La giustizia ingiusta

La recente sentenza della Consulta, che ha stabilito che anche le scuole paritarie, ossia quelle gestite da parrocchie o da enti religiosi e riconosciute dallo Stato dovranno pagare ICI e IMU, non solo mi ha irritato ma mi ha anche indotto ad un rifiuto radicale verso questi alti magistrati che nei momenti critici, nei quali persone di buona volontà e di retto sentire sono impegnate fino allo spasimo per tenere a galla la barca nazionale che fa acqua da tutte le parti, senza scomporsi e comportandosi come se fossero in possesso della verità assoluta iniziano a menare picconate aprendo ulteriori falle che non possono sortire altro effetto se non quello di aiutare la barca ad affondare più velocemente. Questo è avvenuto recentemente per le pensioni ed avviene ora per la scuola cattolica.

La cosa mi riguarda in generale come cittadino di questo Paese ma soprattutto in maniera più specifica perché per trentacinque anni mi sono impegnato, fino allo spasimo, per trasformare il vecchio asilo infantile di Carpenedo nel moderno ed avveniristico “Centro Polifunzionale per l’Infanzia: Il Germoglio” di Via Ca’ Rossa. Ebbene quella scuola era di gran lunga all’avanguardia con lo zoo, il giardino botanico, la casetta per le feste, il trenino e l’asilo nido. Questa struttura è costata al Comune e allo Stato meno di un terzo di quanto allora si spendeva per realizzare una scuola pubblica per l’infanzia e oltretutto i genitori della nostra scuola d’eccellenza, che pagavano una retta modesta, erano costretti a pagare anche una quota ben più onerosa da destinare alla scuola pubblica di cui non usufruivano.

Prima di fare ulteriori commenti sugli alti gradi della magistratura, che dovrebbero essere i garanti supremi della giustizia, voglio far notare che, mentre la povera gente gode di stipendi da fame, loro non si vergognano di percepire stipendi più che lauti di cui loro stessi definiscono l’importo. Sono quanto mai triste nel fare queste considerazioni e non posso fare a meno di ritornare con il pensiero ai martiri di questa categoria: Livatino, Chinnici, Falcone, Borsellino e tantissimi altri e sono anche convinto che i giudici che lavorano in silenzio e fanno il loro dovere di servitori dello Stato siano la maggioranza. Detto questo ho la sensazione che nelle alte sfere di questa categoria si annidino magistrati che, ispirandosi a vari settori della politica e della finanza, usano la Giustizia in maniera partigiana e faziosa per far prevalere soluzioni che non hanno nulla a che fare con il bene del Paese.

Scopa nuova

Sono sempre stato convinto che i proverbi ci trasmettano esempi di saggezza popolare perché nascono da esperienze di vita vissuta. A leggere il Gazzettino pare che la nuova Amministrazione di Venezia manifesti almeno inizialmente una certa intraprendenza. C’è un proverbio che afferma: “Scopa nuova, scopa bene”, dobbiamo però anche avere un pizzico di prudenza ed attendere ulteriori conferme per non rischiare di rimanere delusi. Sempre rifacendomi ai proverbi ce n’è uno che dice: “Meglio poco che niente”, per fortuna però ce n’è anche un altro, più incoraggiante, al quale voglio aggrapparmi per poter almeno sperare: “Chi ben comincia è a metà dell’opera”.

In questi giorni, dovendo transitare più volte al giorno per l’incrocio della piazza di Carpenedo, ho avuto modo di vedere che i lavori per la rimozione di quel terribile acciottolato, che scuote l’auto come un terremoto, sono iniziati. A quanto mi si dice pare che in un paio di settimane i lavori saranno ultimati e tutto verrà sistemato.

Qualcuno dirà: “È ancora poco”, è vero però è qualcosa. Partendo da questa parziale constatazione positiva mi è venuto da pensare, rifacendomi all’auspicio che ho manifestato in questa rubrica prima delle elezioni quando ho scritto: “Spero che il Patriarca, preceduto dalla Croce astile e seguito dal clero e dal popolo veneziano, si rechi da un imprenditore affermato e possibilmente onesto per pregarlo di donare alcuni anni della sua vita per rimettere in sesto la nostra città”. Per quanto riguarda la scelta di un professionista piuttosto che di un politico il Signore mi ha esaudito mentre per quanto riguarda la sua onestà e la sua capacità, per non restare deluso, preferisco aspettare ancora un po’ ad esprimere giudizi. Spero anche che il Signore continui ad ascoltarmi suggerendo a Brugnaro di tirare dritto, di tenersi lontano dai cattivi compagni annidati tra i politici, nei sindacati e nei vari comitati e di procedere, anche se con prudenza, applicando quelle leggi del buonsenso e della corretta amministrazione che per tanti anni, a Venezia, sono state disattese.

