Un bell’incontro!

Qualche giorno fa due sposi di mezza età sono stati accompagnati nel mio minuscolo alloggio al “don Vecchi” perché avevano deciso di sottoscrivere due azioni della Fondazione Carpinetum per la costruzione del nuovo Centro di Campalto.

Ho capito immediatamente che essi erano due affezionati e fedeli lettori de “L’incontro” e perciò, vedendo la listerella settimanale dei sottoscrittori dei “Bond Paradiso”, avevano deciso di partecipare alla benefica impresa sottoscrivendo due azioni, pur essendo lui ormai in pensione da qualche anno.

Questi due cristiani praticanti hanno una strana posizione a livello parrocchiale. Abitano nel territorio di una data parrocchia, frequentano la catechesi della più numerosa scuola di catechismo della diocesi, quella de “L’incontro”, alla quale partecipano ogni settimana quattromila alunni (veramente, a sentire alcuni esperti del settore i lettori del periodico sarebbero anche tre-quattro volte tanto il numero di copie stampate) e vanno a messa nella parrocchia di don Roberto, mio fratello minore, a Chirignago.

La strana “vita ecclesiale” di questi due coniugi, che poi mi hanno motivato le loro scelte religiose, m’ha fatto capire che la gente non va dove le norme canoniche e le pretese dei parroci vorrebbero e non è attratta dai riti, spesso noiosi e poco coinvolgenti, ma va dove avverte che c’è vita cristiana autentica, dove si crede nel messaggio, ove c’è entusiasmo e fierezza del vivere l’avventura proposta da Gesù, dove tutto l’uomo riceve risposte e il caldo abbraccio della comunità.

Tralascio, per doverosa discrezione, le lodi al nostro periodico e il disappunto di non poterlo trovare nella loro parrocchia geografica, ma sottolineo la loro ammirazione e quasi l’ebbrezza per avere la possibilità di condividere la lettura della vita, le proposte di solidarietà, l’avventura cristiana vissuta positivamente e non in maniera stanca, rassegnata ed incanalata in un binario morto.

Se ne sono andati contenti ed io sono rimasto nel mio studiolo più contento di loro avendo, ancora una volta, scoperto che sotto la brace c’è ancora qualcosa di vivo pronto ad infiammarsi.

Il prezzo di essere “libero e fedele”

Un signore che mi vuole veramente bene e che forse ha una stima esagerata nei miei riguardi, qualche giorno fa, nel ripetermi che legge sempre e molto volentieri “L’incontro”, mi diceva: «Don Armando, apprezzo quanto mai il suo ripetere: voglio essere “libero e fedele”».

Io sono stato evidentemente molto contento di sentirmelo dire, ma soprattutto sono stato felice che egli avesse colto quello che per me è un punto di forza nell’affrontare la complessa avventura della vita. Quel motto è troppo bello e troppo alto perché sia nato dalla mia consapevole mediocrità, perciò devo confessare a questo lettore e a tutti gli amici de “L’incontro” che “libero e fedele” è il principio ispiratore della filosofia di quel grande profeta del nostro tempo che fu don Primo Mazzolari.

Don Mazzolari, che non ho mai incontrato fisicamente, ma che conosco molto bene dalla lettura dei suoi numerosi scritti, come tutti i profeti di ogni tempo, affrontò momenti estremamente difficili, fu combattuto non solamente dai “nemici”, ma soprattutto fu oggetto del “fuoco amico”, ossia passò i peggiori guai per i provvedimenti e le sanzioni emanati da una parte della gerarchia ecclesiastica poco aperta e poco preoccupata di conoscere e dialogare con i tempi nuovi.

Quando quel caro signore sottolineò positivamente la dottrina che ha sempre ispirato le mie scelte, mi venne d’istinto di domandarmi: “Quanto è costata a me questa scelta di fondo?” Non certamente il prezzo che ha dovuto pagare don Mazzolari! Io per fortuna sono vissuto in tempi diversi, più lontani dalle code di un certo spirito di inquisizione, che non è mai stato estirpato completamente negli apparati ecclesiastici. Il prezzo è stato infinitamente inferiore, ma posso affermare senza tema di smentita che anche oggi l’essere libero e l’essere fedele costano. Costano ugualmente la libertà ed altrettanto la fedeltà.

