Il foyer dopo vent’anni

La Fondazione sta studiando come utilizzare il Don Vecchi 6, la nuova struttura degli Arzeroni che ormai è giunta al tetto, struttura destinata a dare una risposta alle criticità abitative. Dei nuovi sessantacinque alloggi, quindici si era ipotizzato di destinarli ai congiunti degli ammalati, provenienti da altre città, ricoverati negli ospedali mestrini. Questo progetto è nato più di vent’anni fa sotto il nome “Il Samaritano”. A quel tempo vi erano molti ammalati che dall’Italia meridionale venivano a Mestre per farsi operare dal prof. Rama e quindi il problema era quanto mai sentito.

Sapevo dell’esistenza di questa esigenza anche in altre città ma la goccia che mi ha spinto a questa scelta impegnativa fu un episodio di carattere familiare. Un mio nipote, nato con una malformazione cardiaca, dovette subire un intervento chirurgico a Milano e mia sorella che lo accompagnò in ospedale, dovendo trattenersi per qualche giorno, cercò un luogo dal costo contenuto. Seguendo il consiglio di una persona che la prese troppo alla lettera si ritrovò in un asilo notturno dove trascorse una notte da incubo fra i barboni. Mi detti tanto da fare che Cacciari mi affidò diecimila metri quadrati di un’area a ridosso dell’Ospedale dell’Angelo, sennonché il progetto di cura protonica, destinato a fornire terapie agli ammalati provenienti anche da altre regioni dell’Italia Settentrionale, finì nel nulla e l’Angelo, che doveva diventare un ospedale di eccellenza, non decollò.

Nell’attesa di realizzare il progetto, l’appartamento di Via Girolamo Miani con dieci posti letto più soggiorno e cucinotto, grazie ad alcune donne semplicemente meravigliose che lo condussero con stile più che familiare, per vent’anni funzionò egregiamente ad un costo di dieci euro a notte come casa di ospitalità che denominai “Foyer San Benedetto”. Ora esso pare più che sufficiente a rispondere alle esigenze attuali perciò la Fondazione mi ha affidato l’incarico di verificare se le quindici stanze della nuova struttura, destinate a questo scopo, sono ancora necessarie. Qualche giorno fa, per scrupolo di coscienza, mi sono recato a visitare il “Foyer” e, a parte le scale che mi sono sembrate come quelle del Campanile di San Marco, cosa di cui vent’anni fa non mi ero accorto, ho trovato l’ambiente pulito, ordinato, profumato di casa e soprattutto ho incontrato Teresa, la giovane donna che ora lo gestisce e che illumina la casa di freschezza e di umanità. Non solo non sono rimasto deluso ma sono ancora entusiasta di questa mia creatura.

Il circo Orfei agli Arzeroni

Alcuni anni fa mi recai negli uffici comunali, che ormai da tempo avevano sede nell’ex “Carbonifera” di viale Ancona, per verificare la disponibilità del Comune a metterci a disposizione un’area in una zona centrale su cui costruire una nuova struttura per anziani non completamente autosufficienti.

Presentammo alcune proposte che risultarono però inattuabili per vari motivi, poi uno dei funzionari ci disse che in località Arzeroni era disponibile un’area di circa trentamila metri quadrati che aveva il vantaggio di farci risparmiare il denaro per la costruzione del parcheggio in quanto già realizzato dal Comune. Un altro impiegato, che assisteva al colloquio, uscì con una battuta che mi fece sorridere: “Aiutereste così anche noi perché non vorrei mai che, prima o poi, passasse un giornalista di Striscia la Notizia e tutta l’Italia venisse a sapere che il Comune di Venezia ha costruito un parcheggio inutilizzato in mezzo alla campagna e non collegato con una strada”.

La soluzione ci parve allettante ma alla prova dei fatti l’impresa si rivelò assai più difficile di quanto avremmo potuto immaginare. Realizzato il Don Vecchi agli Arzeroni abbiamo avuto subito l’impressione d’aver costruito una cattedrale nel deserto, in verità c’è ancora qualcosa che ci preoccupa e per questo stiamo stuzzicando la nuova amministrazione comunale affinché predisponga una fermata per autobus vicino alla nostra struttura.

