Volontariato nel borgo degli anziani

Mi è voluta una vita intera per capire che le persone rendono di più se si sentono gratificate e provano senso di benessere se si richiede loro quello per cui sono naturalmente portate, mentre se, anche con le migliori intenzioni, s’impone loro qualcosa che non è congeniale con la loro indole, faticano di più, rendono meno e soprattutto lo fanno malvolentieri.

Non è facile però in una comunità scoprire per ognuno il posto giusto!

Entrato al don Vecchi, per convinzione e per necessità, ho cominciato a predicare e a premere perché ognuno collaborasse per il bene comune.

Al don Vecchi si può continuare ad accettare anche le persone con pensioni irrisorie solamente se si può avvalersi della collaborazione volontaria dei residenti e dei, non moltissimi, volontari esterni.

Mosso da questa convinzione ho cominciato a premere in ogni modo perché nascesse questo coinvolgimento e questa collaborazione, ottenendo però risultati più che modesti. E questo era diventato per me incomprensibile tanto da avvertire un sentimento di frustrazione e di impotenza. Poi, venendo a conoscere pian piano l’indole e le propensioni di ognuno, vedo che lentamente ma felicemente le diverse e variopinte tessere del puzzle vanno al loro posto.

Di primo mattino c’è chi porta in casa i pacchi di “Leggo” e de “il Mestre”, c’è chi dispensa i volumi per gli ipovedenti, chi organizza i prelievi del sangue, chi bagna le piante, chi carica gli orologi, chi distribuisce per tutta Mestre “L’incontro”, chi pota le rose, chi prepara le tavole, chi si impegna ai magazzini S. Martino, chi piega i giornali, chi serve al bar, chi va a fare gli acquisti ecc….

Il borgo degli anziani si sta dando un’organizzazione puntuale ed efficace, però con calma, rispetto, pazienza e comprensione.

L’avessi scoperto prima, le cose sarebbero andate meglio anche in parrocchia!

La bellezza e l’importanza del cinque per mille

Ogni tanto anche il governo fa qualcosa di buono!
A differenza di qualche mio confratello penso che il governo di sinistra o di destra, ha decretato che i cittadini potevano finanziare certe istituzioni in cui credono destinando l’8/1000 della tassazione del loro reddito. E ritengo altrettanto giusta quell’altra norma, che nonostante qualche tentennamento è stata riconfermata, ossia che sempre i cittadini possono pure destinare il 5/1000 della tassazione sul loro reddito per una associazione di volontariato che opera nel campo sociale.

Gandhi, il grande pensatore e mistico indiano, ha intelligentemente affermato che lo Stato ideale è quello in cui il governo decide meno per lasciar spazio ai cittadini di farlo direttamente. Gli interventi dei governanti pur avendo essi emolumenti perfino scandalosi, sono quasi sempre interessati!

La trovata del 5 per mille, che permette alle associazioni di volontariato di autofinanziarsi, gestendo in prima persona quella piccolissima e marginale parte di tasse imposta dallo Stato, è stata una soluzione geniale, perché se lo Stato lo facesse direttamente spenderebbe mille volte tanto!

Il guaio è che bisogna convincere i cittadini della validità dei servizi portati avanti da queste organizzazioni di volontariato. A me pare che gli organismi dei quali mi occupo, abbiano tutte le carte in regola. La Fondazione, con il suo servizio per offrire residenza confortevole ed economica agli anziani meno abbienti, mi pare che dovrebbe avere l’appoggio della stragrande maggioranza dei cittadini. Anche “Carpenedo solidale” con i magazzini che forniscono mobili, generi alimentari e supporti per gli infermi, “Vestire gli ignudi” che fornisce indumenti, hanno finalità largamente apprezzabili.

Ora si tratta di impegnarsi a fondo per far conoscere queste iniziative. Spero che i tanti amici mi diano una mano, perché solo così usciremo dall’anonimato. Se tutti coloro ,che direttamente o indirettamente hanno beneficiato di queste tre organizzazioni, ci daranno una mano, dovremmo avere un finanziamento sufficiente.

Lucia ha sposato l’Africa!

Ho sentito parlare molte volte del “mal d’Africa”, una specie di “influenza” che colpisce chi va in quella terra bruciata dal sole, dalla miseria e dalle lotte tribali.

