Più miracoli che nel passato

Un tempo si portava, a prova della divinità di Cristo, i miracoli che ha fatto durante i tre anni della sua vita pubblica. Gesù stesso ha più volte affermato che aveva guarito perché la gente credesse che Egli era mandato dal Padre e parlava e agiva in Suo nome e perciò la sua parola era veritiera. Nel Vangelo si legge più volte che i miracolati s’erano aperti alla fede, come pure tanta gente che era stata testimone di quei fatti miracolosi s’era convertita ed aveva creduto in lui.

Ora pare che gli uomini del nostro tempo non poggino più la loro fede su fatti miracolosi che la scienza non sa spiegare, anche se è pur vero che la gente credente, come pure la non credente, accorre a folle nei luoghi ove si dice che la Madonna sia apparsa, abbia parlato o abbia anche compiuto dei miracoli.

L’avidità dello spettacolare, dello straordinario, ha avuto sempre un fascino particolare sul popolo. Basti pensare ai milioni di cittadini che accorrono a Lourdes, a Fatima, a Medjugorje, ma pure a sant’Antonio, a Pompei e in mille altri santuari o località ove si dice sia avvenuto qualcosa di portentoso.

Io non ho mai provato questo prurito del portento, condividendo il pensiero di un famoso entomologo il quale affermò: “Io non credo in Dio, perché lo vedo nella natura e nel Creato. Un fiore di campo, il volo o il canto di un uccello, il sorriso di un bambino, la grazia di una donna, il cielo stellato o la maestà delle montagne parlano alla mia ragione di Dio in maniera così immediata ed eloquente da non aver bisogno di aggiunte di nessun genere»

A proposito di miracoli, proprio alcuni giorni fa, soffrendo di una brutta influenza con tosse, raffreddore e febbre, mi fu ordinato dalla dottoressa che si cura della salute dei residenti del “don Vecchi”, una serie di pastiglie di antibiotico. Una volta guarito, mi venne da pensare che io stesso sono stato più volte miracolato. Prima il tifo, poi una pleurite essudativa, quindi un tumore all’intestino, poi un altro al rene che mi fu infatti asportato, e qualche altro malanno attuale. Ma sempre me la sono cavata.

Per me il buon Dio si serve dei medici e di tante altre persone dotate di una intelligenza, che pure essi hanno ricevuto dal Creatore e, attraverso loro, ci fa capire che, a momento debito, interviene per manifestarci la sua bontà e la sua misericordia. Dio fa ancora miracoli, meglio e più di quanti ha fatto suo Figlio Gesù quando visse con noi. Dio ci è vicino come sempre, siamo noi che spesso siamo tanto ciechi da non “vedere”.

Sorella acqua

Ci sono certe pagine della Bibbia che oltre ad essere poesia, sono pure preghiere e lode a Dio per la sua bontà e per la sua munificenza.

Leggo sempre tanto volentieri quella pagina in cui lo scrittore sacro fa dire all’orante una lauda veramente stupenda con cui canta la gloria di Dio e, fiducioso e devoto, lo ringrazia per gli elementi della natura: il sole, il bel tempo, i ghiacci, le nevi e la pioggia. Questo devoto dimostra una fiducia così assoluta nel Creatore, che lo loda per ogni evento bello come per quelli che noi poveri, meno fiduciosi, riteniamo essere, se non un castigo, almeno una amara calamità.

San Francesco poi, che oltre ad essere santo era anche poeta, nel suo magnifico Cantico delle creature, ha una lode particolarmente bella per l’acqua “umile e casta”. Io confesso che sono ancora molto lontano da questa fede “senza ma, chissà, perché”, come recita Trilussa, il noto poeta romano.

In questa interminabile “primavera” si sono alternate, tutti i santi giorni, piogge di ogni tipo: uggiose, piovaschi, scrosci, tempestate, temporali: infatti è caduta pioggia per tutti i gusti e in sovrabbondanza. Vedendo i campi allagati, le semine dilazionate, i raccolti compromessi, ma soprattutto i fiumi esondati, i torrenti e i canali minacciosi che han preoccupato ed anche allagato casolari e minacciato città, tante volte mi sono chiesto il senso di tale evento.

Ho scartato subito la risposta più immediata e tradizionale: “castigo di Dio!”, però ho trovato una qualche difficoltà a comprendere e ringraziare il Signore per una calamità che pare non intenda a smettere.

Detto questo ritorno su concetti che ho già espressi anche recentemente: il monito a non violentare la natura per colpa del nostro egoismo e la presa di coscienza che, nonostante tutte le nostre conquiste scientifiche e la nostra prosopopea, rimaniamo ancora delle povere creature fragili e in balia degli eventi. Infine ho pensato che il Signore sa “scrivere dritto anche su righe storte”, come dice un proverbio spagnolo; quindi è ancora preferibile cercare il lato positivo e fidarci del buon Dio piuttosto che arrabbiarci e disperare.

