Torni, le raccomando!

Nei giorni scorsi mi sono recato all’hospice del Policlinico a visitare una signora incontrata, qualche anno fa, all’aeroporto ove svolgeva il ruolo di segretaria del direttore. L’incontro era stato un po’ più che casuale perché io cercavo di ottenere i pasti che i passeggeri non avevano consumato e che ritornavano ancora sigillati, per rispondere alle pressanti richieste dei poveri che si presentavano sempre più numerosi al Don Vecchi per ricevere generi alimentari.

Questa signora, fattami conoscere da due dei miei vecchi ragazzi di un tempo, si era prestata a fare da intermediaria per farci incontrare i responsabili del settore. La richiesta, purtroppo, non andò a buon fine perché le solite assurde pastoie burocratiche rendono pressoché impossibile ogni opera umanitaria, ma anche perché chi non ha problemi di carattere economico, e non incontra “fisicamente” i poveri, trova più comodo dire di no per non infrangere qualche norma stupida inventata da burocrati ottusi correndo il rischio di subirne poi le conseguenze. Da parte mia non ho ancora deciso se si commetta peccato nel ritenere imbelli e disumani quei funzionari più preoccupati di osservare la più stupida delle norme che di aiutare un essere umano in difficoltà. Io sono infinitamente grato a Cristo che ha affermato che “il sabato è fatto per l’uomo e non l’uomo per il sabato”. Con questo lasciapassare me ne infischio dei burocrati e delle loro leggi e quando ci riesco vado al sodo senza alcuno scrupolo di coscienza.

Tornando a bomba, questi miei vecchi “ragazzi” mi hanno ricordato più volte che suddetta signora, ora in pensione, era ricoverata all’hospice del Policlinico e purtroppo, pressato da numerosi impegni, solo il venerdì santo ho trovato il tempo per farle visita. Una stanzetta linda e dignitosa e questo “uccellino” un po’ smarrito ed indifeso nel suo lettuccio bianco. L’incontro è stato veramente dolce e caro, come fossimo stati vecchi amici di infanzia. La visita si sarebbe anche prolungata se non fossero arrivati i miei “ragazzi” che ogni mattina la portano al bar per fare colazione con lei. “Torni, torni!” mi ha detto mentre mi allontanavo. Rincasando mi è tornata alla mente la saggia opera di misericordia: “Visitare gli infermi” concludendo che dobbiamo far sì che i nostri ragazzi del catechismo imparino a memoria le 14 opere di misericordia: esse valgono più di tutto il codice civile.

Conosciamo bene i testimoni del Risorto

Sessant’anni fa, appena ordinato sacerdote, arrancavo più di ora per preparare il sermone della domenica. Ricordo che un sabato, Monsignor Aldo Da Villa, mio parroco a San Lorenzo, sacerdote che parlava alla gente in maniera estremamente convincente, mi chiese se avessi preparato la predica per il giorno dopo. Gli risposi di sì. Io sono sempre stato scrupoloso in questo dovere sia per rispetto alla Parola del Signore sia per le legittime aspettative dei fedeli. Ricordo però che allora soggiunsi: “Ho fatto fatica a preparare qualcosa che convincesse in primis me stesso tanto che mi viene l’angoscia al pensiero di cosa potrò dire di nuovo l’anno prossimo”. A quei tempi la liturgia non prevedeva il ciclo triennale come avviene oggi, motivo per cui ogni anno capitava di commentare lo stesso brano del Vangelo.

