La linea del Piave

Nota della Redazione: questo articolo, come gli altri, risale ad un paio di mesi fa e fortunatamente nel frattempo il comune ci ha dato il terreno.

Quando si parla della grande guerra ci si riferisce all'”offensiva del Piave” come alla battaglia decisiva di quel tragico ed immane conflitto.

Mio padre, che a quel tempo abitava al Eraclea nel mio paese nativo, che è a ridosso della sponda sinistra del Piave, mi raccontava dei tentativi dei tedeschi di passare il fiume tentando in ogni maniera di buttare ponti di barche. Io sono suo figlio; quasi un secolo dopo mi pare non solamente di partecipare con trepidazione a questo evento, ma sento su di me la responsabilità di guidare un’altra battaglia importante, come il vecchio Cadorna. Se entro poco tempo non riusciamo ad ottenere la superficie per costruire il “don Vecchi 5” per gli anziani in perdita di autonomia, perdiamo il finanziamento della Regione, una opportunità che capita una volta nella vita.

Qualche giorno fa ho scritto al sindaco e alla compagine dei suoi assessori che sento il dovere sacrosanto di dar voce a chi non ha voce e che perciò adoprerò ogni mezzo lecito per sconfiggere la burocrazia dell’amministrazione comunale.

Spero che una volta tanto Orsoni esca dalla sua pace olimpica per prendere posizione ed aiutarci ad aiutarlo.

Terrò informati i miei amici pubblicando ogni settimana i bollettini della nostra guerra.

P.S. le mie minacce hanno raggiunto lo scopo: il Comune ci ha dato il terreno

I dèmoni del 2012

Forse penso troppo ai fatti di questo mondo e meno a quelli di Dio! A mia discolpa debbo pure dire che Gesù ai suoi discepoli ha pur ordinato di combattere i “dèmoni”.

Non so se per i miei colleghi preti i dèmoni siano dipinti di rosso, abbiano due corna in testa e siano armati costantemente di tridente. I dèmoni con cui io invece penso di dover combattere si chiamano: prepotenza, ingiustizia, invidia, passività e cose del genere.

In genere poi, questi dèmoni, come quelli del tempo di Gesù, non vanno a spasso in divisa ma, come i microbi o i virus, si rintanano nel cuore e nella coscienza degli uomini. Spesso poi i diavoli operano in gruppo. Gesù stesso affermò che quelli che tormentavano un pover’uomo erano una legione.

Ebbene, in questi giorni si sta parlando con tanta frequenza dei guai della Spagna. Prima di Zapatero la Spagna era indicata come una nazione all’avanguardia a livello economico. Poi arrivò Zapatero, che di diavoli credo ne avesse qualche legione in corpo, e portò la Spagna alla deriva morale ed economica di cui oggi tutti parlano.

Questo losco figuro, che nell’ultimo decennio fece da maestro a tutta la sinistra, almeno europea, quando avvertì odor di bruciato tagliò la corda, eclissandosi e lasciando la nazione nello squallore più completo. Se gli spagnoli avessero ascoltato un po’ di più Gesù, nostro maestro, che ci ha ammonito di guardarci dai falsi profeti, non sarebbero caduti così in basso.

Il guaio è che anche in Italia il diavolo è al lavoro. Lascio ai miei amici scoprire in quali personaggi del nostro Paese egli ha preso dimora.

Un apparato arcaico

Dato che ci sono mi permetto di fare un’altra riflessione sulla “giustizia”, un organo dello Stato italiano che da tanto tempo giudico sorpassato, pletorico, fazioso, inconcludente.

Forse non è tutta colpa dei giudici, ma pure e soprattutto dei legislatori che, invece di pensare al funzionamento di questo ministero così importante e far leggi sane e sagge, pensa a farsi sgambetti, a polemizzare sul nulla, o disertare le camere, e soprattutto ad obbedire in maniera cieca ai segretari di partito che all’interno dello stesso, o sono dei dittatori assoluti, o governano in combutta con una piccola cricca di boiardi assetati di soldi e di potere.

Premetto, a me piace quanto mai il ministro Severino. Mi pare però che nonostante sia una donna intelligente, libera, innovativa, non le permettano di fare ciò che sarebbe quanto mai giusto.

Ormai sappiamo fin troppo bene che le prigioni sono sovraffollate, disumane, incivili e che i carcerati si impiccano a centinaia (mi vengono i brividi a pensarci!).

