Bene, Papa Francesco!

Un paio di settimane fa Papa Francesco ha affermato che, la persecuzione perpetrata dall’impero Ottomano (l’attuale Turchia) all’inizio del secolo scorso nei confronti della popolazione armena durante la quale vennero massacrati un milione di cattolici, è stato il primo genocidio. In quell’occasione forse molti benpensanti si saranno chiesti come mai questo Pontefice abbia voluto sollevare un simile vespaio suscitando reazioni facilmente prevedibili per un evento dal quale ci separa giusto un secolo.

Costoro sono certamente rimasti perplessi mentre io sono quanto mai convinto che la dichiarazione di Papa Francesco sia stata un atto di estrema onestà intellettuale. Non si devono dire le cose solamente quando ci conviene o quando si pensa che non susciteranno la reazione dei potenti. La verità va detta sempre, costi quello che costi, perché il male e le prevaricazioni vanno sempre condannate per rispetto del valore assoluto della verità e nel tentativo di creare una coscienza collettiva onesta. La Chiesa cattolica oggi può permettersi di farlo perché ha già chiesto pubblicamente perdono all’intera umanità per i suoi peccati quali: le crociate, l’inquisizione, le persecuzioni degli ebrei, dei catari, degli albigesi, le stragi degli indigeni del nuovo mondo e le condanne degli uomini di scienza come Galileo. Avendo fatto ammenda per i suoi comportamenti può legittimamente e doverosamente indicare alla coscienza del mondo la tratta dei negri, i genocidi dell’impero ottomano, di Hitler, di Stalin, dell’Uganda e del fondamentalismo islamico; purtroppo questa è una litania infinita!

Quanto mi piace questo Papa che tenta di far sì che la sua Chiesa diventi coscienza rigorosa per il mondo intero! Grazie, Papa Francesco, grazie anche per questa lezione di coraggio e di onestà morale!

Non possiamo voltarci dall’altra parte

Ogni giorno si fa sempre più angoscioso e tragico l’esodo degli infelici che, scappando da quei paesi in cui infuria una guerra senza più alcuna legge e limite di crudeltà, cerca la salvezza sulle sponde della nostra Penisola. Per queste creature, povere ed angosciate, pare che l’unica via di fuga possibile sia soltanto attraversare il Mediterraneo. Il percorso è quanto mai infido e pericoloso a causa dei vecchi barconi sui quali vengono accalcati ma soprattutto per gli aguzzini che, speculando sulla loro paura e sulla loro speranza, li traghettano spolpandoli dei pochi dollari che sono riusciti a racimolare vendendo tutto quello che possedevano. L’attuale esodo è uguale se non peggiore di quello organizzato tre secoli fa da negrieri senza scrupoli che sequestrarono un ingente numero di africani e li portarono a lavorare, come schiavi, nelle piantagioni di cotone e di canna da zucchero degli Stati del Nord, del Centro e del Sud America.

A questo dramma infinito dei profughi si aggiunge quello dei nostri compatrioti che, avendo dimenticato che anche i loro nonni, dopo la Grande Guerra, cercarono salvezza dalla fame in terra d’America, sono quanto mai preoccupati di dover ospitare e mantenere queste decine di migliaia di uomini spaesati e senza futuro. L’organizzazione statale sembra giunta al tracollo sia nel trovare stabili idonei sia nel provvedere ad una pur sommaria sistemazione.

Papa Francesco ha invitato frati, suore e preti a offrire i conventi ormai deserti però finora non mi è mai capitato di leggere che qualcuno abbia dato una risposta positiva all’invocazione del nostro Pontefice; diocesi, ordini religiosi e parrocchie pare facciano orecchie da mercante e lascino cadere nel nulla questi appelli angosciati. Credo che anche la parrocchia più piccola e più povera potrebbe pagare l’affitto di un appartamento per ospitare una famigliola e questo forse è il modo più facile per aiutarla ad inserirsi nel nostro tessuto sociale. Se poi lo stato, invece di versare a cooperative e ad enti di ogni genere, che spesso speculano sui drammi altrui, versasse direttamente agli interessati ciò che ha deciso di spendere per loro, forse questa potrebbe diventare una soluzione ottimale.

