questo settore ci sia la tendenza a rifugiarsi troppo spesso nelle esperienze e nelle soluzioni del passato e penso perciò sia opportuno informare i cristiani della nostra città, ma soprattutto i sacerdoti e gli operatori pastorali più impegnati, di una minuscola iniziativa di “carità di cultura religiosa” che stiamo sperimentando da circa un anno nella chiesa prefabbricata del nostro cimitero, quella che io per grande amore chiamo “la cattedrale tra i cipressi”.

Quest’iniziativa è nata da un ricordo che mi viene da molto lontano. Ai tempi degli studi di teologia, il mio docente di Morale, monsignor Mario D’Este, ci raccontò la bella testimonianza di un prete veneziano, molto colto e amante dei libri di carattere religioso, che si era fatto con il tempo una bellissima e vasta biblioteca di cui era gelosissimo. In età ormai avanzata, con enorme sorpresa dei colleghi, cominciò a donare i suoi libri a destra e a manca. A chi per curiosità gli chiese il motivo di questa scelta, rispose: “Sono vecchio, presto dovrò comunque lasciare i miei amati libri, quindi ho pensato che donandoli avrei fatto contento qualcuno e soprattutto sarei stato coerente con il mio dovere di evangelizzare i miei concittadini”.

Sull’onda di questo ricordo, io stesso mi sono chiesto: “Perché dovrei tenere tanti volumi, che ho acquistato o che mi sono stati regalati?”. Io, che possedevo soltanto “volumi da guanciale”, non testi eruditi e preziosi, sono comunque arrivato alla decisione di mettere un piccolo espositore nella mia chiesa con la scritta: “Chi desidera questi libri li prenda pure, se poi ha qualche volume di carattere religioso che ha già letto, sarei felice che me lo donasse per metterlo a disposizione di chi desiderasse averlo”.

Mi sembra che l’iniziativa stia funzionando perché, in pochi mesi, i “miei” fedeli hanno prelevato più di cinquecento volumi, più o meno importanti, che trattano problematiche religiose. Ora è sorta però una difficoltà che mi ha spinto a scrivere queste righe: i concittadini che prendono i volumi sono più di quelli che li offrono! In ogni caso spero che un po’ alla volta si possa raggiungere un equilibrio tra il dare e l’avere che consenta all’iniziativa di continuare. Da una vita tento di rispondere alle attese di ordine economico dei miei concittadini in difficoltà, ma adesso ho scoperto che si può e si deve fare anche la carità del pensiero religioso perché sono moltissimi i nuovi “poveri” di questo genere.

Cristo afferma che “l’uomo non vive di solo pane, ma anche della parola del Padre”, perciò non mi resta che fare questa proposta ai miei colleghi e ai cristiani di Mestre: dono volentieri questo “nuovo brevetto” perché lo usino liberamente anche nelle chiese e nei loro ambienti di servizio al prossimo.

Lo scambio dei libri

Monsignor Mario D’Este fu mio docente di Morale per tutti i quattro anni di Teologia. Questo prete mi ha fatto veramente del bene perché, oltre ad offrirmi un insegnamento quanto mai valido di questa materia che illustra il comportamento al quale un cristiano si deve attenere in rapporto agli insegnamenti di Gesù, spesso ci parlava della testimonianza che un sacerdote deve offrire al “popolo di Dio”.

Ricordo che durante una lezione ci parlò di un sacerdote veneziano dalla vita veramente esemplare. Ci disse che questo uomo di Dio era pure uno studioso molto serio che amava quanto mai la lettura e che pian piano, durante la sua lunga vita, s’era fatto una bellissima biblioteca aggiornata e con moltissimi testi di valore. Pare poi che fosse non solamente orgoglioso per quanto era andato raccogliendo, ma era quanto mai geloso dei suoi amati libri.

Sennonché i suoi colleghi scoprirono con molto stupore che da qualche tempo aveva incominciato a donare a destra e a manca i libri della sua biblioteca. Finchè un collega gli domandò meravigliato: “Come mai ti stai disfacendo di quello che era l’orgoglio della tua vita?”. Ed egli rispose: “Sono vecchio e presto dovrò lasciare comunque la mia raccolta di libri, trovo più giusto donarli uno ad uno perché ora questa offerta rappresenta un gesto di simpatia mentre, quando sarò morto, il lasciare il mio patrimonio diventerà una necessità che non rappresenta per nulla un segno di amicizia e di fraternità!”.

