Promesse, promesse e ancora promesse non mantenute per il Samaritano!

Qualche giorno fa una mia ex parrocchiana mi ha telefonato dicendomi che al marito, colpito nuovamente da un ictus cerebrale, avrebbe fatto molto piacere se gli avessi fatto una visita all’Angelo, il nuovo ospedale della nostra città. L’indomani della telefonata andai a far visita a questa cara persona che mi è sempre stata vicina con la sua simpatia e il suo affetto, durante tutti i 35 anni che sono stato parroco a Carpenedo.

Purtroppo le condizioni del paziente si erano talmente aggravate, per cui il conforto fu per sua moglie più che per l’infermo, ormai incapace di riconoscermi.

Comunque fu molto bello stare una mezz’oretta assieme, sentirci in famiglia ed avvertire sia la moglie, la zia presente, che io questo caldo affetto e questo clima di condivisione del dolore e della prova che pesava più sulle spalle della cara signora che su quello del marito, che praticamente era già entrato nella “vita nuova”.

Suddetta signora mi parlò anche del vicino di letto, un turista americano pure lui colpito da ictus mentre era in viaggio con sua moglie.

Il discorso portò la mia interlocutrice a chiedermi a che punto fosse il progetto del Samaritano, la struttura di accoglienza per la gente che giunge all’Angelo da lontano.

Gli risposi che purtroppo il progetto era ritornato in alto mare per i cattivi rapporti tra la Regione e il Comune, perchè sui pennoni di queste due realtà sventolano bandiere politiche diverse. Al che la signora aggiunse: “Sa, don Armando, la moglie di questo paziente alloggia nell’albergo, appena aperto qui vicino all’ospedale e paga 110 euro la notte, poi deve provvedere per il pranzo e cena”

Immediatamente mi si presentarono alla mente i volti di Cacciari, del Comune, Padoan dell’Ulss, Vecchiato assessore all’urbanistica, Fincato ai lavori pubblici, i loro progetti e le loro promesse. Forse sono ormai fuori dalla vicenda, perché un alto funzionario della Ulss è interessato ad affidare la questione di questo sogno ad una realtà a lui vicina.

Comunque ora che non ho più preoccupazioni per la chiesa, comincerò a premere sia per il Samaritano che per il don Vecchi di Campalto.

Con le elezioni vicine può essere non gradevole avere contro anche un vecchio prete, vecchio finché si vuole ma non stanco per impegnarsi per il prossimo!

Crimini e scempi derivanti dall’inciviltà dell’umanità

Io credo di aver imparato più dalla lettura di certi romanzi, che dalle lezioni piuttosto barbose che ho ascoltato nelle aule della teologia nelle cui cattedre sedevano docenti ben esercitati nei sermoni.

In giovinezza è ben vero che c’è un rifiuto istintivo verso insegnanti poco brillanti e spesso anche poco preparati. Alla mia età comprendo che molti di loro facevano scuola non per scelta personale, ma solamente per ordini superiori. Ora mi rendo pur conto che per molti di essi la scuola era un sovrappiù, perché il mistero sacerdotale li impegnava già più del dovuto. E’ capitata anche a me questa sorte e quindi più facilmente può darsi che anch’io abbia determinato dei rifiuti della materia che insegnavo e non per la povertà della materia in se stessa, ma per l’inesperienza o l’inadeguatezza dell’insegnante.

Infatti qualche giorno fa, ho celebrato il funerale di un docente di greco del Liceo Franchetti di Mestre, e ho sentito le testimonianze entusiastiche dei suoi studenti e il fragoroso battimani dei giovani fedeli e quel docente insegnava non sessuologia, politica o altro, ma il greco!

Ma vengo alle mie letture che hanno inciso sulla mia coscienza più di tanti sermoni.

Tantissimi anni fa ho letto un romanzo, Gheorghiù “La venticinquesima ora”. Il romanzo descriveva con lucida spietatezza di linguaggio come politici di diversi paesi spostassero, come pedine su una dama, le popolazioni di una regione, annettessero ad una nazione centinaia di migliaia di cittadini con una cultura, una tradizione ed una religione ben diversa da quella a cui li spostavano.

In questo tempo in cui si sta venendo a contatto diretto con gente della Polonia, della Moldavia, dell’Ucraina, della Romania e di tutti quei popoli del Centro Europa, mi sto rendendo conto dello scempio esecrando, della rovina economica e del disastro sociale causato per motivi di carattere politico, ideologici di prestigio o semplicemente per scambi determinati da altri interessi poco nobili.