L’altro giorno, quando mi sono recato al Don Vecchi 5, ho notato, con mia grande sorpresa, che sull’area antistante la struttura era nata in un giorno, come per incanto, una città: prefabbricati di ogni genere, un tendone che poteva contenere centinaia o forse migliaia di persone, roulotte e quant’altro. Una strana città con giardino zoologico: un elefante, dei dromedari ed altri animali che brucavano nei prati antistanti la nostra struttura. Il Don Vecchi 5 e il 6, che è già al tetto, sono diventati la piazza maggiore della città del Circo Orfei. Credo che questo evento riuscirà a far conoscere a tutta Mestre le nostre nuove strutture. Il circo è stato un dono inaspettato ma quanto mai gradito.

Non posso tacere!

Ieri una mia “giovane” coetanea, che ho conosciuto occasionalmente una dozzina di anni fa, mi ha telefonato per informarmi che “l’operazione” era finalmente giunta in porto.

Sento non solo il dovere ma anche il bisogno di far conoscere ai miei amici lettori de “L’Incontro” questo felice evento perché troppo bello per tenerlo solamente per me. Alcuni anni fa è morta una “signorina” funzionaria del Comune di Venezia, con cui, fin dai tempi in cui ero a San Lorenzo avevo instaurato un rapporto di collaborazione per aiutare i poveri. Questa creatura, che mi ha preceduto in cielo da parecchi anni, aveva fatto testamento a favore della sorella disponendo che ella destinasse tutti gli averi ricevuti in eredità alle missioni e ai poveri. La sorella è la cara “giovane” coetanea che ieri mi ha telefonato per annunciarmi la lieta novella. Ieri ho ricevuto la “parte che aveva destinato ai poveri” perché facessi da suo tramite nell’aiutarli.

“L’operazione”, a cui l’amica fa cenno nella telefonata, non è stata né breve né facile perché si trattava di mettere in regola, con le norme attuali, un “bacaro” vicino a Piazza San Marco e trovare un acquirente che disponesse del denaro necessario per l’acquisto, denaro destinato alla Fondazione per la costruzione di 65 alloggi in quel degli Arzeroni per i divorziati in miseria, per i disabili, per i vecchi preti, per i parenti dei degenti dei nostri ospedali. Ieri la mia “giovane” coetanea mi ha dato il lieto annuncio con voce squillante, fresca, sorridente ed affettuosa come fosse una giovane ventenne felice ed innamorata. In altre occasioni, nel passato, avevo ricevuto questo genere di notizie e ricordo che, anche in quelle occasioni, la voce era la stessa: squillante, fresca ed affettuosa ma sentire a quasi novant’anni che una creatura ti mette a disposizione 675.982 euro è qualcosa che profuma di miracolo! Le ho mandato un bacio per telefono e questa mattina sono andato agli Arzeroni per accertarmi che i muri degli ulteriori 65 appartamenti per i concittadini in difficoltà profumassero di questa carità meravigliosa.

Vedendo la squadra di operai che lavorava di gran lena, ancora una volta ho preso a prestito una frase del Manzoni piena d’incanto: “Là c’è la Provvidenza!”.

Il polo solidale del don Vecchi

Monsignor Valentino Vecchi pensava di avere fiuto per l’economia, fiuto che sosteneva di aver ereditato dalla madre, rimasta vedova con due bambini piccoli, uno dei quali era appunto lui. Lei si era inventata materassaia prima e poi padrona di una bottega di carbone. Quando Monsignore cedette il terreno di via Carducci sul quale fu costruito uno dei primi ipermercati di Mestre, noi giovani preti eravamo decisamente contrari: in primis perché ci veniva a mancare il campo da gioco del patronato che si trovava accanto al cinema Concordia e in seconda battuta perché pensavamo che l’ipermercato avrebbe messo in crisi le piccole botteghe di Mestre. In realtà le cose andarono proprio così ma Monsignore tentava di indorarci la pillola affermando che secondo le leggi di mercato dove c’è una concentrazione di negozi significativi prosperano anche quelli minori se si specializzano. Devo dire che non aveva proprio tutti i torti, ma neanche tutte le ragioni.

