Ipermercati e solidarietà

Nonostante tanti tentativi non sono mai riuscito ad ottenere da parte degli ipermercati quanto buttano a causa della data ravvicinata della scadenza dei prodotti o per qualche difetto irrilevante a livello della validità del prodotto anche se dal punto di vista commerciale non è più presentabile alla clientela per qualche difetto dell’involucro.

Onestamente una sola volta avevo sfondato con l’ipermercato di Marcon, ma il ritiro della merce, anche se estremamente oneroso perché si doveva buttare in discarica una montagna di merce avariata per portare a casa quella commestibile, era cessata presto per l’infedeltà di un volontario.

Spesso il volontariato si immeschinisce per una avidità insaziabile che tende ad approfittare di ciò che è ufficialmente destinato ai poveri.

Nonostante questo credo che sia profondamente immorale il comportamento di queste grandi aziende della distribuzione alimentare che, condizionate in maniera esasperata dal profitto, non hanno alcuna sensibilità sociale e preferiscono la discarica al bisogno dei meno abbienti.

Avevo sentito che a Firenze l’università era riuscita ad ottenere i prodotti non più commerciabili che poi distribuiva alle organizzazioni che curano la consegna capillare ai poveri e non mi davo pace non riuscendo a comprendere come erano riusciti a sbloccare la questione. Infine una volta ancora ho scoperto che l’interesse apre il cuore perfino al mondo del commercio. Il comune fa uno sconto sulla tassa sui rifiuti agli ipermercati consegnano il materiale destinato all’inceneritore ad una cooperativa convenzionata con il comune la quale a sua volta lo distribuisce agli enti di beneficenza.

Pare che il meccanismo si sia messo in moto anche a Venezia e che fra un paio di mesi avremo anche nel nostro Banco alimentare merce sufficiente a rispondere alle attese della povera gente. Già ho messo le mani avanti, facendo presente ad un funzionario delle politiche sociali, le centinaia di persone che si rivolgono a noi ogni settimana.

Il rapporto con le altre confessioni religiose

Quando ero ragazzino e soprattutto con l’inizio e la prosecuzione degli studi in seminario, sono stato educato a vedere solamente il lato negativo nelle confessioni religiose diverse da quella cattolica.

Ricordo che durante il liceo o la teologia d’aver pure sostenuto un corso di apologetica, materia in cui erano messi in luce i pregi del cattolicesimo da un lato e dall’altro lato le deficienze e le incongruenze del mondo protestante ed ortodosso.

Erano di quel tempo le mie letture dell’umorista inglese Bruce Marshall “Il miracolo di padre Malachia” “Ad ogni uomo un soldo” romanzi scorrevoli e piacevolissimi, ma tutti in polemica con le chiese riformate.

Immagino che anche sul versante dei protestanti si ripagasse con la stessa moneta i deprecati papisti, simoniaci, creduloni e superstiziosi!

A questa stagione successe quella dell’ecumenismo per cui immagino che questa acrimonia sia calata.

Però, nonostante il cambiare del vento, ho la sensazione che “il mio peccato originale” sia rimasto, o perlomeno non sia stato cancellato totalmente. Una certa riserva ed un pizzico di sospetto suppongo che sia rimasto in fondo al mio animo.

Qualche settimana fa mi ha raggiunto inaspettatamente una telefonata di Padre Abraan, il pope moldavo che officia la chiesa ortodossa di via Monte Piana a Mestre, per invitarmi il sabato o la domenica mattina per una liturgia importante per la sua comunità. Quasi a giustificarsi mi disse: “Avremo piacere di averla con noi sapendo quanto si dà da fare per noi stranieri!”

L’invito mi ha fatto enorme piacere, perché l’ho sentito ricco di fraternità spirituale. Purtroppo non ho avuto la possibilità di parteciparvi per precedenti impegni. Scrissi però a questo degno ministro di Dio per ringraziarlo e per assicurarlo della mia partecipazione interiore sentendo che un altro po’ di “peccato originale” era cancellato per merito di padre Abraan.

Quante critiche verso il nuovo ospedale di Mestre!