Questo racconto è rimasto impigliato della mia memoria per più di mezzo secolo e finalmente questa buona semente ha incominciato a germogliare. Io sono stato un manovale a livello ecclesiastico e non una persona studiosa e colta, perciò la mia biblioteca è ben più modesta di quella del mio vecchio collega veneziano, però mi sono detto “perché anch’io non faccio un qualcosa del genere con i miei libri di formazione religiosa, piuttosto che essi continuino a coprirsi di polvere negli scaffali?”. Poi piano piano ha preso forma il mio modesto progetto che si rifà al mio confratello ben più illustre.

Sto cominciando con il mettere in un espositore all’ingresso della mia “cattedrale tra i cipressi”, in cimitero, qualche volume, scrivendo che chi fosse interessato ad averlo o a leggerlo, lo prendesse pure perché glielo regalo volentieri. Poi avendo preso piede l’iniziativa ho invitato pure chi avesse qualche volume di cultura religiosa ad aggiungerlo ai miei.

L’iniziativa ha preso piede, tanto che ogni settimana arrivano nuovi volumi e altri partono perché qualche fedele ne è interessato. Sono ben cosciente che la mia iniziativa non darà corpo alla nuova evangelizzazione, ma di certo ne può offrire una qualche piccola tessera del mosaico che illustra il messaggio di Gesù.

Offro quindi soprattutto ai miei colleghi sacerdoti, ma anche ai fedeli interessati all’avvento del regno di Dio, questa piccola “ricetta”, sognando che presto in tutte le parrocchie di Mestre si realizzi questo interscambio di volumi, mediante cui, senza spesa alcuna, possa realizzarsi un aggiornamento e un approfondimento di cultura religiosa. Il mio vuol essere soltanto un piccolo contibuto per sostenere la nuova evangelizzazione.

La cattedrale tra i cipressi

Lo scrittore inglese Bruce Marshall fa dire a un sacerdote, protagonista di uno dei suoi romanzi, che la sua chiesa era una “sposa bella” che amava perdutamente e a cui era sempre stato fedele. M’è sempre piaciuta questa immagine, che sottolinea il rapporto caldo, intimo e affettuoso tra il sacerdote e la chiesa in cui incontra i suoi fratelli di fede e il suo Signore e in cui vive i momenti più importanti della sua missione di ministro di Dio.

Io confesso che ne ho avuti più di uno di questi amori durante la mia lunga vita di prete. Sono stato innamorato della chiesa neoromanica di Eraclea, il mio paese natio, chiesa in cui da fanciullo ho ricevuto le prime carezze di Gesù. Ho amato con amore caldo la basilica della Madonna della Salute nella quale ho maturato la mia vocazione. Ho amato ancor di più la bella chiesa dei Gesuati nella quale ho fatto la mia prima esperienza di giovane prete, ma questo è stato un amore fuggevole perché è durato appena due anni. Quindi ho conosciuto la bella chiesa di San Lorenzo martire dove ho convissuto felicemente per quindici anni. Però l’esperienza d’amore più prolungata e matura l’ho fatta nella chiesa neogotica del Meduna a Carpenedo, chiesa che ho amato d’amore fedele ed appassionato per trentacinque anni.

Pensavo che così fosse terminata la mia storia d’amore. Invece no. Da vecchio ho preso una autentica cotta e mi sono perdutamente innamorato della giovane chiesa prefabbricata del cimitero. Questa “sposa bella” è povera, ma quanto mai “avvenente” anche se è nata in Romania ed è costata solamente duecentocinquantamila euro. è stato un colpo di fulmine, mi è parsa subito bella, dolce, intima, quieta e sorridente. Che cosa può aspettarsi di meglio un prete novantenne?

È vero, gli ho donato tutto quello che di meglio avevo ancora. L’ho vestita di ordine, pulizia e fiori, ho invitato a farle compagnia le persone più care e sante che ho conosciuto durante la mia lunga vita: la Vergine Maria, Padre Pio, Sant’Antonio, Santa Rita, Madre Teresa di Calcutta, San Francesco d’Assisi, e i miei Papi più cari: papa Luciani, papa Giovanni Paolo II, papa Roncalli, papa Paolo VI. Cosicché quando i miei fedeli entrano in chiesa sentono subito di essere accolti con affetto da questi santi così amati da tutti, tanto che ognuno di questi santi della terra e del cielo ha qualcosa da dire loro e da offrire: un sorriso, una parola di conforto e un invito a ricordarsi che quella è la casa del Signore.

