Il sindaco

Mentre butto giù queste note è in pieno svolgimento la campagna per le primarie del centro sinistra per proporre a Venezia e Mestre il suo candidato sindaco. Non sto a ripetermi sui problemi in attesa di soluzione che aspettano il nuovo primo cittadino. A me vengono le vertigini al pensiero che la passata amministrazione ha lasciato sessantacinque milioni di debito, per cui credo che una persona, anche solo minimamente responsabile, dovrebbe farsi pregare in ginocchio per accettare di impegnarsi nel risanamento di questo buco portando il bilancio del Comune al pareggio. Vedo però che invece non mancano i candidati che hanno cominciato a sgomitare per avere il privilegio di addossarsi una croce del genere! Mi auguro che posseggano delle formule magiche e misteriose per realizzare questa “impresa davvero impossibile”. Per quanto riguarda la destra non ho ancora visto all’orizzonte alcun personaggio di sorta; spero che abbiano un asso nella manica di grande valore! Ad essere onesto verso i miei concittadini, io mi auguravo che i possibili candidati non uscissero dalla vecchia guardia, sia del centro sinistra che del centro destra, ma soprattutto non avessero nulla a che fare con le segreterie dei partiti, considerati i fallimenti e i disastri che hanno provocato nel passato e che sono sotto gli occhi di tutti. Finora ho auspicato e pregato affinché sia la destra che la sinistra riuscissero ad individuare, pregandolo in ginocchio, qualche cittadino onesto e di buona volontà, che avesse già dimostrato le sue capacità manageriali disposto ad offrire cinque anni della sua vita per riassestare l’apparato comunale e le sue finanze disastrate ponendo almeno le premesse per un’amministrazione ordinata e positiva. Ho l’impressione che il mio auspicio abbia poche possibilità di realizzarsi, mi accontenterei che il Signore offrisse a Venezia almeno un piccolo Renzi con la voglia di fare e con la voglia di sbarazzarsi di tutto il vecchiume del passato.

La festa della donna

Lo stesso Presidente della Repubblica ha affermato, in occasione dell’otto marzo, festa della donna, che la nostra società deve molto alle donne. Il Pontefice poi, ultimamente, ha ribadito questo concetto, se possibile, anche con maggior vigore. Io, fino a poco tempo fa, ero piuttosto sospettoso e scettico nei riguardi di questa celebrazione dal momento che le femministe, in maniera spesso volgare e sbracata, le avevano dato una connotazione ed un respiro “radical-liberale” ma soprattutto avevano rivendicato, per le donne, diritti piuttosto dubbi quali: l’aborto, il libero amore, le nozze tra lesbiche e le maternità innaturali. Ora però ho finito per sposare questa celebrazione per rilanciare le peculiarità della femminilità quali: la bellezza, il sentimento, la tenerezza, la delicatezza dell’amore, la sacralità della maternità. Constatando poi che anche nei Centri Don Vecchi sono molte le donne che danno il “là” al clima e all’atmosfera in questi “borghi” per anziani, ho deciso di offrire loro, in segno di gratitudine, un riconoscimento per i loro meriti e il ringraziamento per quanto vanno facendo. Dapprima ho pensato a dei rami di mimosa che avrei colto dal bellissimo grande albero che troneggia nel nostro parco, come una perla che brilla al dolce sole di primavera, poi ho concluso che era meglio lasciare la mimosa nel parco perché continuasse a manifestare, ancora per parecchie settimane, il nostro affetto e la nostra riconoscenza offrendo, alle collaboratrici più generose, una bella “murrina” che ricordasse loro quanto bene vogliamo loro e quanto siamo orgogliosi di loro.

Investimenti

Fare i manichei nelle cose di Chiesa credo sia altrettanto sbagliato che impostare la pastorale sull’efficienza sostenuta da una finanza consistente. La vita di una parrocchia, lo si voglia o no, ha però anche delle componenti economiche che devono essere gestite con intelligenza e coerenza. Ricordo un detto latino che afferma: “Homo sine pecunia est imago mortis”, l’uomo senza soldi è l’immagine della morte. L’importante è che le risorse permettano di vivere e nel contempo diventino uno strumento pastorale.