Almeno due volte alla settimana mi reco all’Angelo per portare “L’incontro”. Molto spesso mi capita di andarci dopo aver letto “Il Gazzettino” in cui ogni giorno pare che si scopra una delle piaghe d’Egitto nel nuovo ospedale. Le piaghe d’Egitto, pur essendo gravi e micidiali si sono fermate a sette, mentre pare che per la stampa e per i mestrini, le piaghe del nuovo ospedale non siano sette ma siano settanta volte sette: il parcheggio, i ticket che devono essere adoperati almeno due volte nell’entrata e due nel ritorno per aprire le varie sbarre, il caldo e il freddo sul ballatoio, le infiltrazioni d’acqua, gli ambulatori piccoli, la carenza della segnaletica e mille altre deficienze che il quotidiano snocciola ogni giorno, quasi con ebbrezza, avendo una comoda e facile miniera di notizie di cronaca grigia da poter utilizzare senza tanta fatica e fantasia di cercare altrove.

Dicono che sia un malcostume degli italiani e dei veneti quello di piangersi addosso e di vedere solamente gli aspetti negativi delle realtà in cui viviamo.

Forse l’aver sognato da tanto un nuovo ospedale, l’averlo desiderato perdutamente, ha creato in me il bisogno e l’ebbrezza di vederne soprattutto gli aspetti positivi a cominciare dalla viabilità comoda e scorrevole, alla possibilità di un parcheggio sempre disponibile, all’ingresso in cui hai l’imbarazzo della scelta per salire: ascensori, scale con pochi gradini, scale mobili, al paesaggio dolce e morbido quasi ti trovassi in Umbria, al giardino pensile vera oasi verde, agli ascensori veloci, alle sale d’aspetto accoglienti, con servizi igienici ad ogni angolo.

Mi pare che tutto sia bello e funzionale!

Non nego che ci sia pure un qualche inconveniente, ma credo che si troverà modo di sistemarlo!

Può darsi anche che io abbia fatto amara esperienza al don Vecchi degli inconvenienti di una nuova struttura, comunque credo che tali inconvenienti siano ben piccola cosa di fronte a tanta bellezza e a tanta efficienza.

Una volta tanto lasciamo alla sinistra e ai sindacati il gusto di dire sempre e solamente male del mondo da cui sono mantenuti!

Meglio esser realisti a questo mondo

Di mestiere faccio “il predicatore”.

Per indole e per scelta predico il bene piuttosto che fare reprimende contro i vizi della nostra società.

Da sempre preferisco indicare sante utopie, mete sublimi, virtù, piuttosto che tuonare contro i malanni del nostro mondo.

Certo, è abbastanza semplice indicare mete ambiziose, ideali alti, il difficile però è il riuscire a realizzarli. Quindi ho una certa dimestichezza, anzi forse troppa, nell’indicare ai fedeli modelli di vita e di società nobile. Bastasse però la predica a convertire la gente e modificare in meglio il malcostume di rapporti amari, tutti pregni di egoismo, di prepotenza, poco o nulla attenti alle esigenze e alle aspettative del prossimo.

Mi capita di sovente, che quando qualcuno si sente mortificato, offeso, maltrattato, venga a manifestarmi la sorpresa nel constatare questa malevolenza tanto contraria agli ideali cristiani quasi a rimproverarmi perchè non predico sufficientemente il rispetto, la comprensione e la benevolenza!

Bastasse una predica per convertire il mondo!

Qualche giorno fa mi è giunto qualcuno meravigliato e sdegnato per la mancanza di rispetto nei suoi riguardi, a suo dire, in un “mondo come il nostro” che dovrebbe essere un modello di solidarietà e di comprensione!

Al mio interlocutore mostrai tutta la mia comprensione e partecipazione, promettendo che sarei pur intervenuto per fargli giustizia però nel contempo l’avvertii che questo è il mondo, bisogna imparare a convivere con esso perché sarà ben difficile intervenire e correggere soprattutto gli altri e pretendere da essi quel rispetto che noi non sappiamo offrire.

Monsignor Vecchi era solito ripetermi: “Don Armando, se pretendi un mondo di perfetti, ti troverai sempre solo, perché gli uomini sono tutti limitati, vanno accettati e amati come sono!” Un sano realismo può essere un buon antidoto contro le pretese a senso unico e soprattutto nei riguardi degli altri mentre si è alquanto comprensivi nei riguardi dei nostri limiti!