La lezione di don Fausto

Ho avuto modo di affermare molte volte che qualsiasi società ha un’estrema necessità di campioni, di santi e di martiri che facciano da capi cordata nell’aprire vie nuove verso la vetta e che dimostrino, con la loro vita e con la loro esperienza, che è possibile farlo per aiutare i meno esperti a raggiungerla. Quest’esigenza è importante in tutti i settori della vita umana e a maggior ragione lo è per la pastorale e per la vita parrocchiale. Poter disporre di questi campioni come guida e come punto di riferimento nella nostra esistenza è un dono del cielo e, grazie alle loro doti naturali, al loro impegno e grazie anche ai “maestri” che a loro volta hanno avuto la fortuna di incontrare, essi diventano “mosche cocchiere” per chi è meno dotato e per chi è talmente pigro da autogiustificarsi affermando che certe mete sono irraggiungibili.

Qualche tempo fa ho avuto l’occasione di leggere l’Annuario redatto da Monsignor Fausto Bonini che fino a pochi mesi fa, prima di diventare pensionato, era il parroco della comunità cristiana di San Lorenzo, il Duomo di Mestre. Questo testo mi ha offerto un progetto pastorale tanto innovativo, avanzato e all’avanguardia da consigliarne la lettura ai miei confratelli e da suggerire a don Fausto di inviarne copia a tutti noi sacerdoti anche se lui, probabilmente per comprensibile modestia, non ha aderito alla mia richiesta.

Partendo da questo spunto, stimolato dal contenuto della corposa busta con i bollettini parrocchiali della diocesi, oggi non posso esimermi dal sottolineare quanto questi periodici, che normalmente sono poveri di contenuti, durante l’estate lo siano ancor di più. Ricordo ancora quando don Fausto curava settimanalmente “La Borromea” che costituiva un messaggio ed una testimonianza fatta quasi esclusivamente da immagini, soluzione quanto mai coerente al modo di trasmettere messaggi dei nostri giorni. Alla Borromea affiancava, con scadenze varie, “Piazza Maggiore” un giornale-rivista nel quale offriva un dibattito condotto da giornalisti qualificati sui problemi attuali della città e della Chiesa di Mestre. Sono le soluzioni di questo genere ad essere efficaci e innovative nello stimolare un dialogo con la parrocchia e con la città.

Meglio tardi che mai!

Salvini, volgare, sfrontato e a caccia di voti a qualunque costo come sempre, all’invito di Papa Francesco di “non voltarci dall’altra parte” nei riguardi dei profughi ha detto che se al Pontefice stanno tanto a cuore questi poveri grami può portarseli in Vaticano. Penso che anche Salvini legga i giornali e guardi la televisione e quindi sappia come il nostro Papa non viva da sovrano ma si sforzi in ogni occasione di comportarsi come un servo. Ritengo opportuno evitare di ritornare sui suoi modi di essere sia perché ne ho già parlato molte volte sia perché sono convinto che tutti conoscano ed apprezzino i comportamenti del nostro amatissimo e caro Pontefice. Credo che anche Salvini abbia saputo che il Papa ha invitato i preti, le suore e le diocesi che hanno conventi, monasteri e seminari vuoti ad aprirli ai profughi. Purtroppo però non tutti i preti, i frati, le suore e i vescovi sono come il Papa.

Io, da impertinente quale sono sempre stato, ho “mandato a dire” al Papa, attraverso “L’incontro”, di non limitarsi a rivolgere inviti ma di impartire l’ordine, ad ogni parroco d’Italia, di mettere a disposizione uno o più appartamenti, in funzione della grandezza della parrocchia, per una o più famiglie di profughi. Tutti gli enti religiosi, sia grandi che piccoli, potrebbero fare un gesto come questo. La stampa finora non ha diffuso la notizia che il Papa abbia impartito questo ordine e per questo sono convinto che o il segretario di Papa Francesco si è dimenticato di passare al Pontefice quel numero de “L’incontro” oppure che i preposti degli enti religiosi, dopo aver ricevuto l’ordine, abbiano fatto orecchie da mercante ed abbiano preferito limitarsi a parlare della santa virtù della carità invece di praticarla.

Desidero però che si sappia che io non mi tiro mai indietro e in questi frangenti mi domando: “Ed io cosa posso fare?”. Pur non essendo il responsabile dei Centri Don Vecchi ho insistito affinché la Fondazione destinasse a questo scopo un piccolo appartamento che abbiamo ereditato ma, poiché è molto malmesso, la direzione ha pensato che quella sarebbe stata una carità pelosa. Il consiglio di amministrazione della Fondazione ha preferito mettere a disposizione della Protezione Civile due alloggi, in uno dei cinque centri Don Vecchi, da destinare ad anziani che abbiano avuto la casa disastrata dal tornado che ha colpito la Riviera del Brenta. L’offerta è stata un po’ tardiva ma comunque fortunatamente c’è stata e una volta ancora è valido il motto: “Meglio tardi che mai!”. Ora sto aspettando di apprendere cosa faranno Salvini e la sua Lega.