Sto chiedendomi sempre più spesso quanto deve camminare ancora l’umanità per raggiungere un minimo di civiltà e di convivenza umana?

Un educatore alla solidarietà fallito

Io sono vissuto con gli scout e per gli scout almeno una trentina di anni.

Pur svolgendo il servizio di assistente ecclesiastico mi “hanno costretto” a partecipare ad un campo scuola per avere la qualifica di capo e prima ancora mi hanno chiesto di fare la “promessa scout”.

Comunque quella degli scout è stata una delle mie più belle esperienze nel campo giovanile come educatore; il metodo è certamente valido ed ha ancora presa sull’animo dei ragazzi.

Una delle mete che gli scout passano a chi aderisce al movimento, è certamente quella “di lasciare il mondo un po’ più bello e più buono di quello che hanno trovato”.

Io, onestamente ci ho provato! Non so però se ci sono riuscito almeno in minima parte! Questo m’addolora alquanto e soprattutto non so a che o a chi imputare questo probabile insuccesso.

Di natura sono uno stacanovista e perciò credo proprio che la causa non sia uno scarso impegno!

Ho fatto queste considerazioni proprio in questi giorni. Al don Vecchi capita che, essendo tutti vecchi, qualcuno sia costretto a causa dei propri acciacchi ad andare, pur a malincuore, in casa di riposo, qualche altro invece è costretto, suo malgrado, a trasferirsi in Cielo, ma che ci sia uno fra i tanti che lasci le sue poche cose all’organizzazione che l’ha salvato dalla solitudine, dalla miseria e da mille altre preoccupazioni, non c’è verso di trovarlo!

La quasi totalità approfitta volentieri del trattamento di favore, dei vestiti a prezzi simbolici, dei generi alimentari donati, della frutta e verdura distribuiti gratuitamente, ma è ben raro, se non rarissimo, che si trovi qualcuno che si ponga la domanda: “Hanno aiutato me, senza che io potessi accampare alcuno diritto, quindi anch’io voglio aiutare altri che si trovano nella triste situazione in cui mi trovavo!” tutti sono pronti a beneficiare di ogni provvidenza, come fosse un diritto sancito da non so quale legge, ma ben pochi pare che comprendano la lezione che ogni giorno è loro proposta, e da noi non si tratta di chiacchiere ma di fatti.

Non so quindi se sia neppure più vero l’antico detto: “Le parole volano, mentre gli esempi trascinano”
Ma chi e dove trascinano?

Come educatore alla solidarietà, debbo ammetterlo, sono fallito! Peccato!

Sarebbe così importante far crescere la solidarietà nel nostro mondo!

Educatori e legislatori debbono proporre i modelli più affascinanti, senza impoverire il progetto dell’Altissimo!

Io preferisco sempre le grandi tematiche della vita, scrutare gli orizzonti vasti e profondi, indicare le utopie che mi fanno sognare e spesso il Vangelo mi offre l’opportunità di volare alto!

Talvolta però la pagina della Sacra Scrittura, da leggersi alla domenica, mi costringe a volare raso terra ed affrontare i problemi poveri e tristi della vita.

Qualche settimana fa purtroppo, la pagina del Vangelo metteva il dito su una piaga che ha sempre fatto soffrire l’uomo, ma che in quest’ultimo tempo è diventata più profonda e più sanguinante, la rottura tra l’uomo e la donna che si erano scelti per affrontare l’avventura della vita.

Il solito fariseo, pretenzioso e provocatore pone a Gesù il problema: “E’ lecito al marito ripudiare la propria moglie?” uno dei soliti problemi terra, terra, che ti fanno prendere coscienza della meschinità umana!

Cosa disse Mosè? “Mosè ha permesso….” – “Mosè l’ha fatto per la durezza del vostro cuore, ma da principio non fu così!…. “l’uomo non separi ciò che Dio ha congiunto!”

Mi sono messo la testa tra le mani e mi sono detto: “Domani devo far capire ai miei fedeli che dobbiamo sognare, volere e proporre il modello più alto, più nobile e più affascinante della famiglia!

Sono stufo ed indignato con chi, e non sono pochi, propone paccottiglie, merce cinese taroccata, soluzioni nocive per la felicità umana!

