Incontro con un “collega”

Al Don Vecchi si accolgono normalmente anziani dai settanta ai novant’anni. Le condizioni richieste sono che siano “poveri”, tenendo però conto che la povertà di ordine economico è solo una delle infinite povertà presenti oggi nella nostra società ed inoltre che questi anziani abbiano bisogno di quello che noi fortunatamente possiamo offrire loro: un alloggio protetto.

Il Don Vecchi, anche se a detta di qualcuno è un piccolo “paradiso terrestre”, non è quello definitivo, quello cioè che il buon Dio ha preparato per i suoi figli dopo la vita terrena.

Nessuno viene allontanato dal Don Vecchi però, con il passare degli anni, “sora nostra morte corporale” si incarica di chiamare al cielo anche chi rimarrebbe volentieri quaggiù, motivo per cui c’è un costante turnover e gli inquilini si succedono nei quattrocentottanta alloggi con una certa frequenza.

Qualche giorno fa la signora dell’accoglienza, che stava concludendo le pratiche per un nuovo venuto, quando mi ha visto entrare in ufficio si è sentita in dovere di presentarmi il signore che andrà ad occupare un alloggio al Don Vecchi degli Arzeroni dicendomi che egli è un pastore della Chiesa Luterana di Venezia.

Gli ho stretto immediatamente la mano dando il benvenuto ad un “collega” o meglio ancora ad un “confratello” della Chiesa di Cristo. Confesso che ho provato una profonda commozione nello stringere la mano a quest’uomo di Dio.

Quando mai, fino a mezzo secolo fa, un pastore protestante avrebbe avuto l’ardire di bussare alla porta di una chiesa cattolica ed un prete avrebbe accettato a cuore aperto e con commozione un pastore protestante? Questo è un miracolo della tolleranza e dell’ecumenismo. Oggi al Don Vecchi vi è un pastore luterano, un’ebrea, una testimone di Geova, un buon numero di non praticanti e qualche non credente, però credo che mai una struttura sia stata più “religiosa” della nostra!

Dove e come incontrare il Signore Risorto

Chi mi conosce, anche solamente un poco, sa di certo che la mia più grande preoccupazione non è quella di vivere una religiosità finalizzata a rievocare, nei sacri riti, fatti pur importantissimi avvenuti però duemila anni fa ma quella di vivere il mistero cristiano della Redenzione oggi e nella realtà in cui viviamo.

Gesù, duemila anni fa, pur avendo detto ai suoi discepoli che sarebbe morto e risorto, così come evidenziato nel Vangelo, consapevole che le sue parole non sarebbero state sufficienti a far sì che gli apostoli credessero veramente, dopo la Sua Resurrezione, apparve loro ripetute volte.

Sono allora profondamente convinto che anche a noi, che viviamo duemila anni dopo questi eventi, non bastino le affermazioni del Vangelo, ma abbiamo bisogno, anche noi, di incontrare Gesù, di vederlo vivo, presente nelle vicende della nostra esistenza per credere che avremo una vita nuova dopo la morte fisica.

Allora mi pongo una domanda complessa e quanto mai seria: dove e come posso incontrare questo Gesù che ha sconfitto la morte? Ai miei amici mi permetto di confidare le conclusioni a cui sono arrivato. Credo giusto rispondere che, come avvenne duemila anni fa in Palestina, Cristo non si è fatto vedere nel tempio ma alla Maddalena vicino al sepolcro, a Pietro, Giovanni e agli altri apostoli nel Cenacolo, una prima volta senza Tommaso e successivamente con Tommaso, ai discepoli di Emmaus per strada nelle vesti di uno sconosciuto, ai discepoli nei vari incontri, a Pietro e ai suoi compagni andati a pescare sul lago.

Il vero ed autentico Cristo Risorto oggi lo posso cercare ed incontrare solamente nel quotidiano e nella normalità del vivere. Il Risorto oggi lo vedrò “solamente nel mistero e nell’enigma” mai come nelle raffigurazioni dei pittori o dei mistici. Il Gesù vivo lo potrò scoprire dove ci sono germogli di speranza, dove ci si sforza di dar vita ad un mondo nuovo e migliore, lo posso incontrare negli uomini di pace, di giustizia, di libertà, negli uomini che credono al bene, alla libertà e all’amore. Questa ricerca è più faticosa ed incerta, ma penso sia l’unica vera.