Anch’io ho pagato in solitudine e amarezza questo prezzo, ma confesso, con onestà e con orgoglio, che non ne sono assolutamente pentito e che mai e poi mai ho ritenuto questo prezzo alto o, peggio ancora, esagerato.

Un giorno dissi a monsignor Vecchi: «Perché non si possono trovare cose belle, ma a poco prezzo?» E monsignore, che talvolta aveva il vezzo di sentenziare, mi rispose: «Ricordati, Armando, che le cose tanto sono belle tanto costano di più».

Io mi sento un uomo ricco perché, tutto sommato, ho conservato fino a tarda età, sia la mia libertà che la fedeltà alla mia coscienza e al messaggio che la Chiesa porta avanti, bene o male, da venti secoli.

Don Gino, la mia seconda ala per quindici anni…

L’altro ieri ho incontrato don Gino, l’arciprete di Mira Taglio, che tornava dalla benedizione di un loculo in cui suoi cari amici, conosciuti in tempi lontani in cui lavoravamo assieme in parrocchia a Carpenedo, avevano deposto le ceneri di un loro congiunto.

Era tanto che non vedevo questo caro prete, che è stato mio collaboratore per una quindicina di anni in parrocchia. Per don Gino nutro un legame particolare perché venne in parrocchia quando non era ancora prete e vi rimase per lungo tempo, soprattutto nei “tempi eroici” del mio impegno di parroco.

Don Gino si lasciò coinvolgere in tutte le grandi avventure parrocchiali, dalla costruzione del patronato, alla casa alpina. la “Malga dei Faggi”, all’apertura della villa asolana per gli anziani. Soprattutto don Gino fu artefice dello svilippo della comunità dei giovani e dei ragazzi. Quegli anni furono gli anni della ricostruzione, delle nuove frontiere, non per nulla al patronato hanno dato il nome di John Kennedy! Credo che in quegli anni giungemmo all’apice dei successi nel campo pastorale. La differenza di doti e di carismi – lui pacato, ordinato, io irruente, sognatore e combattivo – fecero si che la sinergia operasse degli autentici miracoli quali: l’apertura di una emittente, la pubblicazione di tre, quattro periodici, la rassegna di canti liturgici e folk, la biennale di arte sacra, la nascita del turismo per anziani, l’apertura de “Il Ritrovo”, e soprattutto la nascita di un vivaio di ragazzi e di giovani così numeroso e così vitale da far letteralmente sognare.

Questo pomeriggio m’è arrivato con la posta anche il settimanale di don Gino, fatto “a sua immagine e somiglianza”: ordinato, pulito, steso con buon gusto, originale come stile. La lettura del periodico e la rivisitazione della nostra storia comune, mi hanno fatto venire in mente una bella immagine di don Tonino Bello, il compianto vescovo di Barletta: “per volare ci vogliono due ali”. Per me don Gino è stato un’ala quanto mai valida, infatti dopo di lui il volo in parrocchia è diventato affannoso e poco produttivo perché non avevo più una seconda ala. Lui invece vola anche senza di me, però mi pare sia un volo di linea senza acrobazie!

Un incontro che mi ha aiutato a riconciliarmi con l’umanità!

Questa è stata una buona settimana per quanto concerne gli incontri. Io ritengo sempre una grazia ed un dono incontrare delle persone disponibili, serene e positive che ti fanno sentire che provano piacere a darti una mano e lo fanno magari facendo bene il loro mestiere e i loro interessi.

Appena arrivato a Carpenedo, ho avuto il piacere di incontrare il signor Antonio Vanore, che gestiva il “Cinema Lux” della parrocchia. “Don Antonio” era un maresciallo della pubblica sicurezza in pensione da anni, un meridionale DOC, ammiratore di Totò, il principe attore, non solo per la sua mimica e il suo estro, ma forse anche per la sua indole.