Educatori e legislatori debbono proporre i modelli più affascinanti, quelli che incantano e che fanno sognare!

Come invidio e rimpiango i films americani di un tempo, quelli alla Frank Capra, nei quali il bene trionfava sempre e alla grande!

E’ vero, nella vita talvolta accadde che, ci si ammali, che ci si faccia delle ferite, che si inciampi e si cada, ma questo è un altro problema, cercheremo le medicine più opportune, le cure più appropriate e se non si può fare altro che dover amputare, pur pensandoci prima cento volte, lo si faccia!

Però guai a noi se sporchiamo, roviniamo e adulteriamo il progetto dell’Altissimo; quello dovrà essere proposto sempre per tutti e nel modo più opportuno!

Il Mosè che trovi qualche soluzione alla rovina provocata dalla durezza del cuore, lo si può sempre trovare, ma la proposta per nessuno motivo deve essere impoverita!

Burocrazia contro solidarietà

Nota della Redazione: queste riflessioni sono antecedenti al 27 novembre, quando la situazione è finalmente stata sbloccata.

Nel pomeriggio delle domeniche mi concedo un pisolino sulla poltrona e la visione in contemporanea di due rubriche: “L’arena”, condotta da un giovane intelligente ed onesto, che poi sapendo che è anche un ottimo cristiano, mi piace più ancora, e un’altra rubrica di cui non ricordo il titolo, ma che comunque consiste nell’intervista di mezzora ad un uomo politico di spicco da parte dell’Annunziata. Questa donna la rifiuto in maniera radicale, perché faziosa, prepotente e preconcetta, ma comunque devo ammetterlo anche intelligente e preparata. Come faccio a seguire le due rubriche in contemporanea? Passo da un canale all’altro, perdendo battute di certo, ma riuscendo comunque a cogliere la sostanza del discorso.

Qualche domenica fa era di turno il ministro Brunetta. Questo signore non mi è proprio molto simpatico, perché sbruffone, indisponente, perchè pare sia una specie di padreterno che sa tutto lui e risolve ancora tutto lui. Brunetta mi pare sia una copia non proprio riuscita di Berlusconi!

Debbo però ammettere che nonostante gli attacchi insistenti ed indisponenti, faziosi e preconcetti della giornalista, non solamente gli ha tenuto testa ma l’ha mandata all’angolo, vincendo indubbiamente per ko tecnico!

Mentre ascoltavo le bordate ripetute e dirompenti di Brunetta, alla burocrazia, alla faziosità ed arroganza dei giudici, al menefreghismo e al non rendimento dei funzionari dello Stato, il mio pensiero andava al ritiro dei generi alimentari in scadenza. Battaglia certamente perduta per l’egoismo sfrontato della grande distribuzione, per l’impotenza del Comune e per la solita burocrazia.

Ora il problema è in stallo perché l’Ulss deve definire quello che non si deve asportare. Faccio fatica a capire perché questa gente debba sentenziare di tutto senza preoccuparsi per nulla dei problemi più gravi del bisogno e di come risolverli.
Comunque quanto ci vorrà per stilare questa lista del si e del no?

Cinque minuti? Dieci? Diamogli pure un quarto d’ora, ma poi buttiamoli fuori a calci sul sedere dall’ufficio.

Sull’uso che talvolta fanno della televisione

Più di qualche persona mi ritiene spigoloso, tagliente, polemico, ed ha ragione!

Talvolta non riesco proprio ad accettare certe forme di egoismo, certe mentalità farisaiche, certi estremismi di comodo, certi comportamenti ritenuti dai più formalmente religiosi, ma che in realtà sono la negazione assoluta di qualsiasi religiosità autentica. Certe forme di burocrazia assurda ed antisociale, certi paludamenti da palcoscenico che cercano di nascondere il nulla.

Allora prima sopporto, poi mi trattengo perché capisco che il ribellarmi è un combattere contro i mulini a vento, ma spesso sbotto.

Allora qualcuno, che probabilmente prova gli stessi sentimenti, dice che sono un prete coraggioso, qualcuno invece mi ritiene arrogante, svitato e pretenzioso.

Spesso cerco la saggezza, l’equilibrio, la misura ma poi ad certo punto sbotto e salta il coperchio!

Il voler essere onesti con se stessi, col prossimo che incontri, e col mondo è veramente difficile.