Pare che la Sseverino pensi a pene alternative, più civili e più vantaggiose per i carcerati e per il Paese e voglia metter fuori dal carcere almeno ventimila persone. Io prego ogni giorno perché quella cara donna cominci almeno con centomila.

Stamattina ho incontrato un operaio del cimitero che le carceri le conosce fin troppo bene. Ora però è un ragazzo nuovo, lavora ed è cordiale; di certo non è assolutamente quello per cui un tempo lo si è messo dentro. Pare che a giorni lo vengano a prendere per un altro mese di carcere che gli manca.

Cara signora Severino, non ascolti la Lega, Di Pietro e tutti quei forcaioli, perché lei sa meglio di me che il carcere non migliora nessuno. Lasci che il mio amico continui a curare le tombe del nostro camposanto: ciò è vantaggioso per lui, ma anche per noi.

Un forzato: uomo nuovo

Sempre per rimanere sul tema della giustizia, ho visto, prima alla televisione, poi sul “Gazzettino”, l’ex ministro dell’agricoltura Romano scoppiare in lacrime dopo la lettura della sentenza di assoluzione “perché i fatti non sussistono”.

Mi pare che per quella sentenza i giudici abbiano impiegato ben dieci anni. Anche a me è venuto quasi da piangere al pensiero di quanta sofferenza può aver provato quel pover’uomo che per lunghi dieci anni aveva sopra di sé la spada di Damocle appesa ad un filo. Ho pensato a Tortora, ho pensato ad Andreotti e ad un numero consistente di cittadini che, per motivi politici o per le perfide rivelazioni della peggior stirpe di uomini condannati a vita, che non hanno niente da perdere o per cui hanno tutto il tempo di continuare a delinquere, distruggono la vita a poveri innocenti.

Io non so se lo Stato abbia dato a Romano una gratifica milionaria per le lunghe sofferenze patite ingiustamente o se il giudice che l’ha accusato sia stato radiato dalla magistratura per la sua superficialità e faziosità. Temo però che lo Stato volti pagina in maniera fin troppo disinvolta.

Gli uomini dell’ingiustizia

Questa mattina ho sentito alla televisione che ogni anno vanno in prescrizione duecentomila processi perché i giudici non riescono ad arrivare a sentenza. Ho pensato: “O i giudici sono troppo pochi, o sono lavativi”. Di certo questo non accade perché sono poco pagati, perché dopo i calciatori sono quelli che hanno lo stipendio più alto fra i comuni lavoratori italiani.

Poi m’è passata per la mente un’altra ipotesi: “Mi pare impossibile che tra quei duecentomila processi non ce ne sia qualcuno di più importante di quello che riguarda quello sporcaccione di Berlusconi!

Penso con tanta amarezza alle infinite udienze, al costo degli avvocati, allo scomodare tanti testimoni, alle pagine infinite di cronaca nera apparse sui giornali, al cattivo esempio e al tempo perduto per quella squallida vicenda. Non sarebbe stato più giusto che anche un giudice di primo pelo avesse sentenziato, mettendosi la toga o anche senza: “Il signor Berlusconi, come tutti sanno è un maniaco sessuale o un vecchio sporcaccione. Dimenticatelo!”.

Ho paura che anche ai giudici piaccia pescare nel torbido o abbiano delle grosse antipatie, tanto che non so più se abbia sbagliato più Berlusconi o i suoi giudici.

Maledetto e benedetto

L’uomo, fin dai tempi di Babele, ha tentato di salire sul trono di Dio. Egli sta scimmiottando in tutti i modi il Signore, volendogli dimostrare che è bravo quanto Lui.

Da mezzo secolo ha cominciato a pasticciare con i cromosomi, riuscendo a clonare la pecora Dolly, e poi, pur con materiale preesistente, affittando l’utero di qualche donna, sforna persino bambini. Però, come dice suor Teresa “che ad ogni poeta, per quanto bravo, manca un verso”.

Ho fatto esperienza diretta che le opere dell’uomo, per quanto bravo lui sia, sono di molto inferiori a quelle nate dal tocco di Dio. Anche il mio udito, dopo i miei occhi, i miei denti e tanti altri organi, è venuto meno. Sono andato all’Amplifon per aggiustare l’udito mancante. L’operazione mi è costata quattromiladuecento euro. Però stamattina, mentre predicavo, una voce chiara mi ha detto improvvisamente: “batteria scarica” e nel pomeriggio la stessa voce m’ha ripetuto la stessa cosa sull’altro orecchio.

