Da “L’INCONTRO” – 15 aprile 2018
settimanale della Fondazione Carpinetum
Dato il carattere monografico che s’è scelto di dare a questo periodico, il numero è dedicato ai negozi e ai supermercati. Ognuno dice la sua e mi pare che sia quanto mai opportuno addentrarsi in questo dibattito.
Pare che il settimanale, tutto sommato critichi l’invasione dei supermercati e favorisca, in linea di principio, le botteghe locali.
Io vivo da più di mezzo secolo a Mestre ed ho visto la nascita del primo supermercato sorto nel terreno del patronato della parrocchia di San Lorenzo e quindi del continuo proliferare dei supermercati. Mi sono convinto che l’economia ha le sue leggi e chi non ne tiene conto è destinato a scomparire. Pensavo che i titolari dei negozi capissero che se volevano sopravvivere dovevano almeno federarsi. Così non è avvenuto e così non sta avvenendo e quindi sono portato a pensare che piuttosto che recriminare formule che si stanno mostrando, voglia o non voglia, vincenti, sia meglio ascoltare il vecchio proverbio che afferma “chi è causa del suo mal pianga se stesso” e che è ancora valido.
Segnalo l’intervista di Sperandio a pag. 3, l’articolo di monsignor Bonini a pag. 8, perché rappresenta una delle più belle realizzazioni a favore del mondo giovanile che studia e l’articolo di Barizza a pag: 12.
don Armando
L’intervista
“INDISPENSABILE FARE SQUADRA”
di Alvise Sperandio
Il direttore di Confcommercio Ascom Mestre Dario Corradi fa il punto sullo stato di salute del commercio cittadino e avanza alcune proposte strategiche per rilanciare il settore
Corradi, come sta il commercio di vicinato cittadino? “E’ in crisi totale, frutto di 20 anni di trasformazioni profonde della città. Sono arrivati i centri commerciali, l’urbanistica e la mobilità sono state rivoluzionate. Sono cambiati gli usi e le tradizioni e persino le abitudini alimentari. Ultima, ma non da ultima, la congiuntura ha colpito duro anche qui. Tutte dinamiche che hanno lasciato il segno. I consumi si sono ridotti a fronte di un’offerta quintuplicata”.
E’ favorevole o contrario ad altri centri commerciali come Landò alla Castellana o la torre Blo a Marghera?
“Strutture nuove non hanno alcun senso. L’Istat dice che i consumi sono in ripresa dello zero virgola, per cui è chiaro che andremo a ridurre ulteriormente le fette sempre della stessa torta. Peraltro già ci sono segnali di crisi nei centri esistenti, legati in particolare alla crescita delle vendite on-line”.
Novità si affacciano anche in centro città, tra M9 e riconversioni dell’ex cinema Excelsior, dell’ex teatro Corso e dell’ex emeroteca di via Poerio.
“Sono sfide da cogliere prestando attenzione soprattutto a chi viene e per proporre cosa, perché non si può saturare oltre il mercato, ma puntare sulla particolarità e la qualità dei prodotti che diventino motivo di richiamo ed elemento attrattore per i clienti”.
Mestre è una città policentrica: come tutelare i negozi di quartiere? “Serve anzitutto un gioco di squadra. I centri commerciali fanno concorrenza perché sono le nuove piazze cittadine dove le persone trovano iniziative di ogni tipo, per tutto l’anno e pure gratis. Si tratta di far tornare la gente nelle piazze e nelle strade e per questo serve organizzare eventi per promuovere le aree. Ma anche i commercianti devono compartecipare alle spese”.
Forse si tratta anche di cambiare i modi di offrirsi al pubblico… “Indubbiamente. Mestre ha 2,5 milioni di turisti che soggiornano all’anno. Tra poco saranno pronti i nuovi alberghi in zona stazione. Queste persone fanno le pendolari a Venezia. Domando: è possibile che non si possa aprire i negozi in orario serale o notturno? Lo stesso discorso vale d’estate: che senso ha alzare le serrande alle 16 quando ci sono 35 gradi e restare chiusi alle 21 quando la gente esce a passeggio?”.
Che cosa potrebbe fare il Comune? “Per incentivare gli arrivi in atta sarebbe opportuno diversificare le tariffe della sosta in centro per fasce orarie. E il sabato pomeriggio liberalizzare i parcheggi. E’ dimostrato che meno si paga la sosta e più cresce il giro d’affari. Il caso del garage di via Costa è emblematico: prima era sempre vuoto, ma da quando le tariffe sono state abbassate è molto più utilizzato”.