Monsignore mi rispose benevolo ed incoraggiante: “Non ti preoccupare, ti accorgerai da solo che ogni anno la Parola del Signore ti offrirà spunti ed interpretazioni sempre nuove, motivo per cui se ti prepari e preghi avrai sempre qualcosa di nuovo e di valido da offrire ai fedeli”. Al momento non mi convinse fino in fondo ma, col passare del tempo, ho constatato che aveva perfettamente ragione! Qualche settimana fa ne ho avuto un’ulteriore conferma leggendo “il fondo” del direttore del “Messaggero di Sant’Antonio” il quale afferma, nel suo articolo in occasione della Pasqua: “Sulla Resurrezione sappiamo poco, tanto poco; non sappiamo infatti come sia avvenuta e per di più i testi evangelici sono confusi, quasi contraddittori. Ad esempio la Maddalena che scambia Gesù risorto con l’ortolano, Pietro e Giovanni che si accontentano del fatto che nel sepolcro ci siano solamente le bende e non il corpo del Risorto ma non dicono perché questa prova così fragile li abbia convinti, ed altro ancora!” però, continua il frate di Sant’Antonio: “noi però conosciamo bene, anzi molto bene, i testimoni della Resurrezione, quanto abbiano faticato, si siano impegnati notte e giorno per annunciare questa notizia così rivoluzionaria ed esaltante e come tutti non abbiano esitato a pagare con la vita questo annuncio”. Già nel passato mi era parso di aver compreso che anche noi oggi possiamo incontrare il Cristo risorto con il suo annuncio e la sua proposta, nella vita, nelle parole, nelle scelte e nelle opere degli uomini migliori che danno un volto luminoso, bello e reale al Cristo risorto. È proprio vero che “il Signore è vicino e si fa conoscere a chi continua a cercarlo con cuore umile e sincero”.

I “militi ignoti” dei Centri don Vecchi

Fortunato me che molto spesso ricevo complimenti ed elogi ammirati per le strutture che col tempo “sono” riuscito a realizzare per gli anziani di modeste condizioni economiche. Sempre e ripeto sempre, quando mi capita di sentire queste attestazioni di simpatia e di ammirazione le dedico a quel piccolo mondo di persone che hanno abbracciato la mia proposta e che con il loro impegno, la loro generosità e spirito di sacrificio le hanno dato volto e tutt’ora la mantengono in vita. Ogni volta che ho avuto l’occasione di prendere la parola ho ricordato che la vera protagonista è stata la città e in particolare la mia cara comunità parrocchiale e più ancora quella pattuglia di collaboratori con i quali ho condiviso la mia avventura solidale. Moltissimi anni fa lessi una frase di una bella commedia di Bertolt Brecht in cui, commentando un passo del “De bello gallico” in cui si afferma che Cesare conquistò la Gallia, questo autore, un po’ sarcastico, si domanda: “Ma Cesare non aveva con sé neppure uno scudiero, uno stalliere o semplicemente un cuoco?” affermando così che ogni impresa non è mai attribuibile ad un solo uomo ma ad una comunità che condivide il suo ideale e il suo impegno.

Ho scritto che Rolando e Graziella Candiani lasciano dopo vent’anni di dedizione assoluta nei riguardi dei Centri Don Vecchi. Senza i loro cuori, la loro intelligenza e il loro impegno questi Centri non avrebbero di certo il volto che hanno! Il Centro Don Vecchi di Marghera non sarebbe così elegante e funzionale senza l’anima e il cuore di Teresa e Luciano. Il Centro di Campalto poggia poi sulla saggezza e sulla generosità del vecchio Lino e sull’intraprendenza del giovane Stefano mentre agli Arzeroni, si sperava di aver trovato una soluzione valida, ma poi è improvvisamente sfumata, quindi rimane ancora un problema aperto per il nuovo Centro! Infine Rosanna e Gianni stanno iniziando la loro avventura per ringiovanire e mantenere vitali tutte le nostre strutture. Oggi sento il bisogno di additare all’ammirazione e alla riconoscenza della città questi “Militi Ignoti del Bene” e i tanti altri ignoti senza i quali Mestre non avrebbe questo bel fiore all’occhiello rappresentato dai Centri Don Vecchi.