Nella precedente riflessione ho tentato di suggerire ai colleghi e ai fedeli che la carità, nel bilancio della parrocchia, è una voce attiva e questo per incoraggiare ad un sempre maggior impegno caritativo. Ora vorrei dimostrare che lo spendere per annunciare il messaggio di Cristo mediante i mass-media, che oggi abbiamo a disposizione, non è solamente un investimento che produce a livello apostolico ma è anche un investimento che mette a disposizione ulteriori mezzi economici con cui è possibile seminare la “Buona Novella”. Monsignor Vecchi mi diceva che le spese sostenute per la stampa di apostolato sono spese sempre utili e sono sempre un investimento produttivo.

Mi sia concesso fare un esempio concreto: ogni settimana per “L’incontro” noi stampiamo trentamila fogli A4, tante sono le pagine del nostro periodico, con i costi relativi alla carta, alle matrici, all’inchiostro e alla macchina da stampa, costi quanto mai rilevanti poiché il periodico è distribuito gratuitamente. Nonostante questo, o meglio, proprio per questo, posso garantire, con prove alla mano, che questo investimento, con quello della carità, è una delle fonti di introito più redditizia per la Fondazione. Una volta ancora mi pare quanto mai valida l’esortazione di San Paolo che invita a seminare sempre e comunque con estrema generosità.

Primavera

Più volte mi sono sorpreso, durante i giorni più freddi ed uggiosi dell’inverno che stiamo lasciandoci alle spalle, a chiedere quasi inconsciamente al Signore: “Vengo quando vuoi perché di anni me ne hai donati molti e belli, però mi piacerebbe vedere, una volta ancora, la primavera”. Un paio di volte al giorno, quando percorro Viale Garibaldi e scorgo quei rami scheletrici dei tigli che lo fiancheggiano e che alzano tristi le loro lunghe e scarne dita verso il cielo grigio e nuvoloso, mi vien da sognare e desiderare di ammirarli almeno ancora una volta coperti di foglie di un bel verde tenero e sentire il profumo dolce e delicato dei loro fiori. Quando passeggio per i viottoli del parco del Don Vecchi e scorgo le prime e più coraggiose margherite che sorridono felici al sole, mi viene la nostalgia di quel prato verde trapuntato di fiori di vari colori ancor più bello dei vecchi e preziosi arazzi dei palazzi nobiliari. Quando il mio sguardo si allarga e vedo il lungo filare di oleandri verdi sì, ma di un verde spento e sporco, mi vien da sognare quella barriera bianca, rosa e rossa che da giugno in poi fa invidia al Paradiso Terrestre, allora la lode al Dio del Creato si mescola alla nostalgia e al desiderio di provare, almeno ancora una volta, la dolcezza e l’incanto della primavera. In questi giorni ho condiviso più che mai l’affermazione di una mia coinquilina, più che centenaria, che mi ha confidato cosa dice spesso al Signore: “Sono pronta a venire però, Signore, sappi che ho pazienza, tanta pazienza e sono disposta ad attendere ancora un po’ che Tu mi chiami!”.

A futura memoria

Di certo non mi attribuisco il merito di essere “il padre fondatore” dei Centri Don Vecchi, però mi pare onesto ed innegabile riconoscermi una certa “paternità”, non solamente sulla costruzione ma soprattutto, sulla “dottrina” cardine di questa iniziativa di carattere sociale.

Come ho scritto più volte l’input mi è venuto da molto lontano. Un parroco di Carpenedo, don Lorenzo Piavento, ai tempi della scoperta dell’America, fece un lascito di un appezzamento di terreno e di una casupola di quattro stanze a favore di “quattro donzelle povere e di buoni costumi”. La struttura, nonostante la vendita del terreno circostante e varie ristrutturazioni effettuate nei secoli passati, è giunta fino ai giorni nostri.

La spinta a sviluppare questo germe mi venne al tempo dell’abolizione dell’equo canone quando gli anziani, che vivevano con pensioni misere, vennero a trovarsi in condizioni di estremo disagio. L’antica “Società dei Trecento Campi” donò un terreno alla parrocchia e, dopo infinite vicissitudini, vent’anni fa fu costruito il primo Centro di cinquantasette alloggi che dedicai al mio maestro Monsignor Valentino Vecchi, il quale, primo tra i preti di Mestre, prese a cuore le sorti della Chiesa mestrina elaborando una visione ed un progetto di pastorale globale.