In forza di questo principio, io ho sempre lavorato perché le varie agenzie caritative che ruotano attorno al Don Vecchi non si lasciassero incantare dalla delocalizzazione, ma rimanessero unite, da un lato perché “l’unione fa la forza” e dall’altro perché la concentrazione di questi servizi aiuta tutti ad avere una clientela più numerosa e garantita. Finora, nonostante tutte le “tentazioni” e tutti i tentativi la cosa è andata avanti così e mi auguro che continui. Ho però una certa preoccupazione perché non tutti i responsabili si sono formati alla scuola del Don Vecchi e non sono neppure discepoli di don Mazzolari, di don Milani, dell’Abbé Pierre, di Madre Teresa di Calcutta o di San Vincenzo de’ Paoli! In questi giorni di agosto nel capofila del Polo Solidale “Vestire gli Ignudi” che conta su circa cinquantamila clienti all’anno c’è più silenzio e meno folla del solito, tanto che sono un po’ preoccupato anche per gli “affari” di “La Buona Terra” che si occupa della distribuzione di frutta e verdura e dello “Spaccio Solidale” che distribuisce generi alimentari donati dagli ipermercati Cadoro.

Creare opinione pubblica

L’affermazione di Joseph Goebbels, ministro della propaganda del Terzo Reich, che sosteneva che le notizie anche puramente inventate, quando vengono ripetute più volte, diventano “verità”, temo purtroppo sia vera.

La presa che hanno sull’opinione pubblica le campagne pubblicitarie di vari beni e servizi condotte attraverso i media, soprattutto quando, utilizzando messaggi ingannevoli, millantano vantaggi o effetti mirabolanti, ne è la prova più eclatante.

Mio fratello, don Roberto, in questi giorni ha scritto un trafiletto sul settimanale della sua parrocchia, scritto che ho deciso di pubblicare su uno dei prossimi numeri de L’Incontro perché quanto mai interessante, in cui afferma che i mass-media per motivi di lavoro e di cassa sono talmente asfissianti nel ribadire certe notizie che finiscono, non solo per farcele percepire come vere e interessanti ma riescono anche a far sì che spesso le persone si carichino sulle spalle dei fardelli amari e pesanti di cui avrebbero fatto volentieri a meno. In questi giorni di afa i mass-media hanno così tanto insistito nel parlare di questo sole rovente da farci credere che il caldo sia ancora più micidiale. Io però tento di far tesoro in positivo di questa “legge di mercato”, tanto da parlare frequentemente di solidarietà nella speranza che piano piano possa passare la convinzione che sia non solo giusto ma anche necessario aiutarci vicendevolmente.

Credo che ci sia del vero in questa “legge di mercato” e la miglior conferma è la generosità che ha consentito di realizzare i Centri Don Vecchi. Sono convinto che fortunatamente questa “semina” stia producendo ancora frutti infatti non passa giorno che, nelle occasioni e per i motivi più disparati, qualcuno non mi offra qualcosa “per le sue opere” perché sicuro che l’offerta andrà a buon fine. Spesso ringrazio frettolosamente e con estremo imbarazzo.

Oggi, riflettendo su questa realtà, sento il bisogno di esprimere a tutti questi benefattori, grandi e piccoli, il mio grazie più sentito e di ripetere loro che hanno fatto e stanno facendo la scelta più giusta. Oggi Mestre dispone di quattrocento appartamentini per gli anziani meno abbienti. Lo scorso maggio abbiano inaugurato sessantacinque alloggi per anziani in perdita di autonomia e a pochi mesi di distanza siamo al tetto di altri sessantacinque alloggi per le criticità abitative. Spero che la scoperta delle leggi di mercato per una volta dia frutti positivi.

Annotazioni feriali

Tanto tempo fa ricordo di avervi parlato di un evento che, anche se apparentemente marginale, mi ha indotto a riflettere. Un’anziana signora della mia vecchia parrocchia era solita sedersi su un banco in fondo alla chiesa, assorta nei suoi pensieri ma anche attenta a quello che avveniva attorno a lei.

Un giorno in cui era sola soletta mi misi a sedere al suo fianco e le domandai quale fosse la sua preghiera preferita e che cosa dicesse al Signore nel lungo tempo che trascorreva solitaria in silenzio. Mi rispose con un certo spirito: “Mi spiace di deluderla don Armando, recito sì qualche Ave Maria per me e per i miei cari però mi piace anche osservare quello che avviene in questo luogo sacro apparentemente sempre silenzioso e pressoché statico ma che in realtà per me rappresenta quasi un “teatrino” che mi interessa e mi diverte” e cominciò a snocciolarmi i comportamenti dei fedeli che entravano e uscivano dalla chiesa. C’era la vecchietta che per accendere una candela infilava nella cassetta una serie infinita di centesimi, quasi si beasse del suono che producevano sulla lamiera; c’era l’altra che accarezzava la statua di Sant’Antonio con una tenerezza struggente; c’era qualche ragazza, a suo dire scostumata, che veniva in chiesa con un abito senza maniche; c’erano alcune amiche che tornando dal mercato entravano per riposarsi e poi finivano con conversare senza tregua.

