La gratuità sacerdotale

Come mi lasciano assolutamente indifferenti le disquisizioni spirituali, i voli mistici e le esegesi meticolose delle pagine dei testi della Sacra Scrittura, per quanto esse mi possano apparire alte e sublimi, così invece mi mettono radicalmente in crisi le scelte esistenziali di preti e di laici che tentano di tradurre nella vita concreta il messaggio cristiano.

Alcuni mesi fa, in una delle infinite pagine dei miei diari, confessai la mia sorpresa di fronte ad una precisa presa di posizione di un mio collega che avevo tentato in qualche modo di ricompensare per essersi reso disponibile a celebrare i divini misteri nel Centro don Vecchi di Campalto. E’ arcinoto che i settanta, ottanta anziani residenti nel Centro di Campalto sono particolarmente segregati a motivo di via Orlanda, una strada supertrafficata e della assoluta impossibilità di raggiungere perfino la vicina parrocchia di Campalto, sia a piedi che in bicicletta.

In verità non è che ci sia stata una richiesta corale per avere la messa festiva in casa, però un certo numero di residenti ne avrebbe gradito la celebrazione ed io più di loro. Dopo notevoli peripezie piuttosto negative, un parroco di una parrocchietta vicina, si offrì spontaneamente di farlo. Ne fui edificato e, com’è d’uso, cercai di fargli avere una ricompensa adeguata. Non ci fu verso! Rifiutò cortesemente, ma altrettanto decisamente, ogni compenso diretto o indiretto. Avendo io insistito ulteriormente, riferendomi ad una prassi consolidata in proposito, mi disse che aveva scelto di rifiutare sempre ogni compenso in occasione di qualsiasi servizio religioso da lui prestato.

Ripeto: fui assai edificato e su questa sua scelta feci un serio esame di coscienza sul mio modo di comportarmi in proposito. Io non ho mai chiesto nulla e di certo non chiederò nulla in futuro per le mie prestazioni religiose, però, avendo deciso di devolvere ai poveri fino all’ultimo centesimo di quanto mi si offriva, ho sempre accettato le offerte, spesso anche molto generose.

Conclusi che le due scelte, pur essendo diverse, fossero soluzioni accettabili e condivisibili entrambe. Senonché qualche settimana fa, un mio amico mi regalò un volume: “Lettera all’amico vescovo”. Capii subito che il titolo è un pretesto letterario per proporre in maniera decisa la tesi ideale perseguita dal sacerdote milanese, don Luisito Bianchi che, riferendosi all’affermazione del Vangelo “Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date”, non solo rifiutava le offerte in occasione di celebrazioni delle messe e dei sacramenti, ma scelse di mantenersi lavorando: con prestazioni di lavoro intellettuale quale traduttore di testi, e manuale quale manovale in fabbrica, o inserviente in ospedale, rifiutando la “paga” che col concordato di Craxi il prete riceve dallo Stato e dalla Chiesa.

Questa testimonianza, che ritengo bella, luminosa e profetica, non penso che sia realisticamente e positivamente praticabile da tutti i preti perché farebbe mancare una disponibilità di cui oggi il popolo cristiano ha assoluto bisogno, però rimane essa un monito e costringe ad una verifica della quale c’è anche oggi assoluta necessità.

Il tempo della vendita delle indulgenze è fortunatamente finito da un pezzo, ma la necessità di una vita sobria, povera, disinteressata e generosa da parte dei preti, purtroppo è ancora terribilmente attuale.

29.12.2013

Papa Francesco, l’uomo dell’anno

Penso che siano gli americani ad essere amanti, in maniera particolare, dei sondaggi a livello mondiale sui personaggi che maggiormente si impongono sull’opinione pubblica, arrivando poi a nominare colui che è emerso maggiormente come la “persona dell’anno”. Per quanto ne so io normalmente si tratta di qualche attrice che s’è imposta per la sua avvenenza fisica, di uno sportivo particolarmente dotato a livello atletico, o talvolta qualche politico che esce dal mazzo, ammirato per aver vinto qualche impresa difficile a livello sociale.

Può darsi che a livello religioso si siano imposte figure come Madre Teresa di Calcutta, ma mai ho sentito dire che un membro della gerarchia ecclesiastica, e soprattutto un Papa, in questo mondo così secolarizzato e così critico nei riguardi della Chiesa istituzionale, abbia ricevuto la “corona” di persona dell’anno. Cosa ha fatto Papa Francesco per imporsi all’attenzione o all’ammirazione dell’opinione pubblica mondiale? Mi pare che finora non abbia ancora fatto nulla di straordinario, anche per quanto riguarda le riforme; ha mosso, si, i primi passi per dei cambiamenti significativi, però non è ancora emerso niente che abbia mostrato un volto nuovo nell’organizzazione della Chiesa.

Il nostro Papa penso invece abbia incantato le folle non usando strategie particolari e facendo leva su un impianto pastorale veramente innovativo, ma ritornando semplicemente allo stile del Vangelo: occupandosi degli ultimi, parlando una lingua comprensiva a tutti, allontanandosi dalle sofisticazioni teologiche, adottando lo stile della gente del popolo, parlando della bontà e della misericordia del Padre e aprendosi con semplicità al dialogo con tutti, non facendosi fagocitare dal protocollo, dallo stile curiale ed abbandonando gli orpelli di una sacralità fatta di parole magiche, di indumenti strabilianti e lontani dall’essenzialità del vestire della gente comune.