M’è venuta in mente la storiella dei Vangeli apocrifi quando raccontano che le colombelle fatte da Gesù volavano, mentre quelle dei suoi amichetti se ne stavano a terra come il piombo.

“Mio Dio, quanto son belle le Tue opere!”. M’è parso che Gesù mi rispondesse: «Benedetto chi si fida del Signore, infelice invece chi si fida dell’uomo.

Voce per chi non ha voce

Una volta tanto spero di essere totalmente fedele al Vangelo. In questi giorni ho grosse difficoltà col Comune perché la sua proverbiale inerzia rischia di farci perdere i duemilioniottocentomila euro di mutuo se entro fine di agosto non ci assegna il terreno per il “don Vecchi 5”.

Mi sono chiesto che cosa posso fare per non permettere che i vecchi poveri di Mestre perdano questa fortuna. La lettura del Vangelo mi ha fornito la risposta attraverso la parabola del giudice disonesto e la vedova che chiedeva giustizia. La vedova insistette tanto che il giudice si disse: “Anche se la sorte di quella donna non mi interessa punto, purché non mi scocci ulteriormente, l’ascolterò”.

“Signore ti ringrazio di questo insegnamento”, non lascerò passare settimana senza tirare il sindaco per la giacca. Spero che Orsoni non sia più iniquo del giudice della povera vedova. Comunque informerò i miei amici sulla validità dell’insegnamento di Gesù.

P.S. una volta tanto il Comune è arrivato in tempo!

Sicilia, cicala d’Italia

Monti e Napolitano hanno chiesto a Lombardo di dimettersi. Pare lo faccia, pur in maniera spavalda, il truffaldino per eccellenza di una Regione fuori controllo e mafiosa dal primo all’ultimo abitante.

Ho ascoltato prima, sbigottito, i costi, i confronti con le regioni del nord; poi mi sono chiesto: “Berlusconi, Prodi, Dalema e tutti i boss che sanno tutto di tutto, perché non sono intervenuti lo scorso anno, dieci, venti, trenta, quarant’anni fa?”

Non oso pensare quale sarà la pensione di Lombardo, dato che Giletti, alla televisione, ci ha informato che un certo funzionario della stessa regione gode di una pensione, legittimamente ottenuta, di cinquemila euro al giorno! Io non mi preoccuperei affatto che la Sicilia ottenga la secessione, se non vuol osservare le regole delle altre regioni d’Italia, anzi le darei una spintarella per quel verso. Se poi volesse, per riconoscenza a Garibaldi, rimanere italiana, niente di contrario, purché si amministri con i suoi soldi come le pare e piace! E non parlatemi, per favore, di solidarietà, diversamente è solo connivenza!

L’operaio della Vinyls

Il vento della disperazione ha spinto al “don Vecchi”, come un fuscello, un operaio della Vinyls di Marghera. M’è parso subito come uno di quei fiori di plastica sbiaditi dal sole, che quando tira vento di tramontana vengono sparsi disordinatamente lungo il marciapiedi del nostro cimitero.

Venticinque anni di lavoro regolare nella stessa fabbrica, una moglie e due bimbi, poi la fabbrica ha chiuso per uno di quei tanti misteri dell’economia globale, anonima e spietata. «Don Franco mi aiuta, ma sono indietro con l’affitto. Non ce la faccio più!«.

Gli diedi cinquanta euro, ma nessun consiglio. Non ho più consigli da dare. Andandosene, mi mostrò una fattura del pronto soccorso dell'”Angelo”. Era caduto dalla bicicletta a causa delle rotaie del tram. Entrato alle 20, è uscito dopo mezzanotte con in mano un foglio di 52,80 euro per la visita ottenuta con la classifica “codice bianco”. La malasanità l’ha derubato della mia elemosina.

L’arbusto del granello di senape

Nella vita, mi par di aver capito che bisogna avere il coraggio di gettare un seme, per quanto piccolo possa apparire.

Gesù è un buon maestro anche in questo settore, quando parla del “granellino di senapa” che è il più piccolo tra le sementi, ma una volta cresciuto, diventa un arbusto sui cui rami possono ripararsi gli uccelli dell’aria.