Oggi mi ha scritto Brugnaro

Oggi la tecnica fa veramente miracoli! Mi è giunta questa mattina una lettera di Luigi Brugnaro, l’imprenditore che è uno dei candidati a Sindaco di Venezia. Penso però che nonostante il tono amichevole e confidenziale con cui inizia scrivendo: “Caro Don Armando”, la stessa lettera l’abbia inviata a migliaia di concittadini, infatti anche l’anziana suor Michela, mia coinquilina, mi ha confidato che Brugnaro ha scritto pure a lei dicendole: “Cara Michela”.

Il computer è l’artefice del “miracolo” di personalizzare un messaggio che invece è rivolto a migliaia e migliaia di cittadini. Brugnaro chiede ai veneziani se gradirebbero che fosse il loro Sindaco, così come stanno facendo, usando argomentazioni e modi diversi, anche gli altri candidati Sindaco.

Io non conosco affatto il candidato Brugnaro che mi propone di condividere la “missione impossibile di salvare Venezia”, so solamente che è un imprenditore di successo che finora non ha avuto nulla a che fare con la politica “di mestiere”, come lui definisce coloro che hanno fatto di questa nobile arte una professione, però mi è piaciuto il modo di porgersi, l’entusiasmo e la passione con cui dice di voler fare questo tentativo anche se l’esperienza ci insegna che, in queste occasioni, è facile fare promesse che non costano nulla.

Non pubblico la lettera perché desidero che tutti i cittadini che ambiscono a ricoprire questo ruolo, abbiano eguali opportunità di misurarsi e di chiedere consenso.

Spero solo che chi riceverà i voti necessari per diventare sindaco dimostrerà con i fatti le sue reali capacità facendo pulizia di tutto il malaffare e l’incompetenza che hanno ridotto il Comune di Venezia nelle condizioni in cui si trova.

I barboni in Vaticano

Papa Francesco non molla! Ormai sono di dominio pubblico le sue scelte personali legate ad uno stile di vita sobria, coerente, evangelica che si rifà al modo di vivere e di comportarsi della povera gente.

Il concetto del “Papa re”, che era già stato intaccato dai suoi immediati predecessori, Papa Francesco lo ha letteralmente distrutto. Il mondo intero sa che si porta la borsa, usa l’utilitaria, vive in un appartamento normale a Santa Marta, usa l’autobus per spostarsi, in chiesa si siede nei banchi con tutti gli altri, si mette in fila per ritirare il vassoio alla tavola calda, adopera vesti sacre normali ed evita ogni pomposità.

Coerente con tutto questo invita gli ordini religiosi ad aprire conventi, monasteri e strutture, che sono ormai vuote, per ospitare i senza tetto e gli immigrati dell’Africa, bacchetta spesso i vescovi dagli atteggiamenti troppo principeschi, invita i preti ad usare l’utilitaria, i cristiani a frequentare le periferie, suore e frati a fare la scelta dei poveri e a condividere la loro vita. Pare che oggi abbia iniziato la terza fase della sua “rivoluzione” per rendere la Chiesa più solidale con i poveri aprendo lo stesso Vaticano all’accoglienza degli ultimi.

Ben si intende le sue sono scelte poco più che simboliche ma comunque tese allo stesso scopo, quello di dire al mondo intero che la Chiesa vuole diventare la casa dei poveri. Mi ha colpito la decisione del Papa di creare presso gli edifici adiacenti al Colonnato, cuore di Roma e della cristianità, bagni, docce e barbiere per i barboni, arrivando perfino ad invitarli a visitare i musei vaticani, non dimenticando però che essi avrebbero si gradito un invito tanto onorifico, ma forse ancor di più avrebbero gradito il rinfresco al termine della visita. Mi pare poi che non possiamo dimenticare le telefonate del Papa a persone in difficoltà, le offerte personali e la nomina di un vescovo incaricato di fare la carità a nome suo.

Papa Francesco è buono, caro, umile ma deciso e determinato a realizzare il suo progetto. Ora, cardinali, vescovi, monsignori, preti, frati, monache e cristiani normali non hanno che imboccare la strada indicata. Non ci sono più scuse per nessuno!