Pare che, chi fa l’esperienza dell’Africa, finisca per essere attratto dalle “sirene” della savana, dalla danza e dal vitalismo della negritudine, tanto da sentire fatalmente il bisogno di ritornarvi.

Credo che mia sorella Lucia, l’infermiera dell’oculistica del vecchio Umberto 1°, abbia preso seriamente ed in maniera cronica il “mal d’Africa”.

Mi pare che mia sorella mi abbia detto che da ben 36 anni ritorna nella missione di Wamba, ove si trova l’ospedale in cui il prof. Rama, per tanti anni, andava ad operare i casi difficili ogni anno e che ha trascinato con sè un numero consistente di altri medici e infermieri.

La situazione è molto cambiata dai tempi dei primi “esploratori”; è morto il prof. Rama, è perita tragicamente la signora Treccani che finanziava l’ospedale e guidava i volontari, il medico milanese gentleman all’inglese, aveva fatto dell’ospedale una ragione di vita; si è sposato con una del posto che pare abbia combinato qualche guaio amministrativo, è stata fatta ritornare in Italia suor Aldina, la missionaria mezza assistente sociale, ma Lucia ci ritorna due o tre volte l’anno. Ora si sta mettendo in proprio riuscendo a racimolare cento, centocinquantamila euro all’anno e finanziando numerosi progetti a livello infantile.

Lucia ha sposato l’Africa, non ne ha risolti i suoi eterni problemi, e sa che non li risolverà mai, però in cambio ha trovato un motivo per vivere, per sognare, per donare un po’ del suo cuore di donna.

Io pure mi sono convinto che il “mal d’Africa” non sia proprio una brutta malattia!

Meglio lasciare tutto ai poveri che a parenti egoisti!

Come ho confessato più volte io mi ritengo un cercatore appassionato degli aspetti nobili e belli della vita umana.

In realtà non passa giorno che non faccia qualche felice scoperta.

Spesso sono dei fiori piccoli ma delicati e gentili e talvolta sono quanto mai interessanti. Questo atteggiamento di attenzione e di ricerca però mi fa scoprire spessissimo anche le cose deludenti del portamento umano. Non parlo di ciò che è reperibile nei giornali perché quasi sempre essi sembrano il letamaio destinato a raccogliere ciò che c’è di più scarto della vita, ma anche vivendo semplicemente il quotidiano ho modo di imbattermi in fatti veramente deludenti e perfino squallidi.

Qualche tempo fa ho celebrato il commiato cristiano per un’anziana signora che non conoscevo. Prima di arrivare alla partenza per il cielo aveva passato settimane e settimane in ospedale, amorevolmente assistita solo da una conoscente che si è prodigata in maniera veramente encomiabile. Mi informai pensando che non avesse parenti, mentre invece ho appreso dell’esistenza di una nuora e di un nipote. La prima si ricordò della mamma del marito defunto partecipando al funerale, forse perché aveva fissato l’appuntamento con il notaio per l’eredità un’ora dopo il commiato. Il secondo neppure si presentò per l’ultimo saluto alla nonna che gli aveva lasciato un patrimonio consistente.

Io comprendo il senso materno e i legami familiari, ma sono convinto che favorire o solamente permettere queste forme di egoismo e di aridità umana sia veramente male.

In casi come questo fare la scelta dei poveri, destinando il patrimonio ad opere di solidarietà, non solamente è comprensibile, ma perfino doveroso.

E’ tempo di bollare l’egoismo con tutti i mezzi dei quali uno dispone!

Con il vil denaro si aiuta il prossimo

Quando dimostravo a Monsignor Vecchi la mia ammirazione per chi aveva aiutato la parrocchia o le opere che da essa erano promosse, egli si dimostrava stupito per la mia riconoscenza per questi benefattori che generosamente mettevano a disposizione denaro, strutture o mezzi e mi faceva osservare: “Macchè, sono  invece loro che mi debbono dire grazie perchè ho dato loro l’opportunità di fare un’opera buona e di guadagnarsi qualcosa per il cielo!”

Io non ho imparato in maniera totalmente decisa questa lezione, ma mi è comunque rimasta in fondo alla coscienza e sempre mi aiuta a ribadire ai miei concittadini di ricordarsi dei poveri nel loro testamento.

