Amo l’arte!

I miei debiti nei riguardi di monsignor Valentino Vecchi sono davvero pressoché infiniti. Io sono nato in un paese in riva al Piave dove ho visto biondeggiare il grano sui campi, i grappoli d’uva delle viti, ho sentito i grilli cantare nelle sere in cui il cielo brillava tutto trapunto di stelle. Ho visto file di buoi arare le zolle e sentito i contadini cantare mentre zappavano la terra.

Nel mio piccolo paese di campagna ho imparato tante cose interessanti ed utili per vivere. Ma per quanto riguarda l’arte, ho visto solamente vecchie foto di famiglia, qualche oleografia con la Sacra Famiglia, ma nulla più.

Di Giotto, Cimabue, Pinturicchio, Chagall, De Chirico o Cesetti, Guidi o Carrà e dell’infinito popolo di pittori e di artisti, mai ho sentito parlare, neppure nella vecchia scuola, che un tempo doveva ospitare delle monache, e che tutti chiamavano “il convento”.

Don Vecchi mi ha introdotto nel mondo magico ed affascinante dell’arte, mi ha fatto conoscere la tavolozza, le tele e la bellezza dei colori e delle forme.

Don Vecchi mi ha aperto gli occhi a questo mondo così vario ed affascinante, che mi ha letteralmente fatto innamorare. Da questo amore è nata la galleria “La Cella”, la “Biennale di arte sacra”, la conoscenza e l’amicizia con i tanti artisti veneziani e mestrini e da questo amore è nata pure la secondogenita, la “Galleria san Valentino” del “don Vecchi” di Marghera.

Con l’aiuto, prima, di alcuni critici, poi di un’esperta di itinerari d’arte, infine di una giovane signora, pure innamorata della bellezza, ed esperta nel settore, si è avviata questa bella avventura artistica che ha già promosso molte mostre e che è arrivata perfino ad organizzare un concorso su un tema specifico, che sta riscuotendo notevole successo.

Vivere nel senso più vero del termine, è cogliere tutta la ricchezza del creato, e per un cristiano ciò diventa perfino preghiera e adorazione di quel Dio che si manifesta a noi in mille modi – e quello dell’arte è uno di questi; forse uno dei modi più privilegiati.

Grazie a quanti lasciano i propri beni in eredità alla Fondazione Carpinetum!

Le risorse della Fondazione sono pressoché nulle, dato che il suo obiettivo primario è quello di permettere che anche l’anziano che percepisce la pensione sociale, cioè 586 euro mensili, possa vivere al “don Vecchi” senza pesare sulla sua famiglia, sulla civica amministrazione e senza andare a mendicare per strada. Finora ci siamo riusciti.

Ho scoperto, fortunatamente, che la stagione dei miracoli non è ancora terminata. Chi ha dubbi venga al “don Vecchi” per credere! Ma vivere vuol dire non accontentarsi di aiutare qualcuno, il nostro assillo è che a Mestre  non solamente i trecento anziani attuali abbiano la fortuna di abitare al “don Vecchi”! Noi vorremmo che non ci fosse più alcun vecchio sopportato in casa da una nuora bisbetica o recluso, solitario e dimenticato, in uno dei tanti palazzoni anonimi della nostra città.

Da questo assillo sono nati il “don Vecchi” uno, poi il due, quindi il tre, ora il quattro a Campalto, ma c’è già il progetto per il cinque.

Per realizzare tutto è certamente servita la generosità dei concittadini, ma la pioggerella costante delle offerte dei benefattori non è sufficiente, perché per realizzare una struttura che offra confort e sicurezza servono ingenti somme. Mi pare di aver capito che la strada più sicura e quella risolutiva sia quella dei testamenti e delle eredità. I quattro “don Vecchi” sono “sbocciati dalla terra” soprattutto per merito di gente generosa ed intelligente che, non avendo doveri particolari verso i famigliari, ha deciso di lasciare in eredità i suoi beni, prima alla parrocchia, ed ora alla Fondazione.