Io ho vissuto il tempo degli anni di piombo, in uno strano stato d’animo; da un lato ho condannato senza reticenza alcuna gli irrequieti, gli illusi, i personaggi indottrinati e talvolta delinquenti noti per aver preso il mitra e sparato a personalità di grande valore quali Moro, Biagi e tanti altri ancora.

Ho ritenuto i brigatisti criminali nutriti da ideologie malsane e banali e manovrati da burattinai interessati, astuti e senza scrupoli. Però talora m’è parso perfino di capire che di fronte a quel muro di gomma rappresentato dalla nostra società egoista, senza scrupoli, ipocrita, menefreghista ed arrogante non c’era altro rimedio che il mitra.

Sono sempre state tentazioni che ho rifiutato con tutte le mie forze dicendomi che la soluzione valida rimane la testimonianza, l’educazione. Però perché mi rimanga dentro al cuore questa prospettiva non debbo aprire la televisione perchè certi programmi “impegnati” sono l’espressione estrema della faziosità, dell’intelligenza luciferina, del degrado morale.

“I figli delle tenebre”, che sono sempre stati più furbi, si sono appropriati di questi splendidi mezzi di comunicazione per attuare i loro loschi progetti e per campare lentamente sopra la buona fede e la sete di giustizia della povera gente!
Questo proprio non lo sopporto!

Sull’ateismo in Cecoslovacchia

Sono rimasto molto impressionato dalla descrizione fattaci dalla televisione e dai giornali sulla situazione religiosa del popolo Cecoslovacco. I mass-media, sottolineando la difficoltà del viaggio pontificio di Benedetto XVI, hanno ribadito più volte che il sessanta per cento della popolazione di quella repubblica, rimasta fino a pochi decenni là sotto il giogo sovietico e peggio ancora avendo subito l’indottrinamento ateo del relativo governo comunista, si dichiara atea.

Io non conosco le statistiche in merito degli altri popoli slavi che hanno fatto le stesse esperienze, politiche, sociali e culturali, ma finora mai mi era giunta una notizia così forte e desolante. Anzi, avevo creduto, che una volta tolta la cappa di piombo di quel regime, fosse come d’incanto fiorita la primavera della fede.

I segni di croce di Putin e le sue frequentazioni liturgiche mi avevano indotto ad essere più ottimista sulla resurrezione religiosa di quei popoli. Finchè ci sono dubbi e perplessità sulla resurrezione religiosa, sui riti delle varie chiese, sulle usanze e sulle manifestazioni religiose, ciò non mi sorprende e mi preoccupa più di tanto, ma quando si nega l’esistenza di Dio o la validità del messaggio evangelico, questo non solamente mi stupisce, ma mi è veramente impossibile vederne una minima ragione logica.

Rimuginavo questi pensieri tra me e me, passeggiando qualche pomeriggio fa lungo il vialetto di mattonelle che corre vicino al grande prato del don Vecchi. Il verde del prato finalmente intenso dopo l’aridità estiva, la fila di oleandri offrivano gli ultimi fiori multicolori, e sul bordo del viale sta sbocciando un lungo filare di crisantemi. All’inizio di dicembre dello scorso anno, quando con i primi geli la gente tolse questi monconi dalle tombe e li buttò nei cassonetti della spazzatura, io li raccolsi e piantai lungo suddetto viale. Ora tutte queste piante, dalle fogge e colori tanto diversi, stanno sbocciando. Tutti i crisantemi del parco del don Vecchi si sono ricordati del colore e della forma dello scorso anno, tutti hanno avvertito le frescure dell’autunno, tutti si sono accordati per sbocciare nonostante le giornate, l’aria e i giorni siano certamente diversi dall’anno scorso.

Solo l’uomo nel creato ha la possibilità di sgarrare, di non tenere i tempi, di sbagliare il passo!

Le piante e gli animali sono sempre se stessi, solitamente l’uomo spesso ha cessato di essere uomo rinunciando alla sua possibilità di ragionare!

Oggi il sessanta per cento non crede perché non pensa, perché non è più uomo!

Un applauso all’amministrazione pubblica per la nuova “cattedrale del cimitero”

Ho seguito con estremo interesse l’erezione della nuova “cattedrale del cimitero” in cui potrò pregare e celebrare i divini misteri, senza più preoccuparmi dei nuvoloni bassi e dell’aria pesante foriera di pioggia incombente, del vento che scompagina il messale e delle frescure autunnali che trattengono i fedeli nella cappella preferendola al piazzale dell’altare della Patria.