Gesù e la religione

Premetto che io so bene di non essere né il Papa, né un Vescovo, né un teologo e purtroppo neppure un Santo, motivo per cui le mie parole sono solamente quelle di “un povero cristiano” che cerca con ogni mezzo la verità.

Vorrei solamente confidare ai miei concittadini e fratelli di fede le piccole “scoperte” che vado facendo nella mia ricerca quotidiana.

Una delle ultime conclusioni a cui sono giunto, in questo tempo in cui ho riflettuto in modo particolare sulla Resurrezione e sul Mistero Pasquale, è stata questa: Gesù, come uomo, era profondamente religioso, il Vangelo infatti documenta abbondantemente come si rivolgesse spessissimo al Padre, pregasse di primo mattino e fino a notte inoltrata, tuttavia in chiesa entrava poche volte e i suoi rapporti con la gerarchia ecclesiastica non sono mai stati idilliaci anzi, di frequente sono stati caratterizzati più dallo scontro che dall’incontro, tanto che suddetta gerarchia lo ha contrastato in tutti i modi, riuscendo alla fine a sbarazzarsi di Lui facendolo crocifiggere.

Questo non vuol dire che sia giunto alla conclusione di scoraggiare la gente dall’andare in Chiesa, dall’osservare le norme che la religione giustamente ci suggerisce, però mi induce a concludere che è ancora più importante ascoltare la voce della propria coscienza, avere un rapporto costante e profondo con nostro Signore, interrogarlo ed ascoltarlo nelle difficoltà, avere rigore morale e soprattutto praticare in maniera seria e coerente la solidarietà.

Non vorrei lasciarmi andare ad una battuta ad effetto in cose così importanti però sono indotto a pensare che Gesù sia stato sì profondamente religioso, ma non bigotto e nemmeno troppo preoccupato di ridurre la sua religiosità alla pratica dei riti sacri.

L’ebbrezza della semina

Seminare richiede tanto coraggio e tanta fede però è una delle scelte e dei gesti più belli e più importanti della vita. Essendo nato in campagna mi è capitato più volte di vedere nei granai di qualche mio amico, custodito in un angolo, il grano conservato per la futura semina. La famiglia, nelle cattive annate, poteva anche incorrere in grosse difficoltà ma il grano per la semina era gelosamente custodito e nessuno lo toccava per nessuna ragione al mondo perché rappresentava la speranza e il domani! Gesù ha adoperato più volte nel suo Vangelo l’immagine del grano come segno e come allegoria di ciò che di valido e di positivo si può seminare nel solco della vita dell’uomo. Io sono un prete più che mai convinto di possedere, nell’angolo più protetto della mia coscienza, il mucchietto di buona semente da spargere con fiducia e con speranza nel cuore dei miei fratelli e concittadini. Ricordo quello che il grande Bernanos fa dire al prete protagonista del suo splendido romanzo “Il diario di un curato di campagna”: “Non è colpa mia se vesto da beccamorto ma io posseggo il seme della gioia e della speranza e ve lo donerei ben volentieri se me lo chiedeste”. Sono tentato di parafrasare queste parole confidando ai miei concittadini: “Non è colpa mia se sono un vecchio prete che perde colpi sempre più frequentemente ma io custodisco questa semente di fede, di speranza e di amore e la semino con grande ebrezza ogni volta che ne ho l’occasione!”. Per questo motivo custodisco, con particolare attenzione, e difendo, con tutte le mie forze, questo patrimonio di valori attinti dal Vangelo per seminarli, magari in maniera maldestra, ma li voglio seminare a tutti i costi, in ogni circostanza e malgrado tutto. La consapevolezza di custodire e di disporre delle verità più importanti che offrono le risposte più valide per l’uomo di ogni tempo, mi pesa assai per la responsabilità che mi sono assunto ma, nel contempo, il poter offrire alla gente le risposte più valide per le loro attese e per le loro necessità mi da ebbrezza e quasi voluttà. Questo “mestiere” del seminatore mi piace tanto e spero di continuare a poterlo fare fino all’ultimo respiro.