Papa Francesco sta portando avanti una rivoluzione pari, per radicalità, a quella del suo omonimo che l’ha fatta, otto secoli fa, partendo dalla sua Assisi, senza gesti eclatanti, senza paroloni altisonanti, senza strumenti sofisticati, ma fidandosi solamente della sua umanità, dei suoi doni naturali e soprattutto dello stile di Gesù.

Quando in passato leggevo nel Vangelo che folle di migliaia uomini, senza contare le donne e i bambini, andavano ad ascoltare Gesù perfino dimenticandosi di mangiare, mi pareva qualcosa di miracoloso ed esagerato. Ora, fatte le debite proporzioni, è la stessa cosa: la folla di fedeli che oggi, con qualsiasi tempo va ad ascoltare ed acclamare il Papa, ha come unità di misura le diecimila persone, toccando spesso le centomila e, arrivando in Brasile, a quattro milioni!

Nella pastorale pare che non ci sia nulla da inventare, basta semplicemente seguire fedelmente il Maestro Gesù!

28.12.2013

Eterni problemi

Perfino ne “L’Incontro” insorgono problemi razziali. I guai causati dai problemi di razza in questo nostro tempo sono semplicemente terrificanti. Dall’Irlanda all’Uganda, dalla Catalogna ai Sudeti, dall’India al Pakistan e perfino dalla Sicilia all’Alto Adige – per parlare di casa nostra – gli scontri a motivo della lingua, della razza e della religione, sono veramente nefasti.

Qualche tempo fa una nostra collaboratrice, che ama passare lunghissimi tempi di vacanza in Alto Adige, in un suo intervento su “L’Incontro” ebbe a fare dei rilievi circa i comportamenti degli indigeni, ossia della popolazione originaria di quella regione che, per la stragrande maggioranza, è di cultura e di tradizione tedesca, affermando che, a parer suo, gli altoatesini sarebbero ostili agli italiani che dimorano in quella terra o che vi passano periodi di vacanza, mentre hanno un trattamento di favore da parte del governo italiano. Al che una coppia di coniugi di origine altoatesina, pure loro carissimi collaboratori, ha risposto per le rime affermando che quei comportamenti recriminatori sono la naturale conseguenza di certi comportamenti repressivi che il governo italiano, ai tempi del Duce, ha usato nei riguardi di quelle popolazioni.

Io ho pubblicato il primo e pure il secondo intervento, ritenendo che il confronto di idee e di posizioni ideali, quando è garbato e civile, è sempre positivo. Nella fattispecie, pur avendo avvertito un pizzico di polemica, comunque l’ho ritenuto nei limiti del dialogo e della correttezza e perciò ho ritenuto opportuno pubblicare le due tesi. Io sono stato educato dal Duce che affermava che il Mediterraneo era una proprietà privata degli italiani e che i “sacri confini della Patria” erano segnati dalle Alpi e dalla punta dello Stivale. Stop!

Nonostante la prima ed incisiva educazione, ho cambiato decisamente parere, per cui sono estremamente favorevole anche alle autonomie locali, non solamente dei gruppi etnici di grande respiro, ma anche di quelle più piccole, come per il Veneto; pur preoccupato che si sviluppino al massimo il dialogo, la collaborazione e la solidarietà e si tenga pur conto che esaltando in maniera esasperata queste autonomie, si esce dalle regole e dalle istanze di quella globalizzazione in atto, che esige sinergie autentiche, se non si vuol uscire dalle leggi ferree dell’economia che giocano una influenza determinante nella situazione economica di ogni regione piccola o grande. Solo in questa direzione si va avanti, non certamente adottando il passo dei gamberi.

Le parole chiavi del domani cominciano con: tolleranza e dialogo costruttivo, per arrivare al rispetto delle singole identità e alla collaborazione.

La direzione del progresso e della civiltà è certamente questa, l’attardarsi su concetti superati e sulla retorica patria a buon mercato è mettersi fuori dalla storia!

27.12.2013

Autonomia solidale

La cautela non è mai troppa in qualsiasi occasione e di qualsiasi cosa si stia parlando. Quando si è costruita la famosa “Torre Maya” che doveva diventare finalmente il nuovo ospedale – che poi con mia sorpresa si chiamò “L’Ospedale dell’Angelo” – scoprii che nel mondo imprenditoriale e dell’economia, fra i tanti modi per finanziare un’opera, c’è anche quello della “finanza di progetto”.

In realtà, quando si parla di questo tipo di contratto, lo si definisce con due parole inglesi, che per me che ho studiato solamente un po’ di francese durante la guerra, suonano come qualcosa di misterioso e di sorprendente. Comunque si tratta di una soluzione che permette di costruire un’opera grandiosa a buon mercato.

Il direttore della Ulss di allora, il dottor Antonio Padoan, presentò questo marchingegno finanziario come qualcosa di estremamente conveniente e risolutivo, anzi come qualcosa di prodigioso. Ora però che i cittadini hanno “licenziato” Galan, che era “la spalla” dell’ideatore dell'”Angelo”, sostituendolo con il governatore Zaia e che i rapporti tra Forza Italia e la Lega non sono idilliaci come allora, pare non solo che la soluzione di “finanza di progetto” non sia più per nulla conveniente, ma che sia perfino svantaggiosa e che l’aver costruito un’opera bella sia contro gli interessi della nostra società. Ho sentito almeno un paio di volte Zaia fare affermazioni del genere nei riguardi del nuovo ospedale.