Oggi, missionari a casa nostra

Una ventina d’anni fa, non ricordo come, conobbi una vecchia suora che da una vita era missionaria in un paese africano ed ho mantenuto con lei una fitta corrispondenza. Oggi le suore sono qualificate, conseguono titoli di scuola superiore e prima di partire per le missioni si specializzano con corsi di formazione mentre un secolo fa, quando quella ragazza del nostro Veneto partì per le missioni, penso che al massino avesse conseguito l’attestato di terza elementare. Il fatto poi di essere rimasta in Africa per vari decenni aveva talmente imbastardito il suo italiano, già inquinato dal nostro dialetto, che le lettere che ci scriveva erano di una povertà assoluta sia per i vocaboli che per la grammatica e per la sintassi. Le lettere di quella santa creatura, che avevo fatto conoscere alla parrocchia come “la vecchierella di Dio”, erano però lettere che toccavano il cuore e trasmettevano la sua sconfinata passione per le anime. Questa vecchia missionaria, morta a più di novant’anni in Africa perché non si volle staccare dai suoi poveri indigeni, da un lato ci illustrava come spendeva le nostre offerte: fagioli secchi, sale e altri generi di prima necessità e dall’altro ci parlava con tenerezza delle decine e decine di adulti che si preparavano a ricevere il Battesimo ad una scuola dove l’insegnante era questa vecchia suora quasi illetterata ma con una laurea in fede e generosità conseguita con centodieci e lode.

In questi giorni sto leggendo la biografia di un’altra “suora” senza voti e senza tonaca: Madeleine Delbrêl che ha speso la vita nei sobborghi più scristianizzati di Parigi; una donna di Dio, fine intellettuale e una mistica impegnata nel sociale, quasi per nulla preoccupata di convertire e di battezzare e talora perfino in contrasto con l’apparato ecclesiastico ma attentissima al discorso politico dei responsabili dei quei quartieri dominati dal marxismo ed ancor più impegnata a testimoniare con la sua vita Gesù Cristo. L’unica sua preoccupazione fu quella di ascoltare tutti, di amare tutti, di dialogare con tutti ma soprattutto di vivere in una intimità così profonda con il Cristo affinché la sua gente, che amava più di se stessa, potesse vedere ed incontrare nella sua persona e nella sua umanità Gesù di Nazareth, il figlio di Dio. Due testimonianze da Vangelo tanto diverse però entrambe vere e autentiche e soprattutto capaci di mettersi in assonanza con gli uomini del tempo e del luogo dove hanno testimoniato Gesù. Oggi penso che la gente accetti e capisca maggiormente la Delbrêl che la “vecchierella di Dio” però ambedue sono state un ostensorio del Cristo.

Creare opinione pubblica

L’affermazione di Joseph Goebbels, ministro della propaganda del Terzo Reich, che sosteneva che le notizie anche puramente inventate, quando vengono ripetute più volte, diventano “verità”, temo purtroppo sia vera.

La presa che hanno sull’opinione pubblica le campagne pubblicitarie di vari beni e servizi condotte attraverso i media, soprattutto quando, utilizzando messaggi ingannevoli, millantano vantaggi o effetti mirabolanti, ne è la prova più eclatante.

Mio fratello, don Roberto, in questi giorni ha scritto un trafiletto sul settimanale della sua parrocchia, scritto che ho deciso di pubblicare su uno dei prossimi numeri de L’Incontro perché quanto mai interessante, in cui afferma che i mass-media per motivi di lavoro e di cassa sono talmente asfissianti nel ribadire certe notizie che finiscono, non solo per farcele percepire come vere e interessanti ma riescono anche a far sì che spesso le persone si carichino sulle spalle dei fardelli amari e pesanti di cui avrebbero fatto volentieri a meno. In questi giorni di afa i mass-media hanno così tanto insistito nel parlare di questo sole rovente da farci credere che il caldo sia ancora più micidiale. Io però tento di far tesoro in positivo di questa “legge di mercato”, tanto da parlare frequentemente di solidarietà nella speranza che piano piano possa passare la convinzione che sia non solo giusto ma anche necessario aiutarci vicendevolmente.