A quel tempo venivano al “peoceto” (chiamavano così la vecchia sala cinematografica parrocchiale) folle di bambini. Ogni domenica mi sembrava di partecipare ad una festa patronale del meridione: chiasso, confusione, andirivieni di ragazzi, caramelle, semi e bagigi, tanto che al lunedì la moglie del nostro caro gestore, impiegava un gran tempo a ripulire il locale dopo il passaggio del “branco di bisonti”.

Ebbene, io amavo incontrare quest’uomo sempre sorridente, accomodante ed ottimista. Sentivo che la sua presenza mi scioglieva, mi aiutava ad affrontare con più serenità le difficoltà parrocchiali che non erano, allora, davvero né poche né facili da risolvere.

Questa mattina sono stato al vivaio di Sgaravatti in via Castellana, per acquistare delle piante di oleandro per sostituire quelle “bruciate” dal freddo di quest’inverno. Il signor Federico, responsabile dell’azienda, pur conoscendomi da poco, mi ha consigliato, promesso aiuto, suggerito soluzioni che lui riteneva ottimali. Credo che se avesse voluto, avrebbe potuto vendermi mezza serra. E’ un gusto incontrare un personaggio del genere! Quant’è bello stabilire rapporti con queste persone solari, calde di umanità, capaci di ridimensionare positivamente i problemi!

Sono tornato a casa contento, anche se soltanto i posteri potranno ammirare un filare di oleandri della stessa altezza, armoniosamente posti uno accanto all’altro, perché oggi ci sono degli spilungoni di due metri e mezzo e nanetti di appena mezzo metro. Una cosa conta: oggi ho incontrato un uomo vero, che mi ha aiutato a riconciliarmi con l’umanità!

Trovare chi si offre per un servizio mi riempie ancora di gioia il cuore

La storia della Galleria San Valentino è stata sempre tribolata. Ho sognato che l’apertura del “don Vecchi” a Marghera potesse offrire a quel popoloso rione un centro di cultura e d’arte del quale era totalmente sprovvisto. Ho sognato che il gruppo abbastanza nutrito di critici che conosco da anni mi avrebbe dato una mano per realizzare e far funzionare la galleria, ma uno è morto, un altro si è ammalato, un altro ancora s’è ritenuto troppo lontano, qualche altro ha optato per la sua vita con abitudini consolidate, infine c’è stato chi s’è accorto che la galleria l’impegnava ad appuntamenti fissi ed abbastanza frequenti. Fatto sta che mi sono ritrovato solo soletto con i miei sogni di seminare il culto dell’armonia e della bellezza anche tra i capannoni abbandonati ed arrugginiti della Marghera industriale sognata dal conte Volpi.

Mi sono rivolto alle gallerie sorte a Mestre sulla spinta di monsignor Vecchi, che come me ha sempre inteso la proposta cristiana come una proposta globale che tende ad un nuovo umanesimo, ma non ho trovato né comprensione né aiuto. Fortunatamente un amico, soprattutto di mia sorella Lucia, più che di me ha avuto pietà di questo povero sognatore, e non so con quali lusinghe ha convinto una giovane signora, laureata in storia dell’arte, a farsi samaritana per questo vecchio prete malconcio e in panne.

Abbiamo avuto un primo incontro un paio di settimane fa e m’è parso che avesse scelto di fare questa nuova esperienza con spirito sereno e quanto mai positivo. Non so quale sarà il risultato di questa “assunzione”, di certo io considero già un gran regalo l’aver incontrato qualcuno che non dica pregiudizievolmente di no, come è così facile sentirsi rispondere ad ogni richiesta di impegno per un servizio.

L’incontrare invece qualcuno che, nonostante gli impegni, cerca di trovare un po’ di spazio anche per te, è una vera fortuna o, meglio ancora, una grazia del Cielo!

Il Patriarca Urbani diceva di non chiedere mai un favore per un servizio a chi non fa niente, perché ti dirà subito di no, ma di chiederlo invece a chi è molto occupato, perché quella persona generosa troverà quasi sempre il modo di aiutare anche te. Ora ho avuto conferma che il vecchio Patriarca di Venezia aveva ragione!

Preferisco “il mio Gesù”!