Ricordo con immensa ammirazione la signora Luigina Corrà che ci ha lasciato un miliardo di vecchie lire, la signorina Giammanco, settecentocinquanta milioni, la signora Scaldaferro, trecentocinquanta milioni ed altri ancora, i cui nomi sono ben incisi nella mia memoria.

Salderemo pure il conto dei nuovi 64 appartamenti di Campalto se riusciremo ad avere le eredità lasciateci da un’anziana di Marghera e da un vecchio di Mirano. Se la burocrazia dello Stato ci permetterà di ricevere presto la generosità di queste persone sagge e generose, avremo vinto ancora una volta!

Voglio vivere fino all’ultimo la vita come una bella avventura!

Ai miei scout ho detto mille volte che la vita va vissuta come una bella avventura e talvolta ho proposto la variante, ancora più ricca di fascino, “scegliere di vivere la vita come un bel gioco”.

Se qualcuno poi mi chiede se io pratico questa visione del vivere, debbo confessare, con una certa amarezza, che non sempre ci riesco, talvolta mi dimentico la scelta fatta mille volte e talaltra scivolo nel pessimismo, però posso sinceramente affermare che, ripensandoci, ci riprovo sempre.

Non vale la pena che enumeri le avventure pregresse, potrebbe sembrare che voglia autoincensarmi, però devo ammettere che più di una volta, trasportato dall’entusiasmo, ho fatto centro. Così è stato per la casa di montagna per i ragazzi, “La malga dei faggi”; così è stato per le vacanze estive ed invernali dei miei anziani con “Villa Flangini”, la magnifica struttura settecentesca sui colli asolani; così è stato per la Galleria “La cella”; così per i vari periodici della parrocchia, per il “Ritrovo”, il club per i vecchi; così per mille iniziative meno eclatanti ma altrettanto belle, quali il gruppo dei cento chierichetti, quello dei duecento scout, di “Radiocarpini”, ecc.

Ora le avventure che mi fanno sognare e, pur procurandomi più di una difficoltà, mi appassionano, sono per prima cosa il “don Vecchi” di Campalto – e qui la sfida è quasi vinta perché a ottobre taglieremo il nastro. Poi la “Galleria san Valentino”, tra le vecchie fabbriche in disuso di Marghera e il relativo quartiere dormitorio; per ora siamo arrivati ad un primo concorso triveneto ma ci sono altrettante prospettive e, se va tutto per il meglio, in un paio d’anni sono certo che saremo tra i primi in classifica. La terza prospettiva è la struttura per gli anziani in perdita di autonomia.

Per un ottantaduenne può sembrar certamente un azzardo pensare ad un progetto pilota per mantenere gli anziani della quarta età ancora “padroni di casa”. Forse non andrò più in là della prima pietra o delle fondamenta, comunque credo che valga sempre la pena tentare e magari morire sognando!

L’incontro con l’IRE offre nuova speranza per un cammino teso al bene comune

Ho incontrato i dirigenti dell’IRE, l’ente veneziano che gestisce un immenso patrimonio derivante dalla Congregazione della Carità che, a sua volta, ha incamerato la gran parte dei beni che i veneziani avevano messo in mano della Chiesa, durante i secoli passati, perché li adoperasse a favore dei poveri.

La presidente dell’ente, accompagnata da due giovani ed intelligenti funzionari, ha voluto visitare il “don Vecchi” e confrontarsi sui problemi degli anziani in perdita di autonomia. L’incontro m’è parso estremamente positivo e ci siamo ripromessi di operare in modo che la Regione recepisca le istanze di chi opera sul campo e non ha pregiudizi di carattere ideologico e politico.

M’ha fatto molto piacere questo scambio di esperienze e di proposte, avvertendo negli interlocutori non solamente estrema competenza tecnica, ma anche vera passione per gli anziani e senso civico, teso a trovare soluzioni possibili, economiche e soprattutto rispettose della dignità della persona, che va difesa fino all’estremo limite del possibile.

Da molti anni, e più volte, ho suggerito e proposto anche agli enti di ispirazione religiosa, o comunque gestiti dalla Chiesa veneziana, di dar vita ad una federazione o comunque a momenti di confronto. Le mie proposte sono sempre cadute nel vuoto; il mondo veneziano è da sempre individualista, ma il mondo veneziano di ispirazione cristiana lo è certamente più ancora.

