C’è chi mi apprezza e chi no…

Temo che molti dei cosiddetti confratelli preti, pensino non favorevolmente nei miei riguardi.

Qualche tempo fa l’architetto Giovanni Zanetti, che sta seguendo tra mille difficoltà il progetto del Centro don Vecchi di Campalto, quasi a giustificare i ritardi in cui è incorso e volendoli addebitare alla burocrazia comunale, mi ha confidato con un certa aria che pretendeva comprensione per suddetti ritardi: “Sa don Armando, lei ha tanta gente che la stima e le vuol bene, ma altrettanta che la rifiuta e la osteggia!” Sono ben consapevole che le cose stanno così per molti degli aspetti della mia vita: non mi si perdona la mia insistenza nel portare avanti comunque e nonostante tutto la causa dei poveri, non si condivide la mia libertà di giudizio e talvolta il mio rifiuto nei riguardi di una religiosità formale, non si giudica di buon occhio il mio impegno nonostante l’età che ho raggiunto, non si giudica spesso favorevolmente il mio “diario” in cui non avallo sempre le posizioni cattoliche altrettanto non condanno sempre gli atteggiamenti e le tesi portate avanti dai laici, e non mi accodo all’opinione pubblica religiosa imperante.

Ci sono alcuni parroci che sono talmente diffidenti e in posizioni critiche da non permettere che “L’incontro” sia messo a disposizione dei fedeli nel banco della stampa delle loro parrocchie nonostante non chieda loro un centesimo e paghi tutti i costi in fatica e in denaro, mediante la mia piccola pensione e il contributo degli amici, non gravando in alcun modo sul bilancio delle parrocchie e men che meno su quello della Curia. Confesso che è un po’ duro andare avanti tra questa indifferenza e peggio ancora tra questa più o meno manifesta ostilità.

Fortunatamente ci sono cittadini che la pensano diversamente e lo manifestano gremendo letteralmente la mia chiesa e scrivendomi lettere come questa che oggi allego:

Non sono religiosa (non me ne vanto, penso anzi che chi crede ed ha fede possegga un qualcosa più di me). Leggo “L’incontro”, che trovo acquistando il quotidiano.
Con questa mia e-mail sento il bisogno di complimentarmi per il “Diario di un prete in pensione”.
Quando leggo mi lascio trascinare da un argomento all’altro, da considerazioni di vario tipo che, direi quasi quasi non scritte da un prete, tantomeno da un prete non più giovane….
Davvero, magari ci fossero tanti preti come lei. Diteglielo per favore. Grazie.

La Prima Comunione dei bambini è un momento prezioso!

Qualche giorno fa mio fratello don Roberto, mi telefonò per accertarsi sulla mie condizioni di salute, scusandosi di non venire a trovarmi di persona perché tanto impegnato, come sempre, nella sua parrocchia grande e numerosa, ma soprattutto perché le prime comunioni l’avevano assorbito quanto mai.

I problemi pastorali mi hanno sempre interessato, e sebbene ora sia fuori del circuito, non sono venuti meno la mia curiosità e il mio interesse e perciò chiesi a don Roberto quale fosse la sua situazione nella sua parrocchia e quale dottrina e prassi segue in questo settore.

Quest’anno nella parrocchia di Chirignago, che è appunto la comunità cristiana di cui mio fratello è parroco, sono stati ammessi 60 ragazzi della terza elementare, che egli ha preparato personalmente per questo grande evento.

Per la prima comunione ha diviso questi ragazzi in due turni perché la chiesa non riusciva a contenere genitori, nonni e familiari.

Mio fratello, commosso e felice mi raccontava l’evento descrivendomi l’ebbrezza sua, quella dei bambini e di tutta la comunità, che ogni anno vive come un’esperienza fortissima ed indimenticabile questo momento di autentica e vera spiritualità; l’innocenza dei piccoli, il loro entusiasmo e la loro fede fresca e pulita e il riflesso di tutto questo nel cuore degli adulti che almeno in quell’occasione recuperano qualcosa di bello e di vero presente nella loro coscienza, magari sotto la cenere, ma presente, è veramente qualcosa di meraviglioso.

Questo racconto ha fatto emergere nel mio animo questo splendido evento che ogni anno, nel cuore della primavera e della vita, io ho vissuto per più di 50 anni come un’esperienza spirituale somma ed irripetibile.