32° edizione e sessantamila copie

Per grazia di Dio l’attività imprenditoriale dell’Editrice Carpinetum va a gonfie vele! Gli amici sanno che quella che noi, “per amor di Patria”, amiamo chiamare “Editrice L’Incontro”, sforna ogni settimana cinquemila copie del settimanale “L’Incontro”, cinquecento copie del foglio “Il Messaggio di Papa Francesco” che riporta il sunto delle omelie più significative del Sommo Pontefice, trecento copie del settimanale liturgico “Incontro domenicale della comunità cristiana con la Parola di Dio” e ogni mese duecentocinquanta copie del mensile “Sole sul nuovo giorno”.

Oltre a questi periodici, l’Editrice è alla trentaduesima edizione de “Le preghiere e le principali verità e norme cristiane” portando questo opuscolo, di sedici pagine in formato A6, a una tiratura di sessantamila copie, tiratura che è in continuo aumento in virtù della diffusione anche al di fuori della diocesi.

La fortuna di questo opuscolo pensiamo poggi sul fatto che riporta le preghiere del mattino e della sera, le principali verità di fede che oggi non si insegnano quasi più al catechismo e le norme fondamentali per la vita di un buon cristiano.

Attualmente la maggior richiesta ci proviene dall’ospedale dell’Angelo dove alcuni volontari, che prestano servizio all’interno dell’ospedale, offrono l’opuscolo agli ammalati. Molti degenti hanno dimenticato queste preghiere e, grazie all’opuscolo, hanno la possibilità di riscoprirle e di pregare trovando il conforto necessario a superare o almeno a sopportare il difficile momento che stanno vivendo. Se esistesse qualche forma di collaborazione con i responsabili della pastorale ospedaliera, l’opuscolo potrebbe diventare uno dei più facili ed efficaci strumenti di apostolato. Attualmente stiamo studiando e cercando di ottenere il permesso per collocare, sia a Villa Salus che al Policlinico, dei piccoli espositori per rendere ancora più facile l’offerta pastorale, che è pressoché l’unica che viene fatta nei nosocomi della nostra città.

I nuovi “residenti” nella Cattedrale tra i cipressi

Nella mia cattedrale tra i cipressi abita, fin dall’inaugurazione, Gesù di Nazareth, il quale ogni giorno riceve un buon numero di “amici” e alla domenica una vera folla di ammiratori e di postulanti. Maria, la Madre di Gesù, ha preso invece fissa dimora in un luogo un po’ discreto ed appartato all’ingresso della chiesa per offrire consolazione a chi soffre per lutti lontani o recenti.

Ho poi invitato altri “buoni cristiani” perché aiutassero e accompagnassero i fedeli all’incontro con il divino Maestro. Ho cominciato con l’invitare Padre Pio, Madre Teresa di Calcutta e Sant’Antonio che hanno accettato “alloggio” sulla parte destra della chiesa; sulla parte sinistra invece ho collocato Papa Giovanni, Papa Woytila, Papa Luciani e San Francesco d’Assisi. In questi ultimi mesi, nei quali la Chiesa ha portato agli onori degli altari Papa Paolo VI, un Papa che ammiro e amo quanto mai per come ha servito, in tempi difficili, la Chiesa e l’umanità, mi sarebbe sembrato di fargli un grande torto se non avessi invitato pure lui completando così quella meravigliosa schiera di Papi che il Signore ci ha donato negli ultimi tempi. Papa Paolo VI ha portato “le chiavi pesanti” del tempo del dopo Concilio.

La Chiesa, con questa grande assise, aveva dato la stura alle grandi attese del mondo cattolico, cosicché il post Concilio è stato un tempo assai irrequieto e Papa Paolo, con grande sofferenza, amore ed intelligenza, ha avuto il compito ingrato e difficile di ricomporre in unità queste tensioni perché dessero un volto aggiornato ma armonioso e composto alla comunità cristiana.

Mi restava un ultimo “alloggio” ancora libero e dopo averci pensato tanto, mi è parso giusto assegnarlo a Santa Rita da Cascia che è passata alla storia come la “Santa degli Impossibili”.

Per far sì che gli uomini del nostro tempo trovassero serenità e facessero chiarezza nelle loro coscienze tanto irrequiete mi è parso ci volesse una Santa che avesse queste risorse. A Santa Rita ho però detto con chiarezza che le ho sì offerto un alloggio ma che mi aspetto anche che aiuti tutti coloro che si rivolgeranno a lei per chiedere aiuto, anche quando le loro richieste saranno davvero difficili.

