Brugnaro al Don Vecchi

Io so quando scrivo ma non so assolutamente quando il mio scritto sarà pubblicato. L’Incontro porta in testata la definizione di settimanale ma potrebbe portare anche quella di “mensile”, semestrale o pure quella di numero unico. La catena di montaggio è veramente infinita, premetto questa annotazione perché il numero de “L’incontro” in cui verrà pubblicata questa mia pagina di cronaca potrebbe uscire sia nel bel mezzo della tornata elettorale sia successivamente quando il sindaco di Venezia sarà già stato eletto.

Noi del Don Vecchi siamo “amici di tutti e fratelli di chi ci vuol bene” come dice la legge scout. Abbiamo perciò invitato tutti e faremo anche un brindisi con i candidati al comune di Venezia e alla Regione Veneto che ci vorranno fare visita perché siamo interessati a farci conoscere, a collaborare per il bene della comunità e ad offrire, a chi ci amministrerà, il nostro contributo specifico per quel che riguarda gli anziani e i poveri.

Il primo a venirci a trovare è stato il candidato sindaco Luigi Brugnaro, l’imprenditore che è diventato celebre perché ha fatto della nostra squadra di pallacanestro una tra le migliori squadre d’Italia. Il basket è uno dei pochi primati positivi di cui possa vantarsi Venezia mentre essa brilla come la stella polare per quelli negativi, vedi il deficit comunale. Brugnaro è diventato noto per aver tentato di comprare l’isola di Poveglia, purtroppo non gli è andata bene perché uno dei soliti comitati guastafeste e con la testa tra le nuvole l’ha avuta vinta e così l’isolotto è rimasto un rifugio per cocai e pantegane! I veneziani di oggi sono purtroppo fatti così!

Brugnaro ha condensato la sua impressione sul Don Vecchi con una frase che è ricorrente ma soprattutto vera: “Ne avevo sentito parlare bene ma mai avrei creduto che fosse così!”, questo vale sia per il centro sia per il polo solidale impegnato ad aiutare i poveri. Sono convinto che, sindaco o non sindaco, Brugnaro d’ora in poi sarà sempre dalla nostra parte. So che verranno a trovarci anche Casson e la Zaccariotto e mi auguro che vengano anche tutti gli altri candidati, sia al Comune che alla Regione, perché la “dottrina” del Don Vecchi può diventare una carta vincente non solo per Venezia ma per tutti i veneti!

“Le vicende del Fondo di Rotazione”

Recentemente i mass-media hanno scoperto una cooperativa che, dopo aver beneficiato del Fondo di Rotazione della CEE gestito dalla Regione Veneto, invece di usare il contributo per occupare disabili, come aveva affermato, con quel denaro ha costruito un albergo di lusso. Tale notizia ha tenuto banco sulla stampa cittadina per un paio di settimane ed è stata presentata come l’ennesima truffa perpetrata con i soldi pubblici. Nell’elenco degli enti che hanno beneficiato di suddetto fondo è apparso anche il Don Vecchi, quasi che anch’esso appartenesse alla congrega del malaffare. I giornali hanno poi annunciato che una commissione avrebbe fatto delle verifiche: “Ben venga” ho pensato, le diremo il fatto suo.

Ripeto ancora una volta come sono andate le cose da noi.
Sernagiotto, allora Assessore alla Sicurezza Sociale della Regione ci ha chiesto di portare avanti un’esperienza pilota per dimostrare che è possibile gestire, in maniera più economica e più umana, quella fascia di anziani che vanno dagli 85 ai 95 anni, senza ricorrere alle case di riposo per non autosufficienti. Suddetti ricoveri costano all’interessato, alla famiglia e all’ente pubblico circa tremila euro al mese ed offrono una qualità di vita assai discutibile. La Fondazione ha accettato di buon grado la sfida e così la Regione ha finanziato, con 2.800.000 euro, il nostro progetto. In dieci mesi la Fondazione ha portato a termine la struttura e, sull’impegno che la Regione si era assunta di promuovere un bando per finanziare l’assistenza di questi anziani residenti, nei due mesi successivi l’ha riempita con 65 ultraottantenni. Partito Sernagiotto dalla Regione perché eletto al Parlamento Europeo, la burocrazia ha bloccato tutto, cosicché la Fondazione, essendo venuto meno il contributo per la gestione, ha dovuto ridurre l’assistenza ad un semplice monitoraggio che garantisce però un pronto intervento sia di giorno che di notte. Attendiamo quindi al varco il nuovo presidente della Regione perché onori gli impegni e soprattutto attui, fino in fondo, questo progetto pilota gestito da un ente del privato sociale che non fa business ma sperimenta soluzioni innovative e più economiche per la quarta età.