Cristo è veramente risorto

La celebrazione dei grandi misteri cristiani mi investe ogni anno con una forza sempre maggiore, talvolta mi piove addosso come un uragano dal quale non mi è facile difendermi. Un tempo mi erano sufficienti le argomentazioni che la tradizione millenaria mi offriva e che con sforzo tentavo di attualizzare. Ora questi discorsi non mi bastano più, non riescono a convincermi e mi lasciano, non solamente perplesso a livello personale ma mi inibiscono nel proporli con convinzione e con entusiasmo.

Anche quest’anno, in occasione della Pasqua, ho dovuto faticare per darle una lettura che mi convincesse fino in fondo. La preparazione è partita da lontano e lo spunto mi è stato offerto da una magnifica poesia di Padre David Maria Turoldo che, con versi delicati e convinti, esprime come vorrebbe dare l’annuncio della Resurrezione.

Se fossi stato un artista della parola, come la Proclamer, per il sermone di Pasqua avrei letto i versi, pregni di fede e di poesia, di Turoldo ma non essendolo ho dovuto ripiegare su un’immagine molto più prosaica. In occasione della Pasqua ho detto alla mia cara gente che essa è un bellissimo e prezioso dono che il buon Dio ci invia dal cielo. Ogni dono è confezionato con un involucro grazioso e accattivante fatto di carta vivace e di nastri delicati e come tutti i doni anche questo ci viene offerto in una confezione adeguata. Quella della Pasqua è una festività che tutti gradiscono, credo però che, anche se non si deve rifiutare in maniera pregiudiziale l’idea della festa perché l’uomo d’oggi ha bisogno di fare festa, non sia di certo questa la sostanza della Pasqua cristiana! Il contenitore normalmente è tanto più ricco quanto più importante è il contenuto e nel caso della Pasqua il contenitore è costituito dalla liturgia che, in maniera più fastosa del solito, ci ricorda ciò che avvenne duemila anni fa. Il contenitore della Pasqua nelle chiese è costituito dai canti, dai fiori, dalle letture e dalla solennità con cui si ricorda quell’evento così lontano nel tempo ma tutto questo anche se opportuno, forse necessario, non costituisce certamente l’essenza della Pasqua. La perla preziosa è l’annuncio che Cristo è vivo, è presente, che il Risorto lo si può incontrare anche oggi negli uomini migliori, nelle comunità cristiane autentiche, negli eventi che manifestano bontà, pace, giustizia, solidarietà, dove il messaggio di Gesù è riproposto con convinzione, dove si crede che la vita sia veramente un dono e la si vive con ebrezza, dove si è certi di camminare verso la “terra promessa”. Allora riscoprendo il Risorto presente e vivo in mezzo a noi possiamo puntare a giocare totalmente la nostra vita su di Lui ed essere uomini e donne della resurrezione pure noi!

Le attuali “parole chiave”

In ogni stagione si scoprono e si usano parole chiave che identificano i problemi più scottanti e cruciali e che, il più delle volte, si ritiene siano le chiavi per capire, affrontare e risolvere suddette criticità. Vorrei soffermarmi su alcune di queste parole che una volta si definivano “magiche”, ma che ora, in un tempo di laicismo imperante, si ritiene siano invece le ultime “scoperte” per dare soluzione a problematiche che superano le capacità dell’individuo e delle comunità, specie di quelle più piccole.

Una delle locuzioni oggi più ricorrenti è quella di: “investire nella ricerca”. Tutti affermano che le aziende che investono nella ricerca riescono a stare sul mercato e a sviluppare le proprie attività creando reddito. Se applicassi questa conclusione alle nostre parrocchie e se questo enunciato fosse valido, esse dovrebbero essere destinate al fallimento certo perché ormai, da decenni, queste realtà sono rimaste ingessate. Infatti, a livello parrocchiale, io non riesco a scoprire alcunché di nuovo per quanto riguarda la carità, i massmedia, il mondo giovanile e la presenza sul territorio; mi pare anzi che nell’ultimo mezzo secolo si debba registrare piuttosto qualche passo indietro mentre la società civile, in questo lasso di tempo, è passata dal grammofono alla televisione, dal pallottoliere al computer! Investire sull’uomo non solo è una necessità ma è soprattutto un dovere se si crede nel messaggio evangelico e se si vuole sopravvivere.

