L’importanza del rinnovamento del messaggio cristiano

Forse le mie attenzioni e le mie riflessioni sono fatue e profane per un vecchio prete, però anche da questa fatuità il mio animo viene stimolato a pensieri più interessanti.

Con le prime brezze dell’autunno, quando l’estate non era ancora finita, ho cominciato a notare che le donne avevano iniziato, come costrette da una legge misteriosa, a portare stivali di fogge diverse, ma sempre stivali, sopra delle calzamaglie che raggiungevano faticosamente delle gonnelline leggere ed evanescenti.

La nuova moda è cominciata come i piovaschi d’estate: una goccia qui, una lì, un’altra ancora, fin quando pian piano la pioggia scende spessa e pesante dal cielo. In poche settimane non vedo che stivali aggraziati, calzamaglie attillate e gonnellini da “Pantalone”. Ragazzine, ragazze, giovani donne e donne attempate, in un battibaleno si sono vestite come le divise degli eserciti di un tempo.

Io non ho crociate da fare contro la moda, è inutile ed assurdo opporsi, soltanto immagino che il prossimo anno avremo ai Magazzini San Martino un flusso grandioso di stivali, calzamaglie e gonnelline, perché di certo è immaginabile che gli stilisti inventeranno qualcosa di diverso.

Le nostre donne sono evidentemente quelle di sempre però, vestite alla moda, sembrano nuove. Questa osservazione, frivola di certo per un vecchio prete, mi ha suggerito di chiedermi: “Qualcosa del genere dovremmo trovare anche per le verità e i valori cristiani, perché non si riducano ad essere stantii, poco interessanti e fuori moda”.

Il guaio però è che nelle nostre curie e nei pensatoi ecclesiastici abbiamo quasi sempre “stilisti” statici, ripetitivi, che non sanno rendere belle e interessanti e nuove le verità di sempre. Io mi riprometto di darmi da fare, ma ad ottant’anni temo che mi sarà difficile rendere affascinanti e fresche le verità di fede che però renderebbero veramente nuova ed affascinante la vita dei credenti.

Il felice incontro con le opere di padre Enzo Bianchi

Don Marco, il giovane prete che fu mio collaboratore in parrocchia per una decina di anni, sentiva il bisogno di fare ogni tanto delle esperienze d’ordine mistico. Abbastanza di frequente lasciava la parrocchia per qualche giorno per andare a vivere nelle foresterie di qualche convento sia di frati che di monache contemplative.

Negli ultimi tempi in cui rimase a Carpenedo ha frequentato abbastanza spesso la Comunità di Bose, ove è priore un certo frate, Enzo Bianchi. Ebbi quindi modo di conoscere in maniera più approfondita la vita, la spiritualità e il messaggio e la testimonianza di questa esperienza monastica del nostro tempo.

Già nel passato avevo sentito qualche lezione di questo uomo di Dio. In verità non ne ero stato particolarmente entusiasta. La voce un po’ monotona, l’aspetto poco gradevole o perlomeno poco ricco di fascino e gli argomenti che trattò in quelle occasioni, me l’avevano fatto collocare nel comparto un po’ stantio del mondo dei frati.

Una maggiore conoscenza della sua personalità, della soluzione monastica a cui ha saputo dar vita e soprattutto la lettura di un suo splendido libro “Il pane di ieri” del 2008, m’hanno offerto una visione nuova e più felice di questo monaco dei nostri tempi e mi ha riconciliato col monachesimo attuale.

Qualche settimana fa un mio carissimo amico, magistrato in pensione, mi ha regalato l’ultima opera di padre Enzo Bianchi “Ogni cosa alla sua stagione”, un volume che sto letteralmente divorando e che mi apre l’animo su un mondo sconosciuto di infinito incanto mistico e poetico. Don Bianchi parla della sua esperienza di uomo della contemplazione, coniugando la sua esperienza mistica a quella esistenziale del suo passato e della sua terra.

Leggendo le confidenze spirituali di quest’uomo del Monferrato, ho via via avuto l’impressione che anche oggi ci siano delle voci solitarie che “gridano nel deserto: «Preparate la via del Signore!»”