Credo che ci sia del vero in questa “legge di mercato” e la miglior conferma è la generosità che ha consentito di realizzare i Centri Don Vecchi. Sono convinto che fortunatamente questa “semina” stia producendo ancora frutti infatti non passa giorno che, nelle occasioni e per i motivi più disparati, qualcuno non mi offra qualcosa “per le sue opere” perché sicuro che l’offerta andrà a buon fine. Spesso ringrazio frettolosamente e con estremo imbarazzo.

Oggi, riflettendo su questa realtà, sento il bisogno di esprimere a tutti questi benefattori, grandi e piccoli, il mio grazie più sentito e di ripetere loro che hanno fatto e stanno facendo la scelta più giusta. Oggi Mestre dispone di quattrocento appartamentini per gli anziani meno abbienti. Lo scorso maggio abbiano inaugurato sessantacinque alloggi per anziani in perdita di autonomia e a pochi mesi di distanza siamo al tetto di altri sessantacinque alloggi per le criticità abitative. Spero che la scoperta delle leggi di mercato per una volta dia frutti positivi.

Annotazioni feriali

Tanto tempo fa ricordo di avervi parlato di un evento che, anche se apparentemente marginale, mi ha indotto a riflettere. Un’anziana signora della mia vecchia parrocchia era solita sedersi su un banco in fondo alla chiesa, assorta nei suoi pensieri ma anche attenta a quello che avveniva attorno a lei.

Un giorno in cui era sola soletta mi misi a sedere al suo fianco e le domandai quale fosse la sua preghiera preferita e che cosa dicesse al Signore nel lungo tempo che trascorreva solitaria in silenzio. Mi rispose con un certo spirito: “Mi spiace di deluderla don Armando, recito sì qualche Ave Maria per me e per i miei cari però mi piace anche osservare quello che avviene in questo luogo sacro apparentemente sempre silenzioso e pressoché statico ma che in realtà per me rappresenta quasi un “teatrino” che mi interessa e mi diverte” e cominciò a snocciolarmi i comportamenti dei fedeli che entravano e uscivano dalla chiesa. C’era la vecchietta che per accendere una candela infilava nella cassetta una serie infinita di centesimi, quasi si beasse del suono che producevano sulla lamiera; c’era l’altra che accarezzava la statua di Sant’Antonio con una tenerezza struggente; c’era qualche ragazza, a suo dire scostumata, che veniva in chiesa con un abito senza maniche; c’erano alcune amiche che tornando dal mercato entravano per riposarsi e poi finivano con conversare senza tregua.

Ho capito allora perché si divertisse tanto con quel “teatrino” particolare e da quel giorno ho imparato anch’io a “divertirmi” nell’osservare la vita dei miei coinquilini apparentemente monotona e normale ma, osservando attentamente, varia ed interessante. Ci sono le vecchie nonne che ogni giorno partono, come se fossero stipendiate, per vigilare i nipoti; ci sono ospiti che si recano nei vari “empori” del Don Vecchi per fare acquisti di frutta, verdura e generi alimentari a buon mercato; ce ne sono altri che fanno il giretto nell’interrato per curiosare tra i vestiti e osservare i clienti; ce ne sono altri ancora che passano l’intero pomeriggio a chiacchierare nella piazzetta a nord e altri molto affezionati al bar per non parlare poi delle chiacchiere lungo i corridoi intasati dai relativi deambulatori oggi tanto di moda. Non parrebbe ma, nel teatrino nel quale ogni giorno vanno in scena, i comportamenti dei trecento residenti costituiscono un diversivo quanto mai vario ed interessante per chi ha paura di annoiarsi e non sa come passare il tempo!

Una bellissima notizia

Papa Roncalli, quando era Patriarca di Venezia, ci suggeriva, usando una sentenza latina, come era solito fare, “Nulla dies sine linea” con cui pressappoco voleva intendere: “Prendete appunti ogni giorno su qualcosa di buono che ha caratterizzato la vostra giornata”. Il Patriarca Roncalli infatti ottimista e santo, era quindi portato ad interpretare qualche particolare evento della giornata in maniera positiva e come un segno della benevolenza del Signore. Chi ha letto “Il giornale dell’anima”, quello splendido volume che raccoglie riflessioni, appunti e propositi di questo santo vescovo, ha avuto modo di constatare come egli ogni giorno trovasse il modo di scrivere qualche riga per mettere in luce la benevolenza di Dio e la Sua Provvidenza. Talora le riflessioni vertevano su qualcosa di positivo e talaltra su qualcosa di amaro ma, in ogni situazione egli, alla luce della fede, coglieva aspetti che lo aiutavano a credere e a sperare nonostante tutto. Io ho imitato in qualche modo il mio Patriarca con i miei “diari” però essi purtroppo non sono contrassegnati da quella speranza e da quella santità caratteristiche di questo uomo di Dio.