La gente accende un lumino, si siede e si sente avvolta da un abbraccio di dolcezza, d’armonia e di bontà, e trova pace, tanto che vedo che da mane a sera c’è un andirivieni costante, raccolto e sereno. Qualcuno poi mi ha confidato che se anche il tetto di legno è molto basso gli sembra di sentirsi all’interno di una baita di alta montagna. Ora poi il mio piccolo scout di tempi lontani, Toni Marra, mi ha donato una via Crucis che aiuterà di certo chi ha ancora il cuore che sanguina per ferite recenti o lontane, dando consolazione e speranza mediante la ripetizione delle tappe della via dolorosa di Cristo, figlio di Dio e dell’Uomo.

Durante la settimana la mia chiesa si anima perché si celebra spesso il commiato cristiano a persone sole molto anziane, che vivevano con la badante o provengono da case di riposo, ma comunque si respira in essa conforto e speranza. Alla domenica però la mia chiesa si anima, diventa festosa per la folla che la gremisce, per i canti della corale degli anziani del Centro don Vecchi, per la calda fraternità dei tanti fratelli che vengono a trovare il Padre nella chiesa più umile della nostra città e che moltissimi ritengono, come me, la più bella e la più cara.

La “cattedrale tra i cipressi” è il mio amore, ma lo condividono e la rendono sempre più bella e più viva pure Enrico, il mio diacono ad honorem, Anna e Gianni, suor Teresa e i miei famigliari che la tengono ordinata con piante e fiori. La mia umile chiesa non ha campanile, ma prima o poi spero che concerti di campane suonino l’ora della resurrezione e della vita ai defunti che dormono nel nostro camposanto e ai concittadini che vivono nella nostra cara Mestre.

Riassunta a novant’anni

Ultimamente la Fornero, con grande ira dei sindacati e di certi lavoratori che han sempre lavorato poco, ha elevato l’età della pensione. Renzi, giovane politico che fa un “miracolo” al giorno, spostando le montagne dell’immobilismo della burocrazia e della politica, mediante un meccanismo un po’ contorto e chiedendo qualche sconto sulla pensione, pare stia accorciando i tempi per chi ha poca voglia di lavorare e vuole sedersi in poltrona un po’ in anticipo. Comunque neanche la Fornero si sognerebbe mai di riassumere una novantenne! I sindacati di certo chiederebbero il rogo per chi si sognasse di proporre operazioni del genere! Ebbene, a me che in genere ho sempre navigato contro corrente, pare stia andando in porto una riassunzione, come operatrice di liturgia, di una signora che ha già compiuto novant’anni! Ho incontrato questa signora più di mezzo secolo fa ed è stata “alle mie dipendenze” per una trentina di anni. Il mondo dei poveri di Mestre ricorda la “Golda  Meyer” di Ca Letizia.

L’Emilia che funzionava come cuoca, gestore e diciamo pure madre, seppur burbera, per le centinaia di poveri che cenavano nella prima mensa di Mestre.

Questa volontaria copriva la sua tenerezza materna con un atteggiamento burbero che non ammetteva contraddizioni. Per una trentina d’anni la mensa di Ca Letizia ebbe un capo indiscusso che guidò quella barca di sbandati attraverso mille peripezie.

Metà poi di quel mondo di ragazzi  ch’erano giovani attorno agli anni sessanta e settanta, conobbero la stessa “Giovanna d’Arco” al Rifugio San Lorenzo, la casa di montagna della parrocchia del Duomo. Con la mia dipartita da Mestre l’Emilia s’è presa una pausa per curare il marito ed accompagnarlo all’altra sponda, godendosi un poco “la pensione” della sua lunga dirigenza caritativa.

Per questa estate mi ritrovo in difficoltà per la gestione della “mia cattedrale” e qualche giorno fa le proposi un impiego stagionale e a part-time. Non ci pensò un istante ed “ha firmato il contratto”; il paradiso glielo ho ormai garantito da decenni, ora discutiamo della fila e sul tipo di poltrona da offrirle!