E sul piano fiscale? “Su questo piano le misure rischiano di essere palliative. L’Amministrazione potrebbe però intervenire sui plateatici: perché non avere il coraggio di concederli gratuiti agli esercizi pubblici che svolgono funzioni di aggregazione sociale e contrastano l’arrivo della criminalità? Non si dovrebbe guardare solo al bilancio economico, ma anche a quello sociale”.
Le pedonalizzazioni servono oppure è venuto il tempo di ripensarci? “Da sole non bastano. Serve una politica complessiva che abbia riguardo all’accessibilità, alla promozione degli eventi e alla qualità dell’offerta commerciale. Purtroppo il Comune lavora a compartimenti stagni e i diversi uffici non dialogano tra loro. Il punto di fondo è la programmazione del territorio”.
Cosa consiglia a un giovane che oggi volesse avviare un’attività? “Di non fare di testa propria, ma di rivolgersi alla nostra associazione di categoria per avere il supporto in termini di accesso al credito, analisi del mercato e consulenza strategica. Se i ragazzi si trovano da soli è un problema. Bisogna agire assieme e valutare bene che cosa si intende proporre, perchè l’attività sia appetibile”.
Perché a Carpenedo i negozi di vicinato funzionano?
“Perché è un territorio dove ci sono un forte senso di appartenenza e un tessuto di rapporti. C’è una dimensione paesana nel senso nobile del termine”.
Funzionano a Treviso e Padova. “Perché lì sono stati lungimiranti nel fare sistema tra loro e hanno puntato su quanto di buono hanno in città. A Mestre, per esempio, quanto siamo in grado di valorizzare davvero il cosiddetto chilometro della cultura tra villa Erizzo, teatro Toniolo e centro Candiani?”.
Cosa prevede per il futuro? “La situazione che viviamo è difficile, ma c’è ancora tempo per rimediare a patto che si faccia gioco di squadra, tutti si assumano le loro responsabilità e ciascuno dia il proprio contributo”.
Il punto di vista
NUOVI MESTRINI CRESCONO
di don Fausto Bonini
In via Giovanni XXIII a due passi dal centro da 10 anni c’è la Casa studentesca San Michele. Ci vivono i ragazzi che si trasferiscono in città da tutta Italia per studiare all’Università
Situazioni di degrado a Mestre ce ne sono un po’ dovunque, ma via Carducci, centralissima via di Mestre, è una zona del tutto particolare. In questo periodo l’esasperazione degli abitanti è salita a livelli più alti del solito, tanto da sollecitare la decisione di un maggior controllo da parte delle forze dell’ordine. Ma i problemi non si risolvono con la repressione. Semplicemente si spostano altrove. I malintenzionati e i senza fissa dimora cercheranno altre zone della città per continuare a fare quello che facevano in via Carducci. La soluzione, a questo punto, non è in mano delle forze dell’ordine, ma della politica a tutti i livelli, comunale per primo, ma anche regionale e statale.
Ma via Carducci non è solo questo. Via Carducci è anche Biblioteca cittadina frequentata da tantissimi giovani. È anche negozi raffinati e frequentati. È anche zona di appartamenti signorili.. Insomma il bello e il buono c’è, e anche in misura notevole. Per esempio, in una via laterale di via Carducci che si chiama via Giovanni XXIII, proprio dietro al nuovo complesso edilizio fatto di supermercato e anche di palestra e appartamenti di ottimo livello, sorge un palazzone in cui vivono studenti universitari che provengono da tutta Italia e non solo. Si chiama Casa studentesca San Michele. Ci abitano una settantina di studenti, ragazzi e ragazze, che frequentano le Università di Venezia o di via Torino e l’Università dei Salesiani della Gazzera. La Casa è gestita dalla Pastorale universitaria della Diocesi di Venezia e accoglie giovani che scelgono di condividere la loro attività di studio, ma anche la loro esperienza di fede o di ricerca religiosa. Giovani che vivono la Casa studentesca come la loro casa a Mestre, aperta ai giovani della città attraverso numerose proposte di incontro e di riflessione. Un piccolo seme piantato 10 anni fa e che il prossimo 15 aprile festeggerà i suoi primi 10 anni di vita, richiamando a far festa tutti coloro che sono passati in questi anni e che ora sono inseriti nel mondo del lavoro non solo in Italia, ma anche in altri paesi del mondo. Con una piccola novità che interessa direttamente i mestrini e cioè che parecchi di loro, nel corso di questi dieci anni, sono diventati mestrini a pieno titolo perché hanno trovato l’opportunità di continuare a vivere e a lavorare a Mestre. Una nuova linfa che fa da contrappeso alle cattive presenze di cui parlavo all’inizio di questa mia riflessione.