Mentre parlavo con questa cara gente in ricerca di soluzioni innovative, mi tornavano nel cuore le parole di Gesù alla samaritana: «Credimi, donna, è giunto il tempo ed è questo, in cui i veri adoratori di Dio non lo adorano in questo o in un altro monte, ma in spirito e verità!».

Mi fa felice che sbiadiscano, anzi scompaiano certe etichette fasulle ed ininfluenti per camminare assieme a tutti nella ricerca del bene comune.

Il bellissimo gesto solidale della signora Vendrame

Il ragionier Candiani, che dirige il “don Vecchi” da quindici anni ma che, seguendo la sua vocazione contabile, controlla soprattutto gli aspetti finanziari della Fondazione, mi ha telefonato perché aveva una cosa importante da comunicarmi. Infatti, sul conto corrente dell’Antonveneta erano stati accreditati ben cinquantamila euro. «Cinquantamila!» mi ripeté, pensando che non avessi capito.

La “scoperta” l’aveva lasciato perfino dubbioso, tanto da sentire il bisogno di chiedermi se io non ne sapevo niente. In realtà, qualche giorno prima, mi aveva telefonato una voce giovanile dicendomi che la dottoressa Vendrame voleva fare un’offerta per il “don Vecchi” di Campalto e perciò mi chiedeva il codice IBAM. Poi passarono i giorni e non avevo avvertito niente di nuovo; capita talvolta che qualcuno, in un momento di generosità, prometta una sovvenzione e poi, per motivi che rimangono sconosciuti, la cosa non abbia alcun esito.
Questa volta non fu così!

Chiesi al ragioniere di fare ricerche per avere il nome e l’indirizzo. Non appena avuto e trovato il numero di telefono corrispondente, telefonai. Mi rispose una vocina nitida, che io ho pensato fosse quella della presunta segretaria che mi aveva chiesto il codice bancario, mentre poi ho appreso che essa era invece l’impiegata della banca. Chiesi alla presunta segretaria: «Potrei parlare con la signora Vendrame?» «Sono io» mi rispose. Rimasi un po’ senza parole ed imbarazzato, come mi capita spesso. «Vivo sola, e siccome ho ottantaquattro anni, ho pensato che lei ha bisogno adesso del denaro, non quando non ci sarò più!». Soggiunse che mi ricordava ancora dai tempi di San Lorenzo e che seguiva da lontano le mie “avventure benefiche”.

Ringraziai per l’offerta, per la fiducia e per la testimonianza di generosità e soprattutto di saggezza. Neanche io però aspetterò per dedicarle un padiglione del “don Vecchi” di Campalto quando lei non ci sarà più, perché credo giusto che si sappia, fin da oggi, che a questo mondo ci sono ancora creature belle e generose che credono alla solidarietà e la signora Vendrame è certamente una di queste.

Due bellissimi incontri in un mattino: Agostino e il Pope

Stamattina (alcune settimane fa, NdR) sono andato al cantiere del “don Vecchi”. Era da tanto che non vedevo una squadra di operai intenti al lavoro: muratori, idraulici, elettricisti e fabbri, ognuno esercitava il proprio mestiere con una serietà tale che sembrava quasi un’équipe in sala operatoria. Mi guidò nella visita Agostino, un capomastro intelligente, cordiale e capace. M’è sembrato, pur sporco di malta dai piedi ai capelli, un capitano sulla tolda di un transatlantico, che tracciava la rotta con assoluta sicurezza.

Sono ormai certo che anche la nuova struttura, per cui sto mettendo da parte mobili, quadri, tappeti e lampadari, sarà bella e funzionale, degna dei nostri anziani.

Prima di tornare, mi venne voglia di fare una visita al pope della chiesa copta che sorgerà a pochi passi dal “don Vecchi”. Fortunatamente l’ho trovato in casa; egli è un monaco di mezza età con la sua veste nera fino ai piedi ed una specie di copricapo con bordature dorate che tanto assomiglia al camauro che Benedetto decimo sesto ama portare d’inverno.