Qualche risultato l’ho conseguito per il passato, pur non avendo avuto manifestazioni di gratitudine dai benefattori, nè tanto meno dai beneficiati. Speriamo che almeno il buon Dio non si dimentichi di questo povero prete che tenta di turbare la coscienza di chi ha e in cambio riceve quasi sempre il biasimo dei cristiani e dei preti che pare si nutrano soltanto di spirito e perciò si sentono autorizzati a criticare chi si sporca le mani con il vil denaro per aiutare il prossimo.

E’ vero che c’è una carità che si può fare anche con un sorriso, un saluto, uno sguardo ed una stretta di mano, ma questo tipo di solidarietà non è quasi mai compresa da chi è in difficoltà e soprattutto non risolve nulla per chi non ha casa, oppure ha una pensione insufficiente o versa in mille altri guai che si risolvono solamente con il denaro.

Pare che gli inglesi, a proposito, abbiano da tempo superato lo scandalo del denaro con il proverbio popolare: “Il denaro è un pessimo padrone, ma un ottimo servitore!”

Il mistero dell’incarnazione oggi

Io sono letteralmente affascinato dal mistero dell’Incarnazione che la chiesa ha recentemente celebrato durante le festività natalizie.

Mi entusiasma il pensiero che Dio non si sia lasciato incartapecorire in astruse formule filosofiche e teologiche, per diventare invece vita nello spirito pure nel corpo dell’uomo, di ogni uomo.

In tutti i miei sermoni, quest’anno, ho tentato con tutte le mie forze di mettere in luce questa stupenda verità: il Signore del cielo e della terra, del tempo e dell’eternità ha voluto prender dimora e farsi trovare ed amare in quella povera spelonca che è spessissimo il cuore dell’uomo, anche del più misero e deludente.

L’umanità del Figlio di Dio ha voluto svestirsi degli abiti regali per farli indossare all’uomo, come dice Leone Tolstoi nella sua leggenda, per vestirsi dei cenci dell’uomo povero e fragile di tutti i tempi.

E Gesù, la Parola di Dio, non si limita ad essere presente nello squallore della sua creatura, ma da quella culla parla, sorride, consiglia, ama, perdona ed insegna.

Qualche giorno fa è venuta a farmi gli auguri la signora Maria, la cara creatura che ormai da anni offre il sorriso, la consolazione, il conforto e l’ospitalità di Dio presso il Foyer San Benedetto, ai familiari degli ammalati degenti nel nostro ospedale. Mi disse come, fra l’altro, consola chi è in pena: “Stasera, mangia, sii sereno, dormi di gusto, domani sarà un altro giorno e se anche dovessi affrontare una prova o un dolore, il Signore ti sarà accanto per aiutarti”.

Mentre mi parlava, con il suo bel sorriso franco e spontaneo, avevo proprio la sensazione che lei offrisse labbra e suono ma che le parole fossero del Gesù a cui lei ha offerto dimora nel suo cuore di donna!

Impegnarsi per gli altri è sempre più difficile in questa società

Mi pare che Cuccia, proverbiale governatore di Medio Banca, rappresentasse l’icona eterna del responsabile di questa prestigiosa banca alla quale facevano riferimento le principali aziende del nostro Paese.

Un vecchio, curvo, metodico, assiduo al lavoro che per infiniti anni governò con saggezza e determinazione questo istituto bancario. Arrivò a tarda età, sempre più curvo e taciturno, ma infine dovette cedere anche lui lasciando ad altri questo compito immane. La fatica, la costanza e la determinazione di Cuccia non fu però inutile.

Io non ho nulla della austera ed emblematica figura di Cuccia, ma sento ogni giorno di più il peso e la responsabilità di portare avanti nella nostra città e soprattutto nella nostra chiesa il compito complesso e gravoso di rendere  visibile e fattiva la carità predicata da Cristo e lasciandola come eredità inamovibile. Predicare la carità cristiana nei fervorini e nei sermoni religiosi spesso è pressoché inutile e talvolta perfino ipocrita, tradurre il messaggio cristiano della solidarietà in operatività, in strutture, in servizi è terribilmente impegnativo.

Comunque è bene che tutti ci ricordiamo almeno due passaggi del discorso di Cristo a questo riguardo: “Non chi dice Signore, Signore entrerà nel Regno dei cieli, ma chi fa la volontà del Padre” e noi sappiamo fin troppo bene quale esso è. Il secondo: Gesù nella parabola approva il figlio che dice di no d’andare a lavorare nella vigna, ma poi pentitosi ci andò.