La fede bella di una vecchia suora

Ho pubblicato recentemente su “L’Incontro” una lettera, purtroppo insolita, di un lettore di “Famiglia Cristiana” che ringrazia le suore per tutto il bene che hanno fatto e che continuano a fare nonostante siano rimaste in poche e per lo più in età avanzata. Capita quasi sempre di accorgersi di quanto care, nobili e preziose siano certe persone il cui impegno e servizio quasi sempre li si danno per scontati ma dei quali ci si accorge quando vengono a mancare. Proprio in questi giorni mi è capitato di leggere anche la testimonianza di una vecchia suora che, dopo sessant’anni di vita religiosa, ne fa un bilancio e con umiltà e convinzione confida all’intervistatore i punti di forza del suo impegno religioso. Questa cara suora fa due affermazioni che mi hanno fatto riflettere e che riporto nella speranza che possano far bene anche ai miei amici tanto quanto ne hanno fatto a me.

La prima affermazione è che si è sempre fidata totalmente di Dio, abbandonandosi come una bambina tra le Sue braccia, lasciandosi condurre da Lui anche nei momenti più difficili ed intricati della sua vita, certa non solo che Egli non l’avrebbe mai abbandonata ma anzi che l’avrebbe sempre accompagnata tenendola per mano. La seconda affermazione, in linea con la prima, è che è sempre stata convinta che il luogo e la situazione in cui la sorte, o meglio la Providenza, l’avrebbe portata sarebbe stato il posto migliore e più conveniente per lei e quindi l’ha sempre accolto ed abbracciato con assoluta fiducia ed entusiasmo. Quanta santità e quanta saggezza nelle parole di questa vecchia suora! Questa testimonianza mi ha fatto ricordare tutte le suore che ho conosciuto fin dai giorni nei quali frequentavo l’asilo; quante anime belle, pulite, materne e care ho incontrato sulla mia strada! Che il Signore benedica e ricompensi queste donne di Dio e dell’umanità per la luminosità dei loro occhi e per la loro bellezza interiore!

Il nuovo sindaco

Ho già scritto del mio auspicio nei riguardi del nuovo sindaco di Venezia. Speravo che una volta tanto i soliti politici “guastafeste e combina guai” avessero, come si usa dire oggi, “fatto un passo indietro” e si fossero messi da parte permettendo ad una nuova categoria di cittadini di tentare di colmare la voragine di debiti che essi avevano fatto rimettendo di nuovo in piedi il nostro disastrato comune. A questo scopo pensavo che il tipo di candidato sindaco più adatto a raggiungere l’obiettivo fosse un bravo imprenditore onesto e con un’azienda efficiente che, per amore della propria città, sacrificasse cinque anni della sua vita per questa opera di carità così nobile e necessaria ma con il timore però di ripetere la medesima esperienza narrata nella parabola della Bibbia, che racconta come andarono le cose quando gli alberi vollero trovarsi un re. Chiesero alla vite, ma questa si rifiutò dicendo che “non se la sentiva di privare gli uomini del suo vino che rallegra i loro cuori!”; si rivolsero quindi all’ulivo ma anche lui non si rese disponibile perché la gente aveva bisogno del suo olio per vivere” e così via. Non trovando nessun altro candidato malauguratamente accettarono l’offerta del rovo che li ridusse in miseria costringendoli a vivere una vita grama. Temendo che avvenisse così anche per il Comune di Venezia, pensavo di chiedere al Patriarca che, con tanto di croce astile, seguito dai sacerdoti e dal popolo, si recasse in processione per chiedere questa grazia a qualcuno che non fosse il “rovo” di sempre! Pare che il Signore mi abbia ascoltato e il Brugnaro, dei trionfi della Reyer e del tentativo di bonificare l’isola di Poveglia, ha fatto la scelta generosa di salvare Venezia. Sennonché anche un magistrato mentore della giustizia, uomo di legge, strenuo combattente contro le mafie e la corruzione, di nome Felice Casson, ha avvertito il dovere di offrire il proprio talento professionale perché a Venezia cessi di regnare il malaffare, il sopruso, la prepotenza, l’arrivismo e tutti i malanni del genere. Questo evento mi ha fatto cambiare i sogni, gli auspici e la mia preghiera oggi è questa: “Signore, fa che si mettano d’accordo” perché questi due “consoli” tanto diversi offrano ognuno le proprie risorse e assieme salvino Venezia! Mi auguro tanto che il Signore ma, soprattutto Casson e Brugnaro, finalmente l’accolgano!