La politica del nuovo governatore del Veneto pare più pragmatica, cosa comprensibile in un momento di grave crisi economica. Mi spiace però che il rifiuto del tipo particolare di finanziamento col quale s’è costruito l'”Angelo” finisca per stroncare anche l’architettura dell’unica opera di pregio che dall’ottocento in poi s’è costruita a Mestre.

Che l'”Angelo” sia costato tanto; che si sarebbe risparmiato facendo un debito con le banche, non discuto; però che si rifiuti l’unica struttura bella esistente a Mestre come una disavventura, mi dispiace davvero. Se dovessi accompagnare qualcuno che volesse visitare la nostra città, non saprei proprio dove portarlo se non a vedere la “Torre Maya” dell’Ospedale dell’Angelo. Col suo bel giardino pensile tra le dolci e leggiadre collinette trapunte di cipressi e i suoi due laghetti, è veramente bella.

Caro Zaia, lei avrà tutte le buone ragioni di questo mondo per risparmiare, però lasci stare questa unica “perla” tra le tante brutture e volgarità di Mestre, anche se fosse stata costruita da un dissennato sperperatore di pubblico denaro!

26.12.2013

L’apprendistato

Quella dell’apprendistato è una scoperta che si ripete con una certa frequenza. Un tempo “l’andare a bottega” era una assoluta necessità perché non c’erano scuole, statali e non, che potessero insegnare un qualsiasi mestiere ad alunni seduti sui banchi della scuola ad apprendere un’arte da un insegnante che, pure lui, aveva mai esercitato praticamente.

I più grandi artisti erano dotati di genio, però per esprimerlo completamente, andavano per anni nella bottega di maestri che, a loro volta, si erano esercitati da altri maestri.

Fino a qualche decina di anni fa, avveniva la stessa cosa per ogni tipo di lavoro artigianale. Di queste cose ho un’esperienza personale perché sono cresciuto tra i trucioli e la segatura della piccola falegnameria di mio padre e mi sono reso conto direttamente delle infinite cose che si devono imparare attraverso la pratica, per poi poter risolvere i mille problemi che l’artigiano deve affrontare.

Con l’esplosione del mondo industriale è invalsa l’idea che il primo Pincopallino, senza arte né parte, potesse diventare un operaio provetto meritevole, fin dal primo giorno, di una paga regolare. In certe fabbriche, dove l’operaio non è più che uno dei tanti ingranaggi, le cose vanno così e l’apporto dell’uomo è di una assoluta monotonia e ripetitività perché, per imparare la manovra, che dovrà ripetere per tutta la vita, basta mezz’ora. Tutti hanno presente la mimica di Charlie Chaplin alla catena di montaggio!

Qualche tempo fa ho ascoltato uno, o una, dei tanti ministri della pubblica istruzione che si sono avvicendati, che era intenzionato a stabilire che nelle scuole tecniche gli studenti dovessero trascorrere un grosso numero di ore in fabbrica o in bottega, per poter uscire come tecnici provetti.

La stessa cosa penso dovrebbe avvenire anche per gli aspiranti al sacerdozio. Ricordo il progetto, se ben ricordo del Patriarca Luciani, il quale era intenzionato a far trascorrere ai novelli preti almeno un paio di anni in una parrocchia con un bravo parroco, perché imparassero il difficile “mestiere” di fare il prete in una società sofisticata e difficile come la nostra. Di certo non si impara a fare il prete sui tavoli della scuola del seminario seguendo poche ore alla settimana il docente di pastorale.

Oggi non ci sono quasi più falegnami, meccanici, idraulici, perché i nostri ragazzi non vanno più a bottega e non imparano più il mestiere. Ho timore che la stessa cosa stia capitando anche per i preti, perché sono ben poche le parrocchie nelle quali un giovane prete possa “imparare il mestiere”.

La scuola degli esperti serve, ma solo se “si aggiunge la pratica alla grammatica”. Tra i tanti lati deboli della pastorale moderna, c’è anche quello che di “botteghe” in cui ci siano validi “capomastri”, capaci di far fare esperienze valide ed innovative, ce ne sono poche o, forse peggio, quasi nessuna.

24.12.2013

Seminari di egoismo

Nonostante io sia perfettamente cosciente di essere un “giornalista” affatto brillante, non solamente senza una preparazione culturale di fondo, ma anche senza una preparazione specifica sui problemi sui quali mi capita di riflettere, mi pare che tanta gente segua i miei discorsi ed ho la sensazione che sia sufficientemente informata su quanto vado dicendo.

Facevo questa premessa perché probabilmente tante persone che si divertono a leggere ciò che pensa questo vecchio prete ultraottantenne, hanno seguito le vicende della mia richiesta di ottenere dai supermercati i generi alimentari non più commerciabili, vicenda che fortunatamente si è conclusa in maniera positiva qualche giorno fa. Per quanto riguarda la Despar devo confessare poi che in verità non è stata la mia bravura ad ottenere questo felice risultato, ma soprattutto la mediazione dell’assessore Maggioni del Comune di Venezia che s’è preso a cuore questo problema.

Se l’abbiamo spuntata con la Despar, il problema rimane aperto con la quindicina di altri ipermercati presenti a Mentre; soprattutto non v’è alcuna apertura con il più grande supermercato della zona, che da solo potrebbe rispondere alle attese di tutti i poveri di Mestre. Tutti sanno che la proprietà di queste grandi aziende è lontana e pressoché sconosciuta. Chi ha il pacchetto di maggioranza delle catene di ipermercati può abitare in una villa a Parigi, non sapendo neppure che esista Mestre, e meno che meno conosca i problemi della città da cui gli giungono i guadagni.