Oggi si parla poi spessissimo della necessità “di far rete”: solamente Mussolini ha predicato l’autarchia! Se le parrocchie della nostra città non si mettono assieme a progettare una pastorale comunitaria rimarranno sempre più fragili, impotenti, incapaci di far passare un messaggio ed una testimonianza recepibile dalla gente del nostro tempo.

Nel passato ho definito le parrocchie di Mestre come un arcipelago di tante isolette autonome e non comunicanti, ora, adoperando la definizione del filosofo von Leibniz nei riguardi dell’uomo, sarei tentato di parlare di “monadi senza porte e senza finestre”. Le nuove esigenze determinate dalla crescita e dallo sviluppo, che valgono per il commercio e per l’industria, purtroppo valgono anche per le comunità cristiane che vogliono stare a galla e continuare a diffondere, con risultati positivi, la loro proposta.

Richiesta ai candidati

L’elezione a sindaco di Venezia o a governatore del Veneto purtroppo sembra interessare più ai candidati che agli elettori, anche se i candidati non dovrebbero aspettarsi altro se non l’onore di servire la comunità senza alcun ritorno di ordine economico. Gli elettori invece dovrebbero sperare di avere amministratori capaci, onesti e sommamente preoccupati di operare per il bene della collettività. Io probabilmente avrò la “fortuna” di incontrare personalmente quasi tutti i contendenti. I cinquecento residenti presso i Centri Don Vecchi e le cinquemila copie settimanali de “L’Incontro” non possono non far gola a chi ha bisogno di voti per “ambire all’onore di sacrificarsi per la comunità!”. Avendo l’opportunità di un incontro diretto mi sto preparando da tempo su cosa dir loro e su cosa chiedere. Premetto che ritengo opportuno che i candidati conoscano direttamente il mondo che ambiscono amministrare, perciò illustrerò loro il nostro progetto che può far risparmiare centinaia di migliaia di euro al mese all’ente pubblico e, con l’aria che tira, questa non è cosa di poco conto! Ribadirò inoltre, a chiare lettere, che la nostra sperimentazione, ormai ventennale, offre agli anziani una qualità di vita infinitamente migliore di quella offerta da altre soluzioni e questo non è un elemento trascurabile. Infine arriverà il colpo di grazia, la prova del nove per la loro serietà: chiederò a Casson se, qualora venisse eletto, sarebbe disposto a governare assieme a Brugnaro e a Brugnaro chiederò la stessa cosa e cioè se, qualora fosse lui ad essere eletto, sarebbe disponibile ad amministrare con Casson. Perché questo è il “busillis” della questione; non mi si parli di destra o di sinistra, queste distinzioni sono solamente baggianate per allocchi, ormai tutti sappiamo che sono parole vuote, paraventi per porcherie di parte! Se questi personaggi e quelli della Regione avessero a cuore il bene dei cittadini, dovrebbero, come in ogni famiglia sana, trovare una mediazione e se non volessero farlo sarebbero dei vendi vento, degli imbonitori da fiera con i quali è bene non aver nulla a che fare!

Laureato all’università della “strada”

Qualche settimana fa ho pubblicato sulla copertina de “L’Incontro” una bella foto del Patriarca assieme ai futuri sacerdoti della Chiesa veneziana, che non sono più di una ventina. Attualmente il seminario non ha più né le scuole medie né quelle superiori ma soltanto studenti che frequentano il corso teologico di sei anni e quindi i nuovi seminaristi, entrati tutti adulti, hanno frequentato corsi di studio tra i più disparati. Dovrei essere contento che il corso teologico del nostro seminario sia strutturato come i corsi universitari, per i quali vi sono sessioni di esame durante l’anno, e altrettanto contento perché queste scelte del sacerdozio sono fatte in età adulta; eppure confesso di aver l’impressione che questi futuri sacerdoti eccedano nello studio di discipline ecclesiastiche ed in frequentazioni liturgiche, perdendo il contatto con la vita reale e con una mentalità che mal si coniuga con gli studi teologici sempre sofisticati e pressoché incomprensibili per l’uomo della strada.