Questo “parroco” di nazionalità egiziana, segue pastoralmente una comunità di diecimila cristiani copti a Milano e quella molto più piccola di Venezia. Si è dimostrato già fratello concedendoci lo spazio per il cantiere e, più ancora, nel colloquio cordiale e caro. Si è preoccupato di dirmi che avevamo quasi tutto in comune a livello di fede, ma di questa informazione m’ero già convinto, tanto che gli ho detto che ci aiuteremo in ogni modo, e se non riuscirà a riempire le sua nuova chiesa, gli anziani del “don Vecchi”, che non hanno una cappella, andranno a pregare nostro Signore da lui.

Se costruiranno il carcere, come è previsto, e il centro per gli stranieri a Campalto, faremo concorrenza a piazza Ferretto e a San Marco.

Ancora bellissimi gesti di solidarietà per il Don Vecchi di Campalto

Per motivi di ordine pastorale ho conosciuto lo zio di un giovane parrocchiano di un tempo, molto fragile ed un po’ svitato, per il quale, per quanto abbia invocato l’aiuto del cielo e della terra per dargli una mano, mi beccai una diffida tramite un avvocato che mi invitava a non occuparmi della vita del suo protetto.

Dall’incontro casuale con questo signore, al quale avevo chiesto aiuto per aiutare il nipote e al quale era giunta, come a me, la diffida dell’avvocato, è nata, prima, una conoscenza superficiale, poi pian piano, un rapporto di stima e di amicizia.

Un giorno egli mi si presentò al “don Vecchi” per donarmi un bellissimo Cristo in terracotta; in seguito mi regalò pure un san Francesco ed infine, avendo sentito che io avrei sognato una Madonna in terracotta da porre all’ingresso del “don Vecchi” di Campalto, mi portò pure un bozzetto che si rifà ad opere del Medioevo, in cui si scorgono, sotto il mantello aperto, i fedeli in preghiera. Qualche giorno fa individuammo assieme la parete ove collocare questa terracotta grande due metri per un metro.

Sono stato assai felice nel vedere con quale entusiasmo questo artista, Enrico Da Venezia, ha offerto la sua collaborazione per rendere più signorile ed accogliente la nuova struttura per anziani. Come sono altresì felice perché la città mi pare sempre più coinvolta in questa avventura solidale; ne fanno testimonianza le offerte settimanali, i quadri e i mobili che ci giungono per arredare il “don Vecchi 4”.

La macchina della solidarietà è un po’ legnosa e pesante da mettersi in moto, ma se trova un volano che le faccia fare i primi giri, essa finisce per funzionare a tutto vapore.

Una bella notizia: il Veneto non taglia sulla sicurezza sociale!

Sul “Gazzettino”, che scorro molto rapidamente di primo mattino dopo le preghiere con cui apro la mia giornata, non mi capita, purtroppo, di leggere di frequente qualche buona notizia. Però, qualche giorno fa, dopo il titolo in cui si annunciava che, pur con tanta fatica, s’era finalmente approvato il bilancio preventivo della Regione, ho letto con estremo piacere, che all’assessorato alla sicurezza sociale, non solamente non s’erano apportati gli ormai consueti tagli, ma anzi s’erano stanziati sedici milioni in più dello scorso anno.

L’assessore Sernagiotto, titolare di questo assessorato, evidentemente aveva perorato con passione la “causa dei poveri”, tanto da convincere i colleghi ad aumentare il budget, nonostante i tagli causati dalla crisi ed apportati in quasi tutte le voci di spesa della Regione.

La notizia m’ha fatto tanto piacere almeno per tre motivi.

Primo: fa sempre onore che un cattolico, che si dichiara pubblicamente tale – infatti Sernagiotto è dell’U.D.C. – si batta per i poveri. Secondo: perché i servizi sociali verso le classi più povere, che subiscono pesantemente i contraccolpi della crisi, non saranno ulteriormente penalizzati, anzi avranno delle risposte, seppur leggermente, positive. Terzo: perché, in qualità di presidente della Fondazione del “don Vecchi”, credo d’avere una apertura di credito nei riguardi di questo assessore, promessa a cui non intendo per alcun motivo rinunciare.

