Il perdono

Quando ero ragazzino, la catechista mi faceva sognare quando ci raccontava la storia del giovane David, dagli occhi belli e dai capelli fulvi, che sfidava in nome del suo popolo, il gigante Golia e lo abbatteva con la sua fionda.

Più grande, ma senza alcuna dimestichezza derivante da una lettura integrale della Bibbia, perché a quei tempi se ne sconsigliava l’approccio, mi si parlava del “pio” re David.

Ora, ormai vecchio, ho conosciuto bene la vicenda, gli amori più o meno leciti di questo “santo re David”.

Credo che se mettessi assieme, facendone una antologia quelli che noi oggi chiamiamo “peccati”, ci sarebbe veramente da essere sorpresi come Dio concedesse la sua benevolenza ad un personaggio del genere, che pare non avesse alcuna dimestichezza con la moralità e il senso religioso della vita.

Ultimamente m’è capitato di leggere sulle sue simpatie nei riguardi di Gionata, sul modo con cui “paga” la dote a Saul suo suocero, sulle sue scappatelle extraconiugali, e in particolare sulle sue scorribande guerresche.

Sì altri tempi, altri costumi! Tutto quello che si vuole! Sarà stato un modello per quei tempi, non certamente per noi.

Eppure non ho perso totalmente la simpatia per questo furfantello di re!

La sua vita e le lodi che riceve dalle Sacre Scritture, mi sono di conforto, nella speranza che se il buon Dio, che è sempre quello di David, se l’è portato in paradiso, farà altrettanto con gli uomini del nostro tempo.

Credo che il pessimismo che è nato da alcuni filoni della Riforma Protestante, non abbia motivazioni profonde e giustificazioni credibili.

Ogni giorno di più constato con meraviglia, la capacità di perdono verso certi figli sconsiderati da parte degli sfortunati genitori.

Spero proprio che il buon Dio usi lo stesso metro anche con gli uomini del nostro tempo.

Un po’ d’ordine

I temporali e la pioggia violenta di questi ultimi giorni hanno fatto cadere un altro pezzettino della volta del porticato di sinistra che allarga le braccia ad accogliere i concittadini che ogni giorno, numerosi, vengono a salutare i propri morti.

I miei ultimi interventi presso la Vesta evidentemente hanno mosso qualcosa; ho visto che s’è tagliata l’erba, s’è rabberciato il terreno del campo a sinistra ove sono avvenute le ultime esumazioni, ho visto gli operatori diserbare presso alcune tombe, l’ingegnere responsabile della manutenzione fare una visita, hanno sostituito tre neon dell’illuminazione della cappella, ed ho pure notato alcuni addetti ai lavori che per un paio di mezze giornate hanno fatto rilievi e discusso sugli intonaci delle volte del porticato ch’era stato transennato con nastro bianco e rosso, ma che il vento ha spazzato via. Di certo non sono scomparse le pozzanghere e il fango, l’asfalto è pieno di buche e i fiori di plastica, scorazzano ad ogni ventata un po’ seria, i campi a prato verde sono tali per definizione, ma in realtà basta qualche giorno di sole perché prendano il colore della steppa, molto probabilmente manca un impianto di irrigazione e se c’è di certo non funziona!

Tra qualche settimana avremo un bel piazzale, sperando che il Comune provveda anche alla manutenzione, certamente sarà più accogliente di prima, però non avremo un bel cimitero. Si dirà che dipende dai fondi a disposizione, dal numero degli addetti. Io non credo, e non ho mai creduto a questi discorsi. Si tratta invece di civiltà, di convinzioni, di capi, di senso di responsabilità. Credo che il Comune di Venezia sia tra i comuni del nordest che ha in assoluto il numero più grande di dipendenti eppure non brilla per efficienza e Treviso, Belluno, Padova ma anche Castelfranco e S. Donà potrebbero fargli da maestri.