Incontro con un “collega”

Al Don Vecchi si accolgono normalmente anziani dai settanta ai novant’anni. Le condizioni richieste sono che siano “poveri”, tenendo però conto che la povertà di ordine economico è solo una delle infinite povertà presenti oggi nella nostra società ed inoltre che questi anziani abbiano bisogno di quello che noi fortunatamente possiamo offrire loro: un alloggio protetto.

Il Don Vecchi, anche se a detta di qualcuno è un piccolo “paradiso terrestre”, non è quello definitivo, quello cioè che il buon Dio ha preparato per i suoi figli dopo la vita terrena.

Nessuno viene allontanato dal Don Vecchi però, con il passare degli anni, “sora nostra morte corporale” si incarica di chiamare al cielo anche chi rimarrebbe volentieri quaggiù, motivo per cui c’è un costante turnover e gli inquilini si succedono nei quattrocentottanta alloggi con una certa frequenza.

Qualche giorno fa la signora dell’accoglienza, che stava concludendo le pratiche per un nuovo venuto, quando mi ha visto entrare in ufficio si è sentita in dovere di presentarmi il signore che andrà ad occupare un alloggio al Don Vecchi degli Arzeroni dicendomi che egli è un pastore della Chiesa Luterana di Venezia.

Gli ho stretto immediatamente la mano dando il benvenuto ad un “collega” o meglio ancora ad un “confratello” della Chiesa di Cristo. Confesso che ho provato una profonda commozione nello stringere la mano a quest’uomo di Dio.

Quando mai, fino a mezzo secolo fa, un pastore protestante avrebbe avuto l’ardire di bussare alla porta di una chiesa cattolica ed un prete avrebbe accettato a cuore aperto e con commozione un pastore protestante? Questo è un miracolo della tolleranza e dell’ecumenismo. Oggi al Don Vecchi vi è un pastore luterano, un’ebrea, una testimone di Geova, un buon numero di non praticanti e qualche non credente, però credo che mai una struttura sia stata più “religiosa” della nostra!

Dove e come incontrare il Signore Risorto

Chi mi conosce, anche solamente un poco, sa di certo che la mia più grande preoccupazione non è quella di vivere una religiosità finalizzata a rievocare, nei sacri riti, fatti pur importantissimi avvenuti però duemila anni fa ma quella di vivere il mistero cristiano della Redenzione oggi e nella realtà in cui viviamo.

Gesù, duemila anni fa, pur avendo detto ai suoi discepoli che sarebbe morto e risorto, così come evidenziato nel Vangelo, consapevole che le sue parole non sarebbero state sufficienti a far sì che gli apostoli credessero veramente, dopo la Sua Resurrezione, apparve loro ripetute volte.

Sono allora profondamente convinto che anche a noi, che viviamo duemila anni dopo questi eventi, non bastino le affermazioni del Vangelo, ma abbiamo bisogno, anche noi, di incontrare Gesù, di vederlo vivo, presente nelle vicende della nostra esistenza per credere che avremo una vita nuova dopo la morte fisica.

Allora mi pongo una domanda complessa e quanto mai seria: dove e come posso incontrare questo Gesù che ha sconfitto la morte? Ai miei amici mi permetto di confidare le conclusioni a cui sono arrivato. Credo giusto rispondere che, come avvenne duemila anni fa in Palestina, Cristo non si è fatto vedere nel tempio ma alla Maddalena vicino al sepolcro, a Pietro, Giovanni e agli altri apostoli nel Cenacolo, una prima volta senza Tommaso e successivamente con Tommaso, ai discepoli di Emmaus per strada nelle vesti di uno sconosciuto, ai discepoli nei vari incontri, a Pietro e ai suoi compagni andati a pescare sul lago.

Il vero ed autentico Cristo Risorto oggi lo posso cercare ed incontrare solamente nel quotidiano e nella normalità del vivere. Il Risorto oggi lo vedrò “solamente nel mistero e nell’enigma” mai come nelle raffigurazioni dei pittori o dei mistici. Il Gesù vivo lo potrò scoprire dove ci sono germogli di speranza, dove ci si sforza di dar vita ad un mondo nuovo e migliore, lo posso incontrare negli uomini di pace, di giustizia, di libertà, negli uomini che credono al bene, alla libertà e all’amore. Questa ricerca è più faticosa ed incerta, ma penso sia l’unica vera.