Credo che chi ha partecipato e vissuto momenti del genere non li potrà mai dimenticare anche se sopra di essi il terremoto delle esperienze umane li avesse coperti di cumuli di macerie.

Quando io condussi questa splendida realtà ricordo con quanto vigore e convinzione dicevo ai piccoli che si accostavano alla tavola del Signore e ai loro cari: “Ricordate che il vostro posto nessuno lo occuperà, rimarrà sempre per voi, ricordatevi che la vostra chiesa rimarrà sempre con le porte aperte per il vostro ritorno, ricordatevi che qui ci sono i valori più alti, si dicono le parole più vere, che qui potrete incontrare il Padre e i fratelli, ricordatevi che qui avete vissuto uno dei momenti più belli della vostra vita”.

Privare i bambini e la comunità di un’esperienza del genere sarebbe un vero sacrilegio! Mi verrebbe voglia si offrire una nuova massima sapienziale per la chiesa: “Quanto è saggio il sacerdote che semina sul terreno vergine altrettanto è sciocco chi vuol seminare sul terreno già occupato dalle erbacce!”

Il cambio di mentalità che da 20 secoli ci chiede Gesù

Nel pomeriggio di quest’oggi saranno stati dai 30 ai 40 i fedeli che han partecipato all’Eucarestia che celebro ogni giorno nella nuova cara chiesa del camposanto, l’ultimo amore della mia vita di prete.

In questi giorni, la liturgia ci fa riflettere sulle pagine dell’evangelista San Giovanni, scrittore sacro con cui non mi trovo in sintonia, perché prediligo la concretezza di Marco, Luca e Matteo, ai voli mistici del più giovane degli apostoli, la pagina del Vangelo verteva sul colloquio notturno di Nicodemo, il simpatizzante di Gesù che lo ascoltava volentieri nonostante facesse parte della giunta del governo ebraico che era decisamente contraria al messaggio del profeta teoricamente tanto atteso ma concretamente altrettanto rifiutato. Il potere è fisiologicamente contrario ad ogni innovazione perché è la conservazione che gli garantisce continuità. Cristo dice a Nicodemo che Egli chiede una vera “rinascita” ai suoi discepoli, ossia una nuova mentalità, un modo nuovo di giudicare gli eventi e di vivere la vita. Nicodemo non capisce ed obbietta che una rinascita fisica è impossibile per l’uomo.

Sono passati 20 secoli da questo incontro e dalla chiarificazione di Cristo su che cosa si aspetta dai suoi discepoli, ma pare che la sua lezione non sia ancora recepita nella coscienza dei cristiani d’oggi.

La stragrande maggioranza dei fedeli è convinta che l’essere cristiani consista nel dire qualche preghiera o partecipare più o meno frequentemente a qualche rito religioso.
Tutto questo però rimane in superficie, sopra la pelle ma non modifica non rinnova e sublima la vita.

Il fondatore degli scout, da grande pedagogo quale fu, avendo capito tutto questo aveva suggerito ai ragazzi: “chiedetevi come penserebbe Gesù, cosa deciderebbe, cosa farebbe se fosse al tuo posto e poi comportatevi in merito”.

Credo che questo suggerimento può andar bene anche per i cristiani del nostro tempo, il cambio di mentalità può avvenire solamente per questa strada, questa è la vera rinascita!

I miei rapporti con le anime di Dio

Durante i miei ultimi due ricoveri in ospedale, mi sono portato via, tra gli altri, un volume regalatomi lo scorso anno da una signorina che ai tempi di monsignor Vecchi ha svolto un ruolo notevole nella vita pastorale della parrocchia di San Lorenzo, la dottoressa Mirella Sambo, impegnata su molti fronti, quali la cultura, la gioventù e gli zingari.

Avevo citato, in uno degli editoriali de “L’incontro”, una corrispondenza e forse una visita di Gandhi ad una piccola comunità monastica che si rifà allo spirito del poverello di Assisi, comunità guidata da una badessa di grande levatura mistica. Questa anima di Dio manteneva un fitto ed intenso rapporto spirituale con le anime di preti, frati e uomini e donne di Dio del nostro tempo, incontrandoli spiritualmente al livello più alto ove il cielo è libero e limpido e non risente delle marette e dei contrasti che avvengono alle quote più basse.