La stessa cosa è avvenuta per il “don Vecchi”. Gettato il seme, in pochi anni è cresciuto, quasi senza che nessuno se ne accorgesse, arrivando a 310 appartamentini, 400 ospiti, 250 volontari, il magazzino dei vestiti per i poveri con trentamila presenze l’anno, il Seniorrestaurant con i suoi volontari. Altrettanto il bar, il chiosco della frutta e verdura con 200 “clienti”, il magazzino dei mobili, dei supporti per gli infermi, il banco alimentare con i suoi 2500 assistiti, la Galleria San Valentino, ecc.

Da queste realtà un vero esercito di collaboratori offrono il loro tempo e lavoro, ma nel contempo hanno pure i loro vantaggi. La gente dice che “una mano lava l’altra”. Questa massima è valida anche da noi, motivo per cui i beneficiati dal “don Vecchi” non sono solamente i 400 anziani, ma l’indotto è dieci volte più numeroso.

La particella di Dio

M’è parso doveroso informarmi sulla recente scoperta scientifica che la stampa ha definito “La particella di Dio”. Ho letto con attenzione parecchi articoli di carattere divulgativo, ma non ci ho capito niente. Le spiegazioni della stampa, pur tentando esse di semplificare e rendere comprensibile l’argomento, almeno per me, non sono riuscite a spiegarmi ciò che l’esperimento ha dimostrato.

Io sono rimasto alla metafisica “sposata” da san Tommaso, in cui si afferma che ogni effetto presuppone una causa. Ora se con la “particella di Dio” si fosse scoperto il bisnonno dell’atomo, per me non cambierebbe assolutamente nulla, perché vorrebbe semplicemente dire che per spiegare l’esistenza del bisnonno bisogna risalire al trisavolo. Dio rimane colui che è la fonte dell’essere, perché una fonte prima ci deve essere per spiegarci la presenza dell’acqua.

Zichichi, il famoso scienziato, è andato un po’ oltre scrivendo: “L’attuale messaggio della scienza è quindi che tutti noi siamo figli di una logica rigorosa, non del caos: l’ateismo è un atto di fede – non di ragione – nel nulla.

Meglio ancora, perché mentre i credenti hanno il conforto della ragione e la scienza dalla loro parte, gli atei hanno solamente la “fede” nella loro supponenza.

Pronto alla guerra in difesa degli anziani in perdita di autonomia!

Il dieci agosto abbiamo presentato alla Regione il progetto definitivo per i sessanta alloggi per anziani in perdita di autosufficienza, progetto correlato da un documento che attesti che la Fondazione dispone di una superficie in cui collocare la nuova struttura, altrimenti la Regione non può erogare il mutuo di duemilioniottocentomila euro già stanziati per questa operazione.

Credo che molti concittadini conoscano la triste storia. Il Comune aveva promesso un’area contigua al “don Vecchi”, ma il parroco di san Pietro Orseolo, attraverso la “mano secolare” di un sedicente “comitato antiantenna” si è opposto perché il quartiere non sia privato di una porzione di un parco che attualmente è destinato ai “bisognini” dei cani.

L’amministrazione, impaurita, ha ritirato la promessa ed ha proposto una superficie alternativa nella zona degli Arzeroni, certamente più decentrata. Comunque la Fondazione ha accettato il cambio, anche se svantaggioso. Il guaio è che alcune fasce di terreno il Comune non le ha ancora acquisite e perciò, per dar corso all’atto d’obbligo, deve portare a termine una serie di operazioni la cui competenza è dell’assessorato al patrimonio.

Io, nel passato, ho avuto la sfortuna di avere a che fare con questi uffici e ne conosco purtroppo i tempi biblici. Siccome le settimane passano producendo solamente promesse ed assicurazioni verbali, mi sento costretto a mettere in moto “la meravigliosa macchina da guerra” per mobilitare l’opinione pubblica. E’ certo che in guerra valgono poco le bombe mirate, si finisce sempre per sparare sul mucchio.

Venezia, da cinquant’anni parla del nuovo stadio che non è ancora nato, del nuovo carcere che ha perduto, ora chiacchiera sul Fondaco dei tedeschi e finirà per perdere anche quello. Le capita la fortuna insperata dell’offerta della torre di Chardin e anche su questo progetto chiacchiera e tentenna. Non vorrei che capitasse la stessa fine anche alla nuova struttura pilota per gli anziani in perdita di autonomia.

Da oggi comincia la guerra, che sarà senza quartiere, verso un Comune che è esattamente l’opposto della Serenissima Repubblica. In questo caso prometto alla città che mi batterò fino all’ultimo sangue.