Pellegrini di una Madonna che non fa miracoli

L’uscita della fine del mese di aprile degli anziani del Don Vecchi e dei loro colleghi della città ha avuto come meta il piccolo santuario di Pralongo, minuscola frazione di Monastier. I lettori de L’Incontro sanno che il Don Vecchi non offre solamente un alloggio ad un prezzo modesto in una struttura elegante ma crea mensilmente, per i residenti, anche occasioni di incontro e di svago come il concerto e la gitarella pomeridiana.

Questa volta ho scelto di riferire sulla gitarella, che siamo soliti chiamare “mini pellegrinaggio” perché, essendo stata “inventata” da questo vecchio prete che non si dimentica mai del suo “mestiere”, tenta di unire al dilettevole anche l’utile. A scegliere la meta, che solitamente è costituita da un santuario abbastanza vicino a Mestre, sono i coniugi Ida e Fernando Ferrari assieme ad un piccolo staff di collaboratori. Questa volta il santuario scelto è stato quello di Pralongo. Insolitamente ci è toccato un pomeriggio piovoso ma per chiacchierare in pullman neppure la pioggia disturba più di tanto!

Il santuario neogotico dell’inizio del secolo scorso è una struttura pulita e ben tenuta in aperta campagna che costudisce una piccola Madonna Nera, forse affumicata dal fumo di un incendio. La ricerca su internet mi ha informato che quella Madonna non è nota per miracoli particolari ma è comunque amata dalla gente dei paesi vicini. Questa annotazione mi ha permesso di sviluppare il discorso sull’affermazione di Bonhoeffer, il pastore luterano fatto impiccare da Hitler, che disse: “Dio non vuole essere il tappabuchi dei desideri dell’uomo, perché Egli gli ha già dato tutto quello che è necessario per vivere una vita bella e positiva”. L’atmosfera calda e familiare mi ha dato la sensazione che i miei vecchi abbiano colto questa verità tanto importante! Dopo la Messa c’è stata la merenda ed una rapida sosta a Casier, il borgo bagnato dal Sile.

Incontro con un “collega”

Al Don Vecchi si accolgono normalmente anziani dai settanta ai novant’anni. Le condizioni richieste sono che siano “poveri”, tenendo però conto che la povertà di ordine economico è solo una delle infinite povertà presenti oggi nella nostra società ed inoltre che questi anziani abbiano bisogno di quello che noi fortunatamente possiamo offrire loro: un alloggio protetto.

Il Don Vecchi, anche se a detta di qualcuno è un piccolo “paradiso terrestre”, non è quello definitivo, quello cioè che il buon Dio ha preparato per i suoi figli dopo la vita terrena.

Nessuno viene allontanato dal Don Vecchi però, con il passare degli anni, “sora nostra morte corporale” si incarica di chiamare al cielo anche chi rimarrebbe volentieri quaggiù, motivo per cui c’è un costante turnover e gli inquilini si succedono nei quattrocentottanta alloggi con una certa frequenza.

Qualche giorno fa la signora dell’accoglienza, che stava concludendo le pratiche per un nuovo venuto, quando mi ha visto entrare in ufficio si è sentita in dovere di presentarmi il signore che andrà ad occupare un alloggio al Don Vecchi degli Arzeroni dicendomi che egli è un pastore della Chiesa Luterana di Venezia.

Gli ho stretto immediatamente la mano dando il benvenuto ad un “collega” o meglio ancora ad un “confratello” della Chiesa di Cristo. Confesso che ho provato una profonda commozione nello stringere la mano a quest’uomo di Dio.