Ora, il volume di cui parlavo, curato dal monaco Enzo Bianchi, priore della comunità di Bose, riporta in maniera puntuale e perfino pignola, tutta la corrispondenza intercorsa tra don Primo Mazzolari e questo piccolo mondo monastico, diventando quasi il “salotto” degli spiriti nobili della fede.

Mai avrei immaginato che don Mazzolari, profeta del nostro tempo ed anticipatore della Chiesa dei tempi nuovi, avesse una tale sensibilità religiosa ed una finezza spirituale da mantenere aperto un dialogo di un misticismo di prima grandezza. Da questa scoperta sono stato veramente colpito ed ammirato. Le anime di Dio trovano sempre modo di incontrarsi, di comprendersi e di aiutarsi nonostante vivano in luoghi diversi e si occupino di realtà tanto lontane tra loro.

Mi sono chiesto quasi per necessità: “I miei rapporti spirituali con le anime di Dio come si sono svolti e si sono realizzati? Per grazia di Dio ho incontrato nella mia vita sacerdotale anime veramente eccelse e meravigliose, purtroppo non ho mai coltivato queste “amicizie spirituali”, sempre condizionato ed assorbito dalla mia vita di “manovale della Chiesa”.

Ora, saltuariamente, mi scrive la superiora di un convento di carmelitane scalze di Venezia, che credo sia un’anima bella; mi fa piacere sapere che ci sono queste creature, interamente donate al Signore, che mi stimano e mi vogliono bene, ma purtroppo il rapporto si ferma sulla soglia del convento e delle mie occupazioni quotidiane!

Il testamento spirituale

Prima che io entrassi in ospedale è venuto a farmi visita, nel mio piccolo alloggio al “Don Vecchi”, don Roberto, mio fratello minore, parroco di Chirignago. Io sono il primo e lui è l’ultimo di sette fratelli che, tutto sommato, si vogliono bene e condividono i valori fondamentali della vita che i nostri genitori ci hanno trasmesso.

Più volte ho confessato la mia stima e la mia profonda ammirazione per questo mio fratello parroco. Don Roberto è intelligente, generoso, seriamente impegnato a condurre la sua parrocchia e credo che stia ottenendo degli splendidi risultati, soprattutto a livello dei ragazzi e della gioventù. Tanto che credo che egli abbia una comunità cristiana così bella come poche parrocchie, o forse nessuna, in questo momento così difficile nella vita pastorale del nostro patriarcato e della Chiesa che in genere possiede!

Don Roberto è un idolo a livello parrocchiale, ma per scelta e per indole, dialoga poco, forse troppo poco, con la città e la Chiesa veneziana, mentre io sono convinto che oggi anche nell’ambito della Chiesa, dobbiamo assumere una mentalità ed uno stile globale che parli ad ogni ceto e ad ogni componente della vita cristiana.

Chiacchierando con don Roberto, gli accennai al testamento, che in altro momento cruciale gli ho affidato, dicendogli che i tempi passano veloci, le situazioni mutano e perciò si senta totalmente libero di disporre come crede delle mie pochissime cose.

Mi ricordai che nelle mie ultime volontà non ho neppure accennato a quello che tanti chiamano ancora il “testamento spirituale”. La mia vita rappresenta in maniera fedele ciò in cui credo e che ritengo importante, se ho qualcosa da dire al mondo in cui sono vissuto, lascio a ciò che ho fatto, che ho sognato, e a ciò per cui mi sono battuto di dirlo. Se dovessi però scendere al concreto, confesso che avrei veramente delle difficoltà ad indicare il nome di un prete a cui riterrei opportuno lasciare in eredità il mio amore per i poveri, per gli ultimi, per quelli che non contano, per gli anziani. Tutto questo però non mi amareggia più di tanto perché al buon Dio non manca la capacità e la volontà di trovare gli uomini giusti per le cause giuste.

Ho dispensato quindi don Roberto dal preoccuparsi del “Don Vecchi” e del polo della solidarietà che vive in simbiosi con esso.

Gratitudine ai patriarchi della mia vita sacerdotale

I miei rapporti con i miei superiori della Chiesa veneziana non sono mai stati idilliaci, ma neppure burrascosi. Credo che questa convivenza, tutto sommato serena e costruttiva, sia merito più della altrui intelligenza e virtù, piuttosto che della mia saggezza e capacità di dialogo.