Son felicissimo di aver incontrato quest’uomo del silenzio e della solitudine, con lui ho camminato durante l’ultimo avvento, incontro al Signore.

Non ho una fede politica ma tanti dubbi

Non c’è di peggio che la passione politica. Spesso le scelte in questo campo sono sostanzialmente irrazionali, immotivate, eppure sono così radicali che riescono a scalfire anche la stima e l’amicizia più consistenti verso chi non la pensa allo stesso modo.

Spesso mi sono chiesto che cosa determini questo tipo di “fede”. Non ho finora trovato risposte se non confrontando le scelte politiche con le tifoserie del calcio. Perché uno fa il tifo, s’imbarca in lunghi e costosi viaggi ed è perfino pronto a fare a botte per sostenere l’Inter o il Milan, la Fiorentina o il Napoli? Non lo so! Eppure è sotto gli occhi di tutti quali danni e quali scontri nascono fra tifoserie contrapposte. Credo che sempre, ma soprattutto oggi, le scelte politiche sono ancestrali, nascono dal subconscio e talvolta diventano pericolose o ridicole.

C’è una vecchietta, cara ed affettuosa, una veneziana DOC, che viene spesso al “don Vecchi” a “fare acquisti” ai magazzini San Martino. Va a messa, conosce tutti i preti, ha pure, almeno intrapreso, il cammino neocatecumenale, però è comunista, e comunista più di Stalin. Qualche tempo fa, lagnandosi essa per l’umidità del suo appartamento, mi permisi di dirle che forse col Mose si sarebbe risolto, almeno in parte, il problema dell’acqua alta. Apriti cielo! Per coerenza politica e per fede di partito è nemica a morte del Mose, lo considera una sventura. Questa è la “fede politica!”

Io non sono a questo punto; tento di ragionare, però sono senza appigli sicuri e senza neppure illusioni. Credo di vedere quello che non va nei partiti, mentre non riesco a vedere granché di positivo. Ad esempio mi pare che i cattolici dentro il PD siano simili a Cappuccetto rosso nei riguardi del lupo vestito da nonna, perciò non sono un grande ammiratore né della Bindi né di Franceschini, mi sembrano fagocitati ed ininfluenti sempre. Mi pare che i cattolici più lucidi se ne siano andati e continuino ad andarsene.

Questa è una mia sensazione, posso anche sbagliarmi, e con questo non ho mai chiuso gli occhi di fronte alla “miseria” di qualcuno o di molti dell’altra parte. Mi spiace e m’addolora che qualche caro amico, che ammiro e stimo da una vita, per “passione politica” abbia riserve o rifiuti nei miei riguardi. Sono sempre disposto a “convertirmi”, voglio rimanere aperto alla “verità”, però finché il PD prende sempre posizioni opposte a quelle della Chiesa, credo che continuerò a nutrire dubbi e perplessità. Ma con questo non è che mi senta di avallare chi milita nelle sponde opposte!

“Allontanati da me, o Signore, perché sono un uomo di poca fede!”

San Pietro, in occasione della pesca miracolosa, dopo l’abbondante pescagione, si buttò ai piedi di Cristo e disse: «Allontanati da me perché sono un peccatore!»

Credo che tutti sappiano come sono andate le cose. Pietro e la sua cooperativa avevano pescato a lungo nel lago, ma senza alcun risultato, per cui lui e i suoi compagni erano stanchi e delusi. Sennonché Gesù disse a Pietro, capobarca: «Butta le reti in mare per la pesca». Pietro era pescatore di professione ed anche i suoi amici erano esperti in questo mestiere, mentre era certamente loro noto che Gesù per trent’anni aveva fatto il falegname, motivo per cui non poteva intendersi di pesca.

Pietro allora fece osservare: «Abbiamo tentato tutta la notte di buttare le reti, ma inutilmente». Poi, forse per soggezione o per affetto e per dimostrare al Maestro l’inutilità di quella ulteriore fatica, controvoglia e di malumore, aggiunse: «Ma sì, sulla tua parola, per accontentarti, butterò la rete». Non è però improbabile che in cuor suo abbia anche mandato Cristo a quel paese! Di certo non fu entusiasta e poco rassegnato ad una ulteriore delusione. Ma quando tirarono su le reti, Pietro fu sorpreso e provò un senso di colpa per aver dubitato; da questo, di certo, è nata la sua confessione.