Quando mai, fino a mezzo secolo fa, un pastore protestante avrebbe avuto l’ardire di bussare alla porta di una chiesa cattolica ed un prete avrebbe accettato a cuore aperto e con commozione un pastore protestante? Questo è un miracolo della tolleranza e dell’ecumenismo. Oggi al Don Vecchi vi è un pastore luterano, un’ebrea, una testimone di Geova, un buon numero di non praticanti e qualche non credente, però credo che mai una struttura sia stata più “religiosa” della nostra!

I “militi ignoti” dei Centri don Vecchi

Fortunato me che molto spesso ricevo complimenti ed elogi ammirati per le strutture che col tempo “sono” riuscito a realizzare per gli anziani di modeste condizioni economiche. Sempre e ripeto sempre, quando mi capita di sentire queste attestazioni di simpatia e di ammirazione le dedico a quel piccolo mondo di persone che hanno abbracciato la mia proposta e che con il loro impegno, la loro generosità e spirito di sacrificio le hanno dato volto e tutt’ora la mantengono in vita. Ogni volta che ho avuto l’occasione di prendere la parola ho ricordato che la vera protagonista è stata la città e in particolare la mia cara comunità parrocchiale e più ancora quella pattuglia di collaboratori con i quali ho condiviso la mia avventura solidale. Moltissimi anni fa lessi una frase di una bella commedia di Bertolt Brecht in cui, commentando un passo del “De bello gallico” in cui si afferma che Cesare conquistò la Gallia, questo autore, un po’ sarcastico, si domanda: “Ma Cesare non aveva con sé neppure uno scudiero, uno stalliere o semplicemente un cuoco?” affermando così che ogni impresa non è mai attribuibile ad un solo uomo ma ad una comunità che condivide il suo ideale e il suo impegno.

Ho scritto che Rolando e Graziella Candiani lasciano dopo vent’anni di dedizione assoluta nei riguardi dei Centri Don Vecchi. Senza i loro cuori, la loro intelligenza e il loro impegno questi Centri non avrebbero di certo il volto che hanno! Il Centro Don Vecchi di Marghera non sarebbe così elegante e funzionale senza l’anima e il cuore di Teresa e Luciano. Il Centro di Campalto poggia poi sulla saggezza e sulla generosità del vecchio Lino e sull’intraprendenza del giovane Stefano mentre agli Arzeroni, si sperava di aver trovato una soluzione valida, ma poi è improvvisamente sfumata, quindi rimane ancora un problema aperto per il nuovo Centro! Infine Rosanna e Gianni stanno iniziando la loro avventura per ringiovanire e mantenere vitali tutte le nostre strutture. Oggi sento il bisogno di additare all’ammirazione e alla riconoscenza della città questi “Militi Ignoti del Bene” e i tanti altri ignoti senza i quali Mestre non avrebbe questo bel fiore all’occhiello rappresentato dai Centri Don Vecchi.

Non tutto vien per nuocere

Quello di cui oggi vorrei parlare ai miei amici è un argomento che ho trattato tante volte però sento il bisogno di “rileggerlo” da un punto di vista diverso. È ormai risaputo a Mestre, “anche dai sassi”, che la mia comunità ha tentato, fortunatamente con successo, di inventare una soluzione assolutamente innovativa per gli anziani autosufficienti che “godono” di modeste risorse economiche. Questa “invenzione” consiste negli alloggi protetti dei Centri Don Vecchi. L’obiettivo è quello di favorire, fino all’ultimo, la loro autonomia, impegnandoli a provvedere a se stessi, offrendo loro un alloggio alla portata delle loro tasche e aiutandoli dando loro modo di vivere in una struttura che, sia a livello architettonico che a livello sociale, facilitasse loro la vita. Fortunatamente abbiamo fatto centro cosicché la stragrande maggioranza dei cinquecento residenti nei 483 alloggi dei Centri Don Vecchi affermano di essere fortunati e contenti.