Non tutto vien per nuocere

Quello di cui oggi vorrei parlare ai miei amici è un argomento che ho trattato tante volte però sento il bisogno di “rileggerlo” da un punto di vista diverso. È ormai risaputo a Mestre, “anche dai sassi”, che la mia comunità ha tentato, fortunatamente con successo, di inventare una soluzione assolutamente innovativa per gli anziani autosufficienti che “godono” di modeste risorse economiche. Questa “invenzione” consiste negli alloggi protetti dei Centri Don Vecchi. L’obiettivo è quello di favorire, fino all’ultimo, la loro autonomia, impegnandoli a provvedere a se stessi, offrendo loro un alloggio alla portata delle loro tasche e aiutandoli dando loro modo di vivere in una struttura che, sia a livello architettonico che a livello sociale, facilitasse loro la vita. Fortunatamente abbiamo fatto centro cosicché la stragrande maggioranza dei cinquecento residenti nei 483 alloggi dei Centri Don Vecchi affermano di essere fortunati e contenti.

L’assessore alla Sicurezza Sociale della Regione, dott. Sernagiotto, è venuto casualmente a conoscenza della nostra iniziativa e ci ha proposto di ampliare il nostro progetto accogliendo in un centro anche gli anziani della quarta età, ossia quegli anziani che stanno tra gli ottanta e i cento anni, cioè in quella zona grigia tra l’autosufficienza e la mancanza di autosufficienza e che abbiamo definito, per comodità, “anziani in perdita di autonomia”. Sernagiotto ci ha promesso che avrebbe indetto un bando in cui la Regione avrebbe messo a disposizione 25 euro al giorno per l’assistenza di suddetti anziani. In quattro e quattr’otto abbiamo costruito agli Arzeroni una struttura di 65 alloggi e l’abbiamo riempita con persone anche ultranovantenni.

Sennonché Sernagiotto è stato eletto al Parlamento Europeo e il funzionario incaricato di “costruire” il bando del concorso ha trovato più comodo starsene tranquillo sulla sua poltrona sicuro che a fine mese il suo stipendio sarebbe arrivato ugualmente. Questa purtroppo è una storia assai frequente nella burocrazia della pubblica amministrazione! Inizialmente mi venne da disperarmi: 65 anziani traballanti, senza i soldi necessari per la loro assistenza: un problema apparentemente senza soluzione. La disgrazia però si è rivelata ben presto una “fortuna” perché i vecchi hanno fatto ricorso a tutte le loro forze residue, i familiari si sono sentiti moralmente costretti a non abbandonarli alla loro sorte e un gruppetto di volontari, che sta vieppiù crescendo, ha offerto la sua disponibilità, tanto che tutto va per il meglio. Una volta ancora si è dimostrato fortunatamente vero e calzante il detto spagnolo: “Il Signore scrive dritto anche quando le righe sono storte!”.