I miracoli dell’amore

Ci sono dei piccoli gesti così carichi di poesia e di calda umanità, che certamente non risolvono ne i grossi problemi della vita, ne i medi e forse neppure i piccoli, eppure allargano il cuore e aiutano a guardare con più ottimismo la vita, la gente e il domani.

Da parecchi anni conosco un magistrato, ora in pensione, che periodicamente mi portava delle somme, per me consistenti, da destinare ai poveri o alle opere delle quali, man mano, mi stavo occupando.

In tempi relativamente vicini ha perduto la moglie, che l’ha preceduto alla casa del Padre dopo un lunghissimo periodo di infermità. La simpatia, l’amicizia e poi questo lutto, a cui ho partecipato con vera fraternità, hanno fatto sì che spesso lo veda umile e dimesso tra la piccola comunità di fedeli che partecipa ai divini misteri nella cappella del cimitero.

Talvolta questa presenza mi mette perfino un po’ a disagio, essendo perfettamente consapevole della modestia dei miei sermoni!

Il giorno di Santa Lucia, lo notai come sempre tra i fedeli un po’ più numerosi del solito, per chiedere aiuto alla Santa degli occhi. Finita la messa mi si accostò porgendomi una busta ed un po’ commosso mi disse:  “Io e mia moglie per Santa Lucia, da buoni veronesi, ci facevamo un regalo secondo l’antica usanza della nostra terra; oggi ho pensato di offrire a lei il mio dono per Cristina, mia moglie”.

Ricevetti come un qualcosa di umanamente sacro quel “fiore” di gentilezza e di affetto, che trovava modo di fiorire, nonostante che la moglie da più di un anno si sia trasferita in cielo.

Miracoli dell’amore!

Il “dopo Cacciari”: cosa sarà dei cattolici veneziani?

Talvolta mi capita di provare uno strano sentimento pensando cosa sarà con l’uscita di Cacciari dalla scena politica ed amministrativa della nostra città.

Bene o male l’intelligenza e la forte personalità di Cacciari, hanno garantito spazi di vita civile di libertà e di presenza ai cattolici veneziani e in particolare a quei credenti che sono convinti che le soluzioni care alla sinistra storica possano risolvere i problemi della collettività.

Da sempre credo che in un paese democratico (e intendo democratico in assoluto non come usano questi termini Stalin o i veterocomunisti anche italiani) i cattolici possono vivere e militare sia nella destra che nella sinistra pur rimando fedeli ai valori evangelici ed operando per il vero bene del popolo, specie dei più deboli.

Ora però mi pare che con l’uscita dalla scena amministrativa di Cacciari, non ci siano più personalità di spessore umano, culturale e politico che possono dare ai cattolici, che ormai sono privi di rappresentanza, perché i vecchi funzionari di sinistra, più furbi, più esperti, più disinvolti e tutto sommato più organizzati, hanno occupato tutti i posti decisionali e la frangia cattolica di sinistra è stata totalmente fagocitata ed emarginata.

I cattolici veneziani sono ormai degli orfanelli appiccicati alle gonne di Madre Chiesa, questo però crea soltanto spirito di rivalsa, tentazione di non collaborazione e di isolamento.

Io, per tantissimi anni, quando a Venezia i cattolici sembravano cittadini di serie B di fronte alle giunte socialcomuniste, mi sono impegnato a fondo, negli ambiti della mia attività, per creare strutture, organizzazioni parallele a quelle pubbliche, che potessero permettere ai cattolici di proporre il loro messaggio sociale e garantire ai fratelli di fede rappresentanza sociale.

Solamente nell’ultimo ventennio ho abbandonato questo isolazionismo per una integrazione con la struttura pubblica ed una collaborazione aperta e fiduciosa. Ora temo davvero che con l’uscita di scena di Cacciari la nuova sinistra, che poi non so perché si chiami nuova, sia stata così poco lungimirante da non lasciare spazio sia ai cattolici di destra che di sinistra!

Una meditazione costruttiva e bella

Fare meditazione è una cosa molto importante, anzi necessaria.

Meditare poi non consiste in una lettura frettolosa per capire velocemente il senso del discorso, ma invece deve consistere nel soffermarsi sul messaggio perché la verità espressa sia assimilata lentamente e accompagnata dalla preghiera perché il buon Dio apra il nostro cuore e ci aiuti a far germogliare la semente che abbiamo l’opportunità di piantare sulla nostra coscienza.