A me sta capitando la stessa cosa. Ho chiesto accoratamente aiuto per il “don Vecchi” di Campalto al Comune, alla Regione, alla Provincia, alla Fondazione Carive, alle banche Antonveneta, Cassa di Risparmio, Banco di San Marco, Banca popolare, alla Associazione Industriali. Risposta: niente!

Allora ho tentato con la sottoscrizione dei “Bond del Paradiso”, come un giovane amico giornalista ha definito la sottoscrizione di azioni della Fondazione di cinquanta euro l’una. Infine mi sono “messo sulle spalle la bisaccia da frate da cerca” e ho suonato a 400 campanelli della città. La risposta a questa iniziativa è stata tra il modesto e il discreto, però non ha mai raggiunto l’adeguatezza ai bisogni.

Stavo per sconfortarmi, sentendomi abbandonato dagli uomini e da Dio, quando improvvisamente ed inaspettatamente s’è fatto vivo il buon Dio, battendomi una mano sulla spalla e dicendomi: «Prete di poca fede!», facendomi balenare una prospettiva, di cui non oso ancora parlare, ma che potrebbe tirarmi fuori dalle angustie. Sulla proposta del Signore, anche se stanco e deluso, ho ributtato le reti in mare, confessando in anticipo: «Allontanati da me, o Signore, perché sono un uomo di poca fede!»

Ostacolare in qualche modo un’opera di carità è sacrilegio!

Per temperamento sono poco o nulla indulgente verso chi non è di parola, rimanda o tira le cose per le lunghe. Non credo di sbagliarmi, ma pur essendo cosciente che aver a che fare (come è costretto l’architetto che ha progettato e cura la costruzione di Campalto) con la burocrazia comunale, non sia proprio una cosa facile e sbrigativa.

Un giorno questo architetto, che io incalzavo più di sempre, avvertendo la mia impazienza per nulla disposta a subire lungaggini e ritardi, a sua discolpa e per giustificare la sua mancanza del rispetto dei tempi stabiliti, mi disse: «Sa, don Armando, lei ha tanta gente che le vuole bene, ma anche della gente che non è troppo propensa ad assecondare i suoi progetti!»

Sono ben convinto che le cose stiano così, non per questo cesserò di pretendere che ognuno faccia il suo mestiere e lo faccia bene, anche se ha la possibilità di insabbiare l’iter burocratico di certi percorsi ad ostacoli ai quali i poveri cittadini sono costretti dalla burocrazia comunale.

Io non ho mai preteso o ambìto di avere il consenso di tutti, perché questo esigerebbe compromessi con la mia coscienza, avallerebbe la pigrizia di certuni, ma soprattutto perché sono convinto che i poveri debbano avere percorsi agevolati e privilegiati.

Io, alla mia età, non domando più nulla per me, ma credo di dovermi fare portavoce dei più indifesi.

Da qualche anno, vedendo la condizione miserrima in cui vivono gli extracomunitari a Mestre, avevo sognato un ostello ove fossero ospitati civilmente. Non appena la stampa diede notizia del progetto, c’è stato qualcuno che abita vicino al luogo ove doveva nascere la struttura, che s’è opposto con decisione e caparbietà. Inizialmente tentai di rassicurare che avrei vigilato perché non avesse fastidi di sorta, ma più tentavo di far presente che anche questa povera gente che viene dalla miseria ha diritto a ricevere una mano da gente civile e cristiana, più costui dimostrava rifiuto ed opposizione, tanto che ad un certo momento la diga della mia pazienza non resse più e sbottai: «A casa mia e con i soldi miei faccio quello che ritengo giusto!»

Poi, per una serie di considerazioni, ripiegai sulla scelta di una struttura per anziani poveri, ritenendomi non preparato per l’altro progetto. Però il mio contestatore se la legò ad un dito e ha tentato con ogni mezzo di ostacolare il progetto del “don Vecchi 4”.