Al sindaco Cacciari, all’inizio di uno dei suoi precedenti mandati, gli dissi che se avesse messo a regime i dipendenti del Comune, sarebbe stato solo per questo un ottimo sindaco. Non è avvenuto!

Sarei curioso di vedere, se la lega avesse un Gentilini qualunque ma coi baffi, riuscirebbe a metter un po’ d’ordine!
Fare una prova, non casca il mondo!

L’uno o l’altra

Vi sono cose che stuzzicano la mia curiosità e che alla fin fine mi divertono, ma mi vergogno un po’ perché sono cose che sanno di pettegolezzo e il pettegolezzo è sempre una cosa futile, se poi si tratta di quello ecclesiastico si scende ancora un gradino più giù!

Si tratta della maretta che si è innescata in diocesi in occasione delle ultime elezioni e del comportamento di alcuni preti nei riguardi dei due contendenti alla poltrona della Provincia.

E’ andata male per Zoggia, Centro sinistra, ed ha vinto la Zaccariotto, Centro destra.

Io ho votato necessariamente per uno dei due contendenti, ma l’ho fatto quasi buttando i dadi perché confesso, pur avendoli sentiti tutti e due, essendo venuti entrambi al don Vecchi per la campagna elettorale!, non ho assolutamente capito in che cosa si differenziassero.

Credo che l’elemento che li ha distinti sia stato il rinfresco servito alla fine dei discorsi. Zoggia ha offerto un gingerino, la Zaccariotto pane e mortadella. C’è stato un leggero maggior gradimento per la mortadella, ed infatti ha vinto la Zaccariotto!

Non so proprio cosa abbiano scoperto i miei confratelli sia di sinistra che di destra, poiché ambedue le fazioni sono scese in campo.

A me sembra che Zoggia abbia il volto da bravo ragazzo, sano, come la nostra gente del Piave, la Zaccariotto è pure una bella e prosperosa ragazza anche lei del Piave.

Ora sono morte le ideologie, la Russia non è proprio quel paradiso terrestre che volevano farci credere, l’America pure s’è impelagata in guerre senza fine, la chiesa s’è dichiarata equidistante, anzi equivicina, credo che torna conto, come per i nostri vecchi, approfittare sia del panino che del gingerino, senza guastarsi il sangue.

Per me c’è un pallido barlume che mi guida e che mi sembra che il Centro destra sappia meglio fare i conti, mentre il Centro sinistra, pur nel lodevole desiderio di dare lavoro a tutti continua a riempire gli enti pubblici di parassiti. Ma comunque né l’una cosa né l’altra mi pare siano peccati gravi! Per noi poveri grami ho paura che non cambi niente nell’uno o nell’altro caso!

Il dono delle lacrime

Questa mattina mi è stato chiesto il favore di benedire il loculo ove sarebbero state poste le ceneri del marito di una anziana signora.

Ormai sono pochissimi i preti che rispondono positivamente a questa richiesta di una mini funzione religiosa che penso siano stati i sacerdoti stessi ad “inventare”!

Oggi i preti non hanno tempo per visitare le famiglie, per accorrere al capezzale degli ammalati, per occuparsi della carità della parrocchia, per impegnarsi personalmente al riordino della loro chiesa e per tante altre cose che non sono certamente essenziali, ma che comunque davano senso e visibilità al servizio del sacerdote; c’è il computer e la Curia che diventano sempre più impegnativi!

Data l’età e il compito pastorale che svolgo, mi è non solamente caro, ma anche facile fare questa supplenza.

Comunque questa mattina sono stato colpito dal pianto di questa anziana signora che baciava i poveri resti mortali dell’amato marito.

Per temperamento e per educazione sono sempre stato contrario, pur rispettando costumi ed usi diversi, a quelle manifestazioni plateali di disperazione, che dicono siano abbastanza frequenti nel nostro meridione, ma neppure comprendo ed approvo l’atteggiamento sbrigativo, affrettato e molto disinvolto con cui molti concittadini si accomiatano dai loro cari.