Oggi calate delle nubi della mistica l’impegno a “farsi prossimo” è terribilmente difficile e complicato: si parano subito davanti i soldi, le pratiche burocratiche, i permessi, i consigli di amministrazione, la politica, la burocrazia, i vicini di casa, i professionisti, i colleghi, i giornali e soprattutto le norme!

Ne so io qualcosa con Campalto, sono passati sei mesi abbiamo impegnato un sacco di riunioni, di parole e di progetti e non solamente non abbiamo messo giù una pietra, ma neanche ne abbiamo tolta una sola della struttura che dobbiamo abbattere per iniziare la costruzione.

Prima della fine ne dovremo fare di sacrifici!

Ipermercati e solidarietà

Nonostante tanti tentativi non sono mai riuscito ad ottenere da parte degli ipermercati quanto buttano a causa della data ravvicinata della scadenza dei prodotti o per qualche difetto irrilevante a livello della validità del prodotto anche se dal punto di vista commerciale non è più presentabile alla clientela per qualche difetto dell’involucro.

Onestamente una sola volta avevo sfondato con l’ipermercato di Marcon, ma il ritiro della merce, anche se estremamente oneroso perché si doveva buttare in discarica una montagna di merce avariata per portare a casa quella commestibile, era cessata presto per l’infedeltà di un volontario.

Spesso il volontariato si immeschinisce per una avidità insaziabile che tende ad approfittare di ciò che è ufficialmente destinato ai poveri.

Nonostante questo credo che sia profondamente immorale il comportamento di queste grandi aziende della distribuzione alimentare che, condizionate in maniera esasperata dal profitto, non hanno alcuna sensibilità sociale e preferiscono la discarica al bisogno dei meno abbienti.

Avevo sentito che a Firenze l’università era riuscita ad ottenere i prodotti non più commerciabili che poi distribuiva alle organizzazioni che curano la consegna capillare ai poveri e non mi davo pace non riuscendo a comprendere come erano riusciti a sbloccare la questione. Infine una volta ancora ho scoperto che l’interesse apre il cuore perfino al mondo del commercio. Il comune fa uno sconto sulla tassa sui rifiuti agli ipermercati consegnano il materiale destinato all’inceneritore ad una cooperativa convenzionata con il comune la quale a sua volta lo distribuisce agli enti di beneficenza.

Pare che il meccanismo si sia messo in moto anche a Venezia e che fra un paio di mesi avremo anche nel nostro Banco alimentare merce sufficiente a rispondere alle attese della povera gente. Già ho messo le mani avanti, facendo presente ad un funzionario delle politiche sociali, le centinaia di persone che si rivolgono a noi ogni settimana.

Oggetti smarriti

Un po’ alla volta cittadini e strutture stanno scoprendo le nostre associazioni di volontariato che operano nel settore degli indumenti, dei mobili, degli alimentari e dei supporti per gli infermi.

La fascia di cittadini che hanno bisogno ha fatto la scoperta in maniera assai rapida, chi invece può donare qualcosa, anche senza molti sacrifici, è più lento, ma un po’ alla volta ci sta arrivando. Questa è la cosa più importante.

In questi giorni sono giunti dall’aeroporto due furgoni di oggetti smarriti, anche se non sembra la gente dimentica un sacco di roba! Gli addetti al Marco Polo la raccolgono, la custodiscono per un certo tempo, poi organizzano un’asta. Non tutto però riescono a vendere e perciò regalano a noi tutto quello che è rimasto invenduto: scarpe, ombrelli, maglie, giacche … e le cose più disparate che noi invece riusciamo a cedere a 20 o 50 centesimi!

L’altro giorno il signor Danilo Bagaggia mi mostrava ciò che aveva ritirato dall’aeroporto Marco Polo.

Parrebbe impossibile che molta gente dimenticasse tante cose!

Mentre guardavo curioso il responsabile che mi mostrava i capi più disparati, abituato come sono dal “mio mestiere” a riflettere e trarre conclusioni esistenziali, cominciai a domandarmi “cosa posso io aver dimenticato in giro?” forse qualche ombrello, un paio di occhiali …, ma poi la riflessione si allargò per riflettere sulle parole, sui gesti, sui comportamenti che ho lasciato dietro di me, spesso inconsciamente, finendo per domandarmi “che fine hanno fatto?”