Vengo al perché di questa lunga premessa che contiene comunque un messaggio, confidando ai miei amici che, seguendo l’insegnamento di colui che poi sarebbe diventato Papa Giovanni XXIII, dovrei contrassegnare la data di oggi con un “albo lapillo”, cioè con un sassolino bianco, perché è stata una giornata quanto mai positiva. Chi legge le mie riflessioni conosce il mio sogno di aprire un ristorante popolare per le persone che vivono in ristrettezze economiche. Riassumo gli eventi per arrivare poi al motivo di questo mio discorso. Avevo letto che l’imprenditore milanese Ernesto Pellegrini offre ogni giorno mille pasti al costo di un euro ai milanesi in difficoltà e così mi sono chiesto perché il “Catering Serenissima”, che prepara ogni giorno i pasti per i residenti dei Centri Don Vecchi e per altre duecentomila persone in Italia e nel mondo, non potrebbe fare altrettanto offrendo almeno cento coperti per famiglie che vivono in condizioni disagiate? Ho deciso quindi di scrivere una lettera a Mario Putin, il Presidente di questa holding della Ristorazione di Vicenza e questa mattina ho incontrato suo figlio che mi ha confermato la loro adesione all’iniziativa. Memore dell’insegnamento di Papa Roncalli che suggeriva “nulla dies sine linea” ho riportato, a caratteri d’oro, sul mio diario: “Oggi 21 luglio 2015 è un bellissimo giorno anche se la temperatura supera i quaranta gradi all’ombra!”

Il Papa tira dritto!

Con il passare del tempo ho sempre più l’impressione che il Papa abbia le idee chiare sul modo di condurre la Chiesa, idee ben diverse da quelle a cui ci avevano abituati. Nei rapporti con la gente può apparire quasi come un vecchio parroco di campagna che si rapporta e guida la comunità cristiana con il cuore e con lo stile di un buon nonno ma in realtà mi pare sia quanto mai determinato a realizzare obiettivi che non si rifanno ad una Chiesa fatta di riti e di buone parole ma ad una Chiesa che si ispira, in maniera radicale, al Vangelo. Questa determinazione nel guidare la “barca di Pietro” si manifesta, in primo luogo, nel suo modo di vivere che esalta l’umanità e demolisce quella sacralizzazione che ha fatto del Papato, della Chiesa e della religione qualcosa di arcano e di estraneo al sentire e al vivere della gente comune. Ritengo quindi quasi superfluo ricordare, ancora una volta, alcuni dei suoi comportamenti che sono insiti nel suo modo di essere e non rappresentano un facile simbolismo: salutare con il buon giorno, la buona sera ed augurare buon pranzo; portare la sua borsa nera da viaggio; vestire una tonaca bianca che lascia intravvedere i pantaloni, le bretelle, e le scarpe da supermercato e usare l’utilitaria. Mi pare ancora più superfluo ricordare il Papa che sale in autobus con gli altri passeggeri, che prende personalmente il cibo al self service e il Papa che in ogni viaggio apostolico pretende di visitare una baraccopoli o una periferia, ecc.

Nei suoi interventi inoltre non si lascia mai andare a misticismi siderali ma è sempre concreto, basti ricordare i quindici rilievi, molto puntuali, rivolti a cardinali e vescovi; le raccomandazioni fatte ai preti, per esempio quelle di non cambiare autovettura ogni due giorni e di vivere con il “gregge” tanto da sposarne perfino l’odore. Mi sembra poi intenzionato a procedere con determinazione nei confronti dei responsabili della Banca Vaticana, dei preti pedofili, delle nomine dei cardinali, non più legate a sedi storiche quali Torino o Venezia e a conferma di questo ieri ho colto la classica ciliegina sulla torta con la nomina a vescovo di Padova di un semplice parroco di Mantova. Credo che se il Papa continuerà su questa strada non subiremo più le deformazioni causate dalle lauree delle università romane e dalle immutabili consuetudini curiali ma avremo invece pastori che hanno fatto la gavetta in parrocchia e hanno imparato il mestiere andando a “bottega”. Bravo Papa Francesco! Era ora!

In memoria di un benefattore

Un paio di settimane fa ho ritenuto opportuno, anzi doveroso, dedicare la copertina de “L’incontro” alle vacanze dei preti. Ricordo di aver scritto nella didascalia, sotto la foto di una lunga fila di ragazzi che camminano lungo un sentiero dell’Altopiano di Asiago, che ci sono preti che durante i mesi estivi girano il mondo ma che, per fortuna e per grazia di Dio, ci sono anche tanti altri preti che si dividono tra la parrocchia, gli scout accampati sotto le tende e i ragazzi che frequentano i campi scuola nella struttura parrocchiale in montagna.