Stamattina sono partito da una frase della Bibbia: “Saziaci al mattino della tua grazia, o Signore, e noi gioiremo tutto il giorno”. In partenza mi è sembrata una delle tante pie aspirazioni da mistici, che vivono sulle nuvole, perché non riescono mai a tenere i piedi per terra e a lasciarsi coinvolgere dai problemi e dai drammi delle persone normali, sia delle persone di buon senso che dell’uomo della strada. Pensandoci su un po’ e chiedendo aiuto al Signore mi si è aperta invece una prospettiva bella e soprattutto concreta, che per tutta la giornata mi ha piacevolmente accompagnato.

In fondo mi è parso che è necessario al mattino chiedere a Dio la grazia che il nostro lavoro e la nostra vita in generale possa godere della sua guida e della sua ispirazione.

Continuando poi a riflettere su questo concetto sono arrivato alla conclusione che il Signore mi avrebbe fatto incontrare durante il succedersi delle ore del giorno quelle persone che avevano qualcosa di interessante ed utile per me, da dirmi o da donarmi e altre persone che potevano aspettarsi da me qualcosa di particolare di cui avevano bisogno e che io ero in grado di offrire loro.

Incontrare uomini e donne, bimbi e vecchi in questa ottica è veramente bello e tanto interessante!

Gli incontri diventano una scoperta una meraviglia ed un incanto!

Peccato che se non mantieni vivo il pensiero tutto ridiventa subito monotono banale ed insignificante!

Chi vive come un autentico discepolo di Cristo?

Una volta ho sentito un prete che sentenziava con convinzione che i cristiani si contano alla balaustra!

Immagino, anzi sono sicuro, che questo sacerdote voleva dire che il cristiano vero è quello che si accosta di frequente e con pietà all’Eucarestia.

Sarei perfettamente d’accordo con questo sacerdote se voleva dire che il gesto della comunione significa che il fedele accoglie integralmente nel suo cuore e soprattutto nella sua vita il Cristo, nell’integrità del suo messaggio, dice di sì, come la Madonna all’Angelo, in una parola è totalmente disponibile ad impostare ed adeguare la sua vita al messaggio di Gesù e non riduce il gesto ad una pia pratica religiosa, che non modifica per nulla la sua vita privata o pubblica.

Io sto vivendo in maniera drammatica il problema di una religiosità sganciata da un lato dal messaggio originale di Gesù e dall’altro lato sganciata dalla vita reale.

Mi pare che anche Sant’Agostino aveva avvertito questo problema quando ha affermato: “Ci sono fedeli che sono parte integrante della chiesa, ma che Dio non riconosce come suoi discepoli, ed altri uomini che si definiscono laici, liberali, agnostici e perfino atei, abbastanza di frequente nella sostanza vivono come autentici discepoli di Cristo”

Vengo ad un esempio che mi ha colpito in questo ultimo tempo: Un giornalista mestrino, pur battezzato e cresimato, (ma chi non lo è da noi) ma che penso sia una specie di libero pensatore, per nulla praticante, il quale ogni volta che si accorge che il Samaritano si sta insabbiando tra le scartoffie della burocrazia rilancia con vigore l’argomento con articoli frizzanti e pungenti per creare opinione pubblica attorno all’argomento, pestando certamente i piedi a qualcuno.

Mi domando, ma che cosa stanno facendo i praticanti, a difesa dei poveri, mentre il Cristo che ricevono nell’Eucarestia afferma “Ama il prossimo tuo come te stesso!”

I musulmani, testimonianza vivente di una fede che interpella la nostra coscienza

Io sono sinceramente edificato quando vedo nei giornali o alla televisione folle di fedeli musulmani che nelle moschee, o in qualche sala di fortuna o anche all’aperto, in questo rigido inverno, si chinano fino a terra in un gesto di adorazione verso Dio.

Quando poi osservo che non sono bimbetti o vecchierelle, ma solamente giovani ed uomini nel pieno vigore della loro età, l’ammirazione diventa ancora più consistente.

Sono felice di questa testimonianza di fedeli che non hanno rispetto umano, sono edificato da queste manifestazioni di fede fatte in pubblico sotto gli occhi di tutti.

Mi fa inoltre molto piacere che i nostri Vescovi dicano al governo che non sono per nulla contrari che si offra, ai discepoli di Maometto, di avere luoghi di culto idonei per la dignità umana e per questa loro manifestazione di fede.