Ho capito allora perché si divertisse tanto con quel “teatrino” particolare e da quel giorno ho imparato anch’io a “divertirmi” nell’osservare la vita dei miei coinquilini apparentemente monotona e normale ma, osservando attentamente, varia ed interessante. Ci sono le vecchie nonne che ogni giorno partono, come se fossero stipendiate, per vigilare i nipoti; ci sono ospiti che si recano nei vari “empori” del Don Vecchi per fare acquisti di frutta, verdura e generi alimentari a buon mercato; ce ne sono altri che fanno il giretto nell’interrato per curiosare tra i vestiti e osservare i clienti; ce ne sono altri ancora che passano l’intero pomeriggio a chiacchierare nella piazzetta a nord e altri molto affezionati al bar per non parlare poi delle chiacchiere lungo i corridoi intasati dai relativi deambulatori oggi tanto di moda. Non parrebbe ma, nel teatrino nel quale ogni giorno vanno in scena, i comportamenti dei trecento residenti costituiscono un diversivo quanto mai vario ed interessante per chi ha paura di annoiarsi e non sa come passare il tempo!

Una seduta di consiglio che mi ha fatto felice

Molte volte, in passato, ho sentito dire che certi preti, anche se avevano ottenuto buoni risultati nella loro attività pastorale, per la volontà di rimanere abbarbicati alla loro sedia e soprattutto per la scarsa fiducia nelle nuove generazioni, hanno finito per distruggere quello che avevano costruito. Ora questo pericolo non c’è quasi più perché una norma ecclesiastica stabilisce che i parroci diano le dimissioni a settantacinque anni, cosa che ho fatto con convinzione sia per obbedire alla norma, sia perché temevo che le mie attività implodessero a causa della mia fragilità ma soprattutto perché convinto che “il domani nasce dove i giovani pongono gli occhi”.

Oggi l’evoluzione è molto rapida ed è facilissimo essere sorpassati, sono perciò contento delle scelte che ho fatto e, anche se ho continuato a fare il prete a tempo pieno, l’ho fatto però in settori meno impegnativi. Ho offerto collaborazione al mio successore don Gianni e quando mi ha chiesto un aiuto ho risposto ben volentieri, purtroppo però le sue emergenze più assillanti provengono dal settore giovanile, ambiente in cui sono ben cosciente di essere ormai fuori corso. Per quanto riguarda i Centri Don Vecchi, le cose sono andate diversamente. Ho scelto di ritirarmi dall’impegno attivo perché ho pensato che, se volevo che queste iniziative di ordine solidale avessero un domani, era indispensabile che fossero affidate ad un giovane in grado di farsi le ossa con l’esperienza. Avrei potuto continuare, e forse ne avrei avuto la possibilità, però vi ho rinunciato consapevolmente anche se mi è costato; ora mi limito a suggerire, stimolare, criticare senza decidere. Sono contento nel vedere che il mondo continua bene anche senza di me.

L’altro ieri sono stato agli Arzeroni e la struttura del “Don Vecchi 6”, che non è destinata agli anziani e quindi forse dovrebbe avere un altro nome, è già arrivata al tetto e la disponibilità economica molto probabilmente consentirà di portarlo a termine. In tutta onestà devo dire che anche se sono stato io a “concepirlo” a realizzare l’opera sono stati altri. Questo non mi dispiace anzi mi fa felice e mi fa sperare che la nuova struttura, destinata alle criticità abitative, non rappresenti la fine ma solo una tappa del tentativo di trasformare Mestre, attraverso un nuovo servizio per i cittadini in difficoltà, in una città solidale.

“L’obolo della vedova”

È quanto mai significativa quella delicata pagina del Vangelo che mette in luce quanto la “giustizia di Dio” sia molto più giusta e puntuale, non solo di quella grossolana del nostro sgangherato e spesso fazioso apparato giudiziario, ma anche del comune sentire della gente perbene.

Gesù osserva le persone che fanno l’elemosina nel tempio e dice ai suoi discepoli che gli spiccioli donati da una povera vedova, agli occhi di Dio, valgono molto di più delle grosse somme di denaro che alcuni ricchi deponevano ostentatamente nel tesoro del tempio. Conosco questa sentenza fin dalla mia infanzia e essa non solo mi ha aperto gli occhi sulla sapienza di Dio ma, per la costruzione dei Centri Don Vecchi, mi ha anche aiutato a contare soprattutto sull’obolo della vedova.