Don Gianni, il mio secondo successore in parrocchia, è certamente uno di questi ultimi e a fine “vacanze”, ogni anno per la fatica, si riduce a una lisca di pesce. Durante le vacanze nella parrocchia di Carpenedo tra i quattrocento e i cinquecento ragazzi trascorrono dei “giorni magici” in montagna accanto alla testimonianza di un prete che resterà indissolubilmente legato ai ricordi più belli di questa stagione della loro vita. In questi giorni don Gianni era con il secondo turno di ragazzi alla “Malga dei Faggi”, l’incantevole casa di montagna a milleduecento metri di altitudine tra Agordo e Fiera di Primiero e, quando gli ho telefonato per un’incombenza al Don Vecchi, i ricordi di quella bella avventura pastorale mi hanno avvolto in un abbraccio dolcissimo.

Su segnalazione di non ricordo chi, trent’anni fa sono andato con don Gino e don Adriano a vedere una vecchia casera sepolta sotto un metro di neve per un eventuale acquisto: la comprai per dodici milioni, pari a centoventimila euro di oggi. Ricordo con infinita riconoscenza il restauro del carissimo geometra Giorgio De Rossi, che trasformò la “casera” in una casa di montagna super che nei “tempi eroici” offriva settanta posti letto. Ricordo ancora le meravigliose donne della parrocchia che si sono alternate alla cucina, tra le tante la Maria Antonietta Battistella che per molti anni fu la direttrice ma in realtà sono state più di due-trecento a susseguirsi per sfamare brigate di ragazzi. Devo poi infìnita riconoscenza a Gabriella e Giorgio Tiozzo che per trent’anni hanno curato la “Malga dei Faggi” ancor meglio del loro appartamento. Sono dodici anni che non salgo più la ripida stradicciola che porta al piazzale della malga e forse non ci tornerò mai più. Tutti mi dicono che la malga è ancora tanto bella però nei miei ricordi è molto più bella così come sono stupendi i volti delle migliaia di ragazzi, di animatori e di volontari che fecero di quella casa un punto di riferimento per tutta la parrocchia.

La mia fortuna

Quando ero cappellano a San Lorenzo mi fu affidata la cura della San Vincenzo e questa associazione in pochi anni è diventata come un pesco o un melo tutto in fiore. Oltre alle avventure della mensa dei poveri, del mensile “Il Prossimo”, delle vacanze degli anziani e dei ragazzi, dei concorsi per ragazzi sulle tematiche della solidarietà, della San Vincenzo in ospedale e dei servizi: magazzino dei vestiti, docce, barbiere ed altro ancora riuscimmo a dar vita ad un gruppo, che nello stile vincenziano chiamavamo “conferenza”, che si occupava esclusivamente dei poveri di Ca’ Emiliani. A quel tempo con questo gruppo abbiamo creato perfino un dopo scuola estivo per i ragazzi e aiutavamo anche gli abitanti delle baracche, il piccolo borgo della miseria che ora fortunatamente non esiste più. Con quel gruppo ho imparato che l’educazione e le esperienze della fanciullezza e dell’adolescenza sono determinanti per la maturazione di una persona. Compresi allora che da quella situazione di degrado morale, abitativo e sociologico era pressoché impossibile che nascessero personalità pulite, oneste, dedite al lavoro e rispettose delle leggi della buona convivenza.

Qualche giorno fa, ricordando queste vicende ormai lontane, mi sono chiesto: “A chi devo la mia personalità, il mio modo di pensare e di concepire la vita?”. Mi sono ritornate alla mente le istituzioni e soprattutto le persone alle quali devo tutto. Il papà sognatore e ricco di ideali; la mamma concreta e generosa così da dare tutto di sé; don Giuseppe Callegaro, il prete della mia fanciullezza, cordiale, sorridente ed affettuoso; don Nardino Mazzardis, il sacerdote nato in un paese disperso nella campagna, lucido, intelligente, fu lui il prete che costruì la mia coscienza ed innescò la scelta di farmi sacerdote; monsignor Umberto Mezzaroba, parroco della mia adolescenza e successivamente parroco delle mie prime esperienze pastorali, un prete di una fede assoluta e di una passione autentica per le anime; don Giuliano Bertoli che mi inserì nel mondo giovanile mediante gli scout; monsignor Aldo Da Villa, mio parroco a San Lorenzo che mi offrì una testimonianza maschia e forte del pastore di anime; monsignor Valentino Vecchi, prete dalle infinite iniziative che aprì il mio animo alla città e alla Chiesa che cammina. A queste figure vicine devo aggiungere anche quelle ideali come Papa Pio XII, Paolo VI, Papa Giovanni Paolo II e i miei Patriarchi: Agostini, Urbani, Roncalli, Luciani, Scola e i preti che mi fecero sognare una Chiesa bella, libera, povera, da Vangelo come Don Milani, don Mazzolari e Padre Turoldo. A questi preti e vescovi devo molto per tutto il bene che mi hanno fatto e per questo li ringrazio e prego per loro.