L’ostensione della sindone ha richiamato a Torino ben due milioni di persone: un evento religioso di notevole importanza. Il fatto però che la sindone venga mostrata non continuamente, ma in tempi limitati e a distanza di anni, e che lo si faccia precedendola con un notevole battage pubblicitario, mi mette la pulce nell’orecchio che o la Chiesa torinese o la città, o tutte e due assieme, facciano dell’ostensione un certo business. Questo non mi esalterebbe proprio molto!

Comunque, pur allontanando questo sospetto, debbo confessare di non essare molto interessato a questo lenzuolo che avrebbe avvolto il corpo di Cristo e in esso sarebbero rimaste impresse le sembianze fisiche del Figlio di Dio. Ciò che si vede è molto poco, si vede solamente il negativo e quindi l’immagine emerge artificiosamente e riporta dei tratti sommari. Io preferisco di gran lunga l’immagine che la mia fantasia e il mio amore m’hanno aiutato a comporre partendo dai dati certi fornitimi dal Vangelo.

Il giorno del “Corpus Domini”, in cui si celebra l’umanità di Cristo, ho citato qualcuna delle indicazioni fornitemi dalla “tavolozza evangelica”. Gesù fu uomo di fascino straordinario, ne sono testimoni critici: la donna che non sa trattenersi dall’esprimere il suo entusiasmo quando, di fronte a tutti grida “beato il grembo che ti ha portato e il seno che hai succhiato”; la Maddalena, che di fronte a tutti gli lava letteralmente i piedi e glieli asciuga con i suoi capelli; Maria, la sorella di Lazzaro che rimane estasiata a bocca aperta di fronte a Gesù; Tommaso che gli si butta ai piedi esclamando “Dio mio, Signor mio!” Per non citare poi la ricchezza profonda e calda dell’umanità di Cristo, analizzando il suo rapporto con i poveri, gli ammalati, la sua città, i peccatori e i suoi nemici!

Io preferisco di gran lunga “il mio Gesù”, come direbbe Franco Zeffirelli, il regista che ha fatto un film sulla vita del Messia. Non mi dispiace che di Cristo ci sia giunta che l’immagine sfuocata ed estremamente incompleta della sindone, perché solo così Gesù avrà l’aspetto umanamente affascinante che io e tutti riteniamo giusto dovergli dare.

Il peso di un sogno a quest’età

Sto tentando di fare nei miei riguardi un’operazione veramente difficile, ma che molto probabilmente altri han fatto e con successo.

Alla mia età, quando si tratta di impegnarmi per un obiettivo relativamente vicino, lo faccio e anche molto volentieri. Quando però l’operazione prevede che ci sia bisogno di anni, per poterlo concludere, allora sono tentato di negarmi, pensando che saranno altri a dover pensare, perché tanto io non avrò tempo né capacità per risolvere un problema che richiede tempo, fatica, costanza, coraggio ed un’infinita determinazione.

Si, nel passato ho sentito delle belle sentenze al proposito, mi sono piaciute e le ho anche condivise, ma ora mi dico “ammesso che io possa durare ancora dieci anni – e sarebbe un miracolo davvero straordinario – ma, a novant’anni, in che condizioni sarò ridotto?” Anche adesso fatico e mi angoscio quando mi imbatto in problemi di una qualche difficoltà o in progetti abbastanza impegnativi che devono percorrere degli iter piuttosto difficili.

In quest’ultimo tempo ogni tanto s’affacciano ipotesi sempre nuove e soluzioni diverse per “la cittadella della solidarietà”, ma ognuna delle quali comporta ostacoli e difficoltà non indifferenti da superare. Mi fa sognare che a Mestre possa nascere un piccolo mondo in cui si possa trovare una soluzione per qualsiasi tipo di povertà, ma pure mi sgomenta il pensiero di dover combattere infinite battaglie, superare ostacoli e risolvere situazioni complicate. Per ora ho tentato di dare una cornice sempre più precisa ed adeguata al sogno, giungerà però presto il tempo di dover cominciare i primi passi. Questo, purtroppo, mi preoccupa molto!

La sesta prova dell’esistenza di Dio

Una delle tante materie studiate durante il liceo e poi durante i miei studi teologici si denominava teodicea. Era una disciplina che sosteneva da un punto di vista filosofico il pensiero cristiano. Nella teodicea si studiavano le motivazioni razionali che fanno da supporto alla cultura cristiana.