Gesù e la religione

Premetto che io so bene di non essere né il Papa, né un Vescovo, né un teologo e purtroppo neppure un Santo, motivo per cui le mie parole sono solamente quelle di “un povero cristiano” che cerca con ogni mezzo la verità.

Vorrei solamente confidare ai miei concittadini e fratelli di fede le piccole “scoperte” che vado facendo nella mia ricerca quotidiana.

Una delle ultime conclusioni a cui sono giunto, in questo tempo in cui ho riflettuto in modo particolare sulla Resurrezione e sul Mistero Pasquale, è stata questa: Gesù, come uomo, era profondamente religioso, il Vangelo infatti documenta abbondantemente come si rivolgesse spessissimo al Padre, pregasse di primo mattino e fino a notte inoltrata, tuttavia in chiesa entrava poche volte e i suoi rapporti con la gerarchia ecclesiastica non sono mai stati idilliaci anzi, di frequente sono stati caratterizzati più dallo scontro che dall’incontro, tanto che suddetta gerarchia lo ha contrastato in tutti i modi, riuscendo alla fine a sbarazzarsi di Lui facendolo crocifiggere.

Questo non vuol dire che sia giunto alla conclusione di scoraggiare la gente dall’andare in Chiesa, dall’osservare le norme che la religione giustamente ci suggerisce, però mi induce a concludere che è ancora più importante ascoltare la voce della propria coscienza, avere un rapporto costante e profondo con nostro Signore, interrogarlo ed ascoltarlo nelle difficoltà, avere rigore morale e soprattutto praticare in maniera seria e coerente la solidarietà.

Non vorrei lasciarmi andare ad una battuta ad effetto in cose così importanti però sono indotto a pensare che Gesù sia stato sì profondamente religioso, ma non bigotto e nemmeno troppo preoccupato di ridurre la sua religiosità alla pratica dei riti sacri.

L’ebbrezza della semina

Seminare richiede tanto coraggio e tanta fede però è una delle scelte e dei gesti più belli e più importanti della vita. Essendo nato in campagna mi è capitato più volte di vedere nei granai di qualche mio amico, custodito in un angolo, il grano conservato per la futura semina. La famiglia, nelle cattive annate, poteva anche incorrere in grosse difficoltà ma il grano per la semina era gelosamente custodito e nessuno lo toccava per nessuna ragione al mondo perché rappresentava la speranza e il domani! Gesù ha adoperato più volte nel suo Vangelo l’immagine del grano come segno e come allegoria di ciò che di valido e di positivo si può seminare nel solco della vita dell’uomo. Io sono un prete più che mai convinto di possedere, nell’angolo più protetto della mia coscienza, il mucchietto di buona semente da spargere con fiducia e con speranza nel cuore dei miei fratelli e concittadini. Ricordo quello che il grande Bernanos fa dire al prete protagonista del suo splendido romanzo “Il diario di un curato di campagna”: “Non è colpa mia se vesto da beccamorto ma io posseggo il seme della gioia e della speranza e ve lo donerei ben volentieri se me lo chiedeste”. Sono tentato di parafrasare queste parole confidando ai miei concittadini: “Non è colpa mia se sono un vecchio prete che perde colpi sempre più frequentemente ma io custodisco questa semente di fede, di speranza e di amore e la semino con grande ebrezza ogni volta che ne ho l’occasione!”. Per questo motivo custodisco, con particolare attenzione, e difendo, con tutte le mie forze, questo patrimonio di valori attinti dal Vangelo per seminarli, magari in maniera maldestra, ma li voglio seminare a tutti i costi, in ogni circostanza e malgrado tutto. La consapevolezza di custodire e di disporre delle verità più importanti che offrono le risposte più valide per l’uomo di ogni tempo, mi pesa assai per la responsabilità che mi sono assunto ma, nel contempo, il poter offrire alla gente le risposte più valide per le loro attese e per le loro necessità mi da ebbrezza e quasi voluttà. Questo “mestiere” del seminatore mi piace tanto e spero di continuare a poterlo fare fino all’ultimo respiro.

Cristo è veramente risorto

La celebrazione dei grandi misteri cristiani mi investe ogni anno con una forza sempre maggiore, talvolta mi piove addosso come un uragano dal quale non mi è facile difendermi. Un tempo mi erano sufficienti le argomentazioni che la tradizione millenaria mi offriva e che con sforzo tentavo di attualizzare. Ora questi discorsi non mi bastano più, non riescono a convincermi e mi lasciano, non solamente perplesso a livello personale ma mi inibiscono nel proporli con convinzione e con entusiasmo.

