Pur apprezzando la teologia come scienza nobile che studia in maniera specifica l’esistenza, la natura e le opere di Dio, in verità mi hanno sempre un po’ disturbato i teologi, specie quelli di mezza tacca, che sono poi la stragrande maggioranza, che pare siano i confidenti o peggio ancora i consiglieri ascoltati di Dio. Dicono, ma io non ne ho alcuna motivazione convincente, che, ad esempio, un sacerdote, per essere nominato Vescovo, debba essere un laureato in teologia, in patristica, in sacra scrittura, in morale o per lo meno abbia un altro titolo accademico, dimenticando costoro che Cristo scelse i suoi discepoli non poggiandosi sulla scienza sacra che essi possedevano, ma sulla fede e soprattutto sull’amore che essi dimostravano.
Anche oggi fanno del gran bene nella chiesa gli uomini di fede, i cristiani che amano, non quelli che scrivono trattati e sembrano dei “vicedio” che san tutto, non hanno dubbi, perplessità sui problemi non risolti.
Le persone di chiesa che pontificano destano nel mio animo più compatimento che ammirazione.
Avevo sempre stimato il Cardinale Martini come un grande biblista, uomo sicuro, tranquillo nella verità di fede, mentre ora me lo ritrovo, nell’ultimo suo libro “Conversazioni notturne a Gerusalemme” come “Vescovo in pigiama” incerto, titubante, perplesso o comunque in ricerca, non uomo da pontificali, ma un umile ricercatore della verità e delle soluzioni religiose valide quasi indifeso di fronte al mistero della vita e della morte.
Confesso che, dopo un primo sentimento di meraviglia e di sorpresa, la lettura dei pensieri del Cardinale, questi mi piace più così. Lo trovo più umano più onesto più vicino alla mia povertà interiore!