Qualcuno ha potuto beneficiarne o ha dovuto buttarle quali rifiuti ingombranti, inutili o peggio nocivi?”

Ho cominciato a preoccuparmi per la responsabilità che ne deriva da parole dette senza pensarci, da comportamenti superficiali. Mi è venuto in mente la preghiera di David “Miserere me, Deus”.

Spero però che le mie colpe in questo ambito non siano pari a quelle di David che portò via la moglie di Uria e poi lo fece uccidere!

“Chi ha lavorato, si è sacrificato per me?”

Forse la genesi della pulsione interiore che oggi ho provato visitando, come faccio quasi tutti i giorni, i magazzini S. Martino gestiti dai volontari dell’associazione “Vestire gli ignudi” mi è stata provocata da una lontana lettura di un carnet di un giovane francese, fatta molti anni fa.

Scriveva nel suo diario questo giovane ventenne: “Oggi sono stato attratto da un manifesto che reclamizzava l’ultimo film di una famosa attrice: i capelli platinati, gli occhi vivi e penetranti l’armonia del suo corpo, mi hanno dato l’impressione di grande armonia e di splendida bellezza. Quanti spettatori godranno al buio delle sale cinematografiche della bellezza sovrana di questa donna? Però quanto pochi penseranno che sotto quello splendore c’è la vita di una donna con i suoi drammi interiori, i suoi sogni e i suoi dolori?

D’istinto ho sentito il bisogno di entrare in una chiesa, per ringraziare Dio di aver donato questa meravigliosa creatura e per pregare per lei perchè l’aiuti nelle sue difficoltà e nei suoi drammi.

Di fronte alle stive di indumenti, gonne, pantaloni, giacche, foulard, ho cominciato a riflettere, certamente in maniera meno romantica e poetica del giovane francese, ma altrettanto sentita: “Da dove arriva tutto questo ben di Dio? Chi l’ha cucita? Com’è stato pagato? Come ricambia di questo lavoro la gente che indosserà questi panni? Come riconosce la gente la fatica, i sacrifici, di uomini e donne dell’India, della Cina o di qualche altro paese dell’Estremo Oriente, che per pochi scellini hanno lavorato giorno e notte perché io e tanti altri in Occidente stessimo al caldo o avessimo un abito elegante?

Anch’io per la prima volta ho guardato il maglione caldo, il vestito soffice ed ho cominciato a domandarmi: “Chi ha lavorato, si è sacrificato per me?” Sentendomi in colpa per non aver mai pensato a lui, non averlo idealmente ringraziato, infine ho sentito anch’io il bisogno di mandare al mio benefattore ignoto dell’Estremo Oriente almeno una preghiera.

Ma può essere proprio vero?

Ho scritto al Sindaco domandandogli se è vero quello che ha scritto il Gazzettino; cioè che il Comune di Centro Sinistra non vuole che la Regione di Centro Destra appaia troppo brava agli occhi dell’opinione pubblica, per la costruzione dell’ospedale dell’Angelo e per il passante ed ora anche per il Samaritano, ma che lo stesso comune ha dimenticato per circa un anno in un cassetto tra le sue scartoffie il progetto del Samaritano con cui vuol fare bella figura alle prossime elezioni comunali!

Credo che un giornalista, polemico fin che si vuole qual è il dottor Maurizio Danese, autore dei due articoli, non possa aver scritto quello che ha scritto senza prima documentarsi.

Le cose due anni fa sono andate così: il Comune mi concedeva a titolo gratuito 5000 metri di terreno vicino all’ospedale e noi avremmo costruito “Il Samaritano”, una struttura di accoglienza per i familiari di ammalati di altre province e regioni.

La cosa pareva fatta. Era d’accordo l’urbanistica, l’immobiliare del Comune e soprattutto il Sindaco. Se non che una giornata di luglio del 2007 mi raggiunse una telefonata del Sindaco che mi disse: “Le dispiace, don Armando, se il Samaritano lo costruisce il dottor Padovan della ULSS e poi lo concede gratuitamente alla sua fondazione per gestirlo?” Non potei naturalmente dirgli di no!

Pareva d’accordo il Comune, che intascava i soldi per la vendita della terra, soldi che io non gli avrei dato, d’accordo la Regione che sborsava i soldi e la ULSS che avrebbe sistemato tuta l’area prospiciente l’ospedale.