Due richieste di “asilo”

I paesi di mezza Europa sono entrati in crisi per le richieste di asilo dei profughi dell’Africa Occidentale e del Medio Oriente che cercano una via di fuga anche a causa della “guerra santa” intrapresa dai mussulmani dell’Isis del califfo nero. In questi ultimi mesi la televisione e i giornali ci hanno riempito il cuore di angoscia per le tragiche immagini dei barconi che affondano in mare, della ferocia degli scafisti che lasciano soffocare nelle stive i più poveri tra questi fuggiaschi e della povera gente bloccata dalle polizie di mezzo mondo durante la loro fuga alla ricerca di una sistemazione nei Paesi del Nord Europa.

Anche alla “Cattedrale tra i Cipressi” in questi giorni sono giunte due richieste di “asilo”, sono richieste però quanto mai gradite perché giungono da parte di due persone che ci porteranno soltanto messaggi di bontà e di misericordia.

Le figlie della Chiesa, ossia le suore che gestiscono a Mestre la chiesa di San Girolamo, ci hanno chiesto ospitalità per suor Olga, una loro consorella che presto sarà portata alla gloria degli altari e la cui tomba, costantemente ricoperta di fiori e di lumini e venerata da tanti fedeli, si trova in una stradina vicina alle camere ardenti del nostro cimitero. Le colleghe di suor Olga garantiscono che la loro venerabile consorella concede grazie ai suoi devoti, motivo per cui le abbiamo concesso un “alloggio” accanto a Papa Giovanni sulla parete sinistra della nostra cattedrale.

Un’altra richiesta d’asilo ci è pervenuta dalle suore di Nevers per la loro consorella Santa Bernadette Soubirous. Come avremmo potuto dire di no ad una consorella di suor Teresa, la factotum della nostra cattedrale? Quindi ci è parso giusto e doveroso concedere un alloggio anche a Santa Bernadette accanto alla Madonna sulla parete destra della chiesa perché da oggi in poi le richieste di aiuto possano essere recapitate alla Vergine della Consolazione da Santa Bernadette, sua amica carissima!

La mia “sposa bella”

Un po’ di romanticismo l’ho sempre avuto e mi pare di avere anche quel po’ di fantasia che serve per vestire di poesia e d’incanto le cose che amo. Qualche tempo fa mi sono lasciato vincere da un certo amarcord passando in rassegna uno dei miei scritti sulle Chiese che ho amato: da bambino l’austera chiesa neogotica costruita a ridosso della riva sinistra del Piave dopo la Prima Guerra Mondiale; da adolescente la splendida Basilica della Madonna della Salute che mi ha accolto materna durante il tempo del seminario; appena ordinato sacerdote il gioiello barocco della Chiesa dei Gesuati sulle rive del Canale della Giudecca ove ho vissuto le mie prime esperienza pastorali; da giovane prete il bel San Lorenzo, il Duomo mestrino che ha aperto il mio cuore alla città; da uomo maturo la chiesa neogotica del Meduna in cui sono vissuto per trentacinque anni come parroco ed infine da anziano la “sposa bella” della mia vecchiaia la “cattedrale tra i cipressi”.

L’ultimo mio amore è nato per caso perché il comune non aveva soldi per realizzare il pretenzioso tempio progettato dall’architetto Gianni Caprioglio che voleva donare il suo capolavoro a Mestre, la sua amata città. Il Presidente della Veritas, stanco dei miei continui interventi e solleciti, si sentì quasi costretto dall’opinione pubblica a ordinare una struttura prefabbricata in Romania dal costo di duecentocinquantamila euro.

Al primo impatto la nuova struttura sembrava un capannone per attrezzi ma poi, pian piano, arrivarono le luci, i fiori, i quadri, l’arredo sobrio ma ordinato e gradevole tanto che molti mestrini ritengono la mia “cattedrale” una delle più belle chiese di Mestre. Il clima di raccoglimento, il tetto e le travature in legno, che richiamano una baita di montagna, il silenzio del camposanto, la cornice dei cipressi e l’alta frequenza di fedeli fanno sì che la chiesa della “Madonna della Consolazione” sia una delle chiese più amate e frequentate della città. Non c’è ora del giorno in cui non vi sia qualcuno che si “ristora” col messaggio di pace e di intimità con Dio che la chiesa ed il suo sottofondo musicale offrono a chi la frequenta. Ora poi la chiesa è resa ancora più accogliente dalle riproduzioni del Beato Angelico, dai ritratti delle più belle figure dei Santi della nostra tradizione ed infine dalle due grandi opere, “La Deposizione” e “L’Assunzione al cielo della Madonna”, di uno dei più insigni pittori della nostra città: Luigi Scaggiante.