Non sono mai stato un gran frequentatore della curia o del palazzo patriarcale, non certamente a motivo di un rifiuto preconcetto, ma per la mia sensibilità umana e religiosa più propensa ad un servizio serio ed impegnato che ad una partecipazione assidua a riti e cerimonie. Non sono mai stato amante dei discorsi spesso inconsistenti ed in linea con la moda ecclesiastica del momento, perché convinto della necessità di un servizio attento, costante e generoso al Popolo del Signore.

Ho vissuto la mia vita da chierico e da sacerdote sotto i Patriarchi Agostini, Roncalli, Urbani, Luciani, Cè, ed ora Scola: figure splendide di vescovi intelligenti, dalla fede profonda e di grande sapienza pastorale.

Io sono veramente orgoglioso dei Patriarchi che ho conosciuto e che hanno guidato il mio servizio pastorale. Porto un ricordo alto del Cardinale Agostini, un Patriarca che sapeva bene il suo mestiere di vescovo e l’ha svolto con rigore e coerenza; del Cardinale Roncalli, futuro Papa, per la sua sapienza e la sua calda umanità; del Cardinale Urbani per la sua venezianità e per la capacità di rimanere a galla nonostante i tempi difficili della contestazione. Ricordo con stima e devozione il Cardinale Luciani per la sua umiltà e per il coraggio nel guidare un clero ed una Chiesa irrequieta; il Cardinale Cè per la sua pazienza illimitata, la sua spiritualità e paternità sofferta, e il Cardinale Scola per l’intelligenza, la ricerca e il dialogo con questa società secolarizzata.

Ho amato profondamente i miei vescovi, ho sempre tentato di viverne il messaggio sostanziale, ho dialogato con la parola e con le opere in maniera onesta, rispettando ognuno e manifestando sempre con franchezza il mio parere nel desiderio di contribuire al loro difficile ed importante ministero. Spero di essere stato, come mi sono sempre proposto, un prete “libero e fedele”. Sono loro riconoscente di avermelo permesso, senza strappi o diatribe inutili e dannose.

Laici e clericali

Io sono sempre stato avido di leggere, sia per conoscere la cronaca della vita che per indagare sugli indirizzi del pensiero, sugli orientamenti della cultura e sui “segni dei tempi”, ossia sulle direzioni, che per motivi profondi ed occulti, guidano l’orientarsi della società. In questa presa di contatto con la vita, soprattutto quella del mio Paese, della Chiesa, mi imbatto assai di frequente in due modi di pensare che da un lato capisco quanto siano importanti, e da un altro lato mi appaiono settari, odiosi e fuorvianti. Questi modi opposti, o almeno diversi di approcciarsi alla vita sociale, sono riassunti in due aggettivi i cui contenuti sono sempre stati presenti nella storia degli uomini, ma che oggi m’appaiono come due bandiere diverse ed opposte: laico e clericale. Questi due distintivi di due mentalità, due stili di vita e due valutazioni, da un lato mi interessano perché diventano strumenti preziosi di lettura e di interpretazione della vita e della società, e dall’altra sarei tentato di rifiutarli in maniera radicale perché sempre tendenzialmente faziosi e preconcetti, tanto da portare spesso all’incomprensione e allo scontro.

Comincio col mettere a fuoco il volto, la ricchezza e i limiti del termine “clericale”. Esso mi appare come la deformazione del termine “religioso”, come sinonimo di bigotto, di chi utilizza la fede per scopi impropri, di chi rinuncia a pensare con la sua testa e delega totalmente la gerarchia ecclesiastica a scegliere e prendere decisione, di chi non pare convinto e responsabile delle scelte che devono derivare dalla sua fede. Ciò mi delude e mi porta al rifiuto di questa mentalità.

Al contrario il termine “laico” (sarebbe forse meglio quello “laicista”) mi suona sempre con un timbro di arroganza, di poco o nessun rispetto per il credente, di interiorità morale ed intellettuale gratuita e di lettura dissacrante del fenomeno religioso e ciò mi appare sempre come fazioso, intollerante e preconcetto. D’altronde sono altresì convinto che ambedue le posizioni posseggono qualcosa di importante e di necessario per leggere e interpretare i fenomeni sociali.

Come vorrei impossessarmi del meglio di questi due modi di valutare, spogliandoli dai limiti pesanti ed ingombranti che essi oggi hanno. Ho fatto quindi il proposito di non essere mai clericale o laico e nello stesso tempo di essere nel contenuto laico e clericale.