L’anziana signora mi disse che lei e il marito si erano sempre rispettati e voluti bene, tanto che l’aveva tenuto a casa ed assistito per tutto il lungo tempo della malattia.

Questo pianto discreto, ma accorato mi ha toccato il cuore ed anche un po’ sorpreso perché ormai è così raro veder piangere in occasione del funerale. Mi sono ricordato che nella liturgia ufficiale della chiesa c’è una preghiera particolare per chiedere “il dono delle lacrime”, penso che questa preghiera rappresenti la medicina contro l’aridità, l’egoismo e la disumanità!

“Il momento di Dio”

Oggi mi sono sorpreso e rasserenato interiormente circa una verità che, per un prete dovrebbe essere ovvia e scontata, ma per me non è mai stata tale sia a livello teorico e soprattutto pratico.

Peccato poi che questa bella e dolce verità non si coniughi quasi per nulla al mio carattere.

Nella meditazione mattutina in cui ho accolto questo messaggio, il pensiero ruotava circa la fiducia e l’abbandono in Dio nelle varie vicende che turbano ed inquietano il nostro vivere quotidiano. Il Signore porta avanti lentamente, ma decisamente il suo progetto a favore dell’umanità e del singolo coordinando i molteplici e complicati eventi finché, al maturarsi di una situazione, l’uomo e la comunità, possano cogliere nella maniera più semplice e naturale il dono tanto atteso e sperato.

L’affrettarsi, il premere, lo spazientirsi o spingere in maniera scomposta e carica di tensione, non solo non serve a niente ma inquieta lo spirito e complica il vivere.

Chi ha steso il breve testo della meditazione, s’è avvalso di un esempio che mi ha reso più evidente la giustezza di questo comportamento dicendo: “Posseggo una pianta di more, frutto che mi piace quanto mai, ogni anno attendo con trepidazione ed impazienza il suo frutto, dolce e succoso; talvolta, impaziente di averlo, lo prendo con una certa fatica prima che maturi completamente e ne provo delusione per la sua acidità, mentre quando è completamente maturo, lo colgo senza fatica perché esso si stacca lievemente dal gambo allora ne gusto, con voluttà, lo squisito sapore. Il buon Dio fa maturare sapientemente gli eventi, quando essi sono maturi, allora li posso cogliere con facilità e naturalezza, prima sono acerbi e difficili da raccogliere, dopo il giusto tempo di maturazione, si gustano”.

Così deve avvenire nella vita; è inutile e dannoso affaticarsi, battere l’aria, pretendere l’anticipata maturazione, è certamente più saggio e vantaggioso cogliere “il momento di Dio” così tutto è più facile, soprattutto diventa più positivo e fecondo cogliere il dono quando il Signore ha deciso di dartelo: “Egli è l’ onnipotente e l’onnisciente”!

La splendida avventura

Ho più volte affermato che celebrare certe ricorrenze è sempre utile perchè aiuta a prendere coscienza di certi valori, che si danno quasi sempre per scontati, ma che col passare del tempo finiscono fatalmente per sbiadire ed incidere poco sulla vita quotidiana. Ho celebrato assieme ai miei “compaesani” del don Vecchi le mie nozze d’oro col sacerdozio.

Il 27 giugno del 1954 infatti il cardinale Roncalli mi ha ordinato prete nella Basilica di San Marco. M’è parso opportuno celebrare questo evento con la mia gente, da un lato per condividere con loro questa tappa significativa della mia vita, da un altro lato per offrire un’occasione di festa, che rompesse la monotonia della vita del don Vecchi, che normalmente non è contrassegnata da avvenimenti che scuotano un po’ dalla facile sonnolenza, ma soprattutto per ringraziare il Signore per il dono che ha voluto farmi.

La vita da prete può essere interessantissima, una splendida avventura, e per me è stata così!