Sernagiotto, venendo al “don Vecchi” e scoprendola felicemente come struttura assolutamente innovativa nel campo della residenzialità, mi ha pubblicamente promesso di rivedere ed emendare la rozza scheda SVAMA per variegare il tipo di assistenza all’anziano, in maniera da non confinare nelle case di riposo gli anziani che hanno ancora qualche residua autonomia e da contrastare il business delle case di riposo per non autosufficienti verso cui si sono dirette le attenzioni di certi grossi operatori economici senza troppi scrupoli e certi enti pubblici dalla gestione estremamente onerosa.

In quell’occasione ho offerto la disponibilità della Fondazione a porre in atto un progetto pilota su cui poi regolare le future norme sull’assistenza dell’anziano. Ora che mi s’è offerta un’occasione così lusinghiera di certo non mollerò la preda!

Da vecchi si capisce che manca il tempo per vedere maturare le sementi gettate ora

Provo una strana sensazione nell’impegnarmi e nel lavorare per certe realtà che quasi certamente non avrò la possibilità e il tempo di vedere realizzate. Queste sensazioni non si possono provare se non quando si è vecchi. Però confesso che provo un po’ di malinconia nell’avvertire che non vedrò i fiori e soprattutto i frutti di certe “sementi” che ora con fatica e sacrifici sto buttando nel solco della vita.

All’ingresso del “don Vecchi” ho affisso alla parete un motto da cui vado ad attingere forza e coraggio quando la malinconia mi assale pensando che non avrò tempo per vedere realizzato il progetto sognato. Il motto, scritto su piccole tessere vitree di mosaico verdi e celesti, recita coraggioso: “In spem contra spem” (nella speranza contro ogni speranza). Talvolta mi sembra di essere nei panni di Mosè, il valoroso condottiero che, tra mille vicissitudini, condusse il suo popolo verso la Terra promessa e che dovette accontentarsi di vederla di lontano, sapendo di non riuscire a mettere piede in quella terra benedetta, nei fiumi della quale scorrevano “latte e miele”!

In questi giorni ho provato più acuto di sempre questo sentimento in due occasioni tanto diverse, ma legate da un seppur breve denominatore comune. Una cara signora mi ha offerto una dozzina di virgulti di palma. Ho fatto fare un’aiola circolare nel prato del parco del “don Vecchi” e piantare queste tenere pianticelle che ora ondeggiano al vento. Guardandole mi viene da sognare un bellissimo palmeto verde, ma so che non avrò certamente tempo di vederlo.

Un secondo evento molto più importante: sto aspettando, quasi con stizza per la lentezza, che la Regione approvi il bilancio, perché solo allora avrò modo di studiare con i dirigenti dell’assessore alle politiche sociali, Sernagiotto, un progetto pilota per accogliere, da “cittadini a tutto titolo”, anziani in perdita di autonomia”. Questo progetto mi affascina perché sono convinto che offrirà dignità ed ulteriore autonomia a persone che vivono l’avanzato tramonto della loro vita. Sono però certo che davanti a me non ci sono anni sufficienti perché questo progetto utile, ma anche ambizioso ed impegnativo, possa realizzarsi; non per questo voglio starmene con le mani in mano, sono invece determinato a lottare fino alla fine perché altri possano raccoglierne i frutti.

Il Consiglio di amministrazione della Fondazione Carpinetum, un esempio per tutti

A settembre terminerà il suo compito il Consiglio di amministrazione che in questi ultimi cinque anni ha diretto i centri “don Vecchi”.

Il Consiglio della Fondazione Carpinetum è composto da cinque membri, tre di elezione da parte della parrocchia di Carpenedo e due da parte del Patriarcato. Per un gesto squisito di gentilezza sia la parrocchia che la diocesi hanno permesso che fossi io a designarli. Ho chiesto a persone capaci, oneste e generose di aiutarmi in questa fase d’inizio un po’ incerta e difficile della Fondazione appena costituita. La risposta è giunta pronta e generosa, nonostante ognuna di loro avesse impegni pressanti a livello professionale.