Scrivo questo senza malanimo o rancore di sorta, ma ripeto ai miei concittadini e soprattutto ai fratelli di fede: «La carità ha sempre un prezzo, ed è un prezzo che è doveroso paghino anche i preti, ma non è giusto pretendere che lo paghino solamente loro, e che la loro carità non scalfisca neppure le fisime di chi è solamente preoccupato del proprio tornaconto. E perché tutti sappiano come la penso, mi sento di dover affermare pubblicamente che ostacolare in qualche modo un’opera di carità è sacrilegio!

L’Immacolata spiegata agli uomini di oggi

Quando la Chiesa s’è decisa a non usare più il latino nella liturgia, ha fatto un gran passo in avanti. Era tempo che la gente comune, e non solamente la piccolissima frazione di persone che aveva studiato il latino, potesse comprendere le parole della preghiera della comunità e il messaggio dei testi sacri. Però, ogni giorno di più, mi convinco che quello doveva e deve essere solamente il primo passo perché i fedeli possano comprendere il messaggio cristiano.

L’annuncio evangelico è nato e cresciuto nella sua elaborazione in culture estremamente diverse da quella corrente e perciò parole, e soprattutto concetti, se non sono decodificati e tradotti nella nostra “lingua parlata”, rimangono tuttora discorsi astrusi e, per la sensibilità del nostro tempo, geroglifici incomprensibili per il popolo; semmai possono avere un qualche riscontro solamente entro la casta specifica dei pochi indiziati, ma temo che anche per questi essi rimangano, anche se compresi letteralmente, verità fredde e per nulla incidenti sull’opinione pubblica e sulla sensibilità delle persone del nostro tempo.

Il “mistero” dell’incarnazione rappresenta certamente la volontà di Dio di toccare la mente e il cuore delle creature di ogni tempo specifico per aiutarle a vivere nel modo migliore.

In occasione della dolce e calda festa dell’Immacolata mi sono posto, più di sempre, questa domanda: “Ma che cosa può dire ed interessare ai miei fedeli il fatto che io dica loro che la Madonna fu concepita senza peccato originale?” “Nulla, assolutamente nulla!” Ho tentato quindi di affermare che questa festa ci presenta una donna, Maria, che non è la risultante e l’epilogo di tutte le manomissioni e le debolezze avvenute nella catena delle generazioni passate, ma una splendida creatura, un capolavoro originale in tutto il suo splendore, che il Signore ha voluto presentarci così com’è uscita dalla Sua sapienza e dal Suo amore, senza manomissioni, ritocchi, sfregi e restauri come avviene per ognuno di noi.

Quindi m’è parso di dover suggerire che l’unica cosa da farsi è prendere coscienza ed ammirare la bellezza della Madonna, bella per l’armonia del suo corpo e bella ancora per l’armonia e lo splendore della sua anima.

Avere una Madre così bella, e sapere che noi ne condividiamo la natura, anche – come affermava monsignor Vecchi – se ora siamo ridotti, per il male nostro e quello dei nostri padri, a delle “magnifiche rovine”, può metterci la nostalgia e il desiderio di tendere, o perlomeno sognare, l’antico splendore originario del progetto di Dio nei nostri riguardi. Avere un “campione” sotto gli occhi, con cui confrontarci è certamente una grazia, per la quale è giusto fare una pausa di riflessione l’otto dicembre, festa della Madonna Immacolata.

Villa Salus, un ospedale che trasmette serenità

Mi sento ormai “tutto rappezzato”; sto con fatica in piedi soltanto in forza di molti sostegni farmaceutici che riescono a stento a mantenere certi equilibri che mi permettono di vivere.

L’aspetto è ancora rassicurante, tanto che qualcuno, forse credendo di farmi un complimento, mi dice che sono una “roccia”, mentre in realtà solo io e pochi altri sanno su quali equilibri instabili mi reggo ancora.