L’occasione poi mi ha permesso di mettere in luce e ringraziare pubblicamente i preti che con la loro testimonianza mi hanno aperto questo orizzonte: don Giuseppe Callegaro, don Nardino Mazzardis, Mons. Umberto Mezzaroba, Mons. Aldo Da Villa e Mons. Valentino Vecchi. Splendide figure di sacerdoti.

Infine ho sentito ancora una volta il desiderio di ringraziare pubblicamente mio padre e mia madre e i miei fratelli, che con i loro sacrifici hanno accettato che il primogenito non portasse il suo contributo alla famiglia, ma anzi pesasse sul magro bilancio familiare.

Ai tanti anziani presenti alla mia messa giubilare, ho ribadito ancora una volta che per me la fede deve concretarsi nella solidarietà e perciò ho invitato tutti a lasciarsi coinvolgere nella bella avventura di spendere anche “i tempi supplementari” della nostra vita, nel servizio ai fratelli, collaborando perché il don Vecchi sia una casa aperta e che accolga anche l’ultimo relitto d’uomo e di testimonianza di comunità veramente fraterna e solidale.

Resto fedele alle mie origini!

Io da sempre mi sono schierato per la povera gente, non per vezzo, per moda o per vantaggio. Sono schierato con i poveri più che per motivi ideali, perché vengo da quel mondo, mi sento della stessa pasta e voglio condividere la stessa sorte.

Qualcuno pensa che abbia scelto di trascorrere la mia vecchiaia al don Vecchi perché è stata una mia opera, perché vi sono affezionato?

No! Ho scelto di terminare al don Vecchi perché voglio vivere come “loro”, come i vecchi poveri della città in cui sono vissuto. Le mie ribellioni, contro i ricchi, contro chi comanda, contro chi si è emancipato e s’è scrollato dalle spalle le ansie e le abitudini dei poveri è certo una nobiltà fittizia pagandola al prezzo di voltar praticamente loro le spalle, nasce appunto da questo voler rimanere con i paria della società e volerne condividere le condizioni esistenziali.

Nel mio alloggio incontro mille volte le foto di papà e mamma e il loro sguardo mi ricorda mille volte al giorno le mie origini, i drammi e le difficoltà della mia gente e del mio passato.

La mia solidarietà ai poveri abbia come motivo: le vacanze passate in bottega di mio padre a scaldare la colla e a raddrizzare i chiodi per poterli riutilizzare, le interminabili giornate passate con i fratelli e i bambini vicini di casa, a raccogliere fagioli, a zappare il granoturco, a togliere le patate dai solchi della bonifica, dopo aver fatto una decina di chilometri di strada in due sulla stessa vecchia bicicletta, il mangiare seduti per terra sotto le piante di granoturco, poi quando era terminato il raccolto, tre parti erano per il padrone e un terzo per noi!

Pensavo a queste vecchie storie qualche giorno fa vedendo gli operai che posavano il porfido davanti all’ingresso del cimitero. Il sole scottava ed erano già là curvi a posare questo rozzo mosaico, arrivò il temporale e rimasero sotto la pioggia. Non potevano permettersi di perdere una giornata! Perché a fine mese dei 1200 euro avrebbero tolto l’equivalente di una giornata di lavoro!

La mia famiglia è sempre vissuta così! Come potrei tradire questa gente perché ho studiato un po’ e la mia categoria socialmente mi tratta meglio?

L’Italietta che ci danno i nostri politici

Una delle tante utopie che sto inseguendo è quella ambiziosa e quanto mai ardua di permettere agli anziani che godono della pensione minima (516 euro mensili), e non sono pochi gli anziani al don Vecchi in queste condizioni, di poter vivere decorosamente senza mendicare presso i loro figli quel denaro necessario ad arrivare a fine mese.

Già scrissi di un’anziana signora, mia coinquilina da qualche mese, che andò a servizio presso una signora di Venezia a otto anni di età ed ha continuato a servire fino agli ottantatre anni, tempo in cui è stata accolta al don Vecchi; ebbene questa anziana signora per i suoi 75 anni di lavoro percepisce 710 euro.