L’idea era di offrire agli anziani più poveri, ancora autosufficienti, un piccolo alloggio funzionale e dignitoso ma soprattutto alla portata delle loro modeste risorse economiche in alternativa e in contrapposizione alle case di riposo. In questa logica mi preoccupai di offrire un alloggio, il più rispondente possibile ai bisogni degli anziani, con spazi interni ed esterni atti alla socializzazione. In questo progetto ho escluso ogni forma di assistenza particolare tendendo a far sì che i residenti si avvalessero dei servizi del Comune e della ULSS previsti per ogni cittadino e incentivando i familiari a farsi carico dei loro anziani.

I Centri Don Vecchi prevedono solo un assistente con il compito di fare da collegamento con le famiglie o di fare intervenire chi di dovere nelle urgenze. Mi auguro che questa impostazione leggera e quasi esclusivamente autogestita faccia di ogni centro un piccolo borgo piuttosto che un ricovero per vecchi. Queste sono le mie intenzioni anche se prevedo che prima o poi l’apparato burocratico ed assistenziale, sempre in agguato, si approprierà di questo progetto innovativo e lo stravolgerà.

“Il peccato originale” dei partiti italiani

Non sono molti i paesi, a regime democratico, in cui, maggioranza ed opposizione, trovano il modo di governare assieme come è accaduto in Germania nel momento in cui nessun partito o coalizione, dopo una consultazione elettorale, è riuscito ad ottenere la maggioranza assoluta. Constato però che in questi paesi, pur in un rapporto dialettico vivace e a volte complesso, le varie forze politiche trovano sempre il modo di offrire un governo alla loro nazione. L’Italia, a questo riguardo, mi pare rappresenti un caso pressoché unico. Qualche anno fa, in verità, per garantire una stabilità di governo, è stato fatto un tentativo per creare il bilateralismo, un’alternanza tra Centro Destra e Centro Sinistra ma, purtroppo, è durato solo una breve stagione e con tanti tormentoni. In tempi lontani anche De Gasperi e i suoi successori più prossimi tentarono di dare stabilità ma anche quel tentativo si è dissolto non appena è venuta a mancare la personalità forte e autorevole del politico trentino che riusciva a tenere unito quel gregge irrequieto. Ora si è tornati ad una frammentazione crescente. Nel Centro Destra oltre a Forza Italia possiamo annoverare “Fratelli d’Italia”, “Il nuovo Centro Destra”, il partitino di Storace, la Lega irrequieta e divisa ed ora Fitto che, non contento, sta cercando di fondare un nuovo partito per complicare ulteriormente la situazione. Nel Centro Sinistra, dove pareva esistesse finalmente una certa stabilità, oltre a “Sel” di Vendola e ai Grillini, anche la minoranza PD si comporta nei confronti dei propri compagni come se si trattasse di fratellastri invisi vogando sempre contro. È fin troppo evidente che nessuno di questi “ducetti” si preoccupa delle sorti del Paese ma pensa solo alla propria affermazione e al proprio successo personale. Ho ammirato Renzi e ho pregato per lui che afferma di avere a cuore le sorti dell’Italia, temo però, che nonostante all’orizzonte non ci siano altre maggioranze possibili, prima o poi finirà con il cadere in qualche trappola che nemici ed “amici” potrebbero tendergli.

Folgorazioni

Per una strana e misteriosa associazione di idee, qualche settimana fa, mentre preparavo l’omelia per la festa della Trasfigurazione, mi è tornato alla mente un dramma di Cesbron, il famoso letterato francese, dramma che avevo letto moltissimi anni fa. La tesi di fondo del racconto evangelico della Trasfigurazione è questa: Gesù offre ai suoi discepoli una sorta di “folgorazione” quando scoprono in Lui, il Maestro che avevano seguito da tempo e ascoltato con interesse, la luce e l’autorevolezza del Figlio di Dio, e riescono a scorgerlo in una luce nuova tanto sfolgorante da avvertire perfino la voce di Dio che lo presenta loro come il Suo vero ed amato Figlio che dovevano ascoltare con fiducia. Molto evidentemente Gesù li stava preparando ad avere fede in Lui e nel Suo messaggio per quando, di lì a poco, sgomenti e in preda ad una comprensibile, immensa e tragica delusione per avergli creduto e per averlo seguito, avrebbero assistito alla sua condanna al patibolo della Croce e alla sua sepoltura e, almeno apparentemente, alla sua sconfitta.