Se quando verrà pubblicata questa pagina del mio “diario” non avrò in mano documenti certi, comincerò col pubblicare la lettera già inviata al sindaco, ricordandogli che “uomo avvisato mezzo salvato!”.

La Messa festiva al don Vecchi di Campalto

Nota della Redazione: questo articolo è stato scritto diverse settimane fa. Da allora la situazione, almeno per quanto riguarda via Orlanda, si è sbloccata perché finalmente l’Anas ci ha dato il permesso di mettere in sicurezza l’ingresso e l’uscita del centro don Vecchi di Campalto su via Orlanda. Al più presto inizieremo i lavori che saranno a carico quasi totalmente della Fondazione Carpinetum.

Ci pareva di aver finalmente risolto il problema della messa festiva per i residenti del Centro don Vecchi di Campalto, ma ora il problema è tornato in alto mare.

Tutti ormai sanno che il Centro don Vecchi di Campalto conta 64 appartamentini; essendo però alcuni destinati a coppie, i residenti risultano 70. La parrocchia di Campalto dista solamente settecento metri però via Orlanda, che è l’unica strada che porta in chiesa, è una “strada proibita” perché senza margini e con un traffico intenso e veloce, tanto che si contano, in questi ultimi anni, più di una decina di incidenti con dieci morti. L’unico modo per recarsi in centro per partecipare al precetto festivo è l’autobus, ma anche questo mezzo è assai pericoloso perché esige l’attraversamento di questa “strada maledetta”.

Tutti conoscono le vicende veramente tragicomiche per ottenere la messa in sicurezza, almeno per quanto riguarda l’autobus. Da quasi nove mesi stiamo aspettando il permesso dal Comune e dall’Anas e, al momento in cui sto scrivendo queste note, non è ancora arrivato.

Per grazia di Dio ci è arrivato dal cielo don Valentino, un prete anziano con tanti problemi ed ha cominciato a celebrare ogni domenica, tanto che s’era formata una piccola assemblea liturgica alla quale partecipava un terzo dei residenti. Purtroppo vecchiaia e malanni hanno costretto don Valentino in ospedale ed ora pare che debba andare al Nazaret.

Enrico, il diacono “ad honorem”, ha quindi ricominciato a celebrare la “messa secca” con la liturgia della parola e le preghiere, come avviene nelle comunità sperdute nelle savane africane.

I nostri vecchi pare però che non gradiscano simili surrogati al sacrificio di Cristo e disertano bellamente questi incontri religiosi, mentre sembra che la nuova comunità raccogliticcia avrebbe bisogno di prediche abbondanti!

Ora non ci resta che pregare perché il Signore mandi un nuovo operaio nella sua messe.

Un vecchio sogno per i giovani

L’approccio col diario di don Didimo Mantiero “Il volto più vero” mi ha fatto emergere un ricordo che credevo ormai sepolto da moltissimi anni e che era riemerso una decina di anni fa per ricadere poi quasi subito nella fossa del passato.

Il discorso, almeno per me, è quanto mai interessante e potrebbe perfino offrire a qualche responsabile della diocesi un’idea per realizzare qualcosa che fosse una risposta ad un problema pastorale non solo non risolto, ma che va aggravandosi di anno in anno.

Monsignor Vecchi aveva l’umiltà, e soprattutto l’intelligenza, di accertarsi su tutto quello che facevano gli altri e desiderava verificare sul campo ogni iniziativa per controllare direttamente sia la validità, sia i tentativi per risolvere i problemi.

Molte delle realizzazioni nate nella parrocchia del Duomo di Mestre una quarantina di anni fa, molte iniziative, ebbero come matrici queste ricerche e queste prese di visione delle esperienze esistenti in altre comunità. Così è stato per il settimanale della parrocchia, per Ca’ Letizia a riguardo dei poveri, per il Rifugio san Lorenzo, per l’attività estiva dei giovani e ragazzi, o la radio locale e per tante altre iniziative.

Si diceva in quegli anni che a Bassano avevano realizzato “Il Comune dei giovani” con tanto di sindaco ed assessori eletti dai giovani. Andammo a vedere e scoprimmo una struttura enorme e poliedrica. C’era dentro di tutto: sport, cultura, ricerca religiosa, musica, divertimento, veramente un mondo dedicato ai giovani.