Anche quest’anno, in occasione della Pasqua, ho dovuto faticare per darle una lettura che mi convincesse fino in fondo. La preparazione è partita da lontano e lo spunto mi è stato offerto da una magnifica poesia di Padre David Maria Turoldo che, con versi delicati e convinti, esprime come vorrebbe dare l’annuncio della Resurrezione.

Se fossi stato un artista della parola, come la Proclamer, per il sermone di Pasqua avrei letto i versi, pregni di fede e di poesia, di Turoldo ma non essendolo ho dovuto ripiegare su un’immagine molto più prosaica. In occasione della Pasqua ho detto alla mia cara gente che essa è un bellissimo e prezioso dono che il buon Dio ci invia dal cielo. Ogni dono è confezionato con un involucro grazioso e accattivante fatto di carta vivace e di nastri delicati e come tutti i doni anche questo ci viene offerto in una confezione adeguata. Quella della Pasqua è una festività che tutti gradiscono, credo però che, anche se non si deve rifiutare in maniera pregiudiziale l’idea della festa perché l’uomo d’oggi ha bisogno di fare festa, non sia di certo questa la sostanza della Pasqua cristiana! Il contenitore normalmente è tanto più ricco quanto più importante è il contenuto e nel caso della Pasqua il contenitore è costituito dalla liturgia che, in maniera più fastosa del solito, ci ricorda ciò che avvenne duemila anni fa. Il contenitore della Pasqua nelle chiese è costituito dai canti, dai fiori, dalle letture e dalla solennità con cui si ricorda quell’evento così lontano nel tempo ma tutto questo anche se opportuno, forse necessario, non costituisce certamente l’essenza della Pasqua. La perla preziosa è l’annuncio che Cristo è vivo, è presente, che il Risorto lo si può incontrare anche oggi negli uomini migliori, nelle comunità cristiane autentiche, negli eventi che manifestano bontà, pace, giustizia, solidarietà, dove il messaggio di Gesù è riproposto con convinzione, dove si crede che la vita sia veramente un dono e la si vive con ebrezza, dove si è certi di camminare verso la “terra promessa”. Allora riscoprendo il Risorto presente e vivo in mezzo a noi possiamo puntare a giocare totalmente la nostra vita su di Lui ed essere uomini e donne della resurrezione pure noi!

Le attuali “parole chiave”

In ogni stagione si scoprono e si usano parole chiave che identificano i problemi più scottanti e cruciali e che, il più delle volte, si ritiene siano le chiavi per capire, affrontare e risolvere suddette criticità. Vorrei soffermarmi su alcune di queste parole che una volta si definivano “magiche”, ma che ora, in un tempo di laicismo imperante, si ritiene siano invece le ultime “scoperte” per dare soluzione a problematiche che superano le capacità dell’individuo e delle comunità, specie di quelle più piccole.

Una delle locuzioni oggi più ricorrenti è quella di: “investire nella ricerca”. Tutti affermano che le aziende che investono nella ricerca riescono a stare sul mercato e a sviluppare le proprie attività creando reddito. Se applicassi questa conclusione alle nostre parrocchie e se questo enunciato fosse valido, esse dovrebbero essere destinate al fallimento certo perché ormai, da decenni, queste realtà sono rimaste ingessate. Infatti, a livello parrocchiale, io non riesco a scoprire alcunché di nuovo per quanto riguarda la carità, i massmedia, il mondo giovanile e la presenza sul territorio; mi pare anzi che nell’ultimo mezzo secolo si debba registrare piuttosto qualche passo indietro mentre la società civile, in questo lasso di tempo, è passata dal grammofono alla televisione, dal pallottoliere al computer! Investire sull’uomo non solo è una necessità ma è soprattutto un dovere se si crede nel messaggio evangelico e se si vuole sopravvivere.

Oggi si parla poi spessissimo della necessità “di far rete”: solamente Mussolini ha predicato l’autarchia! Se le parrocchie della nostra città non si mettono assieme a progettare una pastorale comunitaria rimarranno sempre più fragili, impotenti, incapaci di far passare un messaggio ed una testimonianza recepibile dalla gente del nostro tempo.