Onestamente, essendo passati più di sessant’anni, non ricordo granché di questi studi lontani nel tempo e pure lontani dalle logiche quotidiane, però ricordo benissimo ad esempio le prove che san Tommaso d’Aquino adduce per dimostrare l’esistenza di Dio. Le famose cinque prove che oggi pare non interessino a nessuno.

A me personalmente paiono ancora valide; con la loro logica stringente ed anche se capisco benissimo che non possono condurre la gente del nostro tempo alla fede, rimangono limpide e chiare per dimostrare che non sono un allocco se credo, che anzi è un superficiale e poco logico chi non crede.

Non le ricordo tutte e cinque in sequenza, però ho ben presente il procedimento. Ad esempio san Tommaso argomenta “ogni effetto deve avere una causa che lo determini, ma siccome non possiamo procedere a ritroso all’infinito in questo processo, debbo arguire che alla fin fine ci deve essere una causa non determinata da alcuno. Questa causa non causata da alcunché corrisponde al concetto di Dio che è la fonte dell’essere, quindi devo concludere che Dio esiste”.

Sono ritornato questa mattina a questi lontani ricordi di fronte ad una pianta grassa in fiore, dicendomi: “questa è certamente la sesta prova dell’esistenza di Dio!”

Me l’ha regalata ieri una signora, è una pianta grassa grossa come una boccia, tutta piena di spine come un riccio. Stamattina ho scoperto che durante la notte erano sbocciati quattro fiori bianchi di un’armonia e di una bellezza veramente indicibili, un biancore latteo quasi sorridente, una corolla fatta da tantissimi piccolissimi petali, con un pistillo che sembrava un’antenna: uno spettacolo veramente indescrivibile!

Più volte sono uscito nel terrazzino per ammirarla, perché non ho mai visto un fiore così bello. Mi son detto: -chi è quel “macaco” che stupidamente continua ad affermare che tanta bellezza e tanto ordine nascono dal caso, dall’assurdo?- Caro Augias, caro Veronesi, se voi vedeste il fiore che io ho visto oggi, credo che dovreste buttarvi in ginocchio e come Tommaso, l’evangelista, ripetere “Dio mio e Signor mio!”

Certe notizie mi sconvolgono!

Non so se capita a tutti, ma io talvolta sono tentato di tagliare tutti i collegamenti col mondo perché talmente sconvolto, avvilito da certe notizie, che mi convincono sempre più che l’arroganza, l’ipocrisia sono veramente invincibili. Forse è meglio non sapere, per non perdere quel po’ di pace e di fiducia che ancora ho per il mio mondo!

In questi giorni sono quattro le notizie che mi hanno fatto del male turbandomi profondamente.

La prima: Rosy Bindi, la presidente del più grande partito di opposizione, in rapporto al provvedimento anti-crisi ha affermato che esso è profondamente iniquo perché fa pagare la crisi ai poveri e non alle classi agiate. Il mio disagio nasce dal fatto che un tempo una donna che da una vita fa politica nel nostro territorio m’ha presentato la Bindi come una religiosa appartenente ad una congregazione laicale (in suddette congregazioni laicali, pur gli aderenti rimanendo nel mondo, devono praticare i consigli evangelici: povertà castità e obbedienza). Ora credo che la Bindi incassi in un mese tanto quanto incassano i 230 residenti al “don Vecchi” messi assieme! Questi però non battono ciglio nei riguardi della finanziaria, mentre la Bindi protesta perché le tolgono il 10% di mensile che un italiano normale non riuscirà mai ad avere.

Secondo: Palamara, presidente del sindacato o dell’associazione dei magistrati, ha affermato che la categoria farà sciopero per la “stangata”. Mi hanno detto che il primo stipendio di un magistrato è di cinquemila euro al mese, comunque è opinione corrente e non smentita che la magistratura è la categoria più pagata!

Terzo: Calderoli, matto o strambo finché si vuole nei riguardi di “Roma ladrona”, ha proposto la riduzione dei compensi dei calciatori e degli sportivi in genere, subito è stato subissato da un polverone di proteste, a difesa di questi bellimbusti che, peraltro, perdono sempre.