La legge!

Finalmente si è conclusa la vicenda della custodia delle biciclette dei trecento anziani ospiti nel “don Vecchi” di Carpenedo. La storia è lunga e quanto mai amara e merita di essere raccontata per constatare che i romani avevano ragione quando già duemila anni fa hanno sentenziato “Summa jus, summa iniuria” (traduco alla buona: “anche la legge più perfetta, fatta per il bene della comunità, talvolta si rivela una ingiustizia clamorosa”).

Una decina di anni fa chiesi ad un architetto di fare un progetto ed ottenere il permesso per creare un deposito per riparare le biciclette. Il “don Vecchi” di Carpenedo è composto da 192 alloggi ed ospita circa 300 anziani. Di questi residenti una decina o poco più, posseggono ancora l’automobile, 150 circa vanno a piedi o in autobus e tutti gli altri posseggono ancora una bicicletta. M’è parso giusto che questo “prezioso patrimonio” fosse difeso dalle intemperie. Il motivo per cui le cose non sono andate per il giusto verso non l’ho ancora capito. Forse c’è stato uno sbaglio, forse gli operai hanno interpretato male i disegni. Quello che purtroppo ho capito bene è stato il fatto che un “parrocchiano fedele” che non c’entrava nulla nella questione, ha fatto ben tra denunce per quella che egli, esperto di queste cose, ha ritenuto una irregolarità ed ha pensato che un prete prepotente dovesse essere punito.

Per questa vicenda, prima c’è stata erogata una multa di cinquemila euro, poi ci han fatto togliere le pareti di questa custodia, dopo per mesi siamo andati avanti con visite di vigili, con suggerimenti vari che dicevano potessero sanare l’illecito; infine, per non danneggiare il professionista che aveva firmato il progetto, abbiamo dovuto togliere anche la copertura perché il “gabbiotto” diventasse legale, mentre quello che è stato fatto in piazza San Marco sotto il campanile, forse sarà fatto togliere solamente per motivi di carattere estetico e di convenienza.

Ora le biciclette dei nonni sono sotto il cielo “riparate” da tre profilati in ferro larghi qualche centimetro, ma comunque “giustizia è stata fatta!”. Abbiamo possibilità di collocare la struttura in altri luoghi, ma con il cantiere per il “don Vecchi 5” appena aperto, distrarre soldi da questa partita sarà ben difficile.

Credo che sia doveroso che i cittadini sappiano quale compenso riceve chi si occupa degli anziani più poveri ed altrettanto conoscano lo zelo per la legge di certi cittadini, di certi vigili, di certi funzionari comunali e di certi magistrati!

La visitazione

Le feste della Madonna offrono sempre al mio animo un dolce sentimento che profuma di famiglia e di calda maternità. In questa cornice ed in questa atmosfera questa mattina ho celebrato la festa della Visitazione, ossia il caro “mistero” cristiano che fa memoria dell’aiuto offerto dalla Vergine Maria all’anziana cugina Elisabetta.

Il lontano ricordo dell’ode con cui Alessandro Manzoni racconta poeticamente questo evento, forse mi ha sempre aiutato ad avvolgere di incanto e di poesia questo episodio della vita della Madonna. Non ricordo esattamente le parole con cui l’autore dei “Promessi sposi” descrive questo evento, ma ho ben presente l’atmosfera dolce, incantata e ricca di poesia che sprigiona dall’ode manzoniana. Ho negli occhi, bella e fresca, l’immagine di questa ragazza che già sente ineffabile la presenza del figlio che sta germogliando nel suo grembo, mentre prende il sentiero della montagna e che, con passo lesto e leggero, va ad offrire il suo aiuto e dire la bella notizia che le canta nel cuore, alla sua anziana cugina bisognosa di aiuto. Com’è poi un’esplosione di beatitudine l’incontro delle future madri di Gesù e di Battista.

Però, tra tanta luce e tanta gioia, da questo dolce mistero emerge anche un insegnamento forte e preciso. Maria non si fa supplicare o tirare per la manica per andare a portare aiuto all’anziana bisognosa ma, pur vivendo il momento soave dell’attesa, spontaneamente lascia i preparativi per la nascita vicina, la casa e lo sposo, per offrire il suo sorriso e le sue mani laboriose e care ad Elisabetta in difficoltà.