Credo di essere io il più stupito di tutti nel rendermi conto di come abbia fatto a raccogliere tutti quei miliardi di lire spesi per la costruzione delle sei strutture per anziani. I “miracoli” che sono capaci di fare gli “spiccioli della vedova” che mi hanno stupito per tanti anni, continuano a stupirmi perché per grazia di Dio avvengono anche oggi. È pur vero che talvolta ci sono state vedove che mi hanno donato somme ben più consistenti degli spiccioli della protagonista della pagina del Vangelo però è altrettanto vero che tutti i miei benefattori hanno sempre donato con lo spirito di questa umile e generosa donna ammirata anche da Gesù. Questo miracolo per me è sempre nuovo e, nonostante siano passati per le mie mani molti miliardi, ogni volta che qualcuno mi porge un’offerta provo sempre questa dolcissima sensazione da Vangelo.

Questa mattina, mentre ero in attesa di uscire per la Messa, una giovane donna con estrema dolcezza, ma nel contempo quasi imbarazzata, mi ha offerto una busta dicendomi: “Venti euro sono in suffragio di mio marito morto pochi mesi fa a cinquant’anni e cento sono per due azioni” e si è allontanata quasi vergognandosi del dono. Quella donna aveva un volto bello e pulito e si capiva che quel denaro le usciva dal cuore. Come vorrei che chi abiterà gli alloggi del Don Vecchi 6, che ha ormai raggiunto il tetto, potesse conoscere queste belle storie; penso che se ciò fosse possibile queste strutture nate dalla carità, che a detta di tutti sono belle, diventerebbero ancora più belle!

All’incasso? No!

In occasione delle elezioni comunali e regionali, la Fondazione dei Centri Don Vecchi non si è limitata ad accogliere tutti i candidati dei diversi raggruppamenti politici distribuendo i loro messaggi e i loro programmi elettorali ma ha anche offerto, a tutti i politici che si sono succeduti, un modesto rinfresco. La nostra non è stata solamente una forma di cortesia ma la volontà di cogliere l’opportunità di far conoscere “dal vivo”, ai futuri amministratori, la nostra esperienza che fa risparmiare una montagna di euro alle relative amministrazioni e nel contempo permette agli anziani di vivere una vita più degna e più umana.

Da pochi giorni abbiamo avuto modo di conoscere i volti e i nomi dei nuovi assessori che si occuperanno delle politiche sociali. Sarà quindi nostra premura, non appena questi amministratori si saranno insediati ed avranno preso visione dell’immensità dei problemi che con tanta insistenza si sono offerti di risolvere, chiedere loro di impegnarsi nell’affrontare e concretizzare le esigenze che abbiamo evidenziato quando sono venuti a chiedere il nostro voto. Mi pare sia giusto che i lettori conoscano le nostre richieste che poi in realtà sono anche le nostre offerte.

  1. A fine anno la Fondazione metterà a disposizione 55 appartamenti a favore delle criticità abitative.
  2. La Fondazione desidera mettersi in rete con le amministrazioni pubbliche per sviluppare un servizio sempre più integrato.
  3. Si richiede la realizzazione della pista ciclopedonale per collegare il Don Vecchi 4 con il centro di Campalto promessa dalla precedente amministrazione.
  4. Si chiede di predisporre una fermata degli autobus dell’A.C.T.V. nei pressi dei Don Vecchi 5 e 6 agli Arzeroni per collegarli alla città.
  5. Si chiede al Comune di mantenere il contributo per assicurare il monitoraggio estendendolo anche al Don Vecchi 5. Per chi non lo sapesse il contributo ammonta a euro 2,5 al giorno per ognuno dei cinquecento residenti!
  6. Si chiede alla Regione di mettere in rete i Don Vecchi 5 e 6 assicurando loro un congruo aiuto.

Per evitare illazioni preciso che non stiamo presentando il conto per il nostro supporto ai nuovi eletti ma cerchiamo di ottenere i miglioramenti e gli aiuti più volte promessi a favore degli ospiti dei Centri Don Vecchi.

Gli Arzeroni

Almeno una volta alla settimana mi reco al Don Vecchi 5, la struttura con la quale è cominciata la nascita del “Villaggio Solidale degli Arzeroni”, per consegnare un certo numero di copie de “L’Incontro”.