L’assessore alla Sicurezza Sociale della Regione, dott. Sernagiotto, è venuto casualmente a conoscenza della nostra iniziativa e ci ha proposto di ampliare il nostro progetto accogliendo in un centro anche gli anziani della quarta età, ossia quegli anziani che stanno tra gli ottanta e i cento anni, cioè in quella zona grigia tra l’autosufficienza e la mancanza di autosufficienza e che abbiamo definito, per comodità, “anziani in perdita di autonomia”. Sernagiotto ci ha promesso che avrebbe indetto un bando in cui la Regione avrebbe messo a disposizione 25 euro al giorno per l’assistenza di suddetti anziani. In quattro e quattr’otto abbiamo costruito agli Arzeroni una struttura di 65 alloggi e l’abbiamo riempita con persone anche ultranovantenni.

Sennonché Sernagiotto è stato eletto al Parlamento Europeo e il funzionario incaricato di “costruire” il bando del concorso ha trovato più comodo starsene tranquillo sulla sua poltrona sicuro che a fine mese il suo stipendio sarebbe arrivato ugualmente. Questa purtroppo è una storia assai frequente nella burocrazia della pubblica amministrazione! Inizialmente mi venne da disperarmi: 65 anziani traballanti, senza i soldi necessari per la loro assistenza: un problema apparentemente senza soluzione. La disgrazia però si è rivelata ben presto una “fortuna” perché i vecchi hanno fatto ricorso a tutte le loro forze residue, i familiari si sono sentiti moralmente costretti a non abbandonarli alla loro sorte e un gruppetto di volontari, che sta vieppiù crescendo, ha offerto la sua disponibilità, tanto che tutto va per il meglio. Una volta ancora si è dimostrato fortunatamente vero e calzante il detto spagnolo: “Il Signore scrive dritto anche quando le righe sono storte!”.

Il tempo passa per tutti

Vent’anni fa iniziò l’avventura dei Centri Don Vecchi. Le cose ci sono andate molto bene sia perché il progetto si è rivelato valido ed innovativo, sia perché eravamo spinti da motivazioni esclusivamente di carattere ideale in quanto, sia io sia tutti coloro che mi hanno aiutato, eravamo persone disinteressate che operavano senza aspettarsi nessun ritorno economico ed infine perché chi si occupava di contabilità ha sempre tenuto i conti sotto controllo ed ha amministrato in maniera saggia e prudente. L’amministratore unico, per una decina di anni, quando i Centri Don Vecchi erano amministrati per conto della parrocchia e successivamente quando la responsabilità della loro gestione passò alla Fondazione, è stato il ragionier Rolando Candiani. Devo riconoscere che se il Signore mi ha fatto un dono è stato quello di sognare e di perseguire progetti solidali sempre più avanzati anche se, da un punto di vista amministrativo, l’unica mia certezza era che i conti dovevano sempre quadrare o meglio ancora essere in attivo. Vent’anni fa, quando il Consorzio Agrario, presso cui lavorava uno dei “miei ragazzi” dell’Azione Cattolica, andò in crisi e licenziò la maggior parte delle sue maestranze, la Fondazione optò per il ragionier Rolando Candiani, figlio del famoso pittore mestrino Gigi Candiani. Chiesi allora a Rolando se fosse disposto ad aiutarmi ad impostare un’amministrazione seria che non mi mettesse in difficoltà. Rolando accettò condividendo così questa “missione impossibile” e, nonostante mille vicissitudini, non solo i conti sono stati sempre in regola ma ci hanno anche permesso di realizzare la quinta struttura e di impostare la sesta! Rolando coinvolse poi anche la moglie Graziella cosicché i Centri Don Vecchi diventarono lo scopo principale della loro vita. Il tempo però passa per tutti. Io sono stato il primo a lasciare per motivi anagrafici, e proprio in questi giorni anche Rolando e sua moglie Graziella sono andati “in pensione” lasciando la loro vita di volontari. Credo sia giusto che la nostra città sappia che per vent’anni questi due coniugi sono stati le colonne portanti dei Centri Don Vecchi e sia loro riconoscente per il “miracolo” che hanno concorso a realizzare!

Un nuovo alito di speranza

Premetto che ritengo di essere nella condizione di potermi avvalere di una saggia sentenza della cultura dell’antica Roma: “I vecchi hanno il diritto di dimenticare e di ripetersi”.