Come volete che io abbia rispetto per il nostro Stato, per il Senato, per il Parlamento e per l’intera classe politica e sindacale quando avvengono cose del genere?

Tornando all’utopia, mettendo in atto tutti gli stratagemmi possibili e inimmaginabili (lo spaccio della frutta e verdura, il banco alimentare, e l’attenzione che non avvengano sprechi anche minimi), faccio pagare affitti che talvolta non raggiungono neanche i 100 euro, finora pare che i nostri anziani ce la facciano!

Certamente non possono andare in vacanza a Cortina e debbono vestire ai magazzini S. Martino! Se non che ogni tanto a qualcuno capita la “grandinata” allora sono guai!

L’altro giorno sempre una mia compagna di ventura, dovette farsi levare un dente, non ne poteva più dai dolori. Mi confessò, pur riconoscente quanto mai al nostro dentista che fa sconti impossibili e poi dona al don Vecchi quel poco che percepisce, togliere un dente le è costato 200 euro, se avesse applicato la tariffa sarebbe costato 300-350 euro. Allora da cittadino informato le dissi: “perché non è andata alla ULSS?”.

E lei prontissima: “Avrei dovuto portarmi il mio mal di denti per sei mesi!”

Questa è l’Italietta che i politici, che qualche giorno fa abbiamo votato, ricambiano per la fiducia che abbiamo riposto in loro.

Finché le cose non cambiano non sarò certamente fiero nè per le ville di Berlusconi nè per il veliero di D’Alema ed altrettanto per gli stipendi dell’intero apparato dello Stato Italiano!

I lavori nel piazzale del cimitero

Il cantiere per il nuovo piazzale del cimitero ha messo in crisi la mia “parrocchietta”. Da un anno le ruspe e i “mostri” della tecnologia moderna, che scavano, ripianano con quegli enormi e poderosi bracci d’acciaio, hanno messo a soqquadro tutto lo spazio antistante al cimitero.

Hanno spostato il “monumento” all’obbrobrio e alla bruttezza dell’enorme antenna dei telefoni, e questo non è stato male, ma hanno pure messo a repentaglio l’accesso dei vivi e dei morti al nostro camposanto.

Non c’era più posto per le automobili e perciò i fedeli, in maggioranza anziani, una volta arrivati in prossimità del cimitero, non sapevano dove scendere e se venivano a piedi avevano tutte le trincee col filo spinato da superare.

A Dio piacendo, anche se in ritardo, pare che ci avviamo verso la fine e tutto possa ritornare alla normalità.

Mi auguro che quel popolo che si è disperso durante i lavori ritrovi la strada per accendere un lumino, per unirsi alla preghiera di suffragio per i loro cari del cielo.

Ora poi che l’intero piazzale è stato trasformato in un giardino fiorito e pare che vi siano anche le panchine, mi auguro che una volta salutati i propri morti e pregato per la loro pace, i nostri anziani si siedano per fare quattro chiacchiere prima di imboccare la strada del ritorno.

Spero poi tanto che nel budget per il riordino dell’intero piazzale, ci sia anche una voce per la manutenzione delle aiuole e per la pulizia, che non avvenga come all’interno del cimitero che, una volta piantate le begoniette, non gli hanno più dato una goccia di acqua e non c’è stato un minimo di custodia tanto che quelle che non sono morte per l’arsura, non solamente le buone signore le hanno rubate, ma ne hanno perfino asportato la terra dalle vasche!

Canti liturgici a un Dio sorridente

Una sera, alla messa vespertina, la signora Maria Giovanna, la maestra del coro S. Cecilia che anima le liturgie prefestive al don Vecchi, ha intonato una nuova canzone. Diciamo nuova perché non è mai stata eseguita alla messa degli anziani, ma che ha aperto praticamente la primavera del rinnovamento dei canti religiosi, una stagione fresca e luminosa che chiudeva quella di “Noi vogliam Dio Vergine Maria”.