Pure la “catena di comando” sembra del tutto estranea alle problematiche sociali e ai drammi dei poveri. In uno dei miei tanti tentativi, dopo infinite richieste, una ventina d’anni fa sono riuscito ad ottenere un colloquio con un direttore. Ebbi l’impressione che fosse interessato solamente alla voce “ricavi”, che il resto gli scivolasse via sopra i capelli, e neppure lontanamente potesse toccare la corda della sua coscienza. A quel tempo mi occupavo della San Vincenzo di Mestre che aveva come presidente l’amministratore delegato di Coin. Quando gli confidai lo sdegno e la pena che questo direttore mi aveva procurato, egli mi disse che i “quadri” della catena di comando dei responsabili di queste aziende sono sottoposti periodicamente a dei seminari di ordine aziendale, che li condizionano, a livello psicologico, in maniera tanto ossessiva da far “scoppiare” i più deboli, cosicché questi funzionari sono condizionati da regole ferree con l’unico obiettivo di: produrre, produrre, sempre di più, produrre sempre a minor costo. Questa è l’ideologia infernale del mercato!

Gesù infatti l’ha detto chiaramente che non si può servire il Dio dell’amore e della fraternità e contemporaneamente il dio della ricchezza. Ritengo che questo sia il “mistero” per cui si preferisce buttare nella concimaia piuttosto che rimetterci un centesimo per darlo al concittadino che ha fame!

19.12.2013

I rifiuti d’uomo

Ci risiamo! Ancora una volta pare che nessuno voglia i rifiuti vicino a casa sua!

Quella dei rifiuti è diventata nel nostro Paese una telenovela o – per adoperare un’immagine propria dei vecchi tempi della mia infanzia – la “fiaba del sior Intento”.

Ricordo che quando ero bambino chiedevo a mio padre, che era bravo a raccontare favole, di raccontarmene una e lui non aveva né tempo né voglia di farlo. Allora mi diceva: «Ti racconto la favola del sior Intento, che dura poco tempo; vuoi che te la racconti o vuoi che te la dica?». Sia che gli rispondessi di raccontarmela, o che gli dicessi dimmela, lui ripeteva monotono: «Questa è la favola…» terminando con il medesimo finale.

Quella dei rifiuti è diventata una questione nazionale, in cui brilla in negativo, una volta ancora, in particolare Palermo, ma soprattutto Napoli e dintorni. Ora poi è spuntata, sempre nel meridione, la vicenda della “Terra dei fuochi” nella quale sono finiti i peggiori residuati delle fabbriche del nord con la complicità delle amministrazioni e degli abitanti del sud. Anche questa gente, dopo aver intascato alla chetichella i soldi, vuole liberarsi, a spese degli altri, di questi incomodi rifiuti.

Questa tragica vicenda, in cui si incrociano l’avidità, la spregiudicatezza e l’egoismo del nord, con la passività e la connivenza del sud, si ripete, purtroppo, anche a “casa nostra” per quanto riguarda “i rifiuti d’uomo”. Quando ero a Mestre la gente di via Querini non voleva i poveri di Ca’ Letizia o quelli della mensa dei frati. Quando si è parlato della “cittadella della solidarietà”, prima in viale don Sturzo, poi a Favaro, si sono rifiutati i poveri. Ora che la Curia col Comune ha pensato ad una ventina di posti letto a Marghera per chi dorme all’aperto, giunge lo stesso rifiuto.

E’ veramente tragico che un mondo che, per il suo egoismo, produce come non mai rifiuti industriali ma soprattutto “rifiuti umani”, non voglia farsi carico delle conseguenze del proprio egoismo e della propria meschinità!

18.12.2013

Matteo nella fossa dei leoni

Matteo Renzi ha vinto alla grande la sua “battaglia” per diventare il segretario del PD, ma soprattutto per poter “salvare” l’Italia dal baratro economico e sociale in cui è caduta.

Tante volte mi son chiesto se il cimentarsi in questa “folle” impresa da parte di Renzi sia stato determinato da un sentimento di irresponsabilità tipico dei giovani o da un “amore folle” per l’Italia, come son quasi sempre gli amori della verde età.

A vedere il giovane sindaco di Firenze alla televisione, tantissime volte mi sono venute in mente le “imprese impossibili” in cui si cacciavano i miei scout durante i campi estivi e per le quali ero costretto a supplicare i loro angeli custodi da mattina a sera perché non cadessero in un burrone o non bruciassero il bosco con i loro bivacchi attorno al fuoco durante le notti stellate.

Il Matteo nazionale visto alla televisione, scherzoso, sornione, con le sue battute al fulmicotone da toscanaccio, non m’è parso per nulla impaurito anche dopo l’elezione a segretario. Non m’è sembrato che abbia assunto quell’aria di sussiego tipica di chi viene a ricoprire ruoli importanti; anzi, ha mantenuto un atteggiamento di sicurezza sia nell’avviare progetti “a distanza zero tempo” che nel fare proposte impossibili.