Pensieri dopo la battaglia

Sto vivendo con un po’ di pena e con molta insofferenza, per una vita non piena e libera, la mia convalescenza. L’intervento chirurgico ha certamente menomato le mie forze fisiche, ma non la mia razionalità, il mio spirito. I primi giorni dopo l’intervento mi si era offuscata anche la lucidità e la capacità di valutare pensieri e giudizi, ma questo è passato assai presto, mentre il mio fisico è rimasto greve e tardo nel realizzare le tensioni della mia volontà.

In questi giorni, in cui sono costretto a rallentare le mie attività che esigono movimento e parola, lo spirito ha preso il sopravvento, rompendo il vecchio e consueto equilibrio che s’era instaurato dentro di me e perciò, non potendo muovermi ed agire, ho finito per pensare molto di più, e non di frequente mi capita di lasciarmi aggrovigliare da ragionamenti che risultano perfino oziosi e che finiscono per non portare da nessuna parte.

Mi dicevo, in questi ultimi giorni: “Devo prepararmi a vivere o a morire?” Si, forse ho vinto, a caro prezzo, anche questa battaglia, ma all’orizzonte m’accorgo che c’è un “nemico” sempre più forte e agguerrito, mentre avverto che le mie risorse, sia fisiche che morali, stanno venendo meno. Mi domando, sempre più di frequente, se vale la pena di impegnarsi in questa lotta impari e faticosa.

Ultimamente si è affacciata alla mente una vecchia sentenza che ora mi pare saggia e provvidenziale: “Vivi come se dovessi morire domani e nello stesso tempo vivi come se la tua vita dovesse durare un’eternità”. Scelgo di vivere alla giornata, riempiendo i miei giorni ed impegnandomi a realizzare un mondo nuovo, ma nello stesso tempo voglio essere onesto con me stesso, e perciò voglio impegnarmi a fare la mia parte, non preoccupandomi più di tanto dei risultati e di come andrà domani.

Ho raccontato i semi del mio sogno per gli anziani quasi-autosufficienti

Un giornalista, a motivo della sua struttura mentale e soprattutto della sua professione, è sempre più informato su ciò che sta maturando nella vita odierna. Confidavo, nell’incontro avuto con il dott. Dianese, a cui sono legato da stima ed amicizia, che una volta nominata la nuova giunta comunale, avrei tentato di organizzare un incontro coll’assessore alla sicurezza sociale e i massimi funzionari del Comune che si interessano alle problematiche sociali, ossia il dottor Gislon e la dottoressa Francesca Corsi. Vorremmo spiegare che i due progetti avrebbero solo dei fondamenti di carattere sociale ma soprattutto rappresenterebbero un “affare” per il Comune, facendogli essi risparmiare una barca di soldi. Al “Don Vecchi” abbiamo certamente più di una ventina di anziani ancora consapevoli e capaci di autogestire la propria vita, ma con forti disabilità fisiche, anziani che dovrebbero essere trasferiti in casa di riposo per non autosufficienti, dato che nella nostra società non ci sono strutture che rispondono alle esigenze dello stadio intermedio tra l’autosufficienza e la non autosufficienza, mentre questo spazio esiste nella realtà.

La soluzione che noi proponiamo oltre agli immensi vantaggi per la qualità di vita di questi anziani, farebbe risparmiare all’amministrazione comunale circa quarantamila euro al mese e alla Regione almeno ventimila, ossia 720.000 euro all’anno. Ciò significa che in tre, quattro anni il Comune e la Regione coprirebbero i costi di una struttura che poi continuerebbe l’assistenza a venti anziani con autosufficienza precaria a costo zero.

Mi auguro che queste motivazioni di ordine economico possano convincere gli amministratori che stanno entrando in carica.

Il dottor Danese mi ha confidato che Orsoni vorrebbe assegnare al dottor Bettin l’assessorato alla sicurezza sociale e al dottor Micelli l’urbanistica. Se le cose andranno così penso che avremo già ottime premesse perché i nostri sogni possano realizzarsi.

L’intervista al Gazzettino

Una mattina prima mi ha telefonato e poi mi ha fatto visita al “don Vecchi” il dott. Maurizio Dianese, una delle penne più appuntite e più graffianti de “Il Gazzettino”.

Gli interventi di Dianese sul quotidiano cittadino non passano mai inosservati perché non rappresentano mai una cronaca distaccata, asettica, che informa la cittadinanza su qualche avvenimento, ma quasi sempre suonano a denuncia, propongono problematiche presenti e vive, o mettono il dito su qualche piaga.

