L’obbedienza ammalata

Quando ero in seminario la nostra vita pratica ed ideale si rifaceva alla “regola” che qualcuno dei miei superiori d’allora arriva a denominare “santa”. Non cito le prescrizioni del libretto perché alcune sono del tutto superate. Ricordo ad esempio che una delle norme della regola diceva pressappoco così: “Un buon seminarista procuri di essere a casa prima del tramontare del sole”. V’erano però degli articoli di indirizzo spirituale più seri, i cui contenuti hanno forgiato generazioni di preti, sui quali però penso di aver qualcosa da dire.

Ricordo che c’era un articolo che diceva pressappoco che “l’obbedienza deve essere cieca, pronta ed assoluta”. A questo proposito ricordo un particolare che m’è rimasto impigliato nella memoria ed ogni tanto mi appare creandomi un particolare stato d’animo. Ai miei tempi le varie attività della nostra vita in seminario erano scandite dal suono della campanella ed a proposito dell’obbedienza pronta ed assoluta, qualche superiore giungeva a raccomandarci che se il suono ci fosse giunto all’orecchio mentre in studio stavamo scrivendo, era opportuno lasciare la parola a metà. Infatti s’era dato il fatto che un santo, avendolo fatto, al ritorno avesse trovato la parola completata a caratteri d’oro da un angelo mandato dal Signore. Questa è l’obbedienza che mi fu insegnata.

Ai tempi della contestazione nel mondo ecclesiastico ci fu chi ha parlato invece della “santa disobbedienza”. Il mio concetto di obbedienza non ha abbracciato questa tesi, però provo un senso di pena e di rifiuto assoluto per chi, o per quieto vivere, per bigotteria o per non compromettere la propria carriera, si pone in questa posizione nei riguardi dei superiori.

Ricordo sempre la frase di san Paolo nei riguardi del suo “superiore”, san Pietro: “Resistetti in faccia perché aveva torto”. Non avere una posizione dialettica, non contraddire mai il superiore, non offrirgli la propria posizione, anche se si sa che non condivisa da lui, è tradire e pugnalare alle spalle chi ha posizione di maggiore responsabilità. Sono contento perché recentemente ho appreso che sia il cardinal Martini, sia il nostro caro Papa Francesco, non sono lontani dal pensarla come me.

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