Pensando a Matteo, a Roma tra senatori, deputati e burocrati d’alto livello, vecchi volponi che sono sopravvissuti a tutte le svolte, m’è parso che lui sia caduto nella fossa dei leoni come il giovane Daniele di biblica memoria. Immaginando i ruggiti, i denti appuntiti di Dalema, Berlusconi, Grillo, Bersani, ma pure dei suoi compagni di cordata, sono arrivato alla conclusione che solamente il buon Dio può salvarlo da una “morte” certa. Eppure la Bibbia racconta che anche Daniele è uscito indenne dalla fossa dei leoni; allora, perché il Signore non potrebbe ripetere un miracolo che ha già fatto e che ha funzionato? L’arcangelo Gabriele ha pure rassicurato la giovane vergine Maria, anche lei tremebonda ed indifesa di fronte ad una “proposta impossibile”, che “nulla è impossibile a Dio”.

Rasserenato da questa vicenda raccontata dalla Bibbia, anch’io continuo a sperare “contro ogni speranza” che Renzi ce la faccia! Però, per buona sicurezza, gli lancio una corda, pregando ogni giorno il suo angelo custode che s’accordi con gli angeli custodi dei suoi “nemici”, ma pure dei suoi “amici”, perché gli spianino la strada in maniera che la possa spuntare senza perdere le ali.

18.12.2013

Femminilità

Dice una massima popolare “Tanto tuonò che piovve!” L’arco della mia vita ha avuto inizio negli anni trenta del secolo scorso e, naturalmente, si avvia a conclusione all’inizio di questo terzo millennio; perciò ho assistito o, meglio ancora, ho partecipato alla fase cruciale e quasi conclusiva della emancipazione della donna.

Ho conosciuto le “donne della penombra” del secolo scorso, ho seguito il loro uscire tormentato dalla prigionia del bozzolo e il loro mettere le ali alla fine del novecento e quindi vedo con ebbrezza ed ammirazione la farfalla che oggi si alza bella e leggera sulla nostra società.

La donna di questi ultimi anni, dopo i sussulti disordinati e spesso sguaiati del femminismo di soltanto un decennio fa, è emersa a tutto campo nel mondo economico, professionale e soprattutto politico. Il fatto che la politica tenga banco sui giornali e nella televisione, ci ha dato modo di constatare, con una certa sorpresa – soprattutto per la gente della mia età – che il mondo rosa che un tempo era definito tale non so se per cavalleria o per compassione, è emerso e si è affermato in maniera quanto mai decisa. Ormai in tutti i partiti è emersa, quasi dal nulla, una fitta schiera di giovani donne intelligenti e preparate, se si eccettua qualche reperto del passato, quali la Bindi, la Camusso o la Finocchiaro che, pur non rinunciando all’avvenenza, sono diventate delle vere protagoniste della politica. Mi fa veramente piacere che nell’industria, nel commercio e nella politica sia arrivato questo soffio di leggiadria femminile che sta donando un contributo specifico delle risorse dell'”altra metà del mondo”.

Qualche giorno fa ho visitato il cantiere del “don Vecchi 5”, ove sta crescendo a vista d’occhio la nuova struttura che, in linea con i tempi, è stata progettata da tre “architette” giovani, avvenenti e quanto mai agguerrite a livello professionale: Giovanna Mar, Francesca Cecchi ed Anna Casaril. Non so se il fascino di queste giovani donne abbia influenzato anche questo prete, vecchio e perdipiù scapolo, ma sta di fatto che ho avvertito, nelle linee e nella struttura del fabbricato, un tocco di leggiadria che renderà di certo tanto più dolce e più caro l’abitarvi.

Ho avuto la sensazione che questa casa, destinata agli anziani più fragili, sarà non solamente adeguata alle loro particolari condizioni di vita, ma offrirà pure quel tocco di calore umano e di clima familiare che solamente quelle che un tempo erano chiamate “gli angeli del focolare” hanno sempre dato e ancora sanno dare, prima che per professionalità, per un istinto di natura.

Per gli altri Centri ho sempre deciso io l’arredamento; per questo, avverto che perlomeno dovrò chiedere un consiglio a queste donne, perché non strida con la poesia e l’amore che hanno dato volto alla loro “creatura”.

18.12.2013

Il messaggio di Papa Francesco

Ho detto e scritto più volte che i discorsi di Papa Francesco mi fanno tanto felice perché sono brevi, comprensibili, incidenti e soprattutto liberatori, perché danno una lettura della vita tanto positiva e sono pregni di una fiducia totale nella paternità e nella comprensione del Signore nei nostri riguardi.

Per carità! Anche gli altri Papi che hanno preceduto Papa Francesco han detto cose belle e sagge, ma per trovare la “perla preziosa” bisognava passare al crivello una montagna di parole e di concetti, mentre il Papa attuale pare che abbia in mano un cesto di fiori di ogni specie, uno più bello dell’altro, ed ogni volta che si affaccia al balcone della basilica di San Pietro te ne offra uno con dolcezza e accompagnato dal sorriso e dal suo affetto paterno.

“L’Osservatore Romano”, il giornale della Santa sede, questi messaggi li riporta integralmente, “L’Avvenire” li riassume, i settimanali e i mensili cattolici ne danno notizia e la televisione riporta spesso le battute più felici, però penso che la gran massa dei nostri concittadini li ignorino e non riescano a coglierne la verità profumata di calda umanità. E’ anche vero che la mimica, la voce, lo sguardo e gli ammiccamenti del Pontefice li arricchiscono e li rendono ancor più gradevoli, comunque sono belli ed incoraggianti anche leggendone solamente il testo. E’ un vero peccato che i nostri concittadini non ne possano trarre profitto.