Tra tanta soavità emerge un messaggio che qualcuno ha recepito ed attuato in maniera esemplare. Proprio in questi giorni ho letto una serie di servizi su don Oreste Benzi, il prete romagnolo che ha lasciato alla Chiesa e alla nostra gente una testimonianza esemplare di carità da Vangelo. Don Benzi, con la sua tonaca sdrucita e logora e la sua calotta in testa, usciva di notte per cercare e recuperare ad una vita degna le prostitute e nelle sue innumerevoli case-famiglia le porte erano e sono sempre spalancate, per accogliere i “rifiuti dell’umanità”.

Nel volume di don Gallo che sto leggendo, “Come un cane in chiesa”, questo “prete estremo” dei bassifondi del porto di Genova, scrive: “La domenica, dopo la messa, a tavola mi piace invitare e condividere il pasto con i gay, le lesbiche, i transgender, i transessuali: sono loro che hanno bisogno del nostro ascolto e della nostra accoglienza”.

Questi sono i cristiani che han “letto” il Vangelo in maniera seria ed onesta! Questi sono i preti che mi mettono in crisi e che mi fanno arrossire!

La delegazione di Torino

Un paio di settimane fa mi ha telefonato un signore da Torino, il quale mi disse che aveva scoperto in internet la nostra esperienza dei Centri don Vecchi e che desiderava visitare le nostre strutture, informarsi sulle “dottrine”, sui criteri di costruzione, di accoglienza e di gestione con i quali stiamo conducendo avanti l’iniziativa di un nuovo tipo di domiciliarità per gli anziani, soprattutto per quelli di minori possibilità economiche.

L’altro ieri questo signore mi ha ritelefonato dicendomi che sarebbe venuto con due architetti ed un membro del consiglio regionale del Piemonte, che è pure membro del consiglio di amministrazione della fondazione di cui lui stesso è presidente.

Stamattina ho accolto al “don Vecchi” la delegazione piemontese chiedendo che fossero con me due membri della Fondazione Carpinetum, il ragionier Giorgio Franz per quanto riguarda l’aspetto finanziario e il geomentra Andrea Groppo per quello che concerne gli aspetti tecnici. Durante l’incontro venni a sapere che il signore di Torino aveva acquistato un intero piccolo paese in val di Susa, attualmente pressoché disabitato, nel quale sogna di costruire una megastruttura impostata sulla dottrina e sui criteri abitativi che noi stiamo sperimentando.

Confesso che in fondo all’animo si è affacciata l’illusione di essere quasi un innovatore, un padre fondatore di un nuovo mondo per gli anziani, ma questa tentazione si è dissolta presto, consapevole dei limiti della mia senilità.

L’incontro è stato cordiale e quanto mai costruttivo, i piemontesi sono stati ammirati e riconoscenti affermando che avrebbero fatto tesoro della nostra esperienza e chiedendomi consulenza anche per l’avvenire. Noi invece abbiamo capito che il loro dialogo con la Regione Piemonte, la ULSS e il Comune era estremamente collaborativo e che questi enti con cui collaboravano si sentivano riconoscenti per gli apporti del privato sociale e disponibili a finanziare sia la costruzione che la gestione di chi li aiutava a risolvere in maniera nuova, più economica e più rispettosa degli anziani, mentre i nostri referenti locali ci considerano dei noiosi questuanti, o peggio dei “rompiscatole”, piuttosto che dei provvidenziali collaboratori.

A conclusione della visita, mentre facevo il bilancio sull’aspetto positivo che ci riguardava, mi venne in mente l’affermazione di Gesù: «Nessuno è profeta nella propria patria!» I riconoscimenti che finora ci sono pervenuti, fortunatamente molti e calorosi, ci sono giunti da fuori piuttosto che dai nostri “governanti”.

La zingara

Questa mattina, mentre mi stavo riordinando le idee per mettere a punto l’organizzazione degli impegni e degli incontri della giornata, mi ha raggiunto nella sagrestia della mia “cattedrale” una zingara che bazzica spesso in cimitero per questuare.

Questa giovane donna, sui trenta trentacinque anni, in atteggiamento mesto e compunto, si è seduta senza un mio invito nella sedia accanto al mio tavolo ed ha cominciato a rovistare nella borsa per presentarmi il motivo specifico della sua richiesta di aiuto: era una scatola quadrata che un tempo aveva contenuto delle medicine. Le ripetei quello che già due altre volte le avevo detto: «Venga al “don Vecchi”, là ho modo di farle avere generi alimentari, indumenti e frutta e verdura», ma mentre le altre volte, in attesa che lei approfittasse della mia offerta, le avevo sporto qualche euro, questa mattina, richiamandomi ai discorsi passati, rimasi fermo nella mia decisione, pur sapendo che il mio rifiuto m’avrebbe tormentato durante la messa che stavo per celebrare e per tutto il giorno. Lei insistette un poco, poi se ne andò, delusa, quasi l’avessi insultata o bastonata.