Mi pare di registrare, in maniera sempre più evidente, che il modo di essere religiosi oggi s’allontani sempre di più dalle elaborazioni e dagli schematismi della liturgia e della teologia tradizionale e quindi ci sia l’urgenza e la necessità di “inventare” una preparazione al sacerdozio ben diversa da quella imposta dalle Congregazioni Vaticane. Il successo dell’insegnamento e della pastorale del nostro Papa, che si è formato nel mondo delle periferie, mi pare evidenzi questa necessità di calarsi nel mondo reale frequentandolo maggiormente. Ricordo che una ventina di anni fa venne a Mestre un giovane frate, discepolo di San Francesco, che frequentava il mondo degli emarginati e che aveva grande presa sui giovani; al fraticello un giorno domandarono in quale università ecclesiastica si fosse laureato ed egli rispose franco e convinto: “Ho frequentato i corsi dell’università della strada!”. Pare che anche Gesù propendesse per questa soluzione quando disse: “Il cristiano deve essere lievito che fa un tutt’uno con la pasta e la fa lievitare all’interno con la sua presenza umile, nascosta ma vitale”. Ho la sensazione che oggi la riforma dei seminari abbia ancora molto cammino da fare!

Torni, le raccomando!

Nei giorni scorsi mi sono recato all’hospice del Policlinico a visitare una signora incontrata, qualche anno fa, all’aeroporto ove svolgeva il ruolo di segretaria del direttore. L’incontro era stato un po’ più che casuale perché io cercavo di ottenere i pasti che i passeggeri non avevano consumato e che ritornavano ancora sigillati, per rispondere alle pressanti richieste dei poveri che si presentavano sempre più numerosi al Don Vecchi per ricevere generi alimentari.

Questa signora, fattami conoscere da due dei miei vecchi ragazzi di un tempo, si era prestata a fare da intermediaria per farci incontrare i responsabili del settore. La richiesta, purtroppo, non andò a buon fine perché le solite assurde pastoie burocratiche rendono pressoché impossibile ogni opera umanitaria, ma anche perché chi non ha problemi di carattere economico, e non incontra “fisicamente” i poveri, trova più comodo dire di no per non infrangere qualche norma stupida inventata da burocrati ottusi correndo il rischio di subirne poi le conseguenze. Da parte mia non ho ancora deciso se si commetta peccato nel ritenere imbelli e disumani quei funzionari più preoccupati di osservare la più stupida delle norme che di aiutare un essere umano in difficoltà. Io sono infinitamente grato a Cristo che ha affermato che “il sabato è fatto per l’uomo e non l’uomo per il sabato”. Con questo lasciapassare me ne infischio dei burocrati e delle loro leggi e quando ci riesco vado al sodo senza alcuno scrupolo di coscienza.

Tornando a bomba, questi miei vecchi “ragazzi” mi hanno ricordato più volte che suddetta signora, ora in pensione, era ricoverata all’hospice del Policlinico e purtroppo, pressato da numerosi impegni, solo il venerdì santo ho trovato il tempo per farle visita. Una stanzetta linda e dignitosa e questo “uccellino” un po’ smarrito ed indifeso nel suo lettuccio bianco. L’incontro è stato veramente dolce e caro, come fossimo stati vecchi amici di infanzia. La visita si sarebbe anche prolungata se non fossero arrivati i miei “ragazzi” che ogni mattina la portano al bar per fare colazione con lei. “Torni, torni!” mi ha detto mentre mi allontanavo. Rincasando mi è tornata alla mente la saggia opera di misericordia: “Visitare gli infermi” concludendo che dobbiamo far sì che i nostri ragazzi del catechismo imparino a memoria le 14 opere di misericordia: esse valgono più di tutto il codice civile.