L’idea di offrirli ad un pubblico più vasto è venuta ad Enrico Carnio, mio caro amico e collaboratore liturgico, che normalmente legge tutto, o quasi, quello che il Papa dice. Un giorno, parlando di questo argomento, mi fece la proposta: “Perché non li riassumiamo e li offriamo ai fedeli della nostra città?”. L’idea mi parve brillante e quanto mai opportuna.

Tradurre però questa intuizione in realtà si è dimostrato molto più difficile di quanto pensassimo. Il lavoro di riassumerli, inserirli in computer, impaginarli, come distribuirli e soprattutto il costo, si dimostrarono ostacoli assai consistenti.

Trovammo disponibile un collega di lavoro del mio amico, che è stato uno dei ragazzini di quando ero a San Lorenzo, ed un grafico de “L’Incontro” – però impegnato fin sopra i capelli – che si è entusiasmato all’idea.

Finora abbiamo approntato bozze, progetti sperimentali, però non abbiamo ancora scoperto la strada giusta; speriamo tuttavia che prima o poi riusciremo ad imboccarla

Confesso però che provo un po’ di tristezza che il mondo cattolico della nostra città sia così inerte, apatico, mentre con un pizzico di buona volontà potremmo portare in ogni casa il volto e la parola di questo Papa che, ogni giorno di più, si dimostra un dono tanto prezioso da farci dire che il buon Dio non poteva donarci di meglio.

Comunque spero che ce la faremo!

17.12.2013

Paradiso subito!

Domenica scorsa ho commentato, come di certo han fatto tutti i preti di questo mondo, la pagina del Vangelo nella quale Gesù dà una significativa risposta al Battista che, dal carcere, sentendo prossima la sua fine, gli aveva chiesto, tramite i suoi discepoli, se era lui l’Atteso o se dovesse aspettare qualche altro.

Credo che la gran parte dei fedeli che gremivano la mia “cattedrale tra i cipressi” del camposanto la domenica terza di avvento, da sempre siano stati convinti che il messaggio di Gesù abbia avuto come scopo principale quello di indicare agli uomini la strada verso il Paradiso e quindi abbia offerto delle indicazioni per raggiungere la salvezza eterna.

Dico questo perché anch’io, per decenni e decenni della mia vita, ho pensato la stessa cosa. Da qualche tempo però questa convinzione è venuta gradualmente meno e domenica, in relazione alla risposta di Gesù: “Riferite quello che voi vedete: i ciechi vedono, i sordi sentono, gli zoppi camminano ed ai poveri è annunciata la buona notizia”, ho offerto una lettura diversa di questa pagina del Vangelo. Ossia ho affermato senza esitazione che Dio ci ama e ci vuole aiutare a vivere una vita buona, prima di tutto ora e quaggiù.

Mi è parso che Gesù sia quasi preoccupato di informarci che è venuto a questo mondo soprattutto perché la nostra vita sia bella, serena, pacifica, libera e vissuta in una società che favorisca ognuno ad essere il più possibile felice. Questo discorso non nega la versione del passato quando si pensava che Gesù ci dicesse che il Padre ci aspetta a braccia aperte, disposto al perdono e che dopo la morte, nella vita nuova, la felicità sarà completa. Però mi vien da pensare che Lui non trascurasse il fatto di impegnarci a vivere “quaggiù” una vita il più possibile bella.

La lettura della pagine del Vangelo, vista da questa angolatura, mi rende più comprensibile e più gradito il messaggio evangelico, perché esso non è preoccupato solamente del “dopo”, ma soprattutto è teso ad aiutarci a vivere con pienezza il “prima”, cioè la nostra vita terrena. Il cristiano quindi, nella scia di questa verità, deve imparare da Cristo ad essere una persona serena, gioiosa ed ottimista, che vive con ebbrezza i suoi giorni cogliendo il meglio della vita.

Questo discorso non solamente disapprova il cristiano che sta alla finestra a guardare il corso degli eventi o che si estranea dalle vicende del nostro mondo per rifugiarsi nell’attesa della vita futura, ma insegna che l’uomo di oggi, deve scendere sempre nella mischia, deve impegnarsi a tutti i livelli: sociale, politico, sanitario, culturale, per raggiungere il massimo della felicità umana possibile.

Forse questo è stato per me il tipico “uovo di Colombo”; può darsi che tanti discepoli di Gesù l’abbiano capito da secoli, però mi ha fatto piacere fare questa “scoperta” e passarla agli altri con tanta convinzione. Perciò non possiamo più tollerare che ci siano zoppi, sordi, ciechi e disperati, lasciati soli senza il nostro decisivo aiuto perché escano dalla loro sofferenza, ma dobbiamo quindi produrre il massimo del nostro sforzo perché tutti arriviamo al “Paradiso” fin da subito.

16.12.2013

L’Avapo

La giovane e intraprendente presidente dell’Avapo, dottoressa Stefania Bullo, anche quest’anno ha avuto l’amabile gentilezza di invitarmi alla cena che ogni anno organizza presso il Seniorestaurant del “don Vecchi” per i volontari della sua associazione. Io sono abitualmente – e per di più per natura – schivo, motivo per cui mi costa sempre aderire a questi inviti, però, avendo una grande stima e ammirazione per questa cara gente che segue gli ammalati di tumore nella fase terminale, ho aderito ben volentieri.