Da ultimo anche il nostro sindaco, forse ancora sprovveduto, si fa pescare a dormire in un albergo da 430 euro la notte. Come scusa, hanno scritto che tirerà fuori di tasca propria la differenza tra i 230 euro alla notte che il Comune gli permette di spendere e i 430 che ha speso!.

E’ bene che il sindaco sappia che il Comune di Venezia contribuisce con euro8 1,25 al giorno per i residenti al “don Vecchi” e che moltissimi di loro devono dormire, mangiare, vivere e pagare le tasse per un intero mese con una somma del genere!

Sulle critiche alla Chiesa Cattolica di questi mesi

Confesso che sono più che stufo di sentir parlare di pedofilia. Siamo tutti convinti che è un sacrilegio turbare l’innocenza dell’infanzia e che la colpa raddoppia o si triplica quando si tratta di sacerdoti o di religiosi in genere.

E’ giustissimo esecrare la pedofilia, ancor più giusto farlo nei riguardi dei preti che si macchiano di questa gravissima colpa, mi pare più che mai necessario mettere fuori dalla tentazione le persone che sono ammalate di questa devianza, ma ora basta! Dedichiamoci a tutte le devianze: alla violenza, all’imbroglio, a smascherare tutti i crimini sociali dei politici, dei banchieri, dei sindacati, delle lobbies internazionali, ma smettiamola di rimescolare nel passato, di accusare chi con discrezione e misericordia ha tentato di salvare chi ha sbagliato e di recuperarlo alla vita normale.

Si va predicando con infinita ipocrisia che il carcere deve tendere al recupero sociale del condannato, i più avanzati culturalmente predicano ed insistono sulle pene alternative alla galera e poi si fa di tutto per screditare in ogni maniera vescovi saggi e prudenti, misericordiosi e buoni che hanno già attuato ciò che avanguardie sociali stanno auspicando. Mi commuove il vecchio Papa che invita alla penitenza e alla conversione, però credo che sia ormai finito il tempo di recuperare la logica e i metodi di don Camillo, perché certi “democratici” nuovo stampo, hanno una morale per conto loro e a loro uso e consumo.

“Isacco” e “Giacobbe”

Io non me ne sono accorto, ma l’ultimo inverno è stato veramente micidiale per le piante del nostro parco, che gli scorsi anni non avevano mai temuto il gelo, ma quest’anno hanno subìto gravi danni. Molti oleandri, che normalmente attecchiscono come la gramigna e prosperano in maniera vistosa, durante l’ultimo inverno sono stati bruciacchiati dal gelo e parecchi sono morti, cosicché, nonostante la primavera avanzata, fanno fatica a metter su una chioma verde e meno che meno sembrano vicini alla fioritura.

Quello che però mi ha preoccupato e fatto temere il peggio, sono le due venerande piante di olivo “Isacco” e “Giacobbe”, età: 360 anni e costo undici milioni di vecchie lire. Ho fatto piantare questi due colossi, tutti contorti e pieni di rughe profonde, nel bel mezzo del prato a levante dell’edificio. Volevo che gli anziani fossero incoraggiati dalla veneranda età di queste due piante, dalla loro forza e capacità di sopravvivenza.

Essi avevano gli scorsi anni una folta chioma argentea e rappresentavano un monumento alla vita. Purtroppo il gelo li ha denudati totalmente, tanto che facevano pena e tristezza i loro due scheletri contorti. Ho chiamato un esperto che li ha potati ben bene, rilasciandoci una diagnosi positiva. In questi giorni sto tirando un sospiro di sollievo vedendo “Isacco” e “Giacobbe” con un leggero velo di verde tenue a coprire le loro vergogne.

Mi sono chiesto di sovente come gli anziani del “don Vecchi” hanno vissuto il dramma dei due vecchi olivi. Pare che non si siano scomposti più di tanto, forse danno per scontate sia la vita che la morte.

Io pensavo di essere ormai un esperto di vecchiaia, mentre mi accorgo ogni giorno di più che ho ancora molto da imparare sull’argomento.