Nel racconto di Cesbron è descritta la tentazione mortale a Santa Teresa del Bambin Gesù morente. Satana, sotto l’aspetto di un medico, le insinua il dubbio di aver sbagliato tutto per aver speso la propria vita su un obiettivo totalmente fasullo facendo vivere, a Santa Teresa, un momento di angoscia terribile. La tentazione si conclude invece a lieto fine perché l’amore per Gesù, a cui aveva dedicato tutta la sua vita, la rassicura e la rasserena.

Ed ora confesso il motivo del mio grande interesse per questa vicenda. Ho appena compiuto ottantasei anni, avverto tutta la mia fragilità fisica ed intellettiva e mi domando sempre più frequentemente: “Quanti mesi ho ancora davanti a me? Regge l’obiettivo al quale ho dedicato l’intera vita? La mia fede è vera oppure è stata una comoda illusione?”. Talvolta mi sembra di provare la stessa preoccupazione e la stessa angoscia della giovane religiosa morente della quale Cesbron illustra magistralmente il dramma interiore. Ora anch’io sento il bisogno di ricordare certe esperienze forti del mio passato e certe “folgorazioni” che un tempo hanno illuminato il mio cammino, chiedo quindi a Cristo di condurre anche me sul Monte Tabor e di apparirmi, ancora una volta, nel Suo fulgore di Figlio di Dio a cui potermi affidare abbandonandomi serenamente tra le Sue braccia.

Questa volta sono con la Merkel

Ho seguito con attenzione le elezioni in Grecia, mi sono preoccupato per il risultato che ha consentito ad un giovane venditore di fumo di diventare capo del governo ed infine ho ascoltato le sue richieste rivolte all’Europa.

L’Unione Europea ha già fatto abbondantemente credito alla Grecia ma quest’ultima, non solo ha scialato assumendo decine di migliaia di impiegati negli enti pubblici, ma pretenderebbe, come purtroppo avviene anche da noi, di continuare a vivere una vita al di sopra delle proprie possibilità, lavorando poco e pretendendo molto. In passato ho più volte affermato che i tedeschi dovrebbero manifestare maggiore umiltà ricordando il loro passato, però bisogna anche riconoscere la loro serietà, la sobrietà di vita, l’intelligenza sia della classe operaia, capace di accettare sacrifici pur di superare la crisi economica, che della classe dirigente: seria, collaborativa tanto da essere capace di governare con una grande coalizione che ha unito, ormai da anni, maggioranza e minoranza, cose che da noi purtroppo sono inimmaginabili.

Di fronte alle assurde pretese dei nuovi governanti della Grecia ho capito e condiviso le titubanze e soprattutto la fermezza dei tedeschi nel pretendere, dalla classe dirigente greca, serietà e l’impegno a smantellare un apparato burocratico che soffoca la loro nazione. Così come non reputo saggi e seri i genitori accondiscendenti con le bizze e le pretese insensate ed egoiste dei loro figli, privi del coraggio e dell’onestà necessari per dire di no, credo che anche tra gli stati europei, la serietà dei paesi più virtuosi dovrebbe educare e portare a più miti consigli i più riottosi.

“Mi accontento di una goccia!”

Ho sempre ritenuto provvidenziale che, a questo mondo e nella Chiesa in particolare, sorgano delle voci profetiche che propongono grandi utopie capaci di spingere i cittadini a sognare e a tendere ad un mondo nuovo ed assolutamente migliore. Sono anche convinto che vi siano nella società uomini e donne che, spinti da un sano realismo, muovono, con scelte piccole e concrete, verso queste grandi mete ideali mentre chi continua a sognare in grande riesce solo a trasformare questi slanci in deludenti chimere che non consentiranno mai di fare passi in avanti ma anzi produrranno solamente sfiducia.