Il Consiglio ha lavorato non bene ma benissimo, mai un diverbio, mai un contrasto; ognuno, seppure di età e di impegno civile diverso, ha dato il meglio di sé con generosità, discrezione e saggezza.

La consapevolezza di adempiere un servizio verso persone anziane, bisognose ed indifese, ha prevalso in qualsiasi problema da affrontare. In cinque anni si è aperto il Centro di Marghera con i suoi 57 alloggi e la sua direzione quanto mai valida ed efficiente, si sono acquisiti diecimila metri quadri di terreno a Campalto e, prima della fine del mandato, saranno inaugurati altri 64 alloggi con una direzione già pronta a prendere le redini.

Nel contempo questo Consiglio s’è adoperato a sviluppare “il grande polo” di solidarietà cresciuto all’ombra della sede del “don Vecchi” di Carpenedo e che attualmente rappresenta il più consistente, il più moderno ed efficiente centro di solidarietà operante a Mestre e nel Patriarcato.

Ancora suddetto Consiglio ha già messo le premesse per una esperienza pilota, assolutamente innovativa nei riguardi degli anziani in perdita di autonomia.

Credo che se al Parlamento e al Governo si lavorasse in maniera così responsabile e disinteressata, le cose nel nostro Paese andrebbero infinitamente meglio. E allora “se non adesso quando?”. Credo che lo slogan delle donne potrebbe essere adoperato meglio, partendo da queste premesse e indirizzato a questi ideali.

La visita del Papa a Venezia

Il fatto che il Papa venga a Venezia mi fa molto felice, come credo che faccia felici tutti coloro che credono, per fede, che egli è il successore degli apostoli. L’apparato ecclesiastico sta facendo grandi preparativi per accoglierlo come si conviene. A questa gioia delle genti venete per la venuta del vicario di Cristo, secondo me si aggiunge anche molta “tenerezza” (mi si perdoni il termine che non vuol essere minimamente irrispettoso, ma vuole esprimere tutta la mia comprensione nel vederlo così fragile, indifeso e smarrito).

Il Papa, mi pare, abbia un paio di anni più di me e perciò posso ben comprendere il costo “delle chiavi così pesanti” e la fatica di tenere il timone della barca di Pietro in un mare per nulla tranquillo.

Qualche giorno fa leggevo, negli Atti degli Apostoli, l’attesa trepida con cui la prima comunità cristiana di Roma aspettò il vecchio apostolo Giovanni e l’emozione profonda con cui ha ascoltato la sua parola: “Figlioli, vogliatevi bene!” e poi ancora “Amatevi gli uni gli altri!” Spero che le nostre comunità e chi le guida non facciano di questo evento un qualcosa di portentoso, un qualcosa da cui possa derivare un non so qual miracolo di rinnovamento. Le parole che mi attendo dalle labbra e dal cuore di Papa Benedetto sono queste antiche e stupende parole che sono sempre nuove e sempre belle perché sono la vera ricchezza della nostra Chiesa.

Anche noi del “don Vecchi” abbiamo dato con prontezza e con letizia il nostro piccolo contributo per la festa della venuta del Papa tra noi, ma soprattutto gli doneremo idealmente i nuovi alloggi per gli anziani poveri della nostra città. Siamo certi, che lo venga a sapere o meno, che questo sarà il dono più gradito ed apprezzato dal Santo Padre, dono che ricompenserà la sua fatica e che farà felice il suo cuore di padre.

Ancora una volta grazie ai cittadini che mi aiutano a costruire il Don Vecchi 4!

Una ragazza spigliata ed intelligente poco tempo fa mi ha fatto pervenire un’offerta per il centro “don Vecchi” di Campalto, con una richiesta spiritosa ed un po’ sbarazzina: “Voglio sottoscrivere dieci B.T.P.”. Poi ha aggiunto una spiegazione, intuendo che per un vecchio come me, forse sarebbe stato difficile comprendere la battuta (Buoni Tesoro Paradiso). Questa ragazza ha allegato alla richiesta 500 euro, pari a quelle che io, in maniera più datata, avevo denominato “azioni” della Fondazione Carpinetum per finanziare i nuovi 64 alloggi per anziani poveri, in costruzione a Campalto.