Conosciamo bene i testimoni del Risorto

Sessant’anni fa, appena ordinato sacerdote, arrancavo più di ora per preparare il sermone della domenica. Ricordo che un sabato, Monsignor Aldo Da Villa, mio parroco a San Lorenzo, sacerdote che parlava alla gente in maniera estremamente convincente, mi chiese se avessi preparato la predica per il giorno dopo. Gli risposi di sì. Io sono sempre stato scrupoloso in questo dovere sia per rispetto alla Parola del Signore sia per le legittime aspettative dei fedeli. Ricordo però che allora soggiunsi: “Ho fatto fatica a preparare qualcosa che convincesse in primis me stesso tanto che mi viene l’angoscia al pensiero di cosa potrò dire di nuovo l’anno prossimo”. A quei tempi la liturgia non prevedeva il ciclo triennale come avviene oggi, motivo per cui ogni anno capitava di commentare lo stesso brano del Vangelo.

Monsignore mi rispose benevolo ed incoraggiante: “Non ti preoccupare, ti accorgerai da solo che ogni anno la Parola del Signore ti offrirà spunti ed interpretazioni sempre nuove, motivo per cui se ti prepari e preghi avrai sempre qualcosa di nuovo e di valido da offrire ai fedeli”. Al momento non mi convinse fino in fondo ma, col passare del tempo, ho constatato che aveva perfettamente ragione! Qualche settimana fa ne ho avuto un’ulteriore conferma leggendo “il fondo” del direttore del “Messaggero di Sant’Antonio” il quale afferma, nel suo articolo in occasione della Pasqua: “Sulla Resurrezione sappiamo poco, tanto poco; non sappiamo infatti come sia avvenuta e per di più i testi evangelici sono confusi, quasi contraddittori. Ad esempio la Maddalena che scambia Gesù risorto con l’ortolano, Pietro e Giovanni che si accontentano del fatto che nel sepolcro ci siano solamente le bende e non il corpo del Risorto ma non dicono perché questa prova così fragile li abbia convinti, ed altro ancora!” però, continua il frate di Sant’Antonio: “noi però conosciamo bene, anzi molto bene, i testimoni della Resurrezione, quanto abbiano faticato, si siano impegnati notte e giorno per annunciare questa notizia così rivoluzionaria ed esaltante e come tutti non abbiano esitato a pagare con la vita questo annuncio”. Già nel passato mi era parso di aver compreso che anche noi oggi possiamo incontrare il Cristo risorto con il suo annuncio e la sua proposta, nella vita, nelle parole, nelle scelte e nelle opere degli uomini migliori che danno un volto luminoso, bello e reale al Cristo risorto. È proprio vero che “il Signore è vicino e si fa conoscere a chi continua a cercarlo con cuore umile e sincero”.

La fede bella di una vecchia suora

Ho pubblicato recentemente su “L’Incontro” una lettera, purtroppo insolita, di un lettore di “Famiglia Cristiana” che ringrazia le suore per tutto il bene che hanno fatto e che continuano a fare nonostante siano rimaste in poche e per lo più in età avanzata. Capita quasi sempre di accorgersi di quanto care, nobili e preziose siano certe persone il cui impegno e servizio quasi sempre li si danno per scontati ma dei quali ci si accorge quando vengono a mancare. Proprio in questi giorni mi è capitato di leggere anche la testimonianza di una vecchia suora che, dopo sessant’anni di vita religiosa, ne fa un bilancio e con umiltà e convinzione confida all’intervistatore i punti di forza del suo impegno religioso. Questa cara suora fa due affermazioni che mi hanno fatto riflettere e che riporto nella speranza che possano far bene anche ai miei amici tanto quanto ne hanno fatto a me.

La prima affermazione è che si è sempre fidata totalmente di Dio, abbandonandosi come una bambina tra le Sue braccia, lasciandosi condurre da Lui anche nei momenti più difficili ed intricati della sua vita, certa non solo che Egli non l’avrebbe mai abbandonata ma anzi che l’avrebbe sempre accompagnata tenendola per mano. La seconda affermazione, in linea con la prima, è che è sempre stata convinta che il luogo e la situazione in cui la sorte, o meglio la Providenza, l’avrebbe portata sarebbe stato il posto migliore e più conveniente per lei e quindi l’ha sempre accolto ed abbracciato con assoluta fiducia ed entusiasmo. Quanta santità e quanta saggezza nelle parole di questa vecchia suora! Questa testimonianza mi ha fatto ricordare tutte le suore che ho conosciuto fin dai giorni nei quali frequentavo l’asilo; quante anime belle, pulite, materne e care ho incontrato sulla mia strada! Che il Signore benedica e ricompensi queste donne di Dio e dell’umanità per la luminosità dei loro occhi e per la loro bellezza interiore!