Abbastanza di frequente devo ricorrere all'”officina” o per una visita o per tamponare una falla. Mi capita sempre più spesso di andare a Villa Salus, perché la struttura mi pare più snella ed efficiente della nostra “torre”, bella fin che si vuole all’esterno, però legnosa e problematica nella sostanza.

A Villa Salus c’è profumo di efficienza e di cordialità, per cui mi pare di sentirmi di casa. C’è poi in questo ospedale della nostra città “L’angelo della casa” che dà un senso di famiglia e di sicurezza che aggiunge una qualifica in più a questa struttura ospedaliera.

Mi riferisco alla superiora: un esserino minuto, sempre sorridente ed imperturbabile che, come una vecchia nonna, accomoda, ricuce, rasserena e profuma di casa questa struttura in cui sono impegnati ben quattrocento operatori sanitari. Di fronte alla “superiora” sia gli infermieri che i primari sembrano come degli scolaretti rispettosi, felici di assecondarla nel suo sogno di creare non solo un ospedale a misura d’uomo, ma una comunità di fratelli che si aiutano reciprocamente per affrontare con serenità e coraggio l’avventura e le sventure del vivere.

A Villa Salus pazienti ed infermieri al mattino chiedono assieme, senza complessi, a Dio, Padre di tutti, conforto e speranza, con la preghiera comune. Forse per questo in questa struttura ospedaliera si avverte una serenità che invece è ben difficile trovare altrove.

Cristo è venuto e viene anche per l’oggi!

Quando gli amici de “L’incontro” potranno leggere i miei appunti quotidiani, il tempo di Avvento sarà ormai un ricordo, ma io mi ostino a sperare che il seme che ho tentato di spargere, con generosità e passione, nel cuore dei partecipanti alle affollate assemblee liturgiche che si tengono ogni domenica nella mia “cattedrale tra i cipressi”, stia mettendo radici nel silenzio delle coscienze per diventare prima o poi germoglio di vita.

Quest’anno lo Spirito mi ha suggerito di insistere sulla verità che il Verbo, messaggero di salvezza, non prende dimora tra noi solamente quando il calendario segna il 25 di dicembre o quando la gente va a messa, ma che la “verità”, il “bene”, e “l’amore” si affacciano alla nostra attenzione e bussano alla porta della coscienza di ogni uomo nei tempi e nei modi più diversi e che è sempre “Natale” quando uno spalanca, ospitale, la porta del suo cuore perché la luce “brilli” e “riscaldi” l’animo di ognuno.

Ogni momento è tempo di Avvento ed ogni momento offre il “Natale” quando una persona è in attesa vigile, desiderosa dell’incontro col bene, disposto a dare ospitalità alla luce che scende dal Cielo.

Sento sempre più forte ed impellente il bisogno e il dovere di dire con convinzione e passione ai miei fratelli che Cristo è venuto e viene più per l’oggi che per il domani. Sono stufo di sentire preti e frati preoccupati che i fedeli pensino solamente alla vita eterna piuttosto che alla vita attuale, invitino alla salvezza eterna piuttosto che chiedere ed ascoltare Cristo per salvarci oggi, ora da una vita incolore, fatua, egoista e di corto respiro.

L’Incarnazione, cuore del mistero natalizio, deve essere un evento percepito ed accolto in ogni circostanza e situazione, perché irradi dall’interno il nostro vivere. Il percepire e l’aprirci a Dio, che viene a noi, è l’accogliere l’amore, la verità, il bene, perché solamente queste realtà possono far cantare la vita e farla assaporare come un magnifico dono di Dio.

La benedizione annuale delle case, da sempre per me un momento di gioia!

A tutt’oggi non ho ancora perduto il vecchio “vizio” di andare a “benedire le case”.

Il mio carissimo amico, già direttore della Banca Cattolica del Veneto e membro della Conferenza della San Vincenzo, a cui partecipavo ogni settimana, era solito dire in maniera scherzosa e quasi come un vezzo: «Io, don Armando, sono così affezionato a certi peccatucci che proprio non ho alcuna intenzione di abbandonarli!» In realtà alludeva a qualche convinzione o pratica personale, non universalmente condivisa, a cui egli credeva e che, pur controcorrente, egli intendeva mantenere.