I nostri “debiti” ancora non pagati

Alla fine della seconda guerra mondiale la casa editrice Einaudi pubblicò due volumi. Il primo dal titolo “Le ultime lettere dei condannanti a morte della Resistenza europea” e il secondo, sempre sul medesimo argomento, dal titolo “Le ultime lettere dei condannati a morte della Resistenza italiana”. Ho comprato più copie di questi due volumi per regalarli agli amici nel desiderio che anch’essi condividessero l’alto messaggio di queste persone di grandi ideali che pagarono, con il sacrificio della loro vita, il sogno di democrazia, di dignità umana e di libertà. Confesso che le testimonianze di questi uomini e donne liberi, coraggiosi e generosi mi hanno fatto veramente del bene e mi hanno aiutato a prendere coscienza dell’esistenza di valori che valgono più della vita stessa e a ricordare che dobbiamo essere infinitamente riconoscenti nei confronti di chi ha donato queste splendide testimonianze. Da quando sono prete credo di non aver mai lasciato passare il 25 aprile, festa della liberazione, senza ricordare ai miei concittadini che questi eroi hanno pagato con la vita la nostra libertà e la nostra democrazia, motivo per cui dobbiamo loro eterna riconoscenza, sia per il loro eroismo che per le loro testimonianze, e custodire e difendere quei valori, costati tanto cari, a quei nostri concittadini morti perché noi ne potessimo godere. Questa mattina durante la mia meditazione, ho appreso una notizia che non conoscevo e che per associazione di idee ho collegato alle testimonianze suddette. Una cristiana del Canada ha scritto che è profondamente riconoscente a William Tyndale che, nel 1536, fu accusato di eresia e il 16 ottobre dello stesso anno messo a morte per aver tradotto la Bibbia in inglese. Questa notizia mi ha fatto pensare che se io oggi posso vivere una religiosità umana, libera da tabù e da una sacralità razionale lo debbo al coraggio e al sacrificio di cristiani autentici che lungo i secoli e fino all’altro ieri hanno cercato, tra incomprensioni, persecuzioni e condanne morali e fisiche, la verità e il volere di Dio. A tutti costoro rivolgo oggi un pensiero pieno di ammirazione e di grande riconoscenza.

Il tempo passa per tutti

Vent’anni fa iniziò l’avventura dei Centri Don Vecchi. Le cose ci sono andate molto bene sia perché il progetto si è rivelato valido ed innovativo, sia perché eravamo spinti da motivazioni esclusivamente di carattere ideale in quanto, sia io sia tutti coloro che mi hanno aiutato, eravamo persone disinteressate che operavano senza aspettarsi nessun ritorno economico ed infine perché chi si occupava di contabilità ha sempre tenuto i conti sotto controllo ed ha amministrato in maniera saggia e prudente. L’amministratore unico, per una decina di anni, quando i Centri Don Vecchi erano amministrati per conto della parrocchia e successivamente quando la responsabilità della loro gestione passò alla Fondazione, è stato il ragionier Rolando Candiani. Devo riconoscere che se il Signore mi ha fatto un dono è stato quello di sognare e di perseguire progetti solidali sempre più avanzati anche se, da un punto di vista amministrativo, l’unica mia certezza era che i conti dovevano sempre quadrare o meglio ancora essere in attivo. Vent’anni fa, quando il Consorzio Agrario, presso cui lavorava uno dei “miei ragazzi” dell’Azione Cattolica, andò in crisi e licenziò la maggior parte delle sue maestranze, la Fondazione optò per il ragionier Rolando Candiani, figlio del famoso pittore mestrino Gigi Candiani. Chiesi allora a Rolando se fosse disposto ad aiutarmi ad impostare un’amministrazione seria che non mi mettesse in difficoltà. Rolando accettò condividendo così questa “missione impossibile” e, nonostante mille vicissitudini, non solo i conti sono stati sempre in regola ma ci hanno anche permesso di realizzare la quinta struttura e di impostare la sesta! Rolando coinvolse poi anche la moglie Graziella cosicché i Centri Don Vecchi diventarono lo scopo principale della loro vita. Il tempo però passa per tutti. Io sono stato il primo a lasciare per motivi anagrafici, e proprio in questi giorni anche Rolando e sua moglie Graziella sono andati “in pensione” lasciando la loro vita di volontari. Credo sia giusto che la nostra città sappia che per vent’anni questi due coniugi sono stati le colonne portanti dei Centri Don Vecchi e sia loro riconoscente per il “miracolo” che hanno concorso a realizzare!