Ho già l’età per potermi rifare a questa sentenza e perciò lo faccio con tranquillità e soddisfazione! Ho scritto, anche recentemente, che quando, con Monsignor Vecchi cinquant’anni fa, aprimmo “Il Ristoro” di Ca’ Letizia non pensavamo, come invece poi è avvenuto ed avviene tutt’ora, ad una “mensa per barboni” ma sognavamo un “ristorante” per gente con pochissime risorse economiche. Non rimpiango di certo la piega che ha preso Ca’ Letizia, perché ha fatto e continua a fare un gran bene, però mi è rimasto nell’animo il vecchio progetto del “ristorante popolare” che possa permettere anche ad un operaio che guadagna mille duecento euro al mese, che ha un affitto di seicento euro e un bambino che frequenta la scuola, di poter dire, in occasione dell’anniversario di matrimonio o dell’onomastico o compleanno della moglie o del piccolo: “Questa sera vi porto fuori a cena!”, cenando con dieci euro al massimo in una sala signorile, servito a tavola da camerieri in divisa, con un menù semplice ma gustoso e vario.

Finora questo sogno è rimasto solamente una chimera. Ora però che ho letto su “Il Messaggero di Sant’Antonio” che a Milano un manager della ristorazione invita ogni sera a cena un centinaio di “poveri veri”, sapendo che i proprietari del catering “Serenissima Ristorazione”, che appronta centomila pasti al giorno, abitano in Veneto e sono dei buoni cristiani, ho messo a punto questo progetto:

a) chiederò alla Fondazione Carpinetum l’uso gratuito della sala da pranzo capace di ospitare centoventi persone.

b) chiederò agli scout se mi assicurano ogni sera una decina di ragazze e ragazzi almeno diciottenni per fare da camerieri.

c) chiederò infine ai proprietari del suddetto catering, che ha attualmente un centro cottura al Don Vecchi, se sono disponibili ad offrire almeno cento-centoventi pasti a sera con un menu fisso ma buono ed abbondante a due euro a persona. A questo scopo inizierò una novena a Padre Pio e a Santa Rita e poi procederò nel tentativo!

Vent’anni sono stati sufficienti per vedere qualche risultato

Torno ancora una volta sulla convinzione che noi, uomini di chiesa, dobbiamo utilizzare con maggior convinzione, con maggior competenza e con maggior frequenza i mezzi di comunicazione sociale che la società moderna ci mette a disposizione e ripeto che purtroppo preti, parrocchie e diocesi lo fanno ancora poco e male continuando ad affidarsi a sermoni spesso noiosi e soporiferi. Vengo all’intima conferma. I Centri Don Vecchi in definitiva sono un modo attuale per fare carità, però questa modalità, come purtroppo tante altre, è ancora circoscritta ad una città poco significativa quale è Mestre. Ho più volte scritto che “T.V. 2000” di Radio Vaticana ha trasmesso in diretta un bel servizio sul Centro Don Vecchi di Campalto. Il servizio è andato in onda di prima mattina e nonostante credessi che quell’emittente non fosse tra quelle più seguite, da quella trasmissione abbiamo ottenuto questi risultati:

a) Un manager milanese, di estrazione cattolica, ci ha chiesto un incontro per visitare le nostre strutture e documentarsi direttamente sulla nostra esperienza con lo scopo di trapiantarla nella realtà della Chiesa Ambrosiana.

b) Due docenti dell’Università di Padova hanno già preso contatti per programmare, nel mese di maggio, la visita di un pullman di universitari italiani e stranieri che intendono verificare la nostra esperienza, non solo alternativa alle attuali Case di Riposo ma innovativa nell’affrontare, con soluzioni più idonee e aggiornate, le problematiche della terza e quarta età.

c) Il Lions Club di Marghera Venezia ha chiesto, non solamente di visitare almeno un paio dei nostri centri ma, di pranzare assieme ad un gruppo di anziani presso il nostro “Seniores-Restaurant”.