La “trovata”, dal sapore goliardico, è nata dal desiderio di onorare la memoria della madre, morta un anno fa. Ogni settimana concittadini di tutte le estrazioni stanno rispondendo al nostro appello e stanno finanziando la struttura che fa onore alla nostra città, offrendo ad un numero consistente di anziani una dimora confortevole e sicura. Questa risposta della città mi conforta e mi commuove, facendomi ancora una volta capire che mentre i cittadini, fortunatamente, mantengono, nonostante tutto, un cuore ed una coscienza, le banche e gli enti pubblici, se mai le avessero avute in passato, ora probabilmente le hanno perdute totalmente.

Una volta ancora ringrazio i cittadini per la loro fiducia e la loro generosità perché, sebbene facciano i loro “interessi”, investendo in titoli assai redditizi in terra e perfino in Cielo, mi aiutano a credere nell’uomo e a proseguire nello sforzo di impegnare ogni residua risorsa della mia vita per costruire una città solidale.

Una generosità che commuove e costruisce

Mestre conosce la mia trovata di munirmi di una bisaccia da cerca per trovare il denaro per finanziare il “don Vecchi” di Campalto. Non tutti però sanno che avevo in canna più di una cartuccia e nel momento della grande paura ho cominciato a premere il grilletto in tutte le direzioni.

Una delle tante trovate, che poi era una specie di uovo di Colombo, e non una gran scoperta, fu quella di accludere all’interno de “L’incontro” il bollettino di conto corrente postale. All’inizio dello scorso dicembre, stimando che il Natale vicino e la tredicesima potessero intenerire il cuore dei miei concittadini, ho inserito ben cinquemila bollettini nel numero de “L’incontro” della prima settimana di dicembre. Feci stampare in copertina la mia foto per personalizzare la richiesta di aiuto e poi, in prima di copertina, scrissi una lettera aperta intingendo la penna ora nel cuore ed ora nella preoccupazione di un vecchio prete preoccupato di far fallimento.

Non è che subito siano piovute le risposte come una pioggia torrenziale d’estate, però cominciò una pioggerella continua di risposte e la somma finale degli euro cominciò a crescere, seppur lentamente, ma in continuità. Ho cominciato a prender nota e a segnalare la sottoscrizione dei B.T.P. (Buoni Tesoro Paradiso), come ebbe a denominarle una cara figliola di un mio amico, per inviare via Internet gli accrediti in Cielo.

Questa pioggerella quotidiana mi rende lieto perché dietro ad ogni nome posso sognare il volto buono e caro di una persona amica, perché sono certo che il Signore terrà conto nel Giudizio Finale di questa generosità e perciò i miei concittadini si troveranno un bel gruzzoletto per la fine della vita ed infine perché posso onorare gli impegni presi con l’Eurocostruzione.

Potrei anche aggiungere che tali offerte assicurano il pane quotidiano per un anno intero ai cinquanta operai del cantiere del “don Vecchi 4°” e in questi tempi ciò non è proprio poco!

Da una sincera collaborazione fra persone prima che politici nasce qualcosa di importante!

Nota della redazione: come sempre, questo appunto di don Armando scritto a penna e trasformato in articolo per “L’Incontro” e post per il blog, risale ad alcune settimane fa.

Oggi è stata per me veramente una splendida giornata, ma soprattutto per gli anziani poveri in perdita di autonomia. Quando ho cominciato ad occuparmi della terza età, avevo intuito che tra l’autosufficienza, che fortunatamente è presente anche in persone notevolmente anziane, e la non autosufficienza c’è un’ampia zona grigia in cui una persona non è né questo né quello, ossia non è da ricovero, però non può neanche bastare completamente a se stessa.