Mentre scrivo queste note, una gru ciclopica sta calando dal cielo, passando sopra gli alti cipressi, pareti intere con i fori di porte e balconi.

Ho l’impressione che la chiesa che il Comune sta donando ai fedeli del cimitero e alla città, non sia più quella apparsa anche sul “L’incontro”. L’ingegnere che cura la manutenzione dei cimiteri, mi ha informato che essa arriva dalla Romania e questo mi garantisce che dovrebbe quindi essere a prova di freddi rigidi di quel paese, e perciò capace di riparare anche dal caldo.

Sto seguendo con curiosità ed anche con una certa preoccupazione la nascita di questo nuovo spazio per Iddio.

Se era inaccettabile che d’inverno i fedeli partecipassero all’aperto all’Eucarestia domenicale, mi dispiacerebbe pure che ora, con uno spazio così consistente, la chiesa rimasse mezza vuota.

L’attenzione del Comune e l’esborso di denaro pubblico mi stanno preoccupando perché solamente l’adesione dei fedeli, potrà giustificare questo impegno della collettività.

Sono felice di poter finalmente dar atto all’attuale amministrazione pubblica che il riordino del piazzale, la piazzetta dei fiori, il grande parcheggio, il nuovo portale e l’ingresso principale ed infine la chiesa, seppur provvisoria, costituiscono un intervento significativo che finalmente bonifica e nobilita pure anche questo comparto della nostra città.

Io sono un cittadino che partecipa in maniera attiva alle vicende del mondo in cui vivo, non risparmio la sollecitazione e neppure la critica, quando la ritengo necessaria o opportuna, ma ritengo doveroso anche dar atto che questo intervento così consistente è un tassello veramente importante per la “nuova Mestre” e quindi mi è doveroso riconoscere pubblicamente che, nonostante tutte le difficoltà, l’amministrazione comunale s’è fatta carico di questo riordino e lo sta portando a termine.

Nota della Redazione: “Alla prova dei fatti le 200 sedie non bastano ormai più!”

“Grazie, grazie, Signore, alleluia!”

Qualche settimana fa siamo stati con i residenti del don Vecchi, e qualche altro anziano di Mestre, in pellegrinaggio al Santuario della Madonna dei Miracoli di Motta di Livenza.

Non potrei assicurare che le motivazioni, del centinaio e più di anziani che vi hanno aderito, siano state esclusivamente o prevalentemente di ordine religioso.

Un pomeriggio diverso, l’occasione di far quattro chiacchiere con gente amica, la merenda casereccia e soprattutto il costo contenuto: 10 euro tutto compreso, può darsi che abbiano decisamente concorso a far diventare “pellegrine” persone di abitudini abbastanza stanziali.

Io ho partecipato volentieri, il vedere delle persone contente fa sempre piacere, ma soprattutto il riandare a ricordi della mia infanzia, perché la Madonna dei Miracoli di Motta è per il mio paese natio il santuario più vicino e i miei compaesani di un tempo, ma anche gli attuali, da quanto mi risulta, ci sono sempre andati e ci vanno ancora volentieri quando hanno qualche grossa preoccupazione.

Uno dei momenti forte del pellegrinaggio, almeno ufficialmente, consiste nella messa e nella predica relativa.

Il tutto è stato fatto con molta attenzione e dignità, e dato che io ne ero il regista, ho tentato di aiutare i miei coetanei a ringraziare per tutti i “miracoli” che il buon Dio e la Madre di Gesù, ci hanno fatto e continuano a fare, piuttosto che andare a presentarci con la lista delle richieste.

Ho avuto la sensazione che i vecchi mi abbiano seguito, comunque le riflessioni hanno giovato particolarmente a me.

Mi pare che sia stato Leon Blois, Pelni o Bernanos, ad affermare che “Tutto e grazia!”

E’ vero, se ci pensassimo veramente dovremmo, da mattina a sera, ringraziare senza pausa il buon Dio per quanto, nonostante tutto, continua a donarci.

Una volta tanto mi unisco ai membri del Rinnovamento dello Spirito per dire con entusiasmo e convinzione: “Grazie, grazie, Signore, alleluia!”

Per far il bene servono fondi!