Questi interventi sono giunti quanto mai graditi perché ripagano la nostra fatica, riconoscono valide le esperienze che stiamo portando avanti ma soprattutto testimoniano che è tempo di superare il modo di esercitare la carità cristiana basata sull’offerta di un pacco natalizio ai poveri o di qualche euro a chi bussa alla porta della canonica!

Radio Vaticana al Don Vecchi di Campalto

Qualche settimana fa mi è giunta una telefonata che, sia perché sono duro di orecchi, sia perché non conoscevo l’interlocutore, non ho capito subito la richiesta poi, piano piano, ho compreso che un reporter dell’emittente del Vaticano mi chiedeva di fare una trasmissione in diretta da uno dei nostri Centri. Abbiamo optato, per praticità, per quello di Campalto perché sia il giornalista che la troupe per la ripresa erano di Venezia, quindi a due passi dal Don Vecchi di Campalto. La mia adesione è stata subito entusiasta perché mille volte ho dichiarato che purtroppo i nostri Centri, sia quelli già realizzati, che quelli che riusciremo a costruire in futuro non rappresenteranno una risposta esaustiva alle centinaia di migliaia di anziani che si trovano in condizione di disagio, quindi la cosa più importante è offrire una testimonianza, creare cultura affinché Comuni, Regioni, e perché no, Diocesi e Parrocchie prendano a cuore questa realtà “degli anziani” che rappresenta una delle nuove povertà. Chi meglio della televisione a livello nazionale può promuovere questo progetto? Ci siano incontrati con i vecchi e i nuovi direttori dei nostri Centri di buon mattino sul piazzale del Don Vecchi e mentre il cameraman filmava gli esterni noi ci siamo preparati all’interno dell’edificio. La trasmissione, di una decina di minuti, che non è proprio poco per una trasmissione televisiva, è stata impostata su due momenti diversi. La prima parte è consistita nella visita ad un alloggio abitato da due coniugi entrati da poco tempo. L’appartamento era lindo ed arredato con estremo buon gusto e i due residenti pareva si fossero laureati a Cinecittà tanto sono stati bravi. Credo che gli utenti di “TV 2000”, così si chiama l’emittente del Vaticano, abbiano pensato che il Don Vecchi sia l’anticamera del Paradiso o almeno una suite di lusso di un albergo cinque stelle. La seconda parte della trasmissione si è svolta invece nel salone del Centro che è immenso e molto bello. Mi sono tolto la soddisfazione di ripetere ai miei colleghi preti e ai vescovi miei superiori che le nostre strutture sono nate dalla convinzione che la fede senza le opere è “aria fritta” e che esse vogliono essere un segno concreto del comandamento “Ama il prossimo tuo come te stesso!”.

La radio vaticana

Alcune settimane fa, con tanta sorpresa, mi è giunta dall’emittente del Vaticano la richiesta di un servizio sull’esperienza dei nostri Centri Don Vecchi. L’operatore che mi ha interpellato mi ha informato che il servizio avrebbe avuto una durata di dieci minuti, un tempo notevole per una trasmissione del genere, e che sarebbe andato in onda, in diretta, durante una catechesi che Papa Francesco avrebbe tenuto sul tema degli anziani. La cosa non poteva che farmi un enorme piacere perché il nostro progetto, che ormai data vent’anni, non tende tanto a risolvere il problema della domiciliarità degli anziani poveri della nostra città, anche se l’offerta di quattrocento alloggi protetti non è proprio cosa di poco conto, ma tende piuttosto a creare cultura a questo proposito, proponendosi come alternativa alle Case di Riposo che, in moltissimi casi, si riducono ad un operazione commerciale con l’unico scopo di fare business. I nostri Centri rappresentano certamente una soluzione alternativa, migliore e più economica. Qualche tempo fa mi è capitato di leggere che un gruppo industriale gestisce in Italia centinaia di Case di Riposo le cui rette sono elevatissime ma, nonostante un certo smalto esteriore, non sono realtà più di tanto migliori dei vecchi ricoveri per anziani. Per questo motivo sento il bisogno di difendere, con le unghie e con i denti, il nostro progetto che rende l’anziano protagonista anche negli ultimi anni della sua esistenza offrendogli il vantaggio di abitare in ambienti signorili, in un alloggio di cui ha il possesso a pieno titolo e soprattutto che gli dà l’orgoglio di vivere senza pesare, non solo sull’ente pubblico ma pure sui propri figli. Spero di tutto cuore che anche questa trasmissione televisiva faccia da cassa di risonanza al nostro progetto!