Nel passato ho definito le parrocchie di Mestre come un arcipelago di tante isolette autonome e non comunicanti, ora, adoperando la definizione del filosofo von Leibniz nei riguardi dell’uomo, sarei tentato di parlare di “monadi senza porte e senza finestre”. Le nuove esigenze determinate dalla crescita e dallo sviluppo, che valgono per il commercio e per l’industria, purtroppo valgono anche per le comunità cristiane che vogliono stare a galla e continuare a diffondere, con risultati positivi, la loro proposta.

Richiesta ai candidati

L’elezione a sindaco di Venezia o a governatore del Veneto purtroppo sembra interessare più ai candidati che agli elettori, anche se i candidati non dovrebbero aspettarsi altro se non l’onore di servire la comunità senza alcun ritorno di ordine economico. Gli elettori invece dovrebbero sperare di avere amministratori capaci, onesti e sommamente preoccupati di operare per il bene della collettività. Io probabilmente avrò la “fortuna” di incontrare personalmente quasi tutti i contendenti. I cinquecento residenti presso i Centri Don Vecchi e le cinquemila copie settimanali de “L’Incontro” non possono non far gola a chi ha bisogno di voti per “ambire all’onore di sacrificarsi per la comunità!”. Avendo l’opportunità di un incontro diretto mi sto preparando da tempo su cosa dir loro e su cosa chiedere. Premetto che ritengo opportuno che i candidati conoscano direttamente il mondo che ambiscono amministrare, perciò illustrerò loro il nostro progetto che può far risparmiare centinaia di migliaia di euro al mese all’ente pubblico e, con l’aria che tira, questa non è cosa di poco conto! Ribadirò inoltre, a chiare lettere, che la nostra sperimentazione, ormai ventennale, offre agli anziani una qualità di vita infinitamente migliore di quella offerta da altre soluzioni e questo non è un elemento trascurabile. Infine arriverà il colpo di grazia, la prova del nove per la loro serietà: chiederò a Casson se, qualora venisse eletto, sarebbe disposto a governare assieme a Brugnaro e a Brugnaro chiederò la stessa cosa e cioè se, qualora fosse lui ad essere eletto, sarebbe disponibile ad amministrare con Casson. Perché questo è il “busillis” della questione; non mi si parli di destra o di sinistra, queste distinzioni sono solamente baggianate per allocchi, ormai tutti sappiamo che sono parole vuote, paraventi per porcherie di parte! Se questi personaggi e quelli della Regione avessero a cuore il bene dei cittadini, dovrebbero, come in ogni famiglia sana, trovare una mediazione e se non volessero farlo sarebbero dei vendi vento, degli imbonitori da fiera con i quali è bene non aver nulla a che fare!

Ancora sulla carità

Siamo alle solite; ho affermato fin troppo spesso che ammiro come mio fratello don Roberto svolge il ruolo di parroco a Chirignago. Ritengo don Roberto molto più intelligente di me, infinitamente più bravo nel parlare e soprattutto nello scrivere. Mio fratello è un autentico trascinatore di ragazzi e di giovani. Non glielo ho mai detto ma gli rimprovero di dedicare poco tempo alla pastorale espressa da uno dei suoi fondamentali strumenti quale è il messaggio scritto. Don Roberto scrive con una spontaneità, un’immediatezza ed una presa estremamente efficace, però si limita a qualche articoletto sul suo foglio parrocchiale (pagina unica). Don Roberto ha confessato pubblicamente che ha disobbedito una sola volta a Papa Luciani, del quale era un grande ed appassionato ammiratore, quando il defunto Patriarca, che era un vero conoscitore di uomini, gli chiese di frequentare un corso di giornalismo a Milano. Probabilmente aveva qualche progetto su di lui, ma egli rispose di no: era troppo attaccato ai suoi ragazzi e ai suoi giovani. Questo, oltre all’affetto e al legame che ho nei suoi confronti, è il motivo per cui leggo sempre e volentieri “Proposta”, il periodico della sua parrocchia. Non sempre però condivido le sue scelte, specie per quanto riguarda la solidarietà e l’aiuto ai poveri. Recentemente don Roberto è intervenuto due o tre volte sull’argomento dell’elemosina in parrocchia che riassumo: prima facevano la carità ogni volta che i poveri suonavano al campanello, poi decise di fissare un solo giorno offrendo due euro, quindi ridusse l’obolo ad un euro ed infine sentite come ha pensato di risolvere il problema:

“Abbiamo trovato la soluzione”

La notte porta consiglio. E così l’altra notte mi è venuta in mente un’idea che abbiamo messo in pratica questo mercoledì con i mendicanti che suonano alla nostra porta: non più un euro a testa, ma un sacchetto con una scatola di tonno e quattro pacchetti di cracker. Il valore economico è uguale: un euro, ma, mi sono chiesto: come andrà? E’ andata, ed è andata così: dei 115 di due settimane fa, se ne sono presentati poco più di 30 (il tam-tam arriva presto ed arriva lontano) e di questi solo 19 hanno accettato il sacchetto, gli altri lo hanno tranquillamente rifiutato. Questa esperienza insegna qualcosa: che non è il cibo che manca a quelli che chiedono l’elemosina. Sbagliamo, sbagliate a dare un euro, o poco più o poco meno, a chi suona alla porta delle nostre case o ci chiede il carrello davanti ai centri commerciali o davanti ai supermercati. Il cibo è l’ultima delle loro preoccupazioni. Il fatto è dimostrato. E d’altra parte con le tante mense tenute dalla Chiesa nel nostro territorio non poteva essere che così. I mendicanti cercano la monetina: nei casi più innocenti per le sigarette o la ricarica telefonica; in altri per la dose giornaliera di sostanze.

Sono contento di come è andata a finire.

don Roberto Trevisiol

Con tutto il rispetto e la stima che ho per mio fratello ho l’impressione che il comandamento del Vangelo: “Ama il prossimo tuo come te stesso” esca piuttosto malconcio dalla sua soluzione. La “toppa” non solo non risolve ma aggrava il problema. Ritorno quindi sull’annosa questione constatando che la Caritas non solo non è riuscita ma pare neppure sia intenzionata a proporre un progetto globale sulla carità. Senza un progetto e senza mettere in rete i vari problemi si arriva purtroppo a soluzioni ben misere.

Laureato all’università della “strada”

Qualche settimana fa ho pubblicato sulla copertina de “L’Incontro” una bella foto del Patriarca assieme ai futuri sacerdoti della Chiesa veneziana, che non sono più di una ventina. Attualmente il seminario non ha più né le scuole medie né quelle superiori ma soltanto studenti che frequentano il corso teologico di sei anni e quindi i nuovi seminaristi, entrati tutti adulti, hanno frequentato corsi di studio tra i più disparati. Dovrei essere contento che il corso teologico del nostro seminario sia strutturato come i corsi universitari, per i quali vi sono sessioni di esame durante l’anno, e altrettanto contento perché queste scelte del sacerdozio sono fatte in età adulta; eppure confesso di aver l’impressione che questi futuri sacerdoti eccedano nello studio di discipline ecclesiastiche ed in frequentazioni liturgiche, perdendo il contatto con la vita reale e con una mentalità che mal si coniuga con gli studi teologici sempre sofisticati e pressoché incomprensibili per l’uomo della strada.

Mi pare di registrare, in maniera sempre più evidente, che il modo di essere religiosi oggi s’allontani sempre di più dalle elaborazioni e dagli schematismi della liturgia e della teologia tradizionale e quindi ci sia l’urgenza e la necessità di “inventare” una preparazione al sacerdozio ben diversa da quella imposta dalle Congregazioni Vaticane. Il successo dell’insegnamento e della pastorale del nostro Papa, che si è formato nel mondo delle periferie, mi pare evidenzi questa necessità di calarsi nel mondo reale frequentandolo maggiormente. Ricordo che una ventina di anni fa venne a Mestre un giovane frate, discepolo di San Francesco, che frequentava il mondo degli emarginati e che aveva grande presa sui giovani; al fraticello un giorno domandarono in quale università ecclesiastica si fosse laureato ed egli rispose franco e convinto: “Ho frequentato i corsi dell’università della strada!”. Pare che anche Gesù propendesse per questa soluzione quando disse: “Il cristiano deve essere lievito che fa un tutt’uno con la pasta e la fa lievitare all’interno con la sua presenza umile, nascosta ma vitale”. Ho la sensazione che oggi la riforma dei seminari abbia ancora molto cammino da fare!