In una mattina di una domenica di inizio dicembre chi passava per Piazza Ferretto avrà visto che molti ragazzi e ragazze correvano per la piazza cantando e ballando, alcuni anche vestiti da candela, che offrivano dei regalini ai passanti e che poi si sono raccolti davanti al Duomo mostrando delle lettere che dicevano Casa San Michele. Dieci grandi candele per ricordare che da dieci anni quella Casa si trova a Mestre. Prima e unica offerta di alloggio per studenti in una città che sta diventando sempre di più Città universitaria con il polo universitario di Via Torino che sta crescendo di anno in anno con una notevole accelerazione in questi ultimi tempi e con i Salesiani della Gazzera. Buon compleanno, ragazzi e ragazze, o come vi chiamate voi sanmichelini e sanmicheline!
Mestre è felice della vostra presenza e vi augura buona festa.
La nostra storia
FU VILLA GRADENIGO
di Sergio Barizza
E venne una stagione in cui quella Mestre che Goldoni aveva descritto come una piccola Versailles assomigliò più a una qualsiasi città percorsa e devastata da un esercito nemico. Fu quando, dopo la caduta della Repubblica di Venezia nel 1797, molti patrizi non presero più la strada che conduceva alle loro ville di campagna per organizzare feste e balli ma le lasciarono in abbandono, nel migliore dei casi a disposizione dei contadini delle loro campagne che le ridussero a stalle, depositi di attrezzi o magazzini dove conservare il frumento, il granturco o appendervi al soffitto i salami e la soppressa a stagionare. Nel peggiore, alla mercé di avventurieri che le spogliarono di ogni bene, dai mobili, ai candelabri, ai quadri, ai tendaggi e fino alle numerose statue che ne abbellivano giardini e parchi.
Una di queste era una villa famosa e celebrata, proprietà dalla famiglia Gradenigo, che si trovava all’inizio del Terraglio sul terreno che è oggi occupato dalla caserma Matter. La facciata della villa prospettava su via Trezzo, una stradina di campagna (da cui il nome ‘troso’ e poi ‘trezzo’) che collegava la chiesa parrocchiale di Carpenedo con il Terraglio e lungo la quale esistevano altre ville, unitamente a un piccolo pezzo di un antico bosco.
Di fronte alla facciata, sull’altro lato della stradina, preceduta da due pilastri che reggevano delle statue, iniziava un’altra piccola strada alberata che, rasentandone il grande parco, conduceva direttamente alla villa Algarotti-Berchet. La stradina è ancora oggi ben riconoscibile, mentre il parco è stato distrutto nel secondo dopoguerra per erigervi il villaggio Sartori e la villa è oggi un istituto scolastico retto dalle suore figlie di San Giuseppe del Caburlotto. Poiché la facciata era rivolta verso via Trezzo, Ca’ Gradenigo rimaneva nascosta alla vista di quanti percorrevano il Terraglio grazie al lussureggiante giardino che la contornava, ornato di più di centocinquanta statue di cui si sono perse le tracce, tranne un gruppo marmoreo di quattro cavalli oggi conservato in una villa di Trieste. La bellezza e sontuosità degli interni ci è stata tramandata da alcuni disegni di Francesco Guardi, conservati al Museo Correr, chiamato a immortalare le nozze tra Armando di Polignac e Idalia di Neukirchen che vi furono celebrate il 6 settembre 1790. Vengono ritratte una cappella gentilizia barocca, con arredi sontuosi e un’ampia sala da ricevimento circondata da colonne corinzie che reggevano il sovrastante ballatoio. Tutti gli storici sono concordi nel fissare l’abbandono e successiva demolizione della villa agli anni immediatamente successivi alla caduta della Serenissima, ma nulla si sapeva di preciso. Qualche anno fa, tra i documenti dell’archivio di San Lorenzo martire, che si riferiscono alla costruzione del duomo stesso, ho trovato un semplice contratto tra i sindaci (i rappresentanti delle varie classi di cittadini mestrini) della chiesa arcipretale e un capo mastro murer di Venezia, di nome Nadal Zamboni, in cui si autorizza la “vendita e consegna, al disfacimento di Ca’ Gradenigo sul Terraglio, alli predetti sindaci di migliora ottanta e più occorrendo di pietre cotte intere o mezze, scartando li quarti e bocconi che non avessero il suo diritto e ciò per il prezzo convenuto di £.20 il miglioro”. Siamo all’inizio di giugno del 1804 e le pietre della villa sarebbero servite per ultimare il duomo entro l’anno successivo.