Scommessa ormai quasi certamente vinta

L’avventura del Don Vecchi 5, la struttura sperimentale pensata come soluzione economicamente ed umanamente più sostenibile nel dare una risposta innovativa e positiva agli anziani in perdita di autonomia, è partita in quarta: il prestito di quasi tre milioni a tasso zero da parte della Regione e la promessa di un finanziamento di venticinque euro per ogni residente ci ha indotto, con grande coraggio, a rendere operativa la nuova struttura con la scommessa di offrire una prospettiva di vita serena agli anziani ultraottantenni. L’impresa costruttrice, avendo la garanzia di pagamenti sicuri e regolari, ha lavorato sodo impegnando un numero consistente di operai e in meno di un anno ha consegnato il grande edificio. I guai sono iniziati subito dopo perché, l’elezione al Parlamento Europeo del dott. Sernagiotto, assessore alla Sicurezza Sociale della Regione Veneto e partner di questa coraggiosa sperimentazione sociale, che tra l’altro farà risparmiare all’Ente Regionale una somma enorme, ha messo in grande difficoltà questa esperienza pilota perché la Regione non ha mantenuto tutte le sue promesse e la Fondazione è stata costretta a riempire, il più rapidamente possibile, il nuovo Centro per coprire le spese correnti. La Fondazione non ha potuto fare altro che ridimensionare il suo intervento limitandosi a garantire, con personale proprio, solo il monitoraggio sia di giorno che di notte, e pur offrendo un alloggio di tutto rispetto con un’infinità di spazi comuni, ha dovuto chiedere alle famiglie di farsi carico direttamente, o mediante assistenti, della cura dei loro cari accolti nella struttura. Pian piano c’è stato chi si è fatto carico della gestione della vita quotidiana, chi di guidare il personale, chi di gestire, a titolo di volontariato, i vari servizi, cosicché, anche se ancora con qualche difficoltà, la nuova struttura è a regime e la “missione impossibile” ha avuto un esito positivo.

A futura memoria

Di certo non mi attribuisco il merito di essere “il padre fondatore” dei Centri Don Vecchi, però mi pare onesto ed innegabile riconoscermi una certa “paternità”, non solamente sulla costruzione ma soprattutto, sulla “dottrina” cardine di questa iniziativa di carattere sociale.

Come ho scritto più volte l’input mi è venuto da molto lontano. Un parroco di Carpenedo, don Lorenzo Piavento, ai tempi della scoperta dell’America, fece un lascito di un appezzamento di terreno e di una casupola di quattro stanze a favore di “quattro donzelle povere e di buoni costumi”. La struttura, nonostante la vendita del terreno circostante e varie ristrutturazioni effettuate nei secoli passati, è giunta fino ai giorni nostri.

La spinta a sviluppare questo germe mi venne al tempo dell’abolizione dell’equo canone quando gli anziani, che vivevano con pensioni misere, vennero a trovarsi in condizioni di estremo disagio. L’antica “Società dei Trecento Campi” donò un terreno alla parrocchia e, dopo infinite vicissitudini, vent’anni fa fu costruito il primo Centro di cinquantasette alloggi che dedicai al mio maestro Monsignor Valentino Vecchi, il quale, primo tra i preti di Mestre, prese a cuore le sorti della Chiesa mestrina elaborando una visione ed un progetto di pastorale globale.

L’idea era di offrire agli anziani più poveri, ancora autosufficienti, un piccolo alloggio funzionale e dignitoso ma soprattutto alla portata delle loro modeste risorse economiche in alternativa e in contrapposizione alle case di riposo. In questa logica mi preoccupai di offrire un alloggio, il più rispondente possibile ai bisogni degli anziani, con spazi interni ed esterni atti alla socializzazione. In questo progetto ho escluso ogni forma di assistenza particolare tendendo a far sì che i residenti si avvalessero dei servizi del Comune e della ULSS previsti per ogni cittadino e incentivando i familiari a farsi carico dei loro anziani.