La zingara è una degli Udorovich che abitano nelle casette per i sinti costruite dal Comune, il villaggio che spesso tien banco sui giornali locali per i furti, le baruffe e i colpi di pistola tra i membri delle etnie diverse ed ultimamente anche per il rifiuto collettivo di pagare la luce e i venti, trenta euro di affitto.

Nonostante tutto questo ci rimasi male per il rifiuto, ricordandomi del parere espressomi anni fa da una “piccola sorella di Gesù” che mi disse che, a suo umile parere, un “piccolo segno di solidarietà” è sempre positivo.

Dissi messa male e poi, ad aumentare il mio turbamento e – confesso pure – il mio rimorso, mentre celebravo, è stata la vista di una vecchia conoscenza entrata in chiesa, una persona che normalmente mi fa delle offerte generose. Infatti, appena finita la messa, la mia amica, quasi centenaria, avendo appena ricevuto la pensione, mi ha dato 200 euro.

Ho un bel dire che non ho né vizi né capricci – infatti risparmio perfino usando più a lungo possibile la vecchia lametta per la barba e quanto ricavo lo destino tutto per il “don Vecchi 5” – però il disagio e il rimorso mi resta. Non so proprio chi possiede milioni come possa vivere tranquillo!

La Biennale

Ci risiamo! Ad anni alterni arrivano a Venezia gli “artisti” di tutto il mondo, non a portarci un messaggio di armonia e di bellezza, ma per propinarci le stravaganze, le brutture e le peggiori profanazioni dell’uomo e della natura, riempiendo la nostra città – che si può definire senza timori di smentita, “il tempio dello splendore, dell’armonia e dell’arte” – di mostruosità che dissacrano non solo il senso del bello, ma le più elementari norme del buon gusto e della correttezza.

Io non so quanto ci costi la Biennale e neppure che cosa si ricavi da questa rassegna di cose strampalate e spesso disgustose, ma anche se i vantaggi economici fossero positivi, non so se sia giusto prestarci ad accogliere il frutto di menti malate ed irrequiete.

Dicono che gli alberghi hanno il pieno per la Biennale e che arrivano i vip del mondo intero, però questo evento che è contrabbandato sotto il paravento prestigioso dell’arte, ritengo che sia invece quanto mai diseducativo e che favorisca il fenomeno già incombente di un modo di vestire, di parlare e di comportarsi di cattivo gusto, che è già sfociato nel bullismo dei nostri ragazzi e nel vivere sgangherato di una parte ormai consistente della nostra gente.

Ci sarà qualcuno che mi farà osservare che per la Biennale vengono personaggi di ogni Paese; io ritengo che essi siano i soliti perditempo arricchiti sulla sofferenza dei poveri e che siano del tutto simili a chi un tempo andava a vedere curiosità come i nani e i grassoni dei baracconi nelle fiere paesane.

Prestarci a questo imbarbarimento di costume ritengo che sia quanto mai deplorevole da parte della nostra amministrazione comunale, la quale ha il compito non solo di preoccuparsi del benessere dei cittadini, ma anche quello di promuovere la qualità della vita e della crescita civile.

Do per scontato che qualcuno della intelligentia, o illuso di appartenervi, mi accuserà di oscurantismo, però sento doveroso e ritengo giusto dar voce a tanta povera gente che lavora, suda e soffre, mentre tanto denaro pubblico va sprecato per qualcosa di brutto e sconveniente. Io di certo non andrò alla Biennale, perché mi è già di troppo scorgere ogni giorno le immagini delle “opere d’arte” che abbrutiscono Venezia e leggere le critiche talvolta ironiche e talora codine che appaiono sui giornali e credo che, come me, il nostro popolo non perderà tempo per vedere direttamente la dissacrazione del bello e del sensato.

L’obbedienza ammalata

Quando ero in seminario la nostra vita pratica ed ideale si rifaceva alla “regola” che qualcuno dei miei superiori d’allora arriva a denominare “santa”. Non cito le prescrizioni del libretto perché alcune sono del tutto superate. Ricordo ad esempio che una delle norme della regola diceva pressappoco così: “Un buon seminarista procuri di essere a casa prima del tramontare del sole”. V’erano però degli articoli di indirizzo spirituale più seri, i cui contenuti hanno forgiato generazioni di preti, sui quali però penso di aver qualcosa da dire.

Ricordo che c’era un articolo che diceva pressappoco che “l’obbedienza deve essere cieca, pronta ed assoluta”. A questo proposito ricordo un particolare che m’è rimasto impigliato nella memoria ed ogni tanto mi appare creandomi un particolare stato d’animo. Ai miei tempi le varie attività della nostra vita in seminario erano scandite dal suono della campanella ed a proposito dell’obbedienza pronta ed assoluta, qualche superiore giungeva a raccomandarci che se il suono ci fosse giunto all’orecchio mentre in studio stavamo scrivendo, era opportuno lasciare la parola a metà. Infatti s’era dato il fatto che un santo, avendolo fatto, al ritorno avesse trovato la parola completata a caratteri d’oro da un angelo mandato dal Signore. Questa è l’obbedienza che mi fu insegnata.