Di una nostra certa religiosità formale che si identifica con la tradizione o con la cultura, che non incide nelle scelte della vita e che si riduce a qualche gesto formale, compiuto ogni tanto, ne ho piene le tasche!

Ringrazio veramente il Signore per averci mandato tanta gente in Italia, non solamente si fa carico dei mestieri più pesanti e meno retribuiti, ma ci offre pure questa testimonianza di fede che interpella la nostra coscienza, che ci mette in crisi e ci spinge ad una verifica interiore!

Gli arabi e i musulmani si stanno macchiando di gravi crimini di terrorismo, però pagano con la vita, sono mossi da nobili ideali e si muovono con i mezzi che hanno, mentre noi pensiamo di non sporcarci le mani, colpendo i paesi poveri con aerei e carri armati sofisticati, soldati rambo e usando con assoluta disinvoltura strumenti finanziari per continuare a schiacciarli e sfruttarli!

E’ meglio lasciare che il Signore faccia quello che crede e ciò che è meglio per tutti!

Spero di non essere venale, ma talvolta sarei quasi tentato di chiedere un qualche compenso ai miei fratelli che usano il mio nome come certificazione di sana provenienza. Mio fratello Luigi, successore di mio padre nella minuscola azienda di falegname, più di una volta mi ha confessato candidamente, che quando si presenta per un lavoro dice di essere mio fratello come garanzia di serietà.

Lucia, invece figura storica di infermiera all’oculistica in ospedale a Mestre, che ha legato la sua vita alla notorietà del prof. Rama, delle sue imprese filantropiche in Kenya, teme che la mia presunta fama oscuri le sue gesta umanitarie, però non si fa scrupoli di dispensare il mio “diario” per aumentare il suo prestigio nell’ambito dell’ospedale o forse per poter fare i regali di Natale a buon mercato, anzi senza oneri!

Comunque qualche giorno fa mi riferì che il primario dell’urologia aveva gradito il dono, leggeva volentieri il volume, ma che avrebbe gradito una mia dedica.

C’è da notare che suddetto primario, segue i miei guai, perciò gli sono particolarmente grato per essersi fatto carico dei malanni che mi affliggono.

Mi è parso perciò opportuno promettergli, con un po’ di spirito goliardico, che gli avrei volentieri donato metà dei meriti che avrei acquisito durante il tempo in più che mi avrebbe eventualmente donato con le sue cure. Poi ci ho pensato un po’ più seriamente perché in suddetto tempo potrei combinare dei guai e perciò sarebbe stato opportuno che accettasse l’offerta col beneficio dell’inventario.

Comunque meglio di tutto è lasciare che il Signore faccia quello che crede e ciò che è meglio per tutti!

Gesù è Gesù anche senza triregno, bandiera, guardia e Reggia Pontificia!

C’è un mio coinquilino del don Vecchi, che sente la chiamata all’apostolato e pensa di doverla esprimere mediante la stampa e quindi di tanto in tanto mi passa degli articoli.

Più di una volta gli ho fatto presente che “L’incontro” persegue una certa linea editoriale, della quale i suoi articoli non ne tengono per nulla conto. Tanta è però l’insistenza di questo maturo aspirante giornalista, che non pare per nulla convinto delle mie osservazioni, tanto che mi presenta con insistenza i suoi scritti per cui ogni tanto finisco per cedere e pubblicare i suoi pezzi sulla Sindone, sull’esistenza di Dio, sulla validità del cristianesimo ed altri argomenti che io do per scontati per i lettori de “L’incontro”

L’ultimo articolo che mi ha messo sotto la porta riguarda lo Stato Pontificio, fornendo alcune informazioni sulla sua superficie, sul numero delle guardie svizzere, la loro carriera e su quanto riguarda la popolazione di questo piccolo stato, rimasuglio dello Stato Pontificio terminato nel 1870 con la presa di Porta Pia da parte dei bersaglieri.

Riflettendo su questo fatto d’armi, che sa più da operetta che da battaglia, anche se ci sono stati morti veri, mi domandavo qualche mese fa, in occasione dell’11 settembre, se era giusto come cristiano, deprecare la caduta dello Stato in cui il Papa era monarca assoluto o festeggiare quella data come liberazione del Vicario di Cristo, da una posizione impropria, mortificante o fuorviante dal compito del rappresentante di Colui che disse: “Il mio Regno non è di questo mondo!”