I responsabili del settore della Regione finora non avevano mai messo a punto dei provvedimenti per tutelare la dignità della stagione del tardo autunno delle persone anziane con pochi mezzi economici. In un incontro fortuito con Gennaro Marotta, consigliere regionale dell’Italia dei Valori, ritornando a Mestre da un dibattito tenuto presso la sede dell’emittente “Antenna Veneta”, avevo conversato con questo politico sul problema grave che affligge il “don Vecchi”, ossia sugli anziani in perdita di autonomia che non vorrebbero abbandonare il loro domicilio presso il Centro e nello stesso tempo hanno infinite difficoltà di ordine economico e di accettazione da parte delle Case di Riposo.

Il signor Marotta, con squisita disponibilità e cortesia, ci ha portato al “don Vecchi” l’assessore alle politiche sociali della Regione, il quale ha scoperto, con favore e con entusiasmo, che la soluzione prospettata dal Centro corrispondeva esattamente al suo sogno di dare una risposta valida ed umana ai nostri concittadini che vengono a trovarsi in questa zona di nessuno rappresentata dalla parziale perdita di autonomia.

E’ stato facile mettere le basi perché, con una collaborazione tra la Fondazione e la Regione, il “don Vecchi” diventi il progetto pilota che permetta la sperimentazione necessaria per mettere a punto le leggi relative.

Sono stato felice non solamente per questo accordo, per la sinergia tra pubblico e privato sociale, ma anche che persone espresse da realtà pur diverse abbiano aperto un dialogo sereno e collaborativo su un problema concreto, lasciando da parte scelte di ordine ideologico o religioso. Di tutto questo sono infinitamente grato a Gennaro Marotta dell’Italia dei Valori e all’assessore Remo Sernagiotto dell’Udc.

Sognate con me!

Credo che non ringrazierò mai sufficientemente il Signore per avermi dato lo splendido dono di sognare ad occhi aperti. Il sognare in modo nuovo però, che non si riduce ad un’utopia lontana ed irraggiungibile, ma come gradini successivi che mi portino più avanti, più in alto e più vicino ad un “mondo nuovo”. Qualche giorno fa ho letto che don Verzè, il fondatore del grande ospedale-università di Milano, il San Raffaele, sta sognando, a più di novant’anni, di sconfiggere il tumore. Allora perché io, che ne ho solamente 82, non posso sognare un qualcosa alla grande?

Voglio confidare agli amici i miei sogni-nella speranza che pure loro non si rassegnino a non guardare più in là del proprio naso. Sognare costa poco, ma dona molto, offre nuove prospettive, scatena risorse interiori, mette in moto sinergie e talvolta, se ti va bene, può offrirti anche qualche realizzazione che gratifica lo spirito.

Comincio col più piccolo: l’Agape. Ogni quindici giorni vorrei, con i volontari della cucina del “Seniorestaurant” del “don Vecchi”, offrire un “pranzetto” cordiale a quaranta, cinquanta anziani della città che vivono soli. Un pranzetto che parte dall’antipasto e termina col dolce, in un ambiente caldo e cordiale. Non è molto, ma se ogni parrocchia ne organizzasse uno, più di mille anziani potrebbero pranzare assieme al costo di una “pipa di tabacco”!

Secondo sogno – che già ha messo radici e sta crescendo decisamente, tanto che col prossimo settembre potrà “camminare con i suoi piedi” – il “don Vecchi 4 di Campalto”: 64 nuovi alloggi per anziani poveri.

Qualche ostacolo, qualche bastone fra le ruote, qualche preoccupazione economica, ma ormai pare tutto in via di superamento, e soprattutto quanta gioia poter pensare che un’altra settantina di anziani trascorrerà la vecchiaia senza timore di sfratto e senza dover chiedere l’elemosina a nessuno.

Terzo sogno: la cittadella della solidarietà. Un ostello con duecento stanze, un ristorante con trecento coperti, un'”Ikea” per i mobili, un “Coin” per i vestiti, un ipermercato per i generi alimentari, un poliambulatorio, un centro di ascolto collegato con tutti i servizi in atto in città, un complesso-docce, un salone di parrucchiere per uomo e donna, un ufficio legale, una banca per miniprestiti, ecc.

Per ora ci sono le idee, ma non è impossibile, prima o poi, mettono le ali e comincino a volare.