Qualche giorno fa due vecchi amici altoatesini, da molto tempo residenti a Mestre, mi portarono un depliant trovato durante una loro visita ad una chiesa tedesca, in una delle tante scorribande che sono soliti fare in Germania.

Sorridenti e sornioni porgendomi il foglio stampato in carta patinata con la riproduzione del soffitto di una grande chiesa gotica, mi chiesero: “E’ stato lei a suggerire al parroco tedesco l’espediente di vendere le stelle della sua chiesa per recuperare il denaro necessario per il restauro dell’edificio?”

Evidentemente ricordavano la mia impresa di vendere le stelle dorate della chiesa di Carpenedo per costruire il don Vecchi!”

I tedeschi con precisione teutonica avevano contato esattamente il numero delle stelle: 8758 presenti nei singoli segmenti separati dalle nervature del soffitto e avevano preparato il documento con cui si registrava il contratto d’acquisto consistente in 50 euro per stella.

Sono stato felice di aver aperto una via che altri stanno seguendo, spero che a qualcuno venga in mente di chiamarla con il mio nome.

Questa scoperta ha acuito la mia preoccupazione nel non riuscire più a scoprire che cosa posso ancora vendere per pagare il don Vecchi di Campalto.

Ho venduto le stelle della chiesa, le pietre del selciato, i mobili della canonica, le icone… Pur lambiccandomi il cervello da mane a sera, non so proprio cosa mettere all’incanto.

Qualcuno mi ha suggerito di mettere sul mercato dei bond da mille euro ciascuno, non esigibili prima di due anni, con la segreta speranza che gli investitori si dimentichino di chiedere il rimborso, essendosi nel frattempo abituati a farne senza, ne donino praticamente il controvalore alla Fondazione.

Per ora sto studiando con gli esperti l’operazione sperando che non risulti un flop come è toccato a Tremonti con le banche italiane!

Il volto e il cuore del Dio della nostra Chiesa può essere sorprendente!

Credo che mai ho apprezzato il Vangelo quanto lo sto amando ed apprezzando oggi.

Quasi ogni domenica sarei tentato di aprire il mio sermone dicendo alla mia comunità, che in maniera tanto partecipe si riunisce attorno all’altare: “Oggi il Signore ha delle splendide cose da dirci, apriamo il cuore per riceverle come un dono importante”.

Spesso ripeto questa premessa e se talvolta la ometto non è perché non sia convinto dell’importanza del messaggio, che veramente rappresenta la più bella notizia, ma solamente perché non voglio essere ripetitivo e tedioso.

Questa mattina mi è parso che Gesù abbia voluto mettere a fuoco come Egli concepisce la religione, non come un qualcosa di chiuso, prerogativa e monopolio di qualcuno, ma una realtà avulsa da vita e chiusa in un fortino per custodire gelosamente i suoi tesori, paurosa di un mondo ostile e meschino che l’assedia, tutta intenta a celebrare i suoi riti misteriosi che poco hanno a che fare con la vita, ma come un faro che indica il porto a tutti, a coloro che la stimano e che hanno fiducia, ma altrettanto disponibile verso chi la pensa diversamente e talvolta perfino l’osteggia.

Ho tentato con tutte le mie forze di dire che Gesù pensa alla chiesa non come una setta chiusa, diffidente, arroccata in se stessa, che vede nemici dappertutto, che diffida del domani, della vita e del prossimo, ma invece come una comunità aperta solidale con tutti, felice di riconoscere tutto il bene che germoglia nel cuore dell’umanità, attenta a tutto ciò che c’è di positivo, fiduciosa con tutti ed invece estremamente preoccupata che il male non si annidi dentro di se, e decisa a liberarsene perché non diventi scandalo per “i piccoli”.

Mi è parso che i testi della Scrittura non solo avvalorassero questa visione, ma invece me la imponessero.

Però dopo “l’andate in pace” mi tormentava la coscienza temendo di non aver espresso bene questa bellissima ed affascinante verità. Se non che mi si accostò una cara signora, che conosco da tanti anni, tormentata che il figlio avesse abbracciato la religione indù, mi disse: “Allora posso sperare, don Armando, che c’è salvezza anche per mio figlio, che ama, rispetta il prossimo, vive mite e sereno?”

Risposi: “Certamente si, il Padre non vuole “cattolici”, ma invece desidera uomini buoni, pacifici, onesti e soprattutto fratelli, questo è il volto e il cuore del Dio della nostra Chiesa”.