L’università del malaffare e dell’inciviltà

Un tempo le strutture a cui era delegata l’educazione umana, religiosa e civile erano: la scuola, la chiesa e la classe dirigente. L’ultima di queste realtà ha sempre zoppicato più delle altre ma oggi è diventata veramente l’università della mancanza di educazione, di senso civico, di correttezza verbale e di comportamento. Credo che ben difficilmente il nostro Parlamento possa dare un esempio peggiore di quello che sta mostrando al nostro Paese. Penso che non sia esagerato affermare che il nostro Parlamento rappresenta oggi l’università, quindi la scuola per eccellenza, del malaffare, della scompostezza, della maleducazione, dell’arroganza, della cupidigia e della mancanza di senso civico. Sono proprio convinto che i nostri parlamentari, in genere, non potrebbero essere peggiori di quello che sono. Tutto questo mi preoccupa e mi avvilisce perché questo pessimo esempio non è immune da conseguenze: come possiamo infatti condannare e correggere il fenomeno del bullismo nelle nostre scuole quando i nostri parlamentari faziosi, interessati e per nulla preoccupati del bene comune stanno comportandosi peggio? Ripensando alla mia giovinezza poi mi tornano alla mente le parole di Mussolini che ha bollato di bassezza morale il Parlamento del suo tempo grazie al quale poi ebbe buon gioco nell’imporre la sua dittatura. “Onorevoli” smettetela perché state trascinando il nostro Paese nel precipizio della disperazione e della rivolta.

Un nuovo dubbio!

Per molti anni, in sintonia con cristiani e preti, che si preoccupano di incarnare il messaggio evangelico nel nostro tempo, ho auspicato e mi sono impegnato, per quanto possa fare un povero vecchio prete come me, nell’emancipazione della donna ed ho gioito constatando che non c’è opportunità che oggi sia ancora preclusa al gentil sesso. Con Renzi poi una serie di giovani donne non solo sono entrate in Parlamento ma anche nel Governo. C’è perfino una giovane signora che fino a poco tempo fa ha ricoperto il ruolo di ministro della difesa e che ora si occupa di politica estera a livello europeo. Senonché qualche giorno fa mi è capitato di leggere sulla rivista “Il Seme”, un periodico che raccoglie i pensieri più significativi che si possano trovare sull’editoria nazionale, una “confessione” di una giovane donna. Di questa confessione ho colto soprattutto due passaggi che mi hanno fatto pensare e mi hanno creato qualche perplessità su quella che io ritenevo essere l’emancipazione della donna, non quella esasperata e scomposta gridata dalle femministe ma quella auspicata anche dai benpensanti e dai progressisti.

  1. Il rimpianto di un mondo domestico, spesso diventato monco e parziale non solo per le donne in carriera ma anche per tutte le altre.
  2. II fatto che lo stipendio del marito non basti più perché, con l’entrata nel mondo del lavoro dell’universo femminile, sono più che raddoppiati i lavoratori e tutti sappiamo che, per legge di mercato, quando c’è sovrabbondanza di offerta fatalmente si affossano i prezzi. Tutto questo mi costringe a ripensare il problema dell’emancipazione della donna!