Il nuovo sindaco

Ho già scritto del mio auspicio nei riguardi del nuovo sindaco di Venezia. Speravo che una volta tanto i soliti politici “guastafeste e combina guai” avessero, come si usa dire oggi, “fatto un passo indietro” e si fossero messi da parte permettendo ad una nuova categoria di cittadini di tentare di colmare la voragine di debiti che essi avevano fatto rimettendo di nuovo in piedi il nostro disastrato comune. A questo scopo pensavo che il tipo di candidato sindaco più adatto a raggiungere l’obiettivo fosse un bravo imprenditore onesto e con un’azienda efficiente che, per amore della propria città, sacrificasse cinque anni della sua vita per questa opera di carità così nobile e necessaria ma con il timore però di ripetere la medesima esperienza narrata nella parabola della Bibbia, che racconta come andarono le cose quando gli alberi vollero trovarsi un re. Chiesero alla vite, ma questa si rifiutò dicendo che “non se la sentiva di privare gli uomini del suo vino che rallegra i loro cuori!”; si rivolsero quindi all’ulivo ma anche lui non si rese disponibile perché la gente aveva bisogno del suo olio per vivere” e così via. Non trovando nessun altro candidato malauguratamente accettarono l’offerta del rovo che li ridusse in miseria costringendoli a vivere una vita grama. Temendo che avvenisse così anche per il Comune di Venezia, pensavo di chiedere al Patriarca che, con tanto di croce astile, seguito dai sacerdoti e dal popolo, si recasse in processione per chiedere questa grazia a qualcuno che non fosse il “rovo” di sempre! Pare che il Signore mi abbia ascoltato e il Brugnaro, dei trionfi della Reyer e del tentativo di bonificare l’isola di Poveglia, ha fatto la scelta generosa di salvare Venezia. Sennonché anche un magistrato mentore della giustizia, uomo di legge, strenuo combattente contro le mafie e la corruzione, di nome Felice Casson, ha avvertito il dovere di offrire il proprio talento professionale perché a Venezia cessi di regnare il malaffare, il sopruso, la prepotenza, l’arrivismo e tutti i malanni del genere. Questo evento mi ha fatto cambiare i sogni, gli auspici e la mia preghiera oggi è questa: “Signore, fa che si mettano d’accordo” perché questi due “consoli” tanto diversi offrano ognuno le proprie risorse e assieme salvino Venezia! Mi auguro tanto che il Signore ma, soprattutto Casson e Brugnaro, finalmente l’accolgano!

I nostri “debiti” ancora non pagati

Alla fine della seconda guerra mondiale la casa editrice Einaudi pubblicò due volumi. Il primo dal titolo “Le ultime lettere dei condannanti a morte della Resistenza europea” e il secondo, sempre sul medesimo argomento, dal titolo “Le ultime lettere dei condannati a morte della Resistenza italiana”. Ho comprato più copie di questi due volumi per regalarli agli amici nel desiderio che anch’essi condividessero l’alto messaggio di queste persone di grandi ideali che pagarono, con il sacrificio della loro vita, il sogno di democrazia, di dignità umana e di libertà. Confesso che le testimonianze di questi uomini e donne liberi, coraggiosi e generosi mi hanno fatto veramente del bene e mi hanno aiutato a prendere coscienza dell’esistenza di valori che valgono più della vita stessa e a ricordare che dobbiamo essere infinitamente riconoscenti nei confronti di chi ha donato queste splendide testimonianze. Da quando sono prete credo di non aver mai lasciato passare il 25 aprile, festa della liberazione, senza ricordare ai miei concittadini che questi eroi hanno pagato con la vita la nostra libertà e la nostra democrazia, motivo per cui dobbiamo loro eterna riconoscenza, sia per il loro eroismo che per le loro testimonianze, e custodire e difendere quei valori, costati tanto cari, a quei nostri concittadini morti perché noi ne potessimo godere. Questa mattina durante la mia meditazione, ho appreso una notizia che non conoscevo e che per associazione di idee ho collegato alle testimonianze suddette. Una cristiana del Canada ha scritto che è profondamente riconoscente a William Tyndale che, nel 1536, fu accusato di eresia e il 16 ottobre dello stesso anno messo a morte per aver tradotto la Bibbia in inglese. Questa notizia mi ha fatto pensare che se io oggi posso vivere una religiosità umana, libera da tabù e da una sacralità razionale lo debbo al coraggio e al sacrificio di cristiani autentici che lungo i secoli e fino all’altro ieri hanno cercato, tra incomprensioni, persecuzioni e condanne morali e fisiche, la verità e il volere di Dio. A tutti costoro rivolgo oggi un pensiero pieno di ammirazione e di grande riconoscenza.