Qualche giorno fa ho letto un’intervista rilasciata da Madre Teresa di Calcutta quando ricevette il Premio Nobel. Questa religiosa alla domanda: “Lei è convinta di poter cambiare il mondo?” rispose con umiltà e concretezza da donna che teneva i piedi per terra: “No, a me basta essere una goccia di luce e di amore nell’immenso oceano del nostro mondo!”. Questa risposta così concreta e ricca di saggezza mi ha dato un grande conforto perché talvolta, quando sento voci, assolutamente condivisibili nella loro sostanza, che chiedono in modo perentorio una società più ricca di umanità e più giusta non posso fare a meno di constatare che io invece ho speso l’intera vita in opere che si sono limitate ad offrire un piatto di minestra agli ultimi di questo mondo o un alloggio a vecchi stanchi, frustrati ed abbandonati al loro destino. I miei risultati sono stati tanto modesti da scoraggiarmi e da indurmi a chiedere a me stesso se non ho sbagliato tutto nell’essermi impegnato per obiettivi così limitati ma, il discorso della grande anima di Madre Teresa che si accontentava di essere solamente una piccola goccia nel grande oceano, mi conforta assicurandomi che il mio impegno, spesso tanto faticoso, è stato comunque proficuo.

“Americanate?”

Ora alla televisione non abbiamo, come cinquant’anni fa, un solo canale con Mike Buongiorno che ci offriva “Lascia o Raddoppia?”, oggi i canali televisivi sono pressoché illimitati. Confesso però che, pur con questa offerta sovrabbondante, faccio fatica, e spesso non riesco, a trovare un programma di mio gradimento. Le varie emittenti pare abbiano uno spasmodico bisogno di offrire il peggio dell’uomo e della vita. Per mia fortuna quasi sempre mi addormento e lascio che conduttori ed attori parlino a vuoto. Qualche sera fa però, sempre per caso, perché non consulto mai la programmazione televisiva, mi sono imbattuto in un film che mi ha tenuto sveglio fino alla fine e che mi ha lasciato nell’animo un sentimento di profondo gradimento perché mi ha offerto una visione positiva della vita dandomi la sensazione che, anche nelle situazioni più complesse e nei momenti più difficili ed ingarbugliati, con un po’ di buona volontà si può trovare una soluzione positiva che fa scoprire il bello della vita.

Il titolo del film, di certo un po’ vecchiotto, ma ancora gradevolissimo sia come immagini ma soprattutto come contenuti, era il seguente: “Indovina chi viene a cena?”. Gli attori hanno interpretato il loro ruolo in modo semplicemente fantastico e nel film, il problema del rapporto tra bianchi e neri in America, tragico fino ad una ventina di anni fa, viene risolto con un dialogo franco, onesto ed aperto al bene. La trama racconta di un giovane negro che si innamora di una ragazza bianca, il loro rapporto sembrava impossibile per la cultura imperante nell’America di allora, ma le mamme, con la loro mediazione, e i padri, con la loro onestà intellettuale, sfidano l’opinione pubblica difendendo l’intensità dei sentimenti dei due ragazzi e permettendo loro di sposarsi. In genere questi drammi a lieto fine del cinema americano di un tempo venivano definiti con supponenza e commiserazione con il termine: “Americanate!”. Io credo invece che sia giunto il tempo di voltare pagina sulla mentalità corrente che pare provi piacere nel rimestare sul peggio della vita e della società per puntare invece su proposte e su esperienze che aprano l’animo alla speranza e al bene perché solo così si può progredire!