Capimmo fin da allora che i nostri patronati erano asfittici e non avrebbero mai potuto essere un centro di vero coagulo per la gioventù perché le parrocchie che li promuovevano erano troppo piccole e non avrebbero mai avuto la forza di sostenere un centro così complesso ed articolato.

Cominciammo a progettare, ma io fui trasferito e monsignore aveva bisogno di una spalla ideale ed operativa che gli venne a mancare. La cosa morì lì.

Una decina di anni fa proposi il progetto ai confratelli del mio vicariato, constatando che i relativi patronati erano morti o moribondi. La cosa non andò avanti perché qualcuno che apparentemente appoggiò il progetto aveva altri sogni personali ed altri non amavano imbarcarsi in un’avventura che richiedeva coraggio, soldi e personale e soprattutto appoggio forte da parte del “governo centrale”.

Ora, leggendo il “diario” del prete vicentino, pubblicato solamente da poche settimane, vengo a scoprire che l’ideatore e il realizzatore di questo progetto innovativo è stato proprio lui, don Didimo Mantiero, il sacerdote che papa Ratzinger ha definito “uno dei più grandi parroci del nostro tempo”. I profeti parlano anche da morti.

Don Didimo Mantiero

Avevo letto sul quotidiano “L’avvenire” la presentazione del un diario di un prete vicentino, nato nel 1912, che dopo essere passato per alcune piccole parrocchie della diocesi di Vicenza, terminò la sua vita come parroco a Bassano del Grappa. Leggendo la critica rimasi immediatamente incuriosito, sia perché il discorso sui diari dei preti, scritti a scopo pastorale, mi interessano perché ho modo di confrontarmi su una materia che mi impegna ogni settimana, sia perché nella presentazione si parla di un prete e di uno scritto che ha come punto di riferimento e di confronto le opere di due scrittori importanti, Bernanos, col suo “Diario di un curato di campagna” e Guareschi col suo “Mondo piccolo”, che racconta la vicenda di don Camillo, il parroco di Brescello.

Secondo motivo a suscitare il mio interesse sono le parole con le quali il Papa attuale Ratzinger, definisce don Didimo Mantiero, il protagonista di questo diario, affermando che egli è una delle figure più belle di parroco del nostro tempo e quelle di monsignor Giussani, il notissimo educatore di giovani, fondatore di “Comunione e liberazione”, che definisce questo umile parroco come un grande pedagogo del nostro tempo, che sorretto da una fede forte e generosa, affronta il difficile compito di educare la gioventù attuale.

Partendo da queste premesse avevo deciso di comperarmi il volume, sennonché un caro amico mi ha preceduto donandomelo, avendo intuito che ne sarei stato interessato.

Ho cominciato a sfogliarlo e sono stato così preso da questa figura pressoché indefinita di sacerdote, che ho avuto subito la tentazione di sospendere le letture in cui ero impegnato per leggere il racconto pulito, limpido, immediato e profumato di apparente ingenuità, ma anche di un sano realismo e di fede forte che anima il racconto di questo prete della pedemontana.

Per mettere a fuoco il “diario” e il suo autore, ne riporto una mezza paginetta, certo che presenterà in modo più autentico questo prete vero e fedele discepolo di Gesù a mia edificazione e a quella dei miei amici.

Mi misi in testa che proprio io, pretino da pochi mesi, dovevo avvicinare e convertire quella specie di bestione che era stato e continuava a essere lo spauracchio dei frati e dei preti.
Fatti i miei piani, da bravo sacerdote, li manifestai al Signore Gesù.
Andavo a trovarLo nelle ore in cui la chiesa era deserta e mi prendevo la confidenza di salire i gradini dell’altare.
Toccavo con riverenza, ma con la semplicità del fanciullo, il rosso conopeo, lo baciavo, quasi fosse stato, quello, un lembo della veste del Signore. Poi con l’indice della mano destra davo leggeri e confidenziali colpettini alla porta del tabernacolo, non so se per chiedere permesso o se per «svegliare» il Signore in riposo, e Gli parlavo così:
«Gesù, stammi a sentire. C’è un grosso affare in vista.
C’è l’anima di quel grosso peccatore da convertire: Vuoi, Signore, che facciamo l’affare? A cose fatte, io Ti lascerò l’anima del signor X e Tu mi lascerai la soddisfazione di avertela portata.

Eppure un prete così candido ha convertito una città e messo in piedi una struttura veramente grandiosa.