L’università del malaffare e dell’inciviltà

Un tempo le strutture a cui era delegata l’educazione umana, religiosa e civile erano: la scuola, la chiesa e la classe dirigente. L’ultima di queste realtà ha sempre zoppicato più delle altre ma oggi è diventata veramente l’università della mancanza di educazione, di senso civico, di correttezza verbale e di comportamento. Credo che ben difficilmente il nostro Parlamento possa dare un esempio peggiore di quello che sta mostrando al nostro Paese. Penso che non sia esagerato affermare che il nostro Parlamento rappresenta oggi l’università, quindi la scuola per eccellenza, del malaffare, della scompostezza, della maleducazione, dell’arroganza, della cupidigia e della mancanza di senso civico. Sono proprio convinto che i nostri parlamentari, in genere, non potrebbero essere peggiori di quello che sono. Tutto questo mi preoccupa e mi avvilisce perché questo pessimo esempio non è immune da conseguenze: come possiamo infatti condannare e correggere il fenomeno del bullismo nelle nostre scuole quando i nostri parlamentari faziosi, interessati e per nulla preoccupati del bene comune stanno comportandosi peggio? Ripensando alla mia giovinezza poi mi tornano alla mente le parole di Mussolini che ha bollato di bassezza morale il Parlamento del suo tempo grazie al quale poi ebbe buon gioco nell’imporre la sua dittatura. “Onorevoli” smettetela perché state trascinando il nostro Paese nel precipizio della disperazione e della rivolta.

Un nuovo dubbio!

Per molti anni, in sintonia con cristiani e preti, che si preoccupano di incarnare il messaggio evangelico nel nostro tempo, ho auspicato e mi sono impegnato, per quanto possa fare un povero vecchio prete come me, nell’emancipazione della donna ed ho gioito constatando che non c’è opportunità che oggi sia ancora preclusa al gentil sesso. Con Renzi poi una serie di giovani donne non solo sono entrate in Parlamento ma anche nel Governo. C’è perfino una giovane signora che fino a poco tempo fa ha ricoperto il ruolo di ministro della difesa e che ora si occupa di politica estera a livello europeo. Senonché qualche giorno fa mi è capitato di leggere sulla rivista “Il Seme”, un periodico che raccoglie i pensieri più significativi che si possano trovare sull’editoria nazionale, una “confessione” di una giovane donna. Di questa confessione ho colto soprattutto due passaggi che mi hanno fatto pensare e mi hanno creato qualche perplessità su quella che io ritenevo essere l’emancipazione della donna, non quella esasperata e scomposta gridata dalle femministe ma quella auspicata anche dai benpensanti e dai progressisti.

  1. Il rimpianto di un mondo domestico, spesso diventato monco e parziale non solo per le donne in carriera ma anche per tutte le altre.
  2. II fatto che lo stipendio del marito non basti più perché, con l’entrata nel mondo del lavoro dell’universo femminile, sono più che raddoppiati i lavoratori e tutti sappiamo che, per legge di mercato, quando c’è sovrabbondanza di offerta fatalmente si affossano i prezzi. Tutto questo mi costringe a ripensare il problema dell’emancipazione della donna!