Gli anziani hanno eseguito il canto senza accentuare il ritmo, con cui i ragazzi per tanti anni hanno cantato questa canzone, ma comunque la cadenza veloce ha portato un soffio di primavera e di ottimismo. A me poi “Lui mi ha dato” non soltanto mi ha donato una ventata di entusiasmo, ma anche un’ondata di dolci ricordi e di tanta nostalgia.

La prima volta che udii questa canzone, accompagnata dal ritmo della chitarra, fu durante una S. Messa celebrata nel grande prato di Valbona a Misurina, sotto un cielo limpido in quella stupenda vallata circondata da una abetaia sconfinata.

Attorno all’altare cantavano con voci fresche e sorridenti una cinquantina di ragazzi, cantavano con le loro voci squillanti di giovinezza ma cantavano anche il corpo, gli occhi, i piedi che segnavano il tempo.

Ricordo con infinita gioia che mentre i ragazzi cantavano: “Non so proprio come far per ringraziare il mio Signor, mi ha dato i cieli da guardar e tanta gioia dentro il cuor” e poi ricaricavano la voce e l’entusiasmo con il ritornello: “Lui mi ha dato i cieli da guardar, Lui mi ha dato la bocca per cantar, Lui mi ha dato il mondo per amar e tanta gioia entro il cuor” avevo la dolce sensazione che la chiesa avesse riscoperto la vita, il mondo vero e interpretasse la gioia del vivere, di contare su un Dio sorridente, accomodante, non quello musone, riservato e taciturno che mi avevano presentato al catechismo.

Sono passati quarant’anni, non tutto il sogno s’è avverato, ma almeno per qualcuno finalmente la chiesa s’è sintonizzata al passo delle attese degli uomini d’oggi!

Un labirinto di egoismo

Nota: questo commento risale a prima che l’annosa questione trovasse una soluzione.

Il dialogo con l’amministrazione comunale, al fine di ottenere i generi alimentari in scadenza, sembra piuttosto che un percorso di guerra, un labirinto in cui pare impossibile venirne a capo e trovarne la via d’uscita.

Non ripercorro la storia triennale di questo progetto per ottenere un protocollo di intesa con gli ipermercati che Bologna ha realizzato da più di cinque o sei anni e che alcune città del Veneto hanno concluso più recentemente.

Da noi la trattativa s’è impantanata tra le secche della laguna e sembra affondi nella melma di una amministrazione comunale bizantina, tanto più inerte quanto più è numerosa e l’egoismo infinito delle società che gestiscono gli ipermercati mediante funzionari talmente indottrinati dai loro padroni che non riescono ad aprirsi alle esigenze di una società da cui traggono immensi profitti e che alla lunga tornerebbe loro conto aiutare recependo la simpatia della popolazione.

Mi fermo all’ultimo incontro tra una funzionaria dell’assessore Bortolussi e una decina di responsabili degli enti assistenziali di Mestre, tutti di ispirazione religiosa, che con immensa difficoltà assistono tre-quattromila concittadini italiani e stranieri in forte disagio economico.

La testimonianza vivace, accorata e ricca di esperienza di questo drappello di volontari, si incontrò con un progetto fumoso, incartapecorito e pressappochista da parte comunale.

A detta dello stesso assessore, il Comune possiede “armi” per forzare l’indifferenza e l’indisponibilità di queste aziende solamente impegnate a guadagnare il più possibile e per nulla sensibili ai bisogni della povera gente.

Da parte mia credo che a questo punto non ci sia altro da fare che proporre il boicottaggio, la denuncia all’opinione pubblica sia del Comune che di queste aziende.

Facciano pure tutti gli affari loro, ma almeno sappiano del disprezzo da parte della città.

Don Primo Mazzolari e don Lorenzo Milani, veri riformatori!