Un “Matusa”

Le mie gaffes sono proverbiali, un po’ sono dovute al fatto che non sono fisionomista, e un po’ perché sono perennemente distratto e continuo a pensare ai fatti miei anche quando, le mutate situazioni, mi dovrebbero costringere a voltar pagina.

Due tre mesi fa mi si è chiesto di celebrare il commiato di un membro di una nota famiglia di Mestre, che pur provenendo dall’Istria, s’è totalmente integrata nel tessuto della nostra città motivo per cui moltissimi mestrini la conoscono. Io ebbi tra i miei alunni delle magistrali, una ragazzina di questa famiglia.

Ai tempi della scuola quarant’anni fa, quella ragazza si faceva notare perché bella, disinvolta, brillante nel modo di fare e di atteggiarsi, il fatto poi che nella sua parlata ci fosse l’accento ed il calore della terra oltre l’Adriatico, erano elementi per cui mi è sempre stato facile ricordarla.

La mamma poi di questa ragazza mi aveva raccontato dello stile di vita d’inizio secolo, di quella gente, questo coniugato alle tristi vicende dell’esodo e della bellezza di quella terra e di quel mare, mi hanno favorito nel mettere in una cornice particolarmente bella a quella creatura.

L’altra mattina due signore, che avevano superato di certo la mezza età, mi salutarono con particolare calore e vedendo che faticavo a riconoscerle mi ricordarono del funerale.

Finalmente ci arrivai ad inquadrare queste due care creature come appartenenti a questa famiglia trasferitasi a Mestre dalle terre della Dalmazia.

A questo punto accadde la gaffe; mi venne da chiedere notizie della mia alunna, che supponevo fosse una figlia, se non una nipote di queste due signore. “Sono io” mi disse la più piccola di statura. La guardai sorpreso e tentai goffamente di riparare lo svarione. Ci salutammo con affetto, lei certamente accusò il colpo, pur facendo finta di non averlo ricevuto ed imputando a malessere le detestabili ed amare tracce che il tempo aveva lasciato sul suo volto.

Quando rimasi solo, da un lato mi dispiacque di averla involontariamente ferita, riproponendomi di essere in futuro più cauto e dall’altro lato ricordai della vecchia e saggia sentenza della chiesa, “Sic transit gloria mundi”. È tanto effimera ed inconsistente la bellezza. Poi mi autoflagellai dicendomi: “Cosa penserebbero di me tutte quelle ragazze che ho incontrato quarant’anni fa sui banchi delle magistrali?”

Se fossimo nel ’68 di certo mi definirebbero col termine “Matusa”.
Debbo ricordarmelo!

Capire le avversità della vita

Io purtroppo non sono un mistico, pur avendo una sconfinata ammirazione per chi sa immergersi nel profondo ed ineffabile mistero di Dio e sa accostarsi alla vita avendo la capacità di inquadrare ogni incontro ed ogni esperienza alla luce di questa immensa ed assoluta realtà.
Non riesco a camminare su questa lunghezza d’onda.

Spesso navigo a vista cercando la direzione per orientarmi dalle piccole banali esperienze quotidiane. Non per questo talvolta non intravedo, magari nel baluginare di qualche percezione, il mondo bello e luminoso che sta oltre la nebbia impalpabile che incontro sulla mia strada.

Questa mattina, durante la fatica della meditazione, ho percepito una grande verità da cui è sgorgata una norma morale di grande portata.

Il cristiano che aveva steso il testo della meditazione, ringraziava di tutto cuore il Signore per tutte le cose bella della vita e per tutto quello che gli aveva elargito, ma continuava ribadendo che la riconoscenza a Dio non è dovuta solamente per la constatazione di quanto sia grande la sua generosità verso noi uomini, ma doveva manifestarsi anche per le avversità e per quanto noi, in maniera miope, consideriamo dolori, disgrazie e disavventure per le quali di primo acchito ci siamo dispiaciuti.

Dapprima ciò mi parve assolutamente assurdo, ma poi facendo una rapida verifica sulle disavventure e sulle presunte croci della vita passata e presente ho dovuto constatare che in verità da esse ho compreso il volto più vero della vita. Partendo da quelle esperienze amare, sempre, ho scoperto quello che veramente conta, a differenza di ciò che è effimero ed illusorio!