La questione romana non mi ha mai appassionato, nè lo Stato Pontificio, con tutto il suo vecchio apparato, non mi ha esaltato più di tanto.

Gesù è Gesù anche senza triregno, bandiera, guardia e Reggia Pontificia!

Il mio Gesù e il mio Papa rimangono tali anche senza vecchie cornici che finiscono per essere sempre tarlate!

“Quanto sono costato oggi alla comunità?”

Nota: don Armando ha scritto questo appunto qualche settimana fa.

Oggi ho dovuto assoggettarmi ad un altro esame clinico.

Nonostante la mia apparenza perfino troppo florida, tanto da crearmi qualche problema di sovrappeso, un male subdolo da parecchi anni sta minacciando la mia salute. Noi occidentali straprivilegiati nei riguardi dei popoli poveri di tre quarti del mondo, finiamo per avere perfino una vita più lunga grazie agli esami che monitorano lo stato della nostra salute e gli interventi medici che riequilibrano carenze e storture.

L’esame urologico non è semplice, dura più di un’ora ed impegna direttamente un medico, un tecnico radiologico, un’infermiera professionale, indirettamente tutta l’organizzazione amministrativa ed impegna delle macchine ultramoderne che costano centinaio di milioni. Quindi soltanto questo esame costa un patrimonio!

Nonostante continui a sentire critiche e lagnanze nei riguardi del nuovo ospedale io ne rimango entusiasta.

Anche oggi se mi rifacevo alle esperienze pregresse dell’ospedale vecchio, non posso che concludere che l’ospedale dell’Angelo è una reggia in rapporto alla topaia dell’Umberto I°.

Ma quello che ho pensato stamattina, mentre il macchinario era manovrato dalla regia di comando al sicuro dalle radiazioni, non riguarda solamente l’ingiustizia permanente tra i popolo del Nord e del Sud del mondo, già questo è un problema che mi pesa sulla coscienza, ma questo è un problema grosso nei riguardi del quale ho poche possibilità di intervento.

La domanda che invece mi sono posto durante i sessanta minuti di immobilità sul lettino bianco manovrato a distanza, è questa: “Quanto sono costato oggi alla comunità?” Certamente centinaia di euro! E quindi mi è venuta coerente la conclusione: “Io ho il dovere di ripagare la comunità per questo dispendio di forze e di denaro nei riguardi di questo povero vecchio prete ottantenne!

Proposito: tenterò di farlo impegnando tutto il mio tempo e le mie energie residue per il bene della società che mi riserva tante attenzioni e mi sta prolungando la vita!

Oggetti smarriti

Un po’ alla volta cittadini e strutture stanno scoprendo le nostre associazioni di volontariato che operano nel settore degli indumenti, dei mobili, degli alimentari e dei supporti per gli infermi.

La fascia di cittadini che hanno bisogno ha fatto la scoperta in maniera assai rapida, chi invece può donare qualcosa, anche senza molti sacrifici, è più lento, ma un po’ alla volta ci sta arrivando. Questa è la cosa più importante.

In questi giorni sono giunti dall’aeroporto due furgoni di oggetti smarriti, anche se non sembra la gente dimentica un sacco di roba! Gli addetti al Marco Polo la raccolgono, la custodiscono per un certo tempo, poi organizzano un’asta. Non tutto però riescono a vendere e perciò regalano a noi tutto quello che è rimasto invenduto: scarpe, ombrelli, maglie, giacche … e le cose più disparate che noi invece riusciamo a cedere a 20 o 50 centesimi!

L’altro giorno il signor Danilo Bagaggia mi mostrava ciò che aveva ritirato dall’aeroporto Marco Polo.

Parrebbe impossibile che molta gente dimenticasse tante cose!

Mentre guardavo curioso il responsabile che mi mostrava i capi più disparati, abituato come sono dal “mio mestiere” a riflettere e trarre conclusioni esistenziali, cominciai a domandarmi “cosa posso io aver dimenticato in giro?” forse qualche ombrello, un paio di occhiali …, ma poi la riflessione si allargò per riflettere sulle parole, sui gesti, sui comportamenti che ho lasciato dietro di me, spesso inconsciamente, finendo per domandarmi “che fine hanno fatto?”