Il giornalista mi telefonò spiegandomi che gli erano giunte all’orecchio due cose che lo interessavano e che riteneva interessanti per l’opinione pubblica. Quasi certamente aveva letto su “L’incontro” i due progetti che attualmente mi stanno appassionando, nonostante l’età e le vicissitudini della mia salute.

Fui ben felice di incontrarlo, da un lato perché avverto che c’è in ambedue una certa assonanza di idee e una certa repulsione per una vita paciosa e senza sbocchi ideali, e dall’altro lato perché sono ancora più convinto che se non si matura l’opinione pubblica a certi valori, ben difficilmente si riescono a portare avanti certe iniziative, specialmente da parte di persone che non hanno soldi come me.

Gli ho parlato del progetto di una struttura per rispondere ai problemi degli anziani che sono in una fase di perdita di autosufficienza e che, pur idonei a rimanere ancora in una struttura di persone libere ed autonome, hanno bisogno di una struttura che essa sia ancor maggiormente protetta, per rimanere ancora padroni di casa ed autonomi nelle loro decisioni.

Gli ho parlato infine della “Nomadelfia” mestrina, ossia di una cattedrale della solidarietà in cui i cittadini in disagio economico possano trovare una risposta dignitosa ed esaustiva alle loro difficoltà.

M’è parso entusiasta sia dell’una che dell’altra cosa. Molto probabilmente almeno centocinquantamila lettori de “Il Gazzettino” sapranno che tra loro c’è chi sta sognando e lavorando per due soluzioni che faranno fare a Mestre e Venezia un passo avanti nel campo della solidarietà.

Gran parte dei confratelli forse penserà che sono un illuso o un prete con mania di protagonismo, spero però che gli uomini di buona volontà inizino a condividere questi due nuovi obiettivi.

La bella intervista del nostro patriarca Angelo Scola

Nelle prime ore del pomeriggio della domenica normalmente sto a casa e mi con concedo la visione di due rubriche televisive che mi interessano alquanto: “L’arena”, condotta dal giovane e brillante Giulietti, un cristiano coerente, disinvolto e brillante, che dialoga con i protagonisti e sugli avvenimenti del nostro tempo, senza complessi e in maniera spigliata e disinvolta. Come seguo con uguale interesse la rubrica tenuta dall’Annunziata, che ogni settimana dialoga con un personaggio del nostro Paese e su argomenti di palpitante attualità.

L’Annunziata, da quanto mi è dato di sapere, è cresciuta alla scuola delle Botteghe Oscure, è di sinistra e molto spesso si mostra, con i suoi intervistati, impertinente e quanto mai faziosa. Ricordo che in una trasmissione è stata talmente critica col capo di governo Berlusconi, che egli perse la pazienza e lasciò di tronco l’intervista. Detto questo però, debbo aggiungere che questa donna è estremamente intelligente, preparata, per cui va sempre al cuore del problema che vuol trattare e non molla mai l’osso, costi quello che costi.

Il giorno di Pasqua sono stato a casa perché convalescente e perché non avrei potuto fare alcunché d’altro. Con mia sorpresa, dato il sovrapporsi, seppur parziale delle due rubriche, ho scoperto che l’Annunziata stava dialogando col nostro Patriarca. Mi sono piaciuti l’uno e l’altra; le parole del Patriarca, le sue argomentazioni e l’atteggiamento della conduttrice. Lei mi è parsa persino bella, cortese, rispettosa, attenta ed in ascolto, pur ponendo sul tavolo argomenti quanto mai spinosi, che fanno fremere l’opinione pubblica. Il nostro Vescovo pacato, umano, disponibile. Quel Patriarca che nei discorsi a livello personale è ricco di una straordinaria e calda umanità, ma che non sempre emerge quando si imbarca in discorsi ufficiali.

Il Patriarca ha offerto all’opinione pubblica del nostro Paese il volto più nobile, più vero e più alto della nostra Chiesa e questo non è proprio poco in questi nostri tempi.

Il Quinto Vangelo, secondo De André

Io deliberatamente mi lascio coinvolgere dal messaggio che emerge dalle letture che vado facendo. Mi turba e mi sconvolge tutto quello che fa traballare la sistemazione ideale che mi sono fatto delle cose della vita, dell’oggi, del domani e di Dio, però ritengo onesto non conservare come un tesoro certe visioni che col tempo sono state superate, ormai fuori corso o sono strumentazioni ideologiche arcaiche.