L’avventura del quinto Centro, che nell’intenzione dell’assessore regionale Remo Sernagiotto doveva rappresentare un progetto pilota per sperimentare una soluzione più economica ma soprattutto socialmente più valida per quella zona grigia di anziani che si collocano tra gli ottantacinque e i novantacinque anni, è cominciata praticamente all’inizio di settembre dello scorso anno.

Il progetto è stato avviato con un indirizzo non ben definito perché non si è avuto il coraggio di optare per una scelta radicale realizzando una struttura per anziani che, anche se al limite dell’autosufficienza fossero ancora relativamente autonomi ma, temendo che la sperimentazione potesse fallire si è tentato di adattarlo anche per l’accoglienza di persone non autosufficienti. Devo constatare però che, nonostante tutto, il progetto è risultato positivo.

Un secondo elemento che ha provocato preoccupazioni, tentennamenti e paure è stato determinato dal venir meno di quel contributo regionale che doveva consentire di assumere un certo numero di assistenti per sopperire al maggior deficit di autonomia dei nuovi residenti, quasi tutti appartenenti alla fascia della quinta età. Anche questo secondo ostacolo però è stato brillantemente superato in quanto la Fondazione ha imposto ai familiari una maggior presenza, presenza che, alla prova dei fatti, non solo è risultata possibile ma anzi ottimale.

La terza gamba che si è temuto facesse barcollare il progetto è stata l’ubicazione del Centro che, pur essendo vicino alla zona commerciale, risulta comunque un po’ decentrato e mal servito dagli autobus e questo ci ha fatto pensare di non poter contare sul volontariato, elemento essenziale per abbattere i costi: anche questa difficoltà però è stata brillantemente superata.

Nell’ultima visita ho riscontrato un clima sereno e soprattutto ho trovato uno staff di volontari estremamente motivato, coordinato ed efficiente. Portare a regime l’iniziativa si è rivelata un’impresa abbastanza concitata che ha generato paure e preoccupazioni però oggi possiamo affermare con assoluta tranquillità che questo progetto pilota per la quinta età è felicemente decollato e sta dimostrandosi quanto mai valido anche senza ulteriori contributi della Regione. Tuttavia se potessimo attingere a questa disponibilità riusciremmo ad apportare ulteriori miglioramenti dimostrando così che è possibile arrivare alla fine della vita come persone e non come pesi da sopportare.

La quinta età

Non so quando sia nata la moda di catalogare gli uomini in funzione degli anni comunque so che almeno da quasi mezzo secolo si dice che gli anziani fanno parte della terza età. I sociologhi, i politici e i medici hanno fatto studi ed hanno tentato di offrire risposte specifiche alle esigenze dei cittadini di età compresa tra i sessanta e i settantacinque anni.

Da vent’anni a questa parte però essendosi allungata la vita, soprattutto nei Paesi della vecchia Europa, si è cominciato a parlare sempre più frequentemente di quarta età che, a parere degli esperti, va dai settantacinque ai novant’anni circa. Ormai c’è anche una letteratura particolare che si interessa di questa nuova categoria di anziani e ne sappiamo qualcosa anche noi dei Don Vecchi che abbiamo accolto, nella quinta struttura, anziani “autosufficienti” ultranovantenni.

Sono convinto però che la catalogazione non sia ancora terminata e spererei proprio di “passare alla storia” come il primo che si è occupato delle problematiche della quinta età, periodo della vita di un uomo non ancora esplorato compiutamente. Come esploratore di questo settore di vita voglio offrire qualche testimonianza di persone che hanno già passato la soglia dei cento anni. La signora Gianna Gardenal, residente al Don Vecchi con alle spalle cento anni a gennaio, mi ha confidato: “Io sono pronta alla chiamata ma avendo molta pazienza sono disposta ad aspettare ancora tranquillamente”. Ad un vecchio prete, che è a mezzo servizio per l’età, il nipote ha suggerito: “Zio non continuare ad andare troppo in chiesa perché a nostro Signore, vedendoti, non venga il desiderio di chiamarti in cielo”. Una terza centenaria ha confidato al figlio: “Io non ho troppa fretta, aspetto volentieri”. Il Centro Studi della Fondazione si è già messo all’opera per trovare soluzioni adeguate.