Così anch’io, pur essendo rimasto fino alla pensione uno dei pochissimi parroci della città a visitare ogni anno tutte le duemilaquattrocento famiglie della parrocchia per la “benedizione annuale”, ho continuato a farlo ogni anno e per tutti i 35 anni che ho fatto il parroco.

Ora che sono “parroco” per modo di dire della borgatella delle 194 famigliole del “don Vecchi” 1° e 2°, continuo a “benedire le case” dei miei nuovi parrocchiani, ricevendo le confidenze ed ascoltando i problemi della mia gente. Ogni giorno “benedico” una decina di “case” e mi si allarga ogni giorno il cuore sentire quanto i miei parrocchiani si sentano contenti di vivere in un ambiente protetto, al caldo, senza preoccupazioni di ricevere uno sfratto e con la serenità di poter arrivare alla fine del mese senza debiti e pensieri.

Quest’anno poi, alla consolazione di sempre, mi si aggiunge il fatto che tutti, proprio tutti indistintamente, mi stanno porgendo la loro offerta, pur non richiesta, magari di soltanto cinque euro, per il “don Vecchi” di Campalto.

Questa calda ed affettuosa solidarietà mi lenisce la ferita del constatare che tanta gente piena di denaro, e tanti amministratori pubblici, così amanti dei poveri durante la campagna elettorale, continuano a lasciar cadere nel vuoto le mie accorate richieste d’aiuto.

Oggi schierarsi è impossibile!

So di correre il grosso pericolo di essere accusato di qualunquismo, anche se questa accusa oggi non mi pare così alla moda come lo era un tempo.

Fino a pochi anni fa chi non si schierava con una parte, magari chiudendosi gli occhi e tappandosi il naso, era accusato di qualunquismo. Non ho mai ben capito la consistenza e la gravità di questa accusa, ossia ho capito, fin troppo bene, anche se gli interessati rifiutano questa lettura, che bisogna comunque schierarsi, anche se il novantanove virgola nove per cento non condivide la soluzione che pare meno dannosa.

Probabilmente ora io sono un qualunquista, pur sognando un governo di gente intelligente, aperta, non faziosa, dialogante e soprattutto sensibile ai bisogni dei più deboli. Non vedo proprio quale delle parti in campo e chi dei personaggi alla ribalta possa offrirmi questa soluzione. Capisco la diversità dei pareri, le matrici culturali, i temperamenti, le esperienze, i valori fondanti, però non capisco l’assoluta contrapposizione, il rifiuto del dialogo, di un onesto compromesso, la volgarità e la faziosità dei discorsi, l’aggressività, l’intolleranza e la perfidia di voler fiaccare a morte l’avversario, mentre la barca sta inesorabilmente affondando.

Un tempo capivo che le ideologie annebbiavano le idee e costituivano quasi una fata morgana che incantava ed illudeva, ora però il disincanto è totale e perciò non riesco a capire perché non si possa fare anche da noi quello che si fa in Germania o negli Stati Uniti!

Penso che la “maggioranza silenziosa” debba finalmente destarsi per mandare a casa i politici mestieranti di professione; per arrivare però a questo è necessario che la legge elettorale non sia più elaborata dai soliti noti di una parte o dell’altra, ma da un comitato di tecnici che studino soluzioni capaci di far emergere una nuova classe dirigente che non abbia nulla a che fare con i soliti personaggi intriganti che pensano soprattutto ai loro vantaggi.

Una influenza micidiale: la politica!

La televisione e i giornali abbastanza di frequente ci dicono che questi sono i mesi dell’influenza, ci informano sul tipo di virus che sono presenti e ci invitano a vaccinarci, se non altro per consumare i milioni di dosi che lo scorso anno, nonostante le previsioni disastrose, la gente ha avuto il buon senso di non usare. Le imprese farmaceutiche devono pur vivere e guadagnare!