“L’Avvenire”, Corriere della Sera dei cattolici

Monsignor Nonis, che fu preside di non so quale facoltà dell’Università di Padova, scrisse alcuni anni fa: “I cattolici finalmente hanno un quotidiano ben fatto e di valore, però non se ne sono ancora accorti e continuano a leggere giornali laici, sinistrorsi e talvolta faziosi come Repubblica, Il Corriere della Sera, ed altro ancora”. Allora lo ritenni un giudizio determinato dal titolo ecclesiale che quest’uomo di lettere deteneva, mentre ora ho scoperto che questo prelato aveva ragione. Io non sono abbonato ad Avvenire perché riesco a malapena a sfogliare le numerose riviste e periodici ai quali sono abbonato da anni e che mi parrebbe di tradire non rinnovando l’abbonamento, però una signora residente al Don Vecchi mi passa questo giornale il giorno dopo averlo ricevuto. Ho potuto così constatare che oltre alla cronaca riguardante sia la Chiesa nazionale che quelle locali, offre una quantità di articoli, scritti da giornalisti quanto mai intelligenti, onesti e documentati, sugli argomenti più disparati che riguardano la vita religiosa, politica, sociale e la cultura. Purtroppo pare che, ancora una volta, sia vero quello che afferma il detto popolare: “L’erba del vicino è sempre più verde”, e forse è proprio per questo che, pur non avendo nulla da invidiare a quotidiani come Il Corriere della Sera, la diffusione di Avvenire è ancora limitata.

Scoperta tardiva

La Chiesa cattolica ha compreso ormai da decenni che la proposta cristiana, così come si è incarnata nella nostra civiltà occidentale, non è esportabile ma deve essere calata con molta attenzione, con molto rispetto e in maniera graduale nella realtà dei popoli del terzo e quarto mondo. In un passato assai remoto si sono costruite in Africa cattedrali gotiche, si è preteso di imporre un cristianesimo fotocopia di quello di Roma innestando, su una cultura oltremodo lontana dalla nostra, un innesto che ha trovato infinite difficoltà ad attecchire. Ora però il discorso è ben diverso e ben più rispettoso della tradizione e della mentalità di questi popoli. I governi della vecchia Europa e del nuovo mondo invece non hanno ancora fatto questa scoperta e continuano nel tentativo di imporre la democrazia così come è concepita da noi e come se non bastasse lo hanno fatto e lo fanno con la forza delle armi. Il disastro non poteva essere peggiore, vedi quanto accaduto in Etiopia, nei paesi dell’Africa centrale prima e in Indocina, Afghanistan, Iraq, Libia, poi questo zelo scomposto inoltre non è mai nato dal desiderio di liberare i popoli dalla schiavitù e dall’ignoranza ma è sempre stato direttamente legato alla quantità di materie prime disponibili in questi paesi. In questo clima di grande instabilità, alla ricerca di un nuovo equilibrio mondiale, emergono e vengono strumentalizzate tensioni religiose e sociali che inevitabilmente spingono i comportamenti alle estreme conseguenze con il rischio di contrapposizioni violente senza fine con quei paesi del mondo industrializzato che, senza badare al costo in vite umane, tentano con ogni mezzo di difendere le proprie posizioni di privilegio. Credo che da questi errori dovremmo imparare a rispettare i ritmi dell’evoluzione ricordandoci del vecchio detto latino che recita: “Natura non facit saltus”.

La vera e risolutiva riforma

Da qualche anno non si fa altro che parlare del legame inscindibile tra ripresa economica e riforma della struttura dello Stato e della sua legislazione.

Il Governo si è buttato a capofitto su questo obiettivo e, anche se con tanta fatica ed infiniti contrasti, pare si cominci ad intravvedere qualche seppur timido e fragile risultato. Il discorso sul legame tra riforme e ripresa economica non riguarda solamente l’Italia ma sembra condiviso dalle classi dirigenti dell’intera Europa e di tutto il mondo occidentale. Non ho certo motivi per negare questa relazione, sono però ogni giorno sempre più convinto che vi sia un’altra strada, ben più radicale ed impervia, per risolvere in maniera più consistente e duratura questo problema: ossia la riforma delle coscienze. Tutti noi siamo tentati di battere le strade più comode e meno impegnative aspettandoci dallo Stato, perciò dagli altri, quindi senza alcun sforzo personale, il miracolo di una società nuova, più giusta e più onesta ma, senza un cambiamento profondo di mentalità, di costumi, di vita e di comportamento, questa rivoluzione positiva è destinata a rimanere per sempre un sogno o, peggio ancora, una comoda illusione. Nel passato ho sognato un riformatore delle coscienze come San Francesco o Lutero, però ora sono giunto alla conclusione che neanche loro potrebbero produrre questo miracolo perché l’obiettivo lo si può raggiungere solo con la conversione personale. Un tempo lontano chiesi all’allora Patriarca Roncalli: “Quando verrà l’atteso Regno dei Cieli, ossia il mondo nuovo?”. Egli mi rispose con una frase di Gesù: “Il regno di Dio è dentro di noi!”. Dipende solamente da noi farlo emergere.