La scoperta di una ricchezza che non avevo valutato fino in fondo

Moltissimi anni fa ho letto, non so più dove, un articolo di un famoso scrittore fiorentino: Piero Bargellini. Ho conosciuto e letto con tanta ammirazione gli scritti di questo autore cattolico durante la mia adolescenza. Bargellini mi piaceva non solamente perché affrontava tematiche che mi erano quanto mai care durante i miei primi anni di liceo, trascorsi in seminario per prepararmi al sacerdozio, ma anche per il suo stile fresco, scorrevole, pieno di incanto e di poesia. A mio parere Bargellini ha attinto alla sorgente del Poverello di Assisi per la sua lettura degli eventi e al Beato Angelico nel dare soavità ai suoi scritti.

Ricordo un pezzo, letto non so più dove, che aveva come titolo “Le vecchine delle nostre Chiese” e con il quale Bargellini ha tratteggiato, con la tecnica di un delicatissimo acquarello, le vecchie signore tanto devote che normalmente frequentavano le nostre Chiese. Lo scritto di Bargellini ha fatto emergere dai miei ricordi i volti e i comportamenti di quelle vecchiette in scialle nero, sempre presenti ad ogni triduo e ad ogni novena, intente talora ad accendere una candela davanti al Santo preferito, talaltra a far scorrere tra le dita i grani del rosario, confidenti affettuose del parroco e talvolta scandalizzate dal modo di vestire e di comportarsi delle ragazze del loro tempo.

Anch’io, in tutte le chiese in cui ho prestato il mio servizio, ho conosciuto queste devote che non mancavano mai alle Messe feriali, al rosario e ai sacri riti e che talvolta ho avuto l’impudenza di definire bigotte. Ora però, che almeno nella mia “cattedrale tra i cipressi”, un po’ alla volta esse sono venute meno e che mi ritrovo a celebrare i funerali spesso con la presenza dei soli parenti dei defunti invitati a partecipare al rito di suffragio con lettera personale, rimpiango queste care anziane, che ne sapevano poco di teologia, ma conoscevano però quasi tutto di Gesù, della Madonna, di Santa Rita, di Sant’Antonio e di Padre Pio; senza di loro la chiesa mi pare più vuota, più solitaria e meno viva, tanto che ho deciso di fare un appello alle mie coetanee: “Non lasciatemi solo ma restatemi accanto “vecchine” care, almeno noi vecchi rimaniamo accanto al Signore”.

I nuovi “residenti” nella Cattedrale tra i cipressi

Nella mia cattedrale tra i cipressi abita, fin dall’inaugurazione, Gesù di Nazareth, il quale ogni giorno riceve un buon numero di “amici” e alla domenica una vera folla di ammiratori e di postulanti. Maria, la Madre di Gesù, ha preso invece fissa dimora in un luogo un po’ discreto ed appartato all’ingresso della chiesa per offrire consolazione a chi soffre per lutti lontani o recenti.

Ho poi invitato altri “buoni cristiani” perché aiutassero e accompagnassero i fedeli all’incontro con il divino Maestro. Ho cominciato con l’invitare Padre Pio, Madre Teresa di Calcutta e Sant’Antonio che hanno accettato “alloggio” sulla parte destra della chiesa; sulla parte sinistra invece ho collocato Papa Giovanni, Papa Woytila, Papa Luciani e San Francesco d’Assisi. In questi ultimi mesi, nei quali la Chiesa ha portato agli onori degli altari Papa Paolo VI, un Papa che ammiro e amo quanto mai per come ha servito, in tempi difficili, la Chiesa e l’umanità, mi sarebbe sembrato di fargli un grande torto se non avessi invitato pure lui completando così quella meravigliosa schiera di Papi che il Signore ci ha donato negli ultimi tempi. Papa Paolo VI ha portato “le chiavi pesanti” del tempo del dopo Concilio.