Ai tempi della contestazione nel mondo ecclesiastico ci fu chi ha parlato invece della “santa disobbedienza”. Il mio concetto di obbedienza non ha abbracciato questa tesi, però provo un senso di pena e di rifiuto assoluto per chi, o per quieto vivere, per bigotteria o per non compromettere la propria carriera, si pone in questa posizione nei riguardi dei superiori.

Ricordo sempre la frase di san Paolo nei riguardi del suo “superiore”, san Pietro: “Resistetti in faccia perché aveva torto”. Non avere una posizione dialettica, non contraddire mai il superiore, non offrirgli la propria posizione, anche se si sa che non condivisa da lui, è tradire e pugnalare alle spalle chi ha posizione di maggiore responsabilità. Sono contento perché recentemente ho appreso che sia il cardinal Martini, sia il nostro caro Papa Francesco, non sono lontani dal pensarla come me.

L’innesto

La confidenza che vi faccio è certamente un po’ puerile, credo però che sia opportuno che mi presenti come sono e non come vorrei essere o come gli altri vorrebbero che io fossi.

Quando ho sentito che il nuovo presidente del governo italiano non potendo andare a messa al mattino per via dei suoi impegni di capo del governo, era andato alla messa vespertina, ho provato quasi una carezza al cuore.

Enrico Letta è del partito democratico, quel partito che ormai solamente Berlusconi e lo “sceriffo” trevigiano Gentilini si ostinano a chiamare ancora comunista. Anch’io, come credo la maggioranza degli italiani, sono convinto che il PD. abbia poco a che fare con il partito di Togliatti, Ingrao e Paglietta, anche se talvolta si avverte che, tutto sommato, qualcuno ha ancora qualche nostalgia, o almeno qualche reminiscenza della scuola fatta alle Botteghe oscure.

Io sono molto contento che all’interno del PD ci sia una componente di cattolici abbastanza significativa; la mia contentezza non proviene dalla speranza che questi cattolici diventino maggioranza e si impadroniscano di questo partito, ma solamente dalla speranza ché vi portino un po’ di stile, un tono, degli atteggiamenti più moderati e più vicini al comandamento “ama il prossimo tuo”, meno polemici e differenti da chi rimane legato al secolo scorso quando Marx ha predicato la lotta di classe in una società che ormai oggi non esiste più.

Quando sento parlare Letta, Renzi, Fioroni, lo stesso Franceschini – anche se un po’ più spigoloso – e qualche altro, ho la sensazione che, pur dichiarando il proprio dissenso, la diversità di orientamento dalla destra, non ci sia più quell’acredine, quel disprezzo, quella voglia di scontro, quella polemica, quella alterigia che per molto tempo rimase il retaggio di gente che proveniva dalla lotta di classe, dalla bandiera rossa e da quel repertorio che sapeva di rivoluzione piuttosto truculenta.

Sono convinto che l’immissione nel PD di personalità provenienti dalla cultura cristiana, tutto sommato, abbia “addolcito le acque” e stia mettendo le premesse perché il confronto diventi più civile e costruttivo.

Un tempo giudicai con diffidenza questo innesto su questo “albero selvatico”, ora però mi pare che stiano crescendo germogli più vicini all’innesto che al vecchio tronco.

Il flop

Ricorderanno gli amici una mia recente confidenza: ho scritto “Ho paura di Grillo, ho tanta paura del Movimento Cinque Stelle”! Non sono per nulla preoccupato che Grillo predichi la rivoluzione contro i politicanti, meno ancora sono preoccupato di questo consistente ricambio tra i vecchi addetti ai lavori della politica con una folla di giovani neofiti, anzi! Quello che mi preoccupa è la dottrina piuttosto presuntuosa e velleitaria di quel filosofo di Casaleggio che si atteggia a ideologo di questo movimento.

Ho paura di un movimento guidato da un “padre padrone” che detta legge, che decide tutto, che non si confronta con nessuno, che non dialoga, ma sbraita, che non collabora e che strilla come un forsennato, rimanendo esattamente quell’istrione che è da comico e che, usando questi sistemi piuttosto volgari con cui ha intrattenuto le folle, è diventato ricco. Ho paura di quella grande folla di italiani che l’hanno seguito come nella nota favola del pifferaio e che l’hanno scelto non tanto perché sia razionalmente convincente, ma perché dice, anzi urla, imprecazioni contro l’odiata casta dei politici ormai rifiutati dalla gran parte degli italiani. Ho paura perché Grillo adopera quello strano e non collaudato aggeggio, che è internet, che non mi pare lo strumento più idoneo per il dibattito e il confronto di idee.