Io ho già preso “l’influenza”, che mi provoca enormi disturbi e mi fa salire la pressione alle stelle. Il nome dei virus di quest’anno li conoscono tutti: Berlusconi, Casini, Franceschini, Di Pietro, Bindi, Bersani, Fini e qualche altro di minore. A detta di tutti, ma anche per esperienza personale, sono virus micidiali che provocano malesseri di ogni genere e possono perfino portare alla disperazione e ad una angoscia mortale. Come tutti sanno però, le diagnosi non sono impossibili, anzi, nel nostro caso, sono anche fin troppo facili, perché i fattori patogeni del nostro tempo li potrebbe diagnosticare anche il farmacista del paese. Quella che invece si dimostra ostica e quasi impossibile è la terapia.

E’ da scartare in partenza la ricerca dell'”uomo forte che metta ordine” (soluzioni del genere le abbiamo purtroppo provate anche recentemente!) Pare però che sia pure illusorio adoperare ricette proposte da un “medico” o da un altro: le ricette della sinistra sappiamo per esperienza che portano ad un’anemia perniciosa con l’impoverimento di tutto l’organismo, quelle della destra, a parte i pareri discordi dei vari “sanitari”, pare che finiscano per favorire e far crescere paurosamente certi organi del corpo sociale, ma contemporaneamente risultano micidiali e distruggono tutte le difese del resto dell’organismo.

Perfino il Papa è entrato in campo, auspicando una nuova classe dirigente fatta da giovani onesti, intelligenti e volonterosi, ma tutti sappiamo quanto tempo ci vuole per preparare questo vaccino!

Per ora non vedo altra soluzione che rivolgermi alla Madonna della Salute perché ci liberi da questa pestilenza mortale.

Le ali dell’avvoltoio

Io sono nato alla coscienza civile con l’avvento della democrazia nel nostro Paese. Sono cresciuto con essa, ma man mano che passavano gli anni sono cresciute le incomprensioni, le diffidenze e gli scontri. Quando eravamo “bambini” tutto era più facile: i comunisti erano per i poveri e gli operai, avevano come santo protettore Giuseppe Stalin, per modello la Russia sovietica e per canto ufficiale “Bandiera rossa”. I democristiani invece erano i difensori di Dio e della Chiesa, avevano come angeli custodi i “Comitati civici”, come modello l’America e come canto “Biancofiore”.

Crescendo, le posizioni andarono a diversificarsi e complicandosi. La sinistra era per una esasperata nazionalizzazione, motivo per cui ogni ente doveva essere gestito dal partito dominante, mentre la destra era per una economia di mercato, motivo per cui chi poteva più piangeva meno. La sinistra era finanziata dalla Russia e la destra dall’America.

Poi, più avanti, le cose si confusero ulteriormente: i rappresentanti del popolo, sia di destra che di sinistra, dovevano fare un lungo apprendistato come galoppini e portaborse, e alla fine venivano gratificati con un posto in Parlamento o in uno dei grossi enti statali o parastatali. Sia gli uni che gli altri potevano arraffare il più possibile, con la benevola conoscenza ed accettazione l’uno dell’altro, però quelli di sinistra ci han saputo far meglio, mentre quelli di destra, ladri come i primi, erano meno scaltri, così è nata e vissuta “tangentopoli”.

Siamo arrivati così ai nostri giorni, in cui impera una babilonia tale per cui ogni capobanda ha i suoi mercenari e combatte con ogni arma la sua guerra per prevalere.

Bandiere, inni, colori, santi protettori sono ornai morti e sepolti, tanto che non si capisce più niente! Un mio amico ha definito splendidamente la situazione affermando che destra e sinistra sono le due ali dello stesso avvoltoio.

Credo che alle prossime elezioni dovrò scegliere il partito buttando i dadi!

Una rassicurazione per gli amici!

Avverto gli amici e i lettori, che mi stanno passando i momenti della “grande paura” di non farcela!
Sento che la Città è con me; non passa infatti giorno ed occasione che chi incontro non mi porga il suo aiuto!
Ormai sono convinto, che assieme alla povera gente, per il prossimo anno 1° settembre inaugureremo il don Vecchi 4° di Campalto.
A tutti grazie di cuore!

Silenzi, ritardi e rifiuti!

