“Chi ha lavorato, si è sacrificato per me?”

Forse la genesi della pulsione interiore che oggi ho provato visitando, come faccio quasi tutti i giorni, i magazzini S. Martino gestiti dai volontari dell’associazione “Vestire gli ignudi” mi è stata provocata da una lontana lettura di un carnet di un giovane francese, fatta molti anni fa.

Scriveva nel suo diario questo giovane ventenne: “Oggi sono stato attratto da un manifesto che reclamizzava l’ultimo film di una famosa attrice: i capelli platinati, gli occhi vivi e penetranti l’armonia del suo corpo, mi hanno dato l’impressione di grande armonia e di splendida bellezza. Quanti spettatori godranno al buio delle sale cinematografiche della bellezza sovrana di questa donna? Però quanto pochi penseranno che sotto quello splendore c’è la vita di una donna con i suoi drammi interiori, i suoi sogni e i suoi dolori?

D’istinto ho sentito il bisogno di entrare in una chiesa, per ringraziare Dio di aver donato questa meravigliosa creatura e per pregare per lei perchè l’aiuti nelle sue difficoltà e nei suoi drammi.

Di fronte alle stive di indumenti, gonne, pantaloni, giacche, foulard, ho cominciato a riflettere, certamente in maniera meno romantica e poetica del giovane francese, ma altrettanto sentita: “Da dove arriva tutto questo ben di Dio? Chi l’ha cucita? Com’è stato pagato? Come ricambia di questo lavoro la gente che indosserà questi panni? Come riconosce la gente la fatica, i sacrifici, di uomini e donne dell’India, della Cina o di qualche altro paese dell’Estremo Oriente, che per pochi scellini hanno lavorato giorno e notte perché io e tanti altri in Occidente stessimo al caldo o avessimo un abito elegante?

Anch’io per la prima volta ho guardato il maglione caldo, il vestito soffice ed ho cominciato a domandarmi: “Chi ha lavorato, si è sacrificato per me?” Sentendomi in colpa per non aver mai pensato a lui, non averlo idealmente ringraziato, infine ho sentito anch’io il bisogno di mandare al mio benefattore ignoto dell’Estremo Oriente almeno una preghiera.

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