La suora del domani

Viene talvolta a Messa nella mia “cattedrale tra i cipressi” una ragazza che vive a Milano ma che ogni due settimane viene a trovare suo padre il quale è un caro amico che incontro con una certa frequenza. Ho scoperto nel tempo che questa giovane donna laureata ed occupata all’Università Cattolica, è una religiosa che appartiene ad una congregazione fondata da don Giussani di “Comunione e Liberazione”. Quando viene a Messa con suo padre, non manca mai di venire a darmi un saluto, forse perché sua madre, morta ormai da alcuni anni, mi voleva molto bene e mi stimava. In passato non avevo notato un particolare, che invece qualche settimana fa ho colto e che mi ha fatto riflettere. Io conosco parecchie donne che sono “religiose laiche”, ossia che non vestono un abito religioso, ma uno come me, che ha una certa dimestichezza con questo genere di persone, si accorge immediatamente, dal tipo di abbigliamento dimesso e soprattutto fuori moda che indossano, di questa loro appartenenza. L’ultima volta che ho incontrato la ragazza a cui facevo cenno ho notato invece che, anche se in maniera sobria e per nulla esagerata, era vestita alla moda. Gesù ha dedicato una parabola al lievito che si confonde con la pasta ma la fa lievitare e anche nella famosissima lettera a Diogneto si afferma che i cristiani non si distinguono per nulla dagli altri se non per i loro ideali, i loro costumi di vita sobria e la loro fede. Spero che la nuova generazione di suore si rifaccia a questi schemi mentali e spero anche che la “scoperta” fatta qualche giorno fa rappresenti la primizia di una nuova stagione delle suore del nostro tempo.

Insufficienza congenita

I miei interessi primari sono di ordine religioso, in maniera più specifica di ordine cristiano ed infine il mio interesse più immediato è quello di ordine parrocchiale e soprattutto cittadino. Tutto questo mi costringe a denunciare ancora una volta una carenza pastorale che è diventata sempre più consistente in quest’ultimo ventennio. Quale parrocchia, anche se abbastanza numerosa, è attrezzata per formare universitari, maestri, dirigenti d’azienda, per essere propositiva e trainante nel promuovere lo sport, l’arte, la musica e per essere attiva nel mondo del lavoro, nelle problematiche della famiglia e nella carità?

Credo che siamo giunti al punto in cui la maggior parte delle parrocchie non riesce più a seguire nemmeno i ragazzi delle superiori. Da questa constatazione nasce l’urgenza di impostare una pastorale globale che superi gli ambiti parrocchiali. Questo problema dovrebbe essere affrontato in ambito vicariale ma, i vicariati sono anch’essi troppo piccoli per problematiche del genere, bisognerebbe quindi rifarsi ad un ambito cittadino. Purtroppo attualmente, a Mestre, non vi sono più organismi sovraparrocchiali che abbiano il mandato di occuparsi di questo tipo di pastorale. I sogni e i progetti di monsignor Vecchi a questo proposito sono naufragati ancor prima di nascere per l’insipienza del “governo”. Se non riusciamo a risolvere per tempo questo problema, nel prossimo futuro, la Chiesa mestrina non potrà più contare su una classe dirigente.

Sorpresa certa!

Tempo fa si è svolta a Roma un’imponente manifestazione dei vigili urbani di molte città italiane. Per me quella manifestazione è stata una sorpresa! Pensavo ingenuamente che, dopo quanto accaduto a Roma e a Palermo a Capodanno, anche i vigili urbani delle altre città si vergognassero di appartenere ad una categoria che si era infamata in maniera così ignominiosa di fronte all’opinione pubblica dell’intero Paese. Invece no, guidati dai soliti sindacati, si sono presentati con una faccia tosta difficilmente immaginabile per protestare e per reclamare ulteriori benefici. Ho capito così che in Italia anche il pudore è letteralmente scomparso. Avrei approvato se i manifestanti avessero chiesto una condanna esemplare per i colleghi fannulloni ed imbroglioni, invece no, hanno chiesto ulteriori benefici per la categoria. Io sono portato a pensare che tutto questo sia dovuto in buona parte ai sindacalisti che, per stare a galla, per non lavorare e per avere accesso a carriere ambite, hanno sempre predicato diritti e mai doveri. È legittimo aspirare a retribuzioni sempre più vantaggiose però, in questo momento così tragico per la crisi che attanaglia il nostro Paese e soprattutto per i milioni di italiani che non riescono a trovare lavoro, chi un lavoro ce l’ha deve essere già contento e chi ha un lavoro nella Pubblica Amministrazione, sia a livello statale che locale, deve essere doppiamente contento perché il suo lavoro è sicuro e il suo stipendio è certo! Non conosco i motivi della triste diatriba dei nostri dipendenti comunali, un paio di mesi fa, però sono tentato di pensare che, anche in questo caso, si tratti di una rivendicazione che tiene poco conto della solidarietà sociale.