Infine ho paura per “i prodotti” venuti fuori dagli sproloqui volgari e insultanti con i quali ha fatto fortuna nelle piazze del nostro Paese. I discepoli eletti al Parlamento, tutti plagiati come i seguaci di quelle sette americane che riescono a far soldi mandando chi si fa incantare da loro a mendicare e a prostituirsi, tanto che riescono ad infinocchiarli con le loro stravaganti ed interessate dottrine.

Confesso che quei “ritiri spirituali” in agriturismo con le porte sbarrate, quel rifiuto a rispondere ai giornalisti, quell’obbedienza assoluta al capo, quel ripetere ossessivo che loro hanno le ricette per una soluzione miracolista, mi sembrano qualcosa che ha a che fare con lo stile dei testimoni di Geova in versione parlamentare piuttosto che i portavoce delle istanze sociali.

L’ultimo flop elettorale mi ha fatto tirare un respiro di sollievo, però non sogno che siano mandati a casa, spero solo che ci ripensino e diventino un popolo di uomini e donne liberi, decisi a dare una mano al salvataggio del nostro Paese.

I miracoli di oggi

Qualche settimana fa, essendomi recato al “don Vecchi” di Campalto, ho incontrato una “mia sessantottina” che, uscita tanti anni fa dalla fila dell’Azione Cattolica della mia vecchia parrocchia di San Lorenzo, ha abbracciato appassionatamente la bandiera della contestazione.

La Provvidenza, attraverso un disegno che mi rimane sconosciuto, l’ha dolcemente e fatalmente depositata, dopo quasi mezzo secolo, sul bagnasciuga del “don Vecchi”. Io ho ringraziato e ancora ringrazio il buon Dio per questo “dono” perché la ragazzina di mezzo secolo fa ha conservato tutta la sua ricchezza umana, forte ed esplosiva, tendente ad una visione critica di un mondo che era e continua ad essere criticabile per le sue innumerevoli miserie ed ingiustizie. Mariolina – così si chiama la nostra “rivoluzionaria” di un tempo, ha ancora dentro di sé un po’ dell’argento vivo di un tempo e in fondo le è rimasto qualcosa della “passionaria” che fu.

Quando la incontrai aveva in mano un giornale che non conoscevo, “Il fatto”, periodico che aveva in copertina una foto a tutta pagina di don Gallo, con questa didascalia: “Ogni volta che allargo le braccia si realizza qualcosa di buono”. Don Gallo ha ragione!

Voglio ricordare una piccola vicenda di cui ho parlato agli amici qualche settimana fa. Matteo, un mio “vecchio” obiettore, che ha rifiutato il servizio di leva preferendogli il servizio civile, quest’inverno ha scoperto in una casa cantoniera delle Ferrovie dello Stato ormai deserta, una famiglia rumena al freddo e al buio, con in più la paura che la polizia scoprisse questa occupazione abusiva. Matteo s’è dato da fare per risolvere questo “caso impossibile”. Fra gli altri, ha bussato alla coscienza del suo vecchio “datore di lavoro”, infatti ha fatto il servizio civile al “don Vecchi”.

Io ho parlato di questo dramma nel mio “diario personale”. Una signora di Venezia che, non so come, riceve l’Incontro, mi ha mandato una e-mail offrendo gratuitamente a questa famiglia una casa restaurata in una sua azienda agricola a Musile di Piave. In questi giorni la famigliola, che poi in verità non è affatto piccola – marito, moglie e quattro figli – ha preso possesso dell’immobile.

Quando Matteo me l’ha annunciato, mi sono ricordato di don Gallo e della mia sessantottina: “Basta aprire le braccia e i miracoli avvengono ancora”, e non miracoli di seconda categoria perché questi tre – Mariolina, Matteo e la famiglia rumena, sono dei miracoli “super”.

La diversità è una ricchezza

I vecchi ritornano spesso sugli stessi discorsi ed io non sono una eccezione. Tempo fa mi sono imbattuto in una splendida e sorprendente sentenza che si rifà alla saggezza dell’antica Roma. Essa dice: “Gli anziani hanno diritto a dimenticarsi!”. Da quando ho appreso questa norma me ne avvalgo a piene mani, non arrossendo e non sentendomi affatto mortificato per le mie sempre più frequenti dimenticanze.

Non conosco però un’altra sentenza come questa che codifichi in maniera “sapienziale” e giuridica un altro argomento. Comunque, se non ci fosse, la faccio io; anche se non ha un passato glorioso, comunque la reputo quanto mai valida: “La diversità non rappresenta un pericolo o un impoverimento della vita sociale, ma una ricchezza!”. Questa constatazione non è del tutto farina del mio sacco, ma ho appreso – non so dove – questa verità, ci ho riflettuto e mi è parsa quanto mai calzante.