Ho già confessato le mie grosse riserve nei riguardi di don Gallo, il prete genovese di cui, in questi giorni, sto leggendo un volume, però ci sono delle affermazioni, forse esagerate, guascone, ma che mi offrono la lettura, il recupero di strumenti ideali per comprendere una religiosità reale, difforme e forse opposta a quella formale, fasulla e di comodo.

Nel passato ho più di una volta scritto il mio entusiasmo e la mia profonda attenzione a quello che Pomilio ha chiamato “il quinto Vangelo”, ossia il messaggio che il buon Dio ci fa pervenire mediante i segni dei tempi, gli eventi ed anche la cronaca quotidiana; si tratta sempre di un messaggio semplice, immediato, comprensibile e soprattutto vero ed attuale.

Riporto alcune righe stupende di don Gallo, amico del cantautore Fabrizio De André, con le quali questo prete protestatorio ci fa comprendere come anche le parole e le note talora sarcastiche e talora tenere del novelliere ligure seducano e mettano in luce la solidarietà, il riscatto e la liberazione delle quali il Vangelo di Gesù è fonte fresca ed inesauribile.

Scrive don Gallo:
“Ad un rinfresco incontrai un cardinale, il quale colse subito l’occasione per insinuare: «Tu sei sempre in giro per l’Italia, ma li studi i Vangeli?» «E certo!» «E quanti sono?» «Cinque: Marco, Luca, Matteo, Giovanni…» «E il quinto?» incalzò preoccupato. «Il Vangelo secondo De André.»
In fondo, “in direzione ostinata e contraria”, non è la sintesi del Vangelo di Gesù? La poesia musicale diventa coscienza civile, comprensione umana, preghiera smisurata, guerra alle ipocrisie, amore per i perdenti e i derelitti, quelli che la gente perbene lascia a terra nella sua inarrestabile corsa verso il trionfo materiale. Ecco che il poeta con il suo genio trova ispirazione indagando nei bassifondi, nei vicoli ombrosi, tra i viados, barboni, rom, artisti libertari, e da lì scatta la sua insofferenza verso il potere, verso il clero moralista, verso l’intolleranza. Tutta la sua opera si libera negli anfratti, corre su due binari: ansia per la giustizia sociale e speranza di un mondo nuovo. Nell’affresco di anime salve Fabrizio tornava a sfidare un mondo dove, coltivando tranquilla l’orribile varietà delle proprie superbie, sta la maggioranza. E sotto, o ai margini, le minoranze, disobbedienti alle leggi del branco, stanno come una svista, come un’anomalia, una distrazione.”

Don Gallo

Per Pasqua i volontari che si occupano della raccolta e della distribuzione degli indumenti per chi ne ha bisogno, mi hanno donato un volume di un prete genovese. Sto leggendo questo libro con estremo interesse, perché sono avido di conoscere le testimonianze degli uomini della Chiesa e perché mi interessa quanto mai tutta la lettura delle cose della religione. Già più volte avevo sentito parlare di questo don Gallo, e non sempre bene! Si tratta di un salesiano, mio coetaneo, in costante rotta di collisione con la gerarchia ecclesiastica, che si occupa di drogati, prostitute, viados, extracomunitari, no-globals e via dicendo.

Don Gallo è uno di quei preti che certamente non sono mai in riga né, temo, sopra le righe, ma anzi, sempre, sotto le righe suggerite e ordinate dalla Chiesa ufficiale. Tutto sommato non condivido il suo pensiero e la sua condotta; eppure riscontro in questo prete un sano e forte amore per l’uomo, una vera solidarietà per i più fragili, i dissenzienti cronici su tutti i fronti, una capacità di dialogo con quel mondo al limite di ogni legalità, sia civile che religiosa.

Confesso che sono contento che vi siano al mondo dei don Gallo e confesso ancora che li preferisco a certi abatini ordinati ed incolori, o a certi prelati di piccolo, medio o grande rango, che sono insignificanti, non rappresentano nulla dell’ineffabile mistero di Dio. Questi preti, alla don Gallo, sanno leggere nella parte in penombra della vita della Chiesa e sanno raccogliere quella religiosità difforme dalle regole ufficiali, ma che pure si confronta in modo vero nel rapporto con un Dio che non è un teorema semplice, ma un mistero profondo e complesso.