Attesa vana?

Alcuni mesi fa il nostro Patriarca ha cambiato i vertici della Caritas diocesana, l’organismo che guida uno degli aspetti principali della vita e dell’attività della comunità cristiana. Il cambiamento ha riacceso nel mio animo la speranza, cullata da una vita, che finalmente si desse vita ad un progetto globale ed aggiornato nella gestione della carità della diocesi e che si tentasse di mettere in rete i vari organismi ora operanti in maniera quasi totalmente autonoma, senza nessun tipo di collegamento e di coordinamento che stimoli la loro complementarietà e le spinga ad agire, nell’ambito del loro ruolo di servizio alla comunità, avendo come riferimento il progetto globale indicato. Il cardinale Scola, prima di essere trasferito a Milano, aveva promosso un paio di incontri con l’intento di creare forme di sinergia tra le strutture caritative però la cosa non ebbe seguito ed ora sembra abbandonata del tutto. Non appena sono venuto a conoscenza della nuova nomina, pur con qualche difficoltà, mi sono messo in contatto con il nuovo responsabile per offrire la mia disponibilità a collaborare sul fronte della solidarietà cristiana e per conoscere gli obiettivi che il nuovo responsabile si prefiggeva di raggiungere con il nuovo servizio. Il responsabile della Caritas della Chiesa veneziana mi promise che non appena avesse preso coscienza dell’esistente, mi avrebbe contattato. Io sono ben cosciente che avviare un progetto globale, iniziando con il mettere in contatto l’esistente, non è cosa di poco conto e perciò ho lasciato trascorrere giorni, settimane e mesi ma a tutt’oggi mi pare che su questo fronte di primaria importanza non ci sia nulla da segnalare, quindi spero che a questo tempo di attesa prolungato corrisponda qualcosa di veramente consistente e valido!

Meritocrazia nella Chiesa

Soltanto chi sta al vertice delle comunità cristiane ed ha maturato una conoscenza globale delle varie situazioni è in grado di fare scelte oculate, però mi rimane la sensazione che anche la Chiesa, mutuando ancora una volta dalla società e soprattutto dalla cultura promossa in questi ultimi decenni dai sindacati, adotti, nell’assegnazione dei compiti e dei servizi, criteri poco produttivi che spesso finiscono per penalizzare le comunità cristiane. Vengo al concreto: ho la percezione che piuttosto che assegnare il ruolo di parroco di una comunità, più o meno grande o più o meno importante, a sacerdoti che hanno dimostrato sul campo le loro reali capacità, si preferisca anche oggi utilizzare come criteri di scelta l’età, il titolo accademico e i ruoli ricoperti precedentemente. Con questo criterio, a mio modesto parere, si raggiungono sempre due risultati negativi: si mortificano e si spengono potenzialità che talune parrocchie, sia per i loro legami che per la loro storia, potrebbero esprimere risorse qualificate ed inoltre perché si mettono a disagio certi personaggi che non possiedono le capacità adeguate per guidare realtà significative ad esprimere il meglio di sé. La cosa poi oggi è aggravata dal fatto, che essendoci pochi preti e spesso anche con scarse risorse individuali, si finisce per appiattire e privare la diocesi di quelle “comunità guida” alle quali potrebbero rifarsi o con le quali potrebbero confrontarsi quelle meno qualificate. Il rimedio non è facile ma oggi esistono molte possibilità per consultare clero e laicato, i quali potrebbero offrire consigli quanto mai utili. Rimane comunque il fatto di fondo che oggi la Chiesa, sull’esempio di Papa Francesco, deve liberarsi dal criterio verticistico in favore di quello popolare e di base.