I Centri Don Vecchi prevedono solo un assistente con il compito di fare da collegamento con le famiglie o di fare intervenire chi di dovere nelle urgenze. Mi auguro che questa impostazione leggera e quasi esclusivamente autogestita faccia di ogni centro un piccolo borgo piuttosto che un ricovero per vecchi. Queste sono le mie intenzioni anche se prevedo che prima o poi l’apparato burocratico ed assistenziale, sempre in agguato, si approprierà di questo progetto innovativo e lo stravolgerà.

“Dolci e delizie”

L’anno scorso una giovane signora mi telefonò informandomi che due pasticcerie, gestite da suoi amici, erano disposte a regalarci ogni sera “le paste e i dolci” che non erano stati venduti perché avevano scelto di vendere solamente la produzione di giornata. Con un po’ di impegno sono riuscito a organizzare una piccola squadra che ogni giorno, dopo il consueto avviso telefonico, parte con il Doblò e porta a casa una o più grandi scatole delle migliori leccornie reperibili nelle pasticcerie di Mestre.

Ritengo giusto segnalare i nomi di queste pasticcerie per indicarle all’ammirazione dei concittadini e per informare che in questi negozi si vendono solamente dolci freschi, appena prodotti, mi riferisco a: “Dolci e Delizie” di Via S. Pio X e della Bissuola a cui si è aggiunta, anche se con minore frequenza, la Pasticceria Ceccon di Carpenedo. Questa elargizione, pressoché quotidiana, fa sì che gli anziani dei cinque Centri Don Vecchi spessissimo abbiano a tavola anche il dolce. Queste offerte sono così frequenti ed abbondanti che, anche per timore del diabete, talvolta dirottiamo questo “ben di Dio” alla mensa dei poveri di Ca’ Letizia, a quella dei Frati Cappuccini e perfino a quella di Altobello.

Se in città si sviluppasse maggiormente la cultura della solidarietà ci sarebbe più benessere per tutti. Questi casi sono purtroppo ancora isolati, ci auguriamo però che facciano scuola. Noi pertanto invitiamo i concittadini a scegliere per i loro acquisti questi negozi.

L’ambiguità del termine: “lavorare”

Al Don Vecchi ci è capitata la notevole fortuna che il catering, che ci fornisce i pasti a mezzogiorno, si sia trovato in difficoltà nel poter disporre di un centro di cottura a Mestre e abbia accettato di utilizzare la nostra cucina. Un tempo al Don Vecchi cucinavano dei volontari ma, con sorpresa, abbiamo constatato che, tutto sommato, questa soluzione era più costosa e meno appetibile di quella che oggi è comunemente adottata, cioè che un catering porti i pasti già confezionati.

Dopo un’attenta ricerca di mercato abbiamo scelto “Serenissima Ristorazione” perché è risultata la meno costosa, la più capace nel fornire pasti buoni e tanto abbondanti che i nostri vecchi si sono muniti di scatolette e pentolini con i quali fanno approvvigionamento anche per la sera pagando solamente il pranzo di mezzogiorno.

In questo frangente ho scoperto che Vania, la cuoca, donna squisita, capace e generosa, con l’aiuto di una giovane collaboratrice, prepara ogni giorno cento pasti, molti dei quali confezionati e messi in contenitori termici per chi non può venire in sala da pranzo, oltre a quelli destinati ai Centri Don Vecchi di Campalto, di Marghera e degli Arzeroni. Il menù spesso prevede: antipasto, primo piatto, secondo con contorno, purè, insalata mista e dessert. Io non conosco lo stipendio di questa donna, di certo penso dovrebbe essere quanto mai consistente perché il suo si può veramente definire “lavoro” mentre per tanti, forse troppi altri, dovrebbe definirsi “passatempo”.

Temo però che, a motivo della pianificazione sindacale, non percepisca più dei vigili di Roma, degli spazzini di Napoli o degli impiegati del Comune di Venezia. Anche in questo caso la nostra società zoppica, zoppica troppo!