Una seduta di consiglio che mi ha fatto felice

Molte volte, in passato, ho sentito dire che certi preti, anche se avevano ottenuto buoni risultati nella loro attività pastorale, per la volontà di rimanere abbarbicati alla loro sedia e soprattutto per la scarsa fiducia nelle nuove generazioni, hanno finito per distruggere quello che avevano costruito. Ora questo pericolo non c’è quasi più perché una norma ecclesiastica stabilisce che i parroci diano le dimissioni a settantacinque anni, cosa che ho fatto con convinzione sia per obbedire alla norma, sia perché temevo che le mie attività implodessero a causa della mia fragilità ma soprattutto perché convinto che “il domani nasce dove i giovani pongono gli occhi”.

Oggi l’evoluzione è molto rapida ed è facilissimo essere sorpassati, sono perciò contento delle scelte che ho fatto e, anche se ho continuato a fare il prete a tempo pieno, l’ho fatto però in settori meno impegnativi. Ho offerto collaborazione al mio successore don Gianni e quando mi ha chiesto un aiuto ho risposto ben volentieri, purtroppo però le sue emergenze più assillanti provengono dal settore giovanile, ambiente in cui sono ben cosciente di essere ormai fuori corso. Per quanto riguarda i Centri Don Vecchi, le cose sono andate diversamente. Ho scelto di ritirarmi dall’impegno attivo perché ho pensato che, se volevo che queste iniziative di ordine solidale avessero un domani, era indispensabile che fossero affidate ad un giovane in grado di farsi le ossa con l’esperienza. Avrei potuto continuare, e forse ne avrei avuto la possibilità, però vi ho rinunciato consapevolmente anche se mi è costato; ora mi limito a suggerire, stimolare, criticare senza decidere. Sono contento nel vedere che il mondo continua bene anche senza di me.

L’altro ieri sono stato agli Arzeroni e la struttura del “Don Vecchi 6”, che non è destinata agli anziani e quindi forse dovrebbe avere un altro nome, è già arrivata al tetto e la disponibilità economica molto probabilmente consentirà di portarlo a termine. In tutta onestà devo dire che anche se sono stato io a “concepirlo” a realizzare l’opera sono stati altri. Questo non mi dispiace anzi mi fa felice e mi fa sperare che la nuova struttura, destinata alle criticità abitative, non rappresenti la fine ma solo una tappa del tentativo di trasformare Mestre, attraverso un nuovo servizio per i cittadini in difficoltà, in una città solidale.

“La luna di miele”

La tradizione popolare definisce il periodo immediatamente successivo alle nozze “luna di miele” perché per i giovani sposi è considerato un tempo in cui tutto è facile, bello e inebriante. Soltanto dopo queste prime settimane avviene l’impatto con la vita reale che non è sempre facile. Nella vita politica e nella pubblica amministrazione spesso si tenta di dare un giudizio sull’attività di chi è stato eletto basandosi su quanto fatto nei primi cento giorni del suo impegno politico. Questi tre mesi sono comunque troppo pochi per poter giudicare il passo e le iniziali prese di posizione di un’amministrazione di un grosso ente come il Comune di Venezia che credo conti ben quattrocentomila abitanti.

È pur vero che Brugnaro, il nostro nuovo sindaco, durante la campagna elettorale, ha affermato che se avesse vinto le elezioni si sarebbe chiuso a chiave in municipio per esaminare, con i tecnici del Comune e con altri esperti, ogni dettaglio dei conti e delle attività comunali per mettere a punto il programma attuativo in grado di tradurre in fatti concreti il progetto proposto ai cittadini durante la campagna elettorale. Che i primi cento giorni di governo di Brugnaro e della sua giunta non corrispondano alla luna di miele è fin troppo chiaro perché è più che evidente invece che essi corrispondano ai primi cento passi della via dolorosa che fatalmente conduce alla croce, comunque finora, per quanto emerso dalla stampa cittadina, di questo conclave non è uscita alcuna notizia.

Non mi resta che invocare il buon Dio che illumini i nostri amministratori affinché cerchino, trovino e applichino soluzioni radicali anche se amare ed impopolari che ci evitino di ridurci come i Greci. Il parroco di Viale San Marco, don Natalino Bonazza, ha scritto sul periodico della sua comunità che a noi preti e alle nostre comunità spetta il compito di pregare e io sono d’accordo con lui però credo anche che sia doveroso incalzare i nostri amministratori perché non continuino a fare anch’essi un’allegra, pavida e debole amministrazione da populisti come finora è quasi sempre accaduto.