M’è capitato, in quest’ultimo tempo, di leggere nei periodici, che normalmente seguo e che sono periodici di matrice cristiana, degli articoli interessanti, almeno per me, su don Primo Mazzolari e don Lorenzo Milani.

In quest’anno si celebrano due ricorrenze significative che riguardano questi due sacerdoti a me particolarmente cari per la loro testimonianza di fede e per il loro messaggio cristiano.

Non sono i soli due preti che stimo e che amo, fortunatamente il nostro Paese e la nostra chiesa hanno espresso nell’ultimo secolo delle bellissime figure sacerdotali. Don Mazzolari e don Milani, li abbino come Pietro e Paolo, Cosma e Damiano, perchè hanno fatto scelte ed hanno una virtù in comune, pur essendo stati “bastonati” duramente da uomini dell’apparato della chiesa, gente di corte vedute e di ben scarso respiro religioso, sono rimasti fedeli ed obbedienti, non aprendo la facile porta della ribellione, ma continuando ad offrire la loro proposta con umiltà e coraggio, subendo provvedimenti poco rispettosi degli splendidi carismi che lo Spirito Santo semina abbondantemente in chi crede.

Mi pare di aver letto che don Mazzolari o don Milani abbia affermato che la chiesa non aveva mai proibito loro di essere santi e di impegnarsi generosamente ed essere veri discepoli “mitii ed umili di cuore”.

Spesso mi sono domandato che ne è stato del parroco dell’Isolotto di Firenze che alla prima difficoltà avuta con i suoi superiori, pensò di fondare una chiesa autocefala o dell’Abate Benedettino don Franzoni che, pur intelligente, sbattè la porta del monastero alle sue spalle sperando di riformare la chiesa con questo suo atto di ribellione?

I veri riformatori sono quelli che approfondiscono la loro conversione e seminano all’interno del Popolo di Dio coerenza e santità. In fondo è solamente il Signore che dà fecondità ai semi di verità che i veri profeti seminano con il sudore della loro fronte!

Un prete di sinistra

Una parente di una mia coinquilina al don Vecchi, ebbe una reazione di sorpresa e di biasimo represso perchè ho concesso alla signora Zaccariotto, come d’altronde avevo fatto con Zoggia, una settimana prima delle elezioni, di poter parlare ai residenti del Centro, i quali hanno ascoltato il sermone dopo il pisolino pomeridiano e poi hanno gustato volentieri egualmente il rinfresco di Centro destra come quello di Centro sinistra.

Poi suddetta signora mi ha mandato, a mezzo internet, una lettera di un prete genovese, del quale leggendola si capiva subito che era deciso nel parteggiare per Franceschini e company e nel combattere Berlusconi e tutti coloro: cittadini, preti e soprattutto gerarchie ecclesiastiche in odore di appoggio al Centro destra. Comunque due erano i bersagli primari: il suo Vescovo Cardinal Bagnasco e il capo del Governo Berlusconi.

Sono sempre stato convinto che i preti di sinistra sono tremendi, pur non sapendo perché e neppure da che cosa nasca un simile livore.

Le accuse e la violenza verbale contro Berlusconi e Bagnasco sono tali, in codesto scritto, che ho provato perfino pietà e tenerezza verso questi due personaggi, che umanamente non mi sono troppo simpatici. Il primo perchè un po’ sbruffone e il secondo un po’ troppo untuoso, pur ritenendoli due persone intelligenti, capaci e tutto sommato una ricchezza per la chiesa e il nostro Paese.

Del prete genovese condivido solamente il sogno d’avere capi religiosi, politici, onesti, coraggiosi, coerenti, sani e santi, ma poi mi domando: “sarà altrettanto santo quel prete e pure io sono tale da poter pretendere tanta virtù?”

In rapporto a questa considerazione allora preferisco mandare a Bagnasco, Berlusconi e allo stesso prete genovese una preghiera piuttosto che una scomunica o una condanna inappellabile!

Giovani preti

Io sono talmente vecchio e soprattutto sono tanto rintanato nel mio piccolo mondo “antico” così da non conoscere i preti giovani della mia diocesi.