La Chiesa, con questa grande assise, aveva dato la stura alle grandi attese del mondo cattolico, cosicché il post Concilio è stato un tempo assai irrequieto e Papa Paolo, con grande sofferenza, amore ed intelligenza, ha avuto il compito ingrato e difficile di ricomporre in unità queste tensioni perché dessero un volto aggiornato ma armonioso e composto alla comunità cristiana.

Mi restava un ultimo “alloggio” ancora libero e dopo averci pensato tanto, mi è parso giusto assegnarlo a Santa Rita da Cascia che è passata alla storia come la “Santa degli Impossibili”.

Per far sì che gli uomini del nostro tempo trovassero serenità e facessero chiarezza nelle loro coscienze tanto irrequiete mi è parso ci volesse una Santa che avesse queste risorse. A Santa Rita ho però detto con chiarezza che le ho sì offerto un alloggio ma che mi aspetto anche che aiuti tutti coloro che si rivolgeranno a lei per chiedere aiuto, anche quando le loro richieste saranno davvero difficili.

La mia chiesa

Ricordo con una certa nostalgia la figura di un prete, protagonista di uno dei tanti romanzi a carattere religioso Il romanziere inglese Bruce Marshall, che quando parlava della sua parrocchia, ma soprattutto della sua chiesa la chiamava, quasi con linguaggio da innamorato, “la mia bella sposa”.

Mi ritrovo anch’io ad ottantasei anni ad essere innamorato della mia “sposa bella” quando penso alla mia chiesa che tutti dicono offra il calore e l’intimità di una baita di montagna. Di certo la mia “cattedrale tra i cipressi” è l’ultimo amore della mia vita ma confesso che questo amore non è meno bello ed intenso di quello della mia giovinezza per la chiesa neogotica di Eraclea, mio paese natio o per la Basilica della Salute che mi avvolse di tenerezza durante il tempo del Seminario.

Fu pure splendido l’amore per la chiesa dei Gesuati, che accompagnò le primizie del mio sacerdozio, incantevole fu l’amore per il mio bel duomo di San Lorenzo nella stagione del fiorire del mio apostolato, esso era sempre gremito di folla e più ancora ho amato la chiesa neogotica del Meduna in quel di Carpenedo che fu per trentacinque anni la calda casa della mia comunità, ma l’attuale “sposa bella” del Camposanto mi fa sognare l’amore anche da vecchio prete alla soglia dell’eternità.

La galleria degli ultimi papi

Poche settimane fa la Chiesa ha dichiarato beato Papa Paolo VI, ne sono stato particolarmente felice perché, per me, Paolo VI è stato veramente un grande Pontefice.

In verità non è stato favorito dal momento storico perché succeduto a Papa Giovanni XXIII, osannato poi da tutti i fedeli per aver dato la stura a tutte le tensioni che ribollivano dentro la chiesa ingessata da troppo tempo. A Paolo VI è toccato invece il difficile compito di incanalare nella quotidianità tutta l’irrequietezza di questa esplosione religiosa.

Non tutti hanno compreso la fatica e la difficoltà di indirizzare tante forze contrapposte, però Paolo VI ha tentato di farlo con tanta saggezza e santità e nonostante le molte incomprensioni ha sorretto “le chiavi pesanti” di Pietro.

Sul lato sinistro della mia cattedrale ho collocato i volti di Papa Giovanni XXIII, di Papa Wojtyla, di Papa Luciani, ed ora, appena potrò, vi collocherò anche quello di Papa Paolo VI perché i miei “parrocchiani” d’adozione sappiano quale grande dono il Signore ha fatto alla Chiesa del nostro tempo offrendoci uomini di Dio tanto coraggiosi, tanto saggi e soprattutto tanto santi.

Geloso

Un tempo era comunemente conosciuto tra i preti un manuale, di cui purtroppo non conosco il titolo, che offriva un ampio commento sulle virtù e sui vizi. Ricordo che alla voce “gelosia” si diceva che la gelosia rappresenta la deformazione della nobilissima virtù dell’amore. Quando però la gelosia diventa un sentimento forte e morboso può diventare un vero peccato perché rappresenta una volontà di possesso esasperato, mancanza di fiducia nell’altro e quindi tende a limitare e condizionare la libertà della persona amata, libertà che è una prerogativa sacra di ogni persona.