Il servizio

Ho già scritto più volte, che fino ad una ventina di anni fa, il volontariato, specie quello motivato dalla fede, era il fiore all’occhiello delle popolazioni del Triveneto. In questi ultimi anni però, anche se c’è stata una indubbia contrazione a livello quantitativo, esso regge ancora e bene.

Noi ad esempio per i molteplici settori nei quali è articolata l’attività a favore del prossimo possiamo contare su quasi trecento volontari: disponiamo di un buon numero di volontari che operano nel settore del Polo solidale, realtà che vive in profonda simbiosi con la Fondazione e comprende i magazzini indumenti, lo spaccio alimentare, il gran bazar, i magazzini dei mobili e dell’arredo casa, il chiosco per la frutta e verdura e il banco alimentare. Un altro buon numero di volontari, operando all’interno del Centro Don Vecchi, gestiscono: il bar e il servizio al senior restaurant, gli appuntamenti ricreativi culturali, la raccolta dei generi alimentari in scadenza, il ritiro quasi quotidiano delle paste da alcune pasticcerie mestrine, il ritiro dei mobili e dei vestiti, il coro che anima ogni settimana la liturgia sia al don Vecchi che nella chiesa del cimitero e il personale che collabora nella cattedrale tra i cipressi, scrivono, impaginano, stampano e distribuiscono il settimanale “L’Incontro” e organizzano le gite-pellegrinaggio.

L’attività del nostro volontariato è articolata, ordinata ed efficiente. Vorrei in questa occasione spendere qualche parole in più per due gruppetti i cui componenti, nella loro infanzia e giovinezza, hanno ricevuto una particolare educazione al servizio. Mi riferisco alla dozzina di vecchi capi scout (in pensione) che ogni lunedì stampano L’Incontro. È un vero spettacolo vedere questi piccoli scout, ormai pensionati e nonni, svolgere affiatati ed allegri la loro mezza giornata di servizio per la comunità. A questi si aggiungono anche i vecchi scout, una decina in tutto, che indossando il loro “glorioso” fazzolettone servono la “clientela” dello “spaccio solidale”. Tutti i volontari del Don Vecchi svolgono bene e serenamente il loro servizio ma i vecchi scout che hanno ricevuto un’educazione specifica lo fanno con un tocco di allegria e di cameratismo quanto mai simpatico.

Nessuno è profeta nella sua patria!

Qualche giorno fa due docenti dell’università di Padova hanno accompagnato a visitare il Don Vecchi una cinquantina di universitari sia italiani che stranieri. Noi non abbiamo mai pensato di brevettare “la formula del Don Vecchi” anzi, convinti che rappresenti una soluzione valida sia per la terza che per la quarta età, abbiamo tentato di reclamizzarla con ogni mezzo nella speranza che possa offrire una vecchiaia più serena e dignitosa ai tantissimi anziani che si trovano in difficoltà.

Qualche anno fa ho capito che nel nostro tempo una delle scommesse da vincere è quella di tentare di risolvere il problema della moltitudine di anziani che affollano soprattutto gli stati della vecchia Europa. La visita degli universitari è stata l’ultimo segno dell’interesse che ha destato in Italia “la formula del Don Vecchi”. Qualche anno fa sono venuti a farci visita anche tecnici dell’Emilia Romagna, regioni notoriamente all’avanguardia a livello di servizi sociali. Non sono mancate neppure le visite di operatori, sia milanesi che torinesi, per non parlare di quelle dei comuni delle Tre Venezie, cito a memoria le ultime: Musile, Marcon, Mogliano, Tambre d’Alpago, Cortina, Eraclea, Pieve di Cadore ecc. Si è mosso anche il mondo dell’imprenditoria privata che però si è anche ritirato molto velocemente percependo immediatamente che nella nostra formula è assolutamente escluso il profitto.

Una volta tanto siamo stati innovatori anche nel mondo religioso perché da noi il business è escluso! Quello però che più mi sorprende è constatare come il mondo delle diocesi e delle parrocchie, anche della nostra città, sia rimasto assolutamente indifferente come se la nostra fosse un’iniziativa squisitamente marginale e non riguardi la pastorale. Sono tentato di pensare che queste realtà, per quanto riguarda la solidarietà, siano rimaste al pacco natalizio o all’armadio del povero! Ossia se non sono rimaste all’età della pietra, certamente, non si sono spinte molto più in là della beneficenza dell’Ottocento!