Senonchè viene fuori la notizia bomba del dottor Dianese che afferma che il Comune, che pare non abbia un soldo almeno da quello che si dice sui giornali, e per gelosia si accolla i due milioni di euro occorrenti, ma poi finisce di dimenticarsi in un cassetto il progetto già preparato dell’immobiliare di Venezia.

Che dire di tutto questo?
Stupore, meraviglia, indignazione, denuncia sono tutti termini tanto poveri per inquadrare un fatto del genere!

Sempre più spesso penso che sia solamente un brutto sogno, o peggio, un incubo notturno!

La voglia di lavorare che non c’è

Al don Vecchi riusciamo a mantenere rette assolutamente imbattibili curando una gestione particolarmente parsimoniosa, anche negli aspetti più marginali dell’economia di questo complesso che ospita 230 residenti.

Una volta o l’altra credo che sarà opportuno pubblicare i costi di alloggio di tipologia diversa con la speranza, o più giustamente, l’illusione di calmierare i prezzi di strutture simili alla nostra.

Ad esempio per tutto ottobre e novembre, tutto il parco è stato rallegrato dai crisantemi di ogni foggia e di ogni colore. Il segreto di simile ricchezza floreale è però molto semplice; a novembre e dicembre dello scorso anno ho raccolto pazientemente le piante di crisantemo che la gente ha buttato nei cassonetti del cimitero, perché sfiorite. Due uomini le hanno piantate con poca speranza che sopravvivessero al gelo, ma forse solo per accontentare questo vecchio prete ostinato. I crisantemi invece sono sopravvissuti al gelo invernale e al caldo estivo e tutti i viali sono stati in fiore. Mentre i crisantemi stanno ormai sfiorendo dopo due mesi e più di magnificenza, già dei deliziosi fiorellini bianchi, che durano fino ad aprile inoltrato, sono già sbocciati. Una vecchia signora ha raccolto le sementi le ha piantate ed ora le tenere pianticelle sono pronte per la fioritura.

Ci sono però certi lavori un po’ più pesanti che i miei vecchi non hanno più forza di affrontare. Da mesi sto cercando invano qualcuno che voglia donarci qualche oretta dopo il lavoro con cui si guadagna da vivere; noi avremmo ricambiato il piacere certamente con qualche dono. Nonostante la crisi finanziaria da tutti temuta, pare che nessuno abbia voglia di fare un’opera buona o di arrotondare la pensione o la paga mensile.

L’Italia ha mille magagne ed è pressata da mille difficoltà, ma soprattutto pare abbia definitivamente perduto la voglia di lavorare e di far del bene e questo credo sia ancora più preoccupante del crollo dei titoli in banca!

Difficili mediazioni

Spigoloso ed irruento lo sono sempre stato fin dalla nascita. Forse un senso di istintiva timidezza mi rende fortemente reattivo e tendenzialmente duro nelle prese di posizione. Non sarei assolutamente stato adatto ad entrare nella diplomazia vaticana!

Accanto a questa istintiva emotività, si aggiunge il fatto che non so usare circonlocuzioni, i miei discorsi vanno subito al sodo e le mani le tengo ben nude, non sapendo usare e non sopportando guanti di velluto.

Ebbene pur in questa condizione d’ordine caratteriale e psicologico il mio mestiere mi impone fatalmente di mediare fra persone, gruppi e movimenti che molto spesso confliggono per motivi futili e marginali.

Quello della mediazione è uno dei compiti più frequenti e più difficili per me! Speravo che la pensione mi avesse collocato in un limbo di pace e di tranquillità; invece no, ci sono dentro fino al collo!

La fondazione che gestisce il don Vecchi e la parrocchia che ne è proprietaria spesso e volentieri si trovano in posizioni che avrebbero assoluto bisogno di dialogo, di pazienza; cose che proprio non posseggo. Il volontariato, che occupa uno spazio considerevole, anzi preminente nell’ambiente in cui vivo, è costituito da un mondo irrequieto, che non è condizionato dallo stipendio, dalla carriera e spesso la gente che ha fatto questa scelta non è stata determinata da motivazioni alte e sublimi, ma forse da motivi meno nobili quali la speranza di vincere la noia e di passare il tempo. Questo è un altro mondo che mi da del filo da torcere e che spesso turba i miei sonni.

Leon Blois ha scritto che l’unica porta di sicurezza che egli conosce per uscire da questi conflitti è la santità.