La serata è stata veramente piacevole; per me è una vera gioia incontrare persone che credono alla solidarietà e che, per di più, condividono la mia visione della vita e dei miei ideali. Alla cena, fornita dal catering “Serenissima Ristorazione” e servita dalle care signore che operano al “don Vecchi”, hanno partecipato un centinaio di volontari. E’ stato un incontro all’insegna della sobrietà, scelta valida per ogni tempo, ma soprattutto in questo momento di crisi e soprattutto destinata a persone che han scelto di dedicare il loro tempo libero ai concittadini che vivono la fase finale della loro esistenza. La sobrietà poi ben si coniuga anche con la signorilità per persone che cenano assieme soprattutto per dialogare e rafforzare i legami di una reciproca conoscenza ed amicizia.

La dottoressa Stefania Bullo, presidente dell’Avapo da più di un decennio, ha introdotto la serata conviviale informando i suoi volontari soprattutto sulle iniziative in atto, ed in particolare sulla collaborazione che il mondo dello sport sta offrendo con tanta disponibilità. Mentre parlava questa cara ragazza, che sta dedicando tutto il suo tempo e soprattutto il meglio delle sue energie per l’affermarsi del nobile progetto che l’Avapo chiama “L’ospedale a domicilio”, d’istinto mi veniva da confrontare l’affermarsi di questa associazione con lo stile, i progetti e gli sviluppi di quella alla quale sto dedicando l’ultima stagione della mia vita. Sarebbe ingiusto se pensassi che al “don Vecchi” non abbiamo dei collaboratori intelligenti e generosi, però ho la sensazione che noi abbiamo sviluppato poco il rapporto con i gruppi sociali che a Mestre si muovono in altri settori della solidarietà, o perlomeno della vita associativa e del volontariato.

I Centri don Vecchi crescono, sono efficienti e quanto mai operativi, però forse hanno bisogno di un maggior dialogo ed integrazione con le forze migliori della nostra città. Mi auguro tanto che ci si possa in futuro aprire maggiormente al dialogo e alla collaborazione con chi a Mestre sta portando la primavera della solidarietà.

La serata quindi non è stata solamente piacevole per aver avuto modo di incontrare tanti concittadini buoni e generosi, ma anche stimolante per la nostra Fondazione per quanto riguarda il suo rapporto col mondo esterno ad essa.

13.12.2013

Spero che vinca il mio cavallo

Domenica prossima è per me la festa dell’Immacolata. Nel mio sermone, anche se non me lo sono ancora preparato, parlerò della Vergine come punto di riferimento a livello umano, perché non ha ereditato le miserie e le brutture commesse dall’uomo lungo i secoli. Sono sempre stato convinto che all’uomo del nostro tempo si debbano proporre valori alti ed ideali luminosi, dicendo che in qualche parte della nostra coscienza possiamo scoprire ancora qualche vestigia della creatura uscita dalle mani di Dio, ma ora ridotta ad una “magnifica rovina”. Per me l’Immacolata apre, su un cielo cupo, uno scorcio di luce e di speranza e perciò mi fa sognare e sperare che l’incontro con l’Immacolata sia per tutti uno sprono ad esprimere il meglio di sé.

Confesso però che domenica 8 dicembre non sarò del tutto indifferente all’evento politico della consultazione popolare sulla candidatura a segretario del Pd. Io ho già scritto che ho puntato la mia fiducia sul “cavallo matto” Renzi – per usare un termine sportivo – che m’è parso giovane, vivace, risoluto, intelligente, senza peli sulla lingua. Soprattutto spero che Renzi, proveniente dalla cultura e dalla sensibilità del mondo cattolico più aperto, apra un dialogo onesto e costruttivo con la cultura e la sensibilità del mondo laico più aperto e disponibile ad un servizio al Paese e non all’interesse di un partito o di una frangia del nostro Paese.

Continuo a sperare che lo zoccolo duro proveniente dal partito comunista non riesca – come avvenne con Veltroni che pure proveniva da quella cultura – a far fallire questo sogno di creare in Italia un partito più composito, più aperto al dialogo, più moderno e soprattutto più capace di sfruttare tutte le potenzialità positive che ogni esperienza ed ogni creatura può offrire.

Se però alla Provvidenza sembrerà opportuno far emergere un altro dei tre candidati in corsa, a me andrà ugualmente bene se egli riuscirà a portare la pace sociale, sollevare le sorti dell’economia e soprattutto prendersi particolarmente a cuore la sorte delle classi più povere e più indifese e tagliare le unghie al parassitismo, alla esasperata burocrazia e ai tantissimi privilegi che ancora permangono nel nostro Paese.

Quando queste note vedranno la luce, questi giochi saranno di certo conclusi, però ritengo opportuno che si sappia e possibilmente si tenga conto che tanti sognano come me una nuova “primavera” della politica.

07.12.2013

La Despar

Nota della Redazione: l’accordo poi si è fatto e anzi in questi giorni s’è fatto il bis con la catena Cadoro.

E’ da tanto che non mi succede di aspettare con tanta trepidazione un incontro con i responsabili di una grandissima catena di supermercati di generi alimentari. Domani alle 12 i dirigenti della Despar mi hanno fissato un appuntamento presso il nuovissimo ipermercato che questa società ha appena aperto in via Paccagnella accanto all’Auchan.

Questo incontro ha radici – almeno per me che sono solito vivere di fretta – abbastanza lontane ed è nato dal conoscere la drammatica situazione sia di tantissimi concittadini di Mestre che di extracomunitari che sono partiti dai loro Paesi lontani sperando di incontrare da noi la Terra promessa o, forse più banalmente, l’America.