Condivido appieno la definizione e pure il commento di questa imperfezione ed impoverimento della virtù dell’amore che è uno degli aspetti più nobili e più alti di ogni persona. Queste vecchie reminiscenze dei miei studi di morale e di ascetica mi sono ritornate a galla durante il periodo delle ferie estive e specialmente durante le domeniche un po’ prima e un po’ dopo il ferragosto. Tante volte ho scritto che la gente che frequenta l’eucarestia domenicale nella mia “cattedrale tra i cipressi” è il dono più bello che il Signore, che con me è sempre stato molto generoso, mi ha fatto negli anni della mia vecchiaia.

Amavo tanto i fedeli che partecipavano alla messa anche quando anni fa celebravo all’aperto sul cosiddetto “Altare della patria”, ma allora i presenti erano dispersi tra le tombe in un’area molto vasta, per cui spesso li vedevo solo da lontano, ora invece li ho tutti raccolti e vicini per cui il rapporto è molto più intimo. Naturalmente la chiesa è sempre gremita, non c’è mai una sedia libera. Tutti cantano, tanto che sono più contento di sentire la voce appassionata della mia gente che ascoltare il coro della Fenice; tutti, o quasi, si accostano alla comunione; tutti, mi pare, hanno un senso di cordialità e di amicizia con i loro vicini, tanto che il vocio prima della messa mi pare fin troppo intimo ma, iniziato il sacro rito, non si sente volare una mosca. Questa mia gente mi è così cara, così tanto sono loro affezionato, che mi pare sia perfino la più bella e la più simpatica assemblea eucaristica della mia città.

Ritorno ora sul discorso della gelosia. Date queste premesse, durante le domeniche estive talvolta ho notato qualche sedia vuota e che mancava all’incontro col Signore qualche volto noto e amato. Allora “confesso a Dio onnipotente e a voi fratelli” che talvolta mi sono sentito geloso perché vorrei incontrare tutti, proprio tutti i volti cari dei fratelli e quando per qualche tempo non li vedo, me ne rammarico e sarei tentato di stare perfino male.

Spero che, come il buon Dio, anche la mia gente mi perdoni questo peccato che però spero sia veniale.

19.08.2014

I “militi ignoti”

Chi segue “L’Incontro” ha certamente capito i miei limiti, specie a livello culturale. Io sono il primo a rendermene conto. Anche questa mattina ho letto con curiosità la rubrica che il giornalista Gervaso tiene ogni giorno sul Gazzettino e sono stato sorpreso perché ho avvertito che le sue conoscenze sono pressoché illimitate. Egli spazia con estrema disinvoltura nel vasto mondo della letteratura, mentre io sono costretto ad attingere ad un repertorio quanto mai limitato.

Vengo al motivo di questa premessa. Fortunatamente abbastanza di frequente vi sono persone che si complimentano con me per come è tenuta la “cattedrale tra i cipressi”: pavimento pulito, fiori e piante ben curate, ordine assoluto, buon gusto. Altri ancora mi fanno complimenti non solo per i contenuti, ma anche per l’impaginazione de “L’Incontro” e l’assoluta regolarità con cui lo si trova nei punti di distribuzione.

Io, pur con qualche disagio, incasso, senza riuscire a chiarire ogni volta che il merito è mio solamente in misura assai relativa perché, pur nell’ombra, c’è dietro di me un piccolo e meraviglioso esercito silenzioso, ma estremamente efficiente. Spesso, in occasioni come questa, ho citato ancora una volta – perché non spazio come Gervaso – Bertolt Brecht che, a proposito di Cesare che “conquistò la Gallia”, si chiede con ironia: “Ma Cesare non aveva neppure uno stalliere, un cuoco o un barbiere che in qualche modo l’aiutassero in questa portentosa impresa?”

Vorrei, una volta tanto, accennare a qualcuno di questi eroi “senza volto e senza gloria” che sono i veri protagonisti di questa bellissima avventura. Ne cito alcuni a mo’ d’esempio.

Per quanto riguarda la chiesa ci sono due giovani sposi – per me rimarranno giovani ancora per cent’anni – che ogni settimana scopano, lavano, profumano, curano i fiori. Quando li vedo accudire la mia chiesa mi sembrano due “solisti veneti” che manovrano scope e ramazze come dei preziosi “Stradivari”. Suor Teresa poi è l’impareggiabile artista delle confezioni floreali e del repertorio di tovaglie lavorate.