L’abito non fa il monaco

I vecchi proverbi, con il passare del tempo, non perdono il loro smalto e continuano a mettere in luce verità spesso conturbanti per noi uomini di chiesa. Questa volta però non si tratta del povero saio francescano ma della porpora scarlatta di un cardinale. Vengo all’episodio che ho fatto riemergere dalla mia ormai fatiscente memoria. Un paio di anni fa mi hanno sorpreso e molto turbato le motivazioni con le quali era stato cacciato dallo IOR, banca del Vaticano non sempre onesta, l’allora presidente Gotti Tedeschi che è stato sollevato dall’incarico con motivazioni insolite ed infamanti. Era allora Segretario di Stato il chiacchierato Cardinale Bertone. Già allora, qualche amico più addentro di me in queste faccende, aveva insinuato che l’onestà di questo banchiere cattolico, in Vaticano, fosse particolarmente scomoda ad alcuni personaggi che avrebbero voluto continuare ad intrallazzare, attraverso questa banca varie volte tristemente coinvolta in fatti poco edificanti da un punto di vista di moralità finanziaria. Avevo riposto nel magazzino della mia memoria questi fatti, che tra l’altro allora non avevo compreso a fondo, senonché, alcune settimane fa, mi è capitato di leggere su “Il Nostro Tempo” di Torino, un periodico di ispirazione cattolica, serio e sempre ben documentato, un bell’articolo di Gotti Tedeschi sull’etica a cui dovrebbe ispirarsi un imprenditore che voglia operare in maniera coerente con la sua fede e il Vangelo. Istintivamente non ho potuto fare a meno di confrontare il contenuto di questo articolo con l’attico di settecento metri quadrati del Cardinal Bertone e con il relativo rinfresco principesco organizzato per la sua inaugurazione. Mi è tornata alla mente allora la sapienza del detto popolare riportato nel titolo di questa breve nota sulla netta distinzione tra divisa e contenuto. Ancora una volta scelgo quindi come fonte di insegnamento il comportamento di questo cristiano laico che ha lasciato lo IOR in silenzio e con dignità piuttosto che la poco edificante testimonianza del Cardinale in pensione.

Non capisco proprio…

Proprio in questi giorni sono rimasto molto perplesso di fronte alle affermazioni espresse da Nichi Vendola, dalla minoranza del PD, dai Grillini e dalla Lega che hanno protestato a non finire e in maniera plateale e hanno infine preso la via dell’Aventino, deviando poi però verso il Quirinale, perché in contrasto con le decisioni ed il modo di operare del Governo che affermano essere lesivo del ruolo del Parlamento. Sono assolutamente convinto che, chi ha la responsabilità del governo di un Paese, debba ascoltare le critiche costruttive che riceve e abbia il dovere morale di accogliere tutti quei suggerimenti che possono migliorare i progetti che sta tentando di porre in essere, sono anche convinto che una maggioranza, per il solo fatto di essere maggioranza, non sia depositaria né della verità assoluta né abbia la capacità di elaborare le migliori soluzioni possibili, resta però il fatto che, nella concretezza della vita e nella democrazia reale, è la maggioranza ad avere il diritto ma anche il dovere di prendere decisioni. La vita, in un paese democratico, si fonda sul consenso degli elettori e, quando un Governo è legittimato dal consenso, deve poter operare prendendo, con l’aiuto di tutte le parti coinvolte, le migliori decisioni possibili il più rapidamente possibile. In un mondo in cui la velocità con cui si evolvono le dinamiche sociali ed economiche è sempre più esasperata ogni perdita di tempo rischia di vanificare le scelte. Oggi abbiamo un capo di governo che, pur non ricoprendo quel ruolo per mandato popolare, sembra possedere le giuste credenziali per avviare quel processo di ammodernamento del nostro Paese tanto necessario anzi indispensabile. Mi auguro che riesca dove altri hanno fallito e che, operando nell’interesse della collettività senza cedere alle lusinghe di scelte dettate solo dalla ricerca del potere personale, non si riveli l’ennesima delusione!