In questi giorni la stampa ci informa che la caduta anticipata della neve sui nostri monti ha fatto aprire in anticipo le piste e già una folla si sta precipitando a sciare. Le vetrine dei negozi, e soprattutto i banchi degli ipermercati, sono pieni di ogni ben di Dio. Per la città sfrecciano bellissime automobili di ogni marca. Le donne si sono adeguate alla nuova moda che me le fa sembrare “le gru” dalle gambe lunghe e sottili di Chichibio del Decamerone di Boccaccio.

Eppure, tra tanta opulenza, tanto lusso e tanto sperpero, c’è una frangia numerosa di persone che vive nell’angoscia e non sa più come tirare avanti. Al “don Vecchi” a me capita ogni giorno di vedere lo spettacolo esattamente opposto all’opulenza, ossia quello della miseria. Mentre l’Epulone della parabola evangelica gozzoviglia e veste di porpora, sui gradini della sua porta di casa Lazzaro aspetta le briciole che cadono dalla sua tavola. Ogni giorno mi capita di vedere la processione di uomini e donne di tutte le età che scendono nell’interrato del “don Vecchi” per risalire con la borsa o il sacchetto pieni di quello che i nostri magnifici volontari riescono con tanta fatica a reperire. Ogni settimana ben tremila poveri s’accontentano delle briciole del lusso e dello sperpero di chi ha soldi. Come vorrei che tanti potessero vedere quei volti tristi, mesti e rassegnati! Ora poi anche l’Europa dei ricchi ha chiuso la borsa e ha deciso di pensare solamente ai più ricchi, riducendo di due terzi gli aiuti.

Domani finalmente saprò se dopo cinque mesi di incontri e di solleciti la Despar ci concederà i generi alimentari non più commerciabili dei suoi ipermercati. Ho profonda riconoscenza verso i responsabili della Despar, perché mi par d’aver capito che questa operazione – che per i non addetti ai lavori può sembrare semplice – comporta invece difficoltà di organizzazione aziendale e sono cosciente che neanche per loro la cosa è stata facile.

Spero quindi di poter avere, prima di Natale, generi alimentari della Despar e che la sua scelta rompa finalmente il muro di gomma e di indifferenza che ha fatto dire al dirigente di un ipermercato cittadino che preferisce i soldi dei clienti alla richiesta del Papa di pensare ai fratelli in difficoltà.

06.12.2013

Attendere Gesù o Godot

Mi piace quanto mai il tempo di avvento. L’avvento, tempo di attesa, mi riporta, per associazione di idee, al “clima” della poesia della mia infanzia, “Il sabato del villaggio”. L’attesa intima e trepida dell’avverarsi di qualcosa di bello, mi porta nel cuore una dolcezza struggente. Se volessi tradurre in termini musicali questa dolce sensazione, mi rifarei alla pastorale del Guglielmo Tell di Rossini, o alla delicata e intima melodia del Nuovo Mondo di Dvorak, oppure alle note trepide di Cajkovskij.

Attendere l’incontro con il Figlio di Dio mi pare si rifaccia all’espressione biblica di “già” e di “non ancora”, ossia a qualcosa di già presente, ma in attesa della sua pienezza.

Qualche giorno fa, parlando della dolce attesa dell’incontro definitivo col Signore, dicevo ai miei vecchi che è bello attendere l’incontro col Signore, ma che fin d’ora dobbiamo essere vigilanti e disponibili per poter già pregustare l’ebbrezza di questo incontro che ci permetterà di tuffarci totalmente nell’Assoluto.

Per dare un po’ più di concretezza al discorso e per renderlo comprensibile e pregnante, citai un’intervista che il prestigioso giornalista Sergio Zavoli fece, una cinquantina di anni fa, ad una monaca di clausura di un monastero di Bologna. Mezzo secolo fa un incontro del genere costituiva un evento quanto mai raro e singolare. Zavoli è l’intellettuale che tutti conosciamo, ma pure la priora era una donna di Dio ricca di umanità e di fede. Zavoli chiese alla monaca: «Voi che vivete di preghiera e di austerità, non avete paura della morte?». La monaca si schermì: «Oh si, anche noi siamo umane e temiamo la morte, però l’incontro con Colui che abbiamo amato deve essere qualcosa di veramente bello e sublime!».

Quella donna di fede disse questa frase con tale intensità che il solo ricordo tocca le fibre più profonde del mio spirito. Noi credenti attendiamo qualcuno che già in qualche modo conosciamo e amiamo, motivo per cui la nostra attesa è trepida e, nello stesso tempo, piena di ebbrezza. Mentre quanto mai amara e deludente deve essere quella di chi non conosce affatto e non ha alcuna esperienza di chi pensa di attendere. Il testo di “Aspettando Godot” traduce in maniera tragica ed amara l’attesa vana e deludente di una realtà assolutamente vuota, che non può essere che il salto nel buio della morte.

In questi giorni freddi dell’incipiente inverno i fiorellini di un bianco latteo del mio giardino pare mi assicurino e mi dicano: «Ti accompagneremo noi, tenendoti per mano, durante il tempo gelido, per farti incontrare la soave realtà della primavera».

La fede so che certamente mi condurrà con mano sicura all’incontro con Colui che ho amato e che in qualche modo ho già incontrato quaggiù!

05.12.2013