La morte ci dovrebbe insegnare a guardare in un’altra ottica i problemi quotidiani

A pranzo un posto, nonostante fosse passata la mezza – ora canonica per il pasto di mezzogiorno – continuava a rimanere vuoto. Spesso al “don Vecchi” c’è perfino qualcuno che si dimentica del mangiare! Una telefonata al 101, silenzio, nessuno risponde! Una veloce verifica, perché non è proprio infrequente che qualcuno dei 230 residenti decida di partire da questo mondo, ed Armando, l’unico mio omonimo al “don Vecchi”, giace per terra mentre radio e televisione, imperterriti, continuano a parlare senza che alcuno le ascolti.

La morte ha colto il nostro inquilino durante la notte. La sera precedente l’avevo visto, come al solito, fare la sua fumatina all’aperto per non portare danno col suo fumo passivo. Ora giace sul pavimento in attesa delle figlie e delle pompe funebri che trasportano la sua salma all’obitorio.

Nella mattinata avevo discusso in maniera animata dei vari problemi, che non mancano mai in una comunità così vasta ed in un mondo così intricato qual’è il nostro. Ora con Rolando, il direttore, ci ritroviamo a parlare quasi sottovoce sul ballatoio dinanzi alla dimora del nostro coinquilino deceduto durante la notte. Voci più pacate, problemi più vasti e più complessi, però meno urgenti e che svuotano di contenuto le problematiche delle quali ci eravamo occupati fino ad un’ora prima.

Un tempo inorridii di fronte ad un quadro posto nel coro dei cappuccini che ritraeva un vecchio frate con la barba lunga ed un teschio in mano. Ora capisco che sarebbe molto più saggio se inquadrassimo con una cornice di eternità i nostri problemi, che sono quasi sempre effimeri e risolvibili, ma che non dovrebbero poterci togliere il senno e la misura!

Tanta, tanta, tanta burocrazia!

Credo che il mondo intero conosca la mia allergia, anzi il mio deciso rifiuto alla mentalità della burocrazia di qualsiasi ente statale, parastatale o comunale. Purtroppo il mio disappunto è costantemente alimentato da motivi sempre nuovi. Chi ha deciso di “vivere” e di darsi da fare per il prossimo, fatalmente s’imbatte molto spesso in questo muro di gomma che si alimenta di circolari, regolamenti, ordinanze e disposizioni di legge.

Potrei riempire l’intera raccolta annuale de L’incontro per raccontare le peripezie incontrare col Gas, con l’Enel, con lo sportello unico dell’Assessorato dell’Edilizia in questi ultimi tre o quattro anni. Bollette in più, addebiti non giustificati, ritardi biblici, inghippi di ogni genere, E questo non per ottenere o gestire una villa sul Brenta o uno yacht alla Tornatore, ma per offrire un “buco” per gli anziani senza casa, per riparare le loro biciclette dalle intemperie, per permettere loro di sopravvivere nonostante la pensione di 516 euro al mese.

Detto questo, e convinto che i confessori dovrebbero dare a questi soggetti almeno dieci o quindicimila padrenostri, come don Camillo soleva fare con i “rossi”, talvolta mi viene da pensare che non è tutta cattiveria la loro, ma che spesso sono le norme confuse e contradditorie che politici ed amministratori poco intelligenti e spesso interessati, sono lì a costringere a simili comportamenti, sotto la minaccia della perdita del posto di lavoro.

Spesso sono anche i cittadini che non vogliono quasi mai prendere in considerazione il bene comune e tengono conto solamente dei loro interessi.

Ricordo a questo proposito un fatto particolare. Un tempo si pensava che i seminari non bastassero a soddisfare la richiesta di ragazzi di entrarvi. Il Patriarca Agostini pensò di aprire il seminario minore, quello per le medie, a villa Fietta, una bella villa veneta che la diocesi possedeva a Paderno del Grappa. Monsignor Vecchi fu incaricato di costruire una struttura per ospitarlo. Non so con quali sotterfugi riuscì ad ottenere dal sovrintendente ai beni culturali di costruire un obbrobrio di fabbricato innestato sulle linee eleganti della bella villa del `700 dei conti Fietta. Quando avevamo l’occasione di passare da quelle parti, monsignore mi faceva osservare con fine ironia: «non so proprio quale balordo sovrintendente m’abbia permesso di fare un simile sgorbio!»