Per quanto riguarda “L’Incontro” l’esercito dei volontari è ancora più numeroso e altrettanto efficiente. A cominciare da Laura che, ogni settimana, passa ore e ore sul computer per sbrogliare la complicata matassa dei miei scritti, per tagliare periodi infiniti, per aggiungere punti, virgole e punti e virgola e inserire il tutto nelle rigide regole della sintassi e della grammatica, con le quali ho poca confidenza.

Non vi sto a parlare del piccolo esercito di tipografi che il lunedì, di buon mattino, sono già al lavoro perché alle dieci e mezza i miei vecchi sono pronti per la piegatura. La macchina che un paio di mesi fa ha dato forfait, ha stampato quattro milioni di copie.

Poi vengono gli strilloni e gli addetti alle messaggerie che riforniscono le sessanta postazioni, persone con tanto di laurea e di licenza magistrale per adempiere a questo compito così “delicato”.

Una volta tanto rendiamo onore con una corona di alloro a questi eroi senza nome.

02.09.2014

Un mandato mai ricevuto

Il mio ministero attuale, da prete anziano e in pensione, è assai ridotto. In sostanza attualmente do una mano al consiglio di amministrazione della Fondazione per quelle incombenze che riesco ancora ad assolvere. Spesso ciò si limita a qualche consiglio, ma come sacerdote, oltre le celebrazioni del “don Vecchi”, mi occupo quasi esclusivamente, se si eccettua la messa mensile a Ca’ Solaro e la messa alla domenica a Carpenedo, del ministero della chiesa del cimitero.

Più volte ho detto che la comunità che si riunisce ogni domenica nella mia “cattedrale tra i cipressi” è la più bella del mondo e che il Signore non poteva farmi un dono più bello e più prezioso affidandomi questo compito ed offrendomi questa comunità cristiana così numerosa e così cara. La mia gente è veramente bella gente! Quando ci incontriamo ogni domenica si avverte l’amicizia e la gioia di incontrarci col Signore e con i fratelli. Di questa comunità mi piace tutto, perfino le chiacchiere cordiali ed affettuose che si fanno prima e dopo la messa. Un prete che si avvia verso gli 86 anni, cosa può desiderare di più?

Oltre a questo ministero, durante i giorni feriali mi capita talvolta che mi sia richiesto di celebrare il commiato cristiano per anziani fratelli che ci precedono di qualche tempo nella “casa del Padre”. Molto di frequente, anzi quasi sempre, si tratta di anziani che vivevano gli ultimi anni con la badante o in casa di riposo, talvolta però mi capita di celebrare anche per certe persone di valore, che hanno espresso nella società dei compiti importanti e che hanno dato una testimonianza valida nella professione o nella vita della comunità,

Per quanto riguarda l’aspetto religioso pian piano ho capito l’estrema importanza di questo ministero non solo per quanto riguarda la preghiera per il fratello che parte per il cielo, ma soprattutto per le brevi ma intense catechesi che posso svolgere sui temi fondamentali della vita, della morte, della paternità di Dio e su altro ancora. Provo veramente un’ebbrezza nel poter offrire il messaggio cristiano che, solo, può aprire un varco di luce e di speranza oltre il muro buio della morte. L’ambiente, la presenza delle spoglie mortali di una persona cara, mi permettono di fare delle catechesi quanto mai gradite ai fedeli e che io spero siano altrettanto efficaci. Mi fa poi altrettanto piacere che spessissimo la gente mi ringrazi per il “servizio funebre”.

Questo ufficio mi è stato ufficialmente affidato dalla Chiesa. In occasione poi dei funerali, mi arrogo invece un compito che nessuna autorità civile mi ha affidato, che però sento doveroso assumermi, ossia quello di ringraziare il fratello che se ne va per il suo impegno umano, familiare e civile che spesso è notevole e quello di offrire ai fratelli delle bellissime testimonianze di uomo, di cristiano e di cittadino che spesso questi defunti ci lasciano, testimonianze che andrebbero perdute se io non le raccogliessi e non le offrissi ai presenti come qualcosa di importante.