“Noi preti dobbiamo essere testimoni della tenerezza di Dio!”

Qualche settimana fa è morto don Zega, il sacerdote della congregazione di don Alberione, fondatore dei Paolini. Don Alberione fu il sacerdote che intuì, in maniera lucida e intelligente, il ruolo decisivo che i mass-media avrebbero svolto nella società attuale. In relazione a questa intuizione don Alberione ebbe la forza e la capacità di dar vita ad un movimento di persone e di strutture veramente imponente. Sono numerose le “famiglie religiose” fatte nascere da don Alberione, più numerose le testate giornalistiche, tanto da arrivare perfino alle produzioni cinematografiche. Ma fra le testate più famose e più diffuse tra quelle promosse dai Padri Paolini, la più nota è certamente il settimanale “Famiglia Cristiana”, periodico che fino a qualche anno fa aveva una delle tirature più alte in assoluto nel mondo della stampa del nostro Paese. Don Zega fu per alcuni anni il direttore di “Famiglia Cristiana” ed ultimamente curava invece l’importantissima rubrica “Colloqui con i lettori”.

Don Zega fu uomo e sacerdote intelligente, libero, ricco di una religiosità autentica ed attuale. “Famiglia Cristiana” in quest’ultimo mese ha dedicato parecchi articoli alla testimonianza pregnante di questo sacerdote che si è fatto messaggero del sacro mediante i mezzi di comunicazione sociale.

Sono stato particolarmente colpito da una frase pronunciata da don Zega nella chiesa del suo paese natìo in occasione della celebrazione del suo cinquantesimo di sacerdozio: «Noi preti dobbiamo essere testimoni della tenerezza di Dio!» Che obiettivo meraviglioso! Che proposta alta e comprensibile per tutti!

Sono ormai molti anni che ho cominciato ad essere disaffezionato del Dio ufficiale, ossia da quello teologico e da quello dei preti, dal Dio incomprensibile, rigido e geloso. Mi sono ormai innamorato del Dio della parabola del Figliol Prodigo ed ascolto tanto volentieri gli uomini che parlano e credono, comunque, nella tenerezza di Dio!

A proposito del Catecumenato

Ho letto recentemente su “Gente Veneta”, il settimanale della diocesi veneziana, un articolo di cronaca in cui si annuncia che in due parrocchie della diocesi si sta procedendo ad una sperimentazione per quanto riguarda la prima comunione dei ragazzi. Da quanto ho compreso questa sperimentazione si rifà alla dottrina e alla prassi del movimento neocatecumenale.

Premetto, a scanso di equivoci, che io guardo con rispetto ed ammirazione questo singolare modo di approfondire e di vivere la vita religiosa rifacendosi alla prassi della Chiesa primitiva. Riconosco i meriti e i successi di questo movimento ecclesiale, che oggi va per la maggiore e sta ottenendo tante adesioni e ribadisco ancora che riconosco per questo “cammino” la libertà di vivere la fede e la proposta cristiana secondo le intuizioni e le regole dettate dal fondatore e dagli attuali responsabili, ma confesso altresì che non condivido di esso quasi nulla, anzi ritengo che molti aspetti diano una visione angusta, interista e sorpassata della fede e testimoni una vita ecclesiale da ghetto, per nulla aperta al respiro e alla cultura della nostra società.

Col mio spirito libertario, che ha bisogno di vasti orizzonti che permettano di cogliere la luce di Dio ovunque e in ogni creatura, ritengo più negativa che positiva questa esperienza ecclesiale. A parte tutto questo, la scelta di far fare la comunione in terza media ai ragazzi, credo sia l’esatto opposto di ogni dettato della psicologia e della pedagogia e che sia una scelta che non ha alcun supporto teologico e pastorale.

Finito di leggere l’articolo suddetto, ho pensato che esso fosse il colpo al cuore al messaggio del nostro vecchio Papa veneto Pio X. Per una vita l’intera cristianità e tutto l’apparato pastorale e di catechismo ha inneggiato alla saggezza del Papa che aveva avvicinato gli innocenti all’ Eucaristia, mentre ora, per motivi a me incomprensibili, e di pensiero di riflesso, si ritorna al passato. Poveri Papi di oggi e di ieri: sono smentiti anche dopo morti, altro che infallibilità pontificia!