Non sarebbe male se la burocrazia impedisse tali scempi, mentre s’impunta per farmi costruire a Campalto una facciata in vetro del costo di cento milioni!

Accettarsi e accettare gli altri

La mia famiglia è sempre stata di estrazione economica più che modesta e perciò mi capitava di rado d’andare in qualche negozio per far delle compere. Si dava poi il fatto che qualsiasi capo di vestiario la mamma mi comperasse, io non ne ero mai contento. E ciò non perché avessi gusti difficili, ma solamente perché avevo un senso di istintivo rifiuto per tutto quello che è nuovo. Anche ora io mi affeziono alle mie vecchie robe, che non cambierei neppure con capi da boutique.

La mamma, conoscendomi bene da questo lato, tentava di coinvolgermi nell’acquisto, chiedendomi di andare con lei in negozio. Peggio che peggio! Ero assolutamente allergico ai negozi. Più tardi ho capito il perché: quando fossi stato coinvolto non avrei potuto più protestare per l’indumento nuovo che non mi era facile accettare.

So che il mio modo di reagire era ed è in controtendenza al modo di pensare della maggioranza della gente che ama sempre il nuovo. Da qualche tempo mi sento quasi costretto ad approfondire da un punto di vista psicologico questa tendenza.

Finora sono giunto alla semplice conclusione che si tratta di un istinto irrazionale che non ha motivazioni logiche o esistenziali, come molti nostri modi di reagire sono determinati da pulsioni oscure. L’unica verità positiva che ne ho tratto, potrebbe sembrare scontata, eppure penso abbia un grande ruolo nella vita: cioè bisogna accettarci, ma soprattutto accettare gli altri così come sono, non pretendendo l’esclusione di manie che, pur essendo irrazionali, fan parte integrante della nostra personalità. Diversamente la vita diventa un grave problema.

Monsignor Vecchi era solito dirmi: «Armando, se non accetti le persone come sono, rimarrai sempre solo e tagliato fuori dalla vita e questo è un brutto giorno per un prete!»

Quelle parole lontane che m’aiutano a celebrare la festa della Santissima Trinità

Qualche domenica fa, come in tutte le chiese del mondo, ho celebrato anche nella mia “cattedrale” tra i cipressi il mistero della Santissima Trinità.

Alla mia gente, tanto cara ed affezionata al loro vecchio prete, dissi che la Trinità era la “festa di Dio” e che se sempre mi sento inadeguato a celebrare i divini misteri, per l’occasione avvertivo un senso di sgomento e di vertigine a dover prendere la parola su un tema così alto e sublime. Soggiunsi poi, quasi a mia difesa, che per ogni creatura è arduo parlare dell’assoluto: della fonte dell’essere, della verità, della bellezza e dell’amore. Forse questo sarebbe un momentino più facile per i poeti, per gli innamorati e per i santi, meglio ancora se un prete assommasse in sé tutte e tre queste virtù, ma io, povero gramo, dal pensiero contorto e dalla parola tormentata, non sono nulla di tutto questo.

In quella occasione mi sentivo come Geremia, il profeta, che protestò presso Dio perché gli chiedeva un compito così arduo. Allora il Signore mandò un angelo con una brace rovente per purificare le labbra del profeta. Mi ricordai allora di un lontanissimo episodio di quando ero titubante ed in ansia nel dover prendere la parola per inquadrare il volto di Dio, quasi quasi provavo ribellione per un compito così difficile. Sennonché una signora fiorentina che ascoltò queste mie preoccupazioni e quasi il rifiuto di prendere la parola, mi confidò: «A me dà un senso di ebbrezza questa festa e questo mistero, ho l’impressione di tuffarmi in un mare limpido e profondo e sentirmi tutta avvolta dall’immensità di Dio!» Questa signora è stata per me l’angelo che ha purificato il mio cuore e mi ha fatto sognare ogni anno l’abbraccio forte ed appassionato di Dio. Pare che i fedeli se ne siano accorti e abbiano condiviso questa sensazione, pur non essendo io un santo, tanto meno un innamorato e neppure un poeta.