Condivido fino in fondo il parere, ma il guaio è che la porta della santità è una porta assai difficile da aprire e da superare!

Come far crescere il valore della solidarietà nel mondo cattolico

La stampa mi ha aiutato tante volte, anche in maniera determinante, nelle mie imprese a favore del prossimo. Certi articoli hanno ridestato il problema che sembrava spento e spacciato, presso l’opinione pubblica, hanno messo a disagio gli amministratori pubblici, così che certe partite che sembravano perdute sono ridiventate “problema” per le persone che contano nella nostra società.

E’ però pur vero che io ho sempre tentato, nella mia vita, di ricambiare non sottraendomi mai all’intervista, alla presa di posizione quando qualche giornalista riteneva utile il mio intervento. Talvolta questo uscire allo scoperto mi è costato, perché non sempre, specie in questioni controverse e spinose tutti sono disposti ad accettare rispettosamente un parere non condiviso.

Io però credo doveroso dare onestamente il mio contributo, pur non ritenendomi un esperto, in certi problemi.

Recentemente Alvise Sperandio, un giovane che ci sa fare con la penna, mi chiese un parere su come far crescere il valore della solidarietà nel mondo cattolico perché doveva stendere un pezzo per un periodico cittadino. Ci pensai seriamente perchè il problema è cruciale e la risposta non era facile, ma poi convinto gli dissi: “Primo, i cattolici si debbono convincere che la solidarietà per i cristiani non è un optional, ma è parte integrante del messaggio. Un battezzato che non sia convinto e non pratichi la carità, non è assolutamente cristiano. Punto e basta! Non sono però molti i fedeli e i preti che abbiano questa convinzione! Secondo, la solidarietà non può ridursi ad un sogno mistico, ad una utopia sfumata, ma sempre deve diventare progetto, servizio, struttura, opera, pur accettando il fatto che quando il progetto viene realizzato si impoverisce ed è pieno di limiti e contraddizioni. Terzo, la comunità cristiana, piccola o grande, deve creare una infinità di rivoli perché ogni fedele possa scegliere quello che gli è possibile o conforme alla sua personalità.

Ed ora spero che la penna di Alvise sia più convincente della mia!

Il don Vecchi ter: una piccola Nomadelfia del Veneto

Don Zeno giustamente è passato alla storia per la sua Nomadelfia, la “cittadina” alla periferia di Grosseto, che da un campo di concentramento italiano è diventata “la città dei fratelli”, comunità che ha come obiettivo l’assoluta solidarietà.

A Nomadelfia le famiglie sono composte da un “padre” ed una “madre” volontari che si fanno carico di una nidiata di bambini alla deriva, rifiuti di questa società senza valori e senza ideali.

Il valore fondante di questa singolare comunità, è che l’amore supplisce ad ogni deficienza e risolve ogni difficoltà, questo valore trova la sua pratica attuazione nel “codice civile” che assume come norma di convivenza i dettami del Vangelo.

Attualmente Nomadelfia, mi pare, conta 350 abitanti, divisi in una serie di famiglie, con una scuola autonoma, una economia solidale ed una vita serena che si rifà in tutto al messaggio di Gesù, assunto nella sua integrità.

Don Zeno era un uomo eccezionale, un prete libero, coraggioso e generoso fino alla temerarietà, un prete fuori serie, di una specie rara della quale ne nascono cinque o sei al massimo al secolo!

Io non ho né l’originalità di pensiero, né il coraggio, né la generosità di questo campione; mi limito solamente ad ammirarlo e tentare di copiarlo per quanto riesco. E’ ben chiaro che è l’opera d’arte che ha valore, la copia conta un millesimo soltanto del capolavoro e raramente riesce a riprodurre fedelmente l’originale.

Comunque in via Carrara, 10 a Marghera c’è un paesino minuto chiamato “don Vecchi” abitato da 65 abitanti che vivono in maniera autonoma, si autogestiscono provvedendo al giardinaggio, al pranzo, alla cura degli ambienti, alla segreteria e alle altre mille cose che servono in un paese, pur piccolo. C’è un “pater familias” ed un suo vice che coordinano la vita comunitaria, volontari pure loro.

Mi auguro che questa Nomadelfia del Veneto abbia vita lunga, prospera ed esemplare, almeno quanto quella del grossetano!