Rassegna stampa

È morto più di un anno fa un signore di Viale San Marco, che di propria iniziativa, senza che qualcuno glielo avesse mai chiesto, ogni settimana prelevava, da uno dei nostri punti di distribuzione de “L’incontro”, un numero consistente di copie del periodico e lo distribuiva nelle chiese e nei conventi di Venezia. Ricordo che la Superiora del Convento delle Carmelitane Scalze di Cannareggio un giorno mi telefonò e mi espose il suo problema parlandomi come se mi conoscesse personalmente da molto tempo. Io mi stupii perché non sapevo neppure che questo convento esistesse ma poi capii quando mi disse che ogni settimana leggeva “L’incontro”.

Il signore di Viale San Marco, non solo distribuiva il nostro periodico ma mi faceva anche avere il bollettino parrocchiale delle varie parrocchie di Venezia. Con tristezza devo confessare che in merito ai periodici parrocchiali se a Mestre non si brilla a Venezia non c’è quasi nulla: una vera desolazione!

Da qualche mese, anche questa volta senza che io abbia fatto alcuna richiesta, una signora, avendo letto su “L’incontro” del mio interesse per questi “mass-media di casa nostra”, ogni settimana me ne fa pervenire un discreto malloppo e questo campione mi offre una panoramica sulle attività delle varie parrocchie veneziane.

Quando apro la grossa busta che contiene i vari periodici mi si stringe il cuore perché avverto odore di muffa, di tradizione, di conservazione e di rassegnazione. Possibile che non ci sia uno scatto d’impegno e una presa di coscienza che il novanta per cento della popolazione della nostra città incontra il Cristo solamente attraverso quello che scrivono i giornali cittadini, che oltretutto prediligono la “cronaca nera” anche per le notizie che riguardano la Chiesa e la religione? Leggendo il volume sulla Delbrêl, ho appreso che, almeno da mezzo secolo, la Chiesa francese pensava a preti missionari in patria. Quanto mi vien da sognare che una seppur piccola equipe diventi anche nella nostra diocesi un’avanguardia cristiana in grado di stimolare ad una presenza più vivace ed attiva.

Un’interprete attuale

Quante volte ho detto e scritto che l’uomo ha bisogno di campioni. Il campione è colui che dimostra, al di fuori di ogni dubbio, che è possibile raggiungere un obiettivo. Guai a noi se non ci fossero dei campioni perché se non ci fossero o se non fossero in grado di dimostrare di essere tali con i fatti saremmo in un mondo di uomini mediocri, adagiati nella comoda illusione che più di così non si può fare. I campioni offrono questo stimolo per superare la pigrizia, l’indolenza e il quieto vivere in ogni comparto della vita. Nel campo dell’ascesi spirituale i campioni sono chiamati: testimoni, apostoli, santi, ossia uomini e donne che per noi cristiani danno volto fedele ed attuale a Gesù di Nazareth, il Figlio di Dio, che si è vestito della nostra umanità per attestare quale è l’uomo vero e autentico uscito dal progetto e dalle mani del Creatore. Bisogna anche aggiungere che come l’uomo nella sua storia si è evoluto così Egli, pur rimanendo sempre se stesso, cambia volto, stile di vita, movenze e linguaggio. Credo che ciascuno convenga che come uomini e donne di altre epoche, anche se spinti dai medesimi valori ideali, hanno modi di vestire, di parlare, di muoversi e di rapportarsi con gli altri diversi dai nostri, così anche i testimoni e i santi sono più facilmente comprensibili e imitabili se figli dei nostri tempi.

Io ammiro la Chiesa che oggi dichiara santi persone che anche noi abbiamo conosciuto. Avevano ragione i giovani che ai funerali di Papa Wojtyla hanno chiesto: “Subito Santo!”. Sto leggendo attualmente una biografia di Madeleine Delbrêl. Il volume narra la vita, il pensiero e la testimonianza di una ragazza francese, atea radicale, che convertitasi, con un gruppo di amiche sceglie di vivere nei sobborghi della grande metropoli d’oltralpe in comunità dominate dal comunismo nelle quali la Chiesa non riusciva ad entrare e ad incidere. Il libro non è facile e non si lascia leggere volentieri però mi fa bene, molto bene, perché mi aiuta a capire che oggi al cristiano non viene chiesto nient’altro se non far incontrare anche i più lontani con Gesù amando e spendendosi per tutti senza discriminazioni di sorta. Se i cattolici delle nostre parrocchie facessero questo credo che farebbero il meglio che si possa fare per la gente del nostro tempo.