Purtroppo sono ben cosciente di non tener conto di un saggio consiglio che Papa Roncalli ha ripetuto più volte quando era Patriarca a Venezia: «Quando sei turbato da una notizia, dormici sopra almeno una notte prima di reagire». Non ci riesco proprio. Sarà per un’altra volta che metterò in pratica il consiglio del Papa buono!

Ho appena aperto la lettera della Regione nella quale, dopo tre mesi dalla mia richiesta di un contributo economico per finanziare il “don Vecchi” di Campalto, mi si risponde che “La Regione finanzia le strutture per anziani non autosufficienti, mentre gli alloggi protetti, quali sono quelli del “don Vecchi” – in quanto del settore sociale – sono a carico del Comune. Distinti saluti”.

Nella stessa data, cioè in agosto, avevo inviato una richiesta simile al Comune, ma a tutt’oggi non mi è arrivata alcuna risposta.

Questo ritardo, da parte del Comune, lo posso anche ben comprendere, perché avendo esso solamente quattromilaseicento dipendenti, fa fatica ad essere tempestivo nelle risposte. Probabilmente la Regione ha qualche migliaio di dipendenti in più e perciò riesce in soli tre mesi a dare una risposta!

Alla Regione voglio dire: «Perché allora non accogliete gli anziani non autosufficienti attualmente residenti al “don Vecchi” che da anni vi supplico di accogliere e che sono a posto con tutte le schede SWAM che voi richiedete? D’altronde penso che voi vi sentiate con la coscienza tranquilla sapendo che il Comune ci passa euro 1,25 per anziano. Voi pensate di fare un affare risparmiando, mentre voi e il Comune dovreste spendere cento euro per ogni anziano che dovesse venire nelle strutture per non autosufficienti che voi finanziate!»

Il Comune poi, penso che non abbia scrupoli del genere, perché per averli bisogna avere una coscienza, ma temo proprio che esso non l’abbia affatto, vedendo come si comporta!

Il prete mendicante

Sto tentando con ogni mezzo di convincere i fedeli, che con me ogni domenica ascoltano la “parola di Dio”, che questa Parola non possiamo lasciarla passare sopra i nostri capelli senza investire la nostra mente e il nostro cuore e rimanere pressoché indifferenti, come quando non prestiamo alcuna attenzione alle chiacchiere della televisione.

Più di una volta ho ricordato che quando Dio ci parla, e lo fa sempre per il nostro bene, dobbiamo avere almeno l’attenzione con cui ascoltiamo il nostro medico che fa la diagnosi sui nostri malanni e ci suggerisce le medicine per guarirli.

Qualche domenica fa ero ancora emozionato da questi discorsi, quando incontrai, nei pressi della chiesa del cimitero, ove avevo appena celebrato l’Eucaristia, una cara signora che mi vuol bene e che frequenta assiduamente il precetto festivo, ed è una di quelle signore che noi definiamo normalmente “una buona cristiana”. La quale, sgranando gli occhi con sorpresa e meraviglia, mi chiese incredula : «E’ vero, don Armando, che Lei chiede la carità per costruire il “don Vecchi” a Campalto?» Di certo era convinta che fosse disdicevole per la dignità di un sacerdote chiedere l’elemosina per i fratelli in difficoltà.

Le risposi arrossendo, perché sapevo di barare: «E’ vero!». In realtà chiedo sì l’elemosina, ma lo faccio mediante l’anonimato di una lettera, soluzione meno impegnativa che bussare personalmente ad una porta e stendere la mano. Già, perché questa soluzione mi costa già molto ed arrossisco mentre copio l’indirizzo dall’elenco telefonico, immaginando la reazione del destinatario e perciò non so quanto mi costerebbe farlo in maniera diretta.

Nonostante pensi a padre Cristoforo dei “Promessi sposi” o mi rifaccia ai frati mendicanti di san Francesco, la cosa mi costa assai: eppure, sia io che la signora, fin dall’infanzia conosciamo il precetto di Gesù “Ama il prossimo tuo come te stesso!” E’ evidente, perciò, che il mio modo di ascoltare Cristo, come quello della mia interlocutrice, lascia ancora molto a desiderare!