La finestra a cui mi affaccio per vedere il mondo è costituita dai giornali locali: il Gazzettino, la Nuova Venezia, e soprattutto Gente Veneta.

Forse i preti giovani sono tanto pochi, forse appartengono al mondo dei benpensanti, motivo per cui non fanno nè storia, nè cronaca.

Quando sento il bisogno di qualche stimolo debbo rifarmi ai preti della mia giovinezza, che nonostante passino gli anni e perfino il secondo millennio, continuano a far storia e cronaca del pensiero e soprattutto dell’avventura cristiana. Forse il panorama ecclesiale che scorgo dalla mia finestra è troppo piccolo per cui spero che sia per questo motivo che faccio fatica a scoprire giovani preti, coraggiosi che buttano il cuore oltre il filo spinato, che combattono per il Regno, che sperimentano strade nuove, che portino avanti l’utopia di Gesù.

Non so ancora rassegnarmi che la chiesa veneziana sia così vecchia e stanca da non offrire giovani e nuovi virgulti per il Regno!

A dire la verità, fortunatamente per me, da molti mesi sto seguendo su “Avvenire” una rubrica tenuta da un non credente, lo psicologo di fama nazionale, il dott. Andreoli. Questo studioso è stato capace di raccogliere delle bellissime testimonianze che gli sono arrivate da ogni angolo d’Italia. Andreoli le ha sapute incorniciare, con attenzione e rispetto, tanto che ne è venuta fuori una bella e numerosa galleria di preti vivi, decisi e sereni, innamorati di Cristo e del loro “mestiere”.
Spero, prima o poi, di scoprire anche qualche ritratto di “casa nostra”.

Buon seme

In uno dei miei tanti ricoveri in ospedale per degli interventi fortunatamente di breve durata, incontrai un paziente che l’indomani doveva subire un’operazione chirurgica abbastanza impegnativa.

Mi salutò in maniera confidenziale, facendo il mio nome come se mi conoscesse da lungo tempo. Poi quasi per giustificarsi del tono confidenziale, mi ricordò che era stato mio allievo al Pacinotti.

Non lo rammentavo a livello di persona, ma ricordavo bene la classe perché era formata quasi tutta di maschi con solamente una ragazza.

Ricordo questa classe perché tutti quei ragazzotti vivaci e scanzonati avevano un’autentica ammirazione per la loro compagna, una ragazza semplice e pulita, che si faceva voler bene e stimare dai suoi compagni, sembrava che la tenessero come la loro mascotte.

In seguito a questo approccio in ospedale, ci vedemmo ancora qualche volta, ad intervalli di tempo ed ogni volta notavo l’aggravamento del pallore. Questo ragazzo, più di quarant’anni fa, era diventato un bravissimo tecnico, s’era fatto una famiglia con una donna dolcissima e cara.

Passando i mesi dovetti andare io a casa sua, non ce la faceva più ad uscire. Volle confessarsi. Gli portai la comunione e mi chiese infine l’estrema unzione, ch’egli chiamò con il vecchio nome senza l’addolcimento di “olio degli infermi”. Chiese a sua moglie che fossi io, il vecchio insegnante, a celebrare il suo funerale.

Una volta si diceva di questo comportamento: “fece una morte santa”; anch’io ne sono convinto. Talvolta ci sono dei preti sfiduciati, specie nei riguardi dei giovani. La mia esperienza è diametralmente opposta. Ci sono dei semi che in quattro quattrotto nascono, crescono e sfioriscono, altri ci mettono forse mezzo secolo per diventare alberi maturi, ma poi sono forti come la roccia e sfidano anche le burrasche più grosse.

Io di ragazzi ne ho incontrato di tutti i generi, ma ho constatato che quando hai seminato buon seme esso, prima o dopo, porta il suo frutto; per mia fortuna tanto di frequente ho potuto fare questa bella constatazione!