Spesso si sente dire da personaggi affermati che essi sono per la libertà, però Dio ti guardi se dici qualcosa che non sia conforme alla “loro” verità. Ne so qualcosa quando mi sono permesso di scrivere nel passato che non era lecito che per quindici giorni di vacanza del Papa in Cadore o in Val d’Aosta venissero spesi centinaia di milioni!

I movimenti ecclesiali, oggi in auge, peccano un po’ tutti di supponenza, di illusione – dico io – di possedere “il meglio” della verità; infatti sono quasi sempre arroccati, col ponte levatoio alzato, un po’ sprezzanti del parere degli altri, quasi che essi abbiano il monopolio assoluto della verità. Questa mentalità “in alto” viene ritenuta disobbedienza, mancanza di disciplina o di rispetto ed “in basso” come rifiuto del confronto delle idee.

A parer mio questo atteggiamento sa di insicurezza, di poca apertura alla verità, di sfiducia nel prossimo. Aprire le finestre fa sempre entrare il sole che mette in mostra le magagne ma, nello stesso tempo, dà la possibilità di correre ai ripari, mettendo maggiormente a fuoco “le proprie piccole e fragili verità” e, nel contempo, se uno ha dentro il proprio “orticello” qualcosa di buono, il confronto non può far altro che valorizzarlo.

Non ritengo opportuno scendere in particolari, però credo di aiutare il mio prossimo e i miei colleghi affermando che il confronto non è mai dannoso ma sempre arricchente, facendo sempre scelte in linea con questo principio.

La legge e la coscienza

In Italia vi sono tre gradi di giudizio: la sentenza, l’appello e la cassazione. Il nostro è un Paese garantista, però ultimamente più di uno afferma che questi tre gradi appesantiscono e rallentano i processi, tanto che essi finiscono per mortificare la giustizia piuttosto che esaltarla; inoltre questo modo di procedere è molto costoso e permette ai soliti “furbi” di evadere i rigori della legge facendo spesso cadere i reati in prescrizione.

Per quanto invece concerne la vita religiosa di un cristiano, quasi tutto è lasciato alla responsabilità del singolo credente. Il primo appello è costituito dal raffronto che egli è chiamato a fare con la legge che si rifà sostanzialmente al decalogo e all’interpretazione autorevole che ne è stata fatta dalla Bibbia e dalla tradizione. Il secondo appello, che è poi il definitivo, è emesso dalla coscienza del singolo credente. Nella sostanza poi, questo è il verdetto che costituisce l’ultimo appello a cui l’uomo è moralmente tenuto ad attenersi, perché lo rende pure responsabile di fronte a Dio.

Tornando alla giustizia italiana, da qualche decennio c’è stato un rigurgito un po’ fittizio ed interessato di legalismo, vedi ad esempio le fortune, che poi si sono dimostrate quanto mai effimere, di Di Pietro, che ha fatto della legalità il motivo fondante del suo partito politico. La cosa non è andata perché la sua era una giustizia che doveva valere soprattutto per gli altri, ma pare che fin dall’inizio non contasse granché per quanto riguardava la sua condotta. In questo ultimo decennio spesso si sentiva dire anche per le cose più banali: “E’ la legge!”, ma dietro questo paravento si sono nascoste mascalzonate, magagne ed interessi di ogni genere.

Questa ventata legalitaria pare abbia inciso anche su quanto riguarda le leggi ecclesiastiche, le norme, i sinodi, le regole religiose, il codice di diritto canonico e dintorni, però mi pare sia tempo di affermare il primato della propria coscienza e di fronte a norme, pur esaminate con attenzione, rispetto e riverenza, si possa sempre appellarsi direttamente alla propria coscienza, poiché il giudizio finale di Dio si rifà in maniera assoluta alla “sentenza” della propria coscienza prima di qualsiasi altro giudizio esteriore.

Questo discorso viene a confortare ed aiutare tutti coloro che si trovano di fronte a norme rozze, superate, non aggiornate e spesso disumane. Questo discorso penso sia quanto mai liberatorio per tanti cristiani che vengono a trovarsi oggi in aperto conflitto fra la propria coscienza e la norma formale ereditata dal passato.

La chiesa del domani

In queste ultime settimane, venendo a conoscenza della listerella di preti che vanno in pensione per raggiunti limiti di età e delle relative parrocchie che rimarranno senza parroco, tante volte ho pensato al nostro Patriarca, dicendomi: “Come farà a tappare tanti buchi avendo pochissimi preti e per di più tanto anziani?”