Qualcuno ha potuto beneficiarne o ha dovuto buttarle quali rifiuti ingombranti, inutili o peggio nocivi?”

Ho cominciato a preoccuparmi per la responsabilità che ne deriva da parole dette senza pensarci, da comportamenti superficiali. Mi è venuto in mente la preghiera di David “Miserere me, Deus”.

Spero però che le mie colpe in questo ambito non siano pari a quelle di David che portò via la moglie di Uria e poi lo fece uccidere!

Disegnare il volto nuovo di una comunità cristiana nel terzo millennio

Un mio vecchio cappellano, che ha fatto una rapida carriera tanto da diventare titolare di due parrocchie, oltre ad avere altri incarichi in diocesi, mi ha usato la cortesia di invitarmi a celebrare la Santa Messa in occasione della festa del titolare di una di queste due comunità.

Sono stato felice dell’invito, un po’ perché per me rappresentava un’attenzione per l’attività di un vecchio prete che ora vive ai margini della vita pastorale della diocesi e di cui quasi nessuno si ricorda, un po’ perché rimango ancora curioso di come oggi il giovane clero conduce la comunità dei cristiani del nostro tempo.

Per me, uscito dall’ingranaggio pastorale diretto da più di tre anni, fa veramente piacere confrontare i progetti che ho coltivato per tanti anni, con le soluzioni che ora vanno per la maggiore.

Don Paolo, così si chiama il mio ex collaboratore, naturalmente mi ha chiesto di dire due parole al Vangelo.

Sempre rifletto sul testo sacro per attualizzarlo, affinché esso diventi chiave per leggere la vita lo stimolo perché la comunità si sforzi di entrare nella logica del Vangelo.

In questa occasione la riflessione è stata più prolungata e più attenta del solito.

La pagina del Vangelo che la liturgia assegna alla festa di S. Nicola, santo protettore di una delle parrocchiette di don Paolo, e denominata appunto “S. Nicolò dei mendicoli”, è quella denominata comunemente la “parabola della pecora smarrita”, mi ha offerto l’opportunità di mettere a fuoco: il volto, il compito, lo stile di vita di una comunità cristiana in tempo in cui i cristiani convinti e coerenti rappresentano una piccola minoranza tra gli abitanti all’interno dei confini canonici della parrocchia.

Sono proprio convinto che oggi dobbiamo essere tutti fortemente impegnati per disegnare il volto nuovo di una comunità cristiana nel terzo millennio e in una società sempre più secolarizzata.

Sarei molto felice se fossi riuscito ad offrire qualche buona idea!

L’acqua alta, il MOSE e la debolezza dei governanti

Ai primi di dicembrem se per caso mi fosse venuta la voglia di andare a pregare nella basilica di S. Marco, di certo non avrei potuto andarci, perché nonostante gli stivaloni avrei avuto bisogno di un periscopio o della bombola da sommozzatore per affrontare i 165 cm. di acqua che c’era in Piazza S. Marco. Dopo un sentimento di pena nei riguardi della povera gente che vive a Venezia a pianoterra e dei negozi sommersi dall’acqua con la merce rovinata, il mio pensiero è andato immediatamente ai “disobbedienti di Casarini” ai no-globals, all’estrema sinistra, ai verdi, al Partito Democratico nelle sue componenti rosa e bianco e a tutti coloro che nutrono complessi di sudditanza verso questa gente sballata che in tutti questi anni ha messo in atto mille farse per bloccare il Mòse.

Io non so se questa struttura  impedirebbe un’acqua alta del genere, comunque essa sarebbe un tentativo per verificare la sua efficacia.

In questa tragedia cittadina, che dimostra quanto siano stupidi e faziosi certi individui che tengono banco nella ribalta dell’opinione pubblica e quanto siano imbecilli quelli che si fanno incantare dalla loro demagogia e anzi sono perfino preoccupati di qualificare in maniera adeguata gli attentatori della sopravvivenza della nostra bella e cara città.

Il formaggio sui maccheroni poi l’hanno messo i sindacati con lo sciopero dei vaporetti, sciopero che certamente ha salvato i lavoratori dal naufragio! Oggi come veneziano di adozione, mi sono sentito veramente disperato pensando alla città sommersa dall’acqua sì dell’Adriatico, ma prima ancora dalla demagogia degli stolti e dalla debolezza dei governanti.