L’opera più celebre di Luigi Scaggiante

Lo scorso anno la comunità cristiana di San Giorgio a Chirignago ha organizzato una bellissima mostra in onore del suo cittadino più illustre: Luigi Scaggiante. Il gruppo culturale di quella comunità si è impegnato a fondo facendo stampare il catalogo con il centinaio di opere esposte che rappresentano l’impegno artistico della sua intera vita di pittore.

Scaggiante, uomo di fede, si è impegnato a fondo su soggetti a carattere religioso, ha partecipato con successo ad alcune biennali di arte sacra promosse dalla Galleria La Cella ed ha dipinto una Via Crucis per la parrocchia di Santa Maria Goretti segnalandosi come artista figurativo che, pur rifacendosi alla tradizione della pittura del sacro, ha avuto la capacità di esprimersi pittoricamente con un linguaggio moderno, comprensibile e gradevole.

L’opera in assoluto più significativa di Scaggiante, che gli organizzatori della mostra non sono riusciti ad esporre, è certamente “La Cena” di Gesù con personaggi del nostro tempo. La grande tela, che gli ho commissionato una quindicina di anni fa per la sala da pranzo del Don Vecchi 1, è un’opera di grandi dimensioni (metri 5 per 2,5) e si rifà alla tradizione monastica che era solita collocare nel refettorio un’Ultima Cena. La particolarità della tela è quella che i personaggi che la animano sono uomini del nostro tempo, personalità note come: Madre Teresa di Calcutta che siede alla sinistra di Gesù, Monsignor Vecchi alla Sua destra, Padre Turoldo, Padre Pio, uomini, donne, bimbi e anziani, in tutto una trentina di figure; nella tela l’autore ha pure avuto la benevolenza di “farmi sedere” alla mensa del Signore e per di più ringiovanendomi di una trentina d’anni. Questa singolare “Ultima Cena” offre soprattutto il fondamentale messaggio che la Redenzione non è una vicenda del passato ma una realtà che coinvolge e salva gli uomini del nostro tempo.

I nizioleti

La querelle dei “nizioleti”, ossia della denominazione dialettale o italianizzata delle calli, dei campielli, delle corti, delle salizade o dei rio terà veneziani che ha appassionato per circa un mese la stampa cittadina e di cui non ci è stato dato di sapere quale sia stato il risultato, da noi ne ha avuto, almeno per il Don Vecchi, uno di positivo. Infatti chi ha avuto la fortuna o la grazia di visitare il Don Vecchi 1 e 2 si è certamente accorto che all’inizio di ogni corridoio o di ogni luogo a stare c’è un’indicazione simile a quella che contrassegna le strade e le piazze di Mestre.

Al Don Vecchi, per accentuare che la struttura non è né una casa di riposo né una casa albergo e men che meno un residence per anziani ma bensì un borgo abitato da trecento cittadini di una certa età, autonomi, liberi ed indipendenti, ogni “via” ha la sua indicazione toponomastica indicata dal nome di un fiore, di una pianta, di un astro o di un animale e i relativi numeri civici. Io ad esempio abito in Via delle Rose al numero 59 e chi vuol venire a casa mia non ha che da suonare il campanello che sta alla porta della quale soltanto io ho le chiavi.

Ricordo che suor Teresa qualche tempo fa ha incontrato un’anziana, appena arrivata nel nostro borgo, in lacrime perché non riusciva a trovare la sua casa. Chiese allora alla malcapitata: “Si ricorda il nome e il numero del suo alloggio?” e lei rispose: “Si, abito in Via dei Ghiri 6” e così fu facile condurla alla sua dimora!

Tornando ai “nizioleti” veneziani la disputa, tra i venetisti puri e quelli imbastarditi, ci ha suggerito di adottare per i corridoi e per gli spazi comuni, un po’ per amor di patria ed un po’ perché la struttura degli Arzeroni è intricata e i suoi abitanti in età avanzata, i nomi dei nizioleti veneziani così da dar vita ad una “nuova Venezia” più vicina a quella dei nostri padri che si sono resi meritevoli per la loro laboriosità ed indipendenza. Ora chi vuol visitare Venezia senza affrontare la fatica dei ponti, l’affanno delle folle di “foresti”, non è necessario che vada alla Venezia ricostruita nelle mini città della Romagna o a quella di Las Vegas negli Stati Uniti ma è sufficiente che venga in Via Colombara agli Arzeroni presso il Don Vecchi 5 e ne vedrà la ricostruzione, almeno a livello toponomastico.