Pur non essendo questo un problema che mi riguardi personalmente, pur essendomi lambiccato il cervello, non sono riuscito a trovare una soluzione che mi appaia valida. Già nel passato mi è parso che una delle soluzioni più razionali sarebbe quella di accorpare le parrocchie e creare delle pur piccole comunità sacerdotali che si pongano a servizio delle parrocchie accorpate, evitando così doppioni nell’assistenza ai vari gruppi parrocchiali, sfruttando la sinergia delle diverse attitudini e soprattutto destinando i singoli sacerdoti a quel tipo di apostolato verso il quale si sentono più portati e preparati.

Comunque, pur adoperando questa soluzione-tampone, sono ancora infiniti i problemi da affrontare e il più cruciale fra questi è e rimane quello della carenza di clero, problema che pare tenda progressivamente ad aumentare piuttosto che a diminuire.

La Chiesa, nei suoi due millenni di storia, ne ha avuti di problemi, e forse più gravi di quelli attuali: invasioni barbariche, caduta del Sacro Romano Impero, eresie di ogni genere, diatribe teologiche, caduta dello Stato pontificio e tante altre ancora. Ogni volta essa è risorta a vita nuova e forse migliore di prima. Anche la grave crisi attuale troverà di certo una soluzione perché a Dio non manca la fantasia e l’intelligenza.

Forse la Chiesa sarà costretta a fare quello che a suo tempo avrebbe voluto fare don Gallo, il prete genovese morto da un paio di mesi, che era tranquillo al riguardo, pensando che probabilmente la Chiesa dovrà concedere il sacerdozio alle donne, come avviene nella Chiesa cristiana protestante, aprire le porte al matrimonio ai preti, come avviene nella Chiesa cattolica orientale. Forse la nostra Chiesa sarà costretta a dare maggior spazio ai laici, forse dovrà smantellare l’apparato macchinoso ereditato dalla tradizione, forse dovrà far diventare più snella ed essenziale la vita religiosa come avveniva nei primi secoli della vita cristiana.

Penso che i credenti piuttosto che lasciarsi andare all’angoscia e alla preoccupazione, debbano lasciarsi condurre docilmente dalla mano saggia e provvida di Dio.

La religione di Gesù

Ignazio Silone, il letterato che si dichiarava “socialista senza partito e cristiano senza Chiesa”, da piccolo era stato accolto in una delle tante case per orfani aperte da quel sant’uomo che fu don Orione. Silone ha scritto un bellissimo volume “L’avventura di un povero cristiano” tutto impostato sulla vicenda di Celestino 5°, il Papa che “insegnò” a Papa Ratzinger la possibilità di rinunciare al papato.

La lettura del suo volume mi ha fatto bene, aiutandomi a cercare sempre ciò che è veramente genuino ed autentico in quel cristianesimo in cui credo fermamente, ma per cui soffro spesso per le sue devianze. Silone approfitta della vicenda del Papa che fu dimissionario perché si trovò a disagio con i fasti della Chiesa del suo tempo, tanto da voler tornare alla vita di eremita per auspicare che la Chiesa tornasse alla semplicità e alla povertà delle sue origini.

Credo che lo scrittore abbia condensato in una frase, divenuta famosa, questo auspicio: “Altro è vedere l’acqua che esce monotona ed incolore dal rubinetto collegato all’acquedotto della città, un qualcosa di persino troppo banale, altro è vedere il mistero, la poesia, l’incanto dell’acqua che sgorga umile e pura dalla sorgente e, scintillando tra le rocce, si avvia lesta e briosa verso il mare”.

Anch’io sento il bisogno di tornare alla sorgente domandandomi: “Gli apostoli dicevano messa tutti i giorni, i primi cristiani si confessavano ogni settimana, gli apostoli avevano un segretario e abitavano nel palazzo vescovile, nominavano monsignori i preti più in vista, erano laureati in teologia o diritto canonico?” Quando comincio a pormi queste domande non finisco più, e quanto più continuo, non solo noto diversità per via dei venti secoli che ci dividono dalle prime comunità apostoliche, ma pure mi pare che l’impalcatura che si sviluppò nel tempo, sia per stile che per comportamento, sia tanto diversa da quella delle origini.

Ho già detto che non condivido l’affermazione perentoria di Ermanno Olmi che “la Chiesa oggi ha dimenticato Gesù”, però temo che col passare degli anni stiamo veramente arrischiando di perdere lo stile, il respiro e il comportamento del nostro Maestro Gesù.

Provo spesso il bisogno di ritornare alla sorgente saltando talora tutte le mediazioni elaborate dalla teologia o dalla tradizione. Per fortuna Papa Francesco sta provvidenzialmente ridestando nel cuore dei cattolici di oggi la nostalgia per il Vangelo.