La razionalità, che è sempre un po’ in ritardo sul cuore e sulle intuizioni, mi ha poi confermato che Dio non può che amare le sue creature, e anche e soprattutto quando pare le castighi, è proprio il momento che le ama di più e perciò interviene perché non si facciano troppo del male. Ora mi pare di aver capito, però devo assimilare e tradurre a livello esistenziale questa verità.

Questo mio umile e disordinato diario…

Sono sempre stato ammalato di stakanovismo, col tempo non sono guarito, anzi invecchiando penso di essere un po’ peggiorato.

Uno degli effetti di questa sindrome è quella che ho sempre paura di perdere tempo, un altro quello di non impiegarlo nel modo migliore, quello di non dedicare tempo sufficiente a quello che credo essere il mio dovere di prete.

Più di una volta, ripensando alla ripartizione della mia giornata, ho confessato che essa comincia alle 5,30 per finire alle 21, perché, per quanti propositi abbia fatto, nel dopo cena non riesco a far nulla perché mi assale una sonnolenza invincibile!

Al mattino però, pur mantenendo la sveglia ufficialmente alle 5,30, essa suona per mia volontà dai 10 ai 15 minuti prima, motivo per cui, mentre mi alzo, ho modo di ascoltare una bellissima rubrica condotta da anni da Vittorio Schiraldi, messa in onda da Rai Uno e che ha per titolo “Un altro giorno”

Si tratta di una trasmissione di una dozzina di minuti in cui questo autore affronta temi di attualità, approfondendoli ed inquadrandoli a livello psicologico ed esistenziale; è veramente una bella rubrica, interessante, intelligente ed anche piacevole.

L’unico neo, non dell’autore, ma dell’ascoltatore è che quella rubrica, che potrebbe essere anche denominato “Il diario di un uomo del nostro tempo” è corretta, documentata, profondamente, mentre “Il diario di un prete in pensione” è spesso disordinato, poco scorrevole, talvolta ripetitivo ed anche talora sgrammaticato. Provo quindi invidia e peggio ancora scoramento constatando nel confronto la mia pochezza, della quale sono da sempre ben consapevole.

Da ciò nasce la tentazione di smettere o di ridurre il tutto a qualche flash sul mondo che mi circonda.

Eppure sono convinto di avere qualcosa da dire, soprattutto di avere il coraggio di dirlo, mentre constato che attorno a me, un sacco di gente, che forse più o meno lucidamente, sente il bisogno di offrire la propria critica ed il proprio contributo non osa farlo o ha paura di pagarne lo scotto.

Quindi nonostante che di fronte a “Un altro giorno” di Vittorio Schiraldi, sia decisamente perdente, continuo a farlo, dato il plauso e gli incoraggiamenti che mi giungono quasi ogni giorno.

Il messaggio che vuole trasmettere L’Incontro

Oggi ho incontrato in ospedale un collega delle magistrali, che non incontravo almeno da quarant’anni.

Inizialmente, pur ricordando i dati sommatici di questo anziano signore, che rivedevo dopo tanto tempo nella cornice dello splendido ed ormai rigoglioso giardino pensile dell’ospedale dell’Angelo, feci fatica a ricordare dove e come l’avevo conosciuto. Poi lui accennò “Al Tommaseo di via Cappuccina” allora mi sovvenne il quadro di un’esperienza orami tanto lontana.

Fui tanto felice del suo entusiasmo, del calore umano con cui mi trattava e poi pian piano compresi che, mentre io ero rimasto fermo a qualche decennio prima, egli invece aveva continuato a sentirmi parlare mediante la lettura de “L’incontro” che non so dove trovi.

L’entusiasmo lo portò a confidarmi che a quel tempo delle magistrali, egli era mezzo comunista, mentre ora aveva capito che era invece mezzo scemo! Evidentemente aveva compreso dalle pagine del mio diario che considerava l’esperienza storica del comunismo ormai definitivamente conclusa.

La mia speranza è che “L’incontro” non passi solamente un indirizzo di carattere politico, che considero abbastanza marginali alla vita, ma provochi invece un’attenzione al mio struggente bisogno di pensare ad una profonda purificazione del nostro modo di essere cristiani oggi, ed un rilancio della proposta evangelica che sola oggi può dare risposte vere alle tante attese dell’uomo.

Comunque me ne tornai a casa contento sperando di poter continuare a seminare a larghe mani per qualche anno almeno e consolato che i gravi e insopportabili costi del periodico trovino giustificazione più che ragionevole.