Il peso di un sogno a quest’età

Sto tentando di fare nei miei riguardi un’operazione veramente difficile, ma che molto probabilmente altri han fatto e con successo.

Alla mia età, quando si tratta di impegnarmi per un obiettivo relativamente vicino, lo faccio e anche molto volentieri. Quando però l’operazione prevede che ci sia bisogno di anni, per poterlo concludere, allora sono tentato di negarmi, pensando che saranno altri a dover pensare, perché tanto io non avrò tempo né capacità per risolvere un problema che richiede tempo, fatica, costanza, coraggio ed un’infinita determinazione.

Si, nel passato ho sentito delle belle sentenze al proposito, mi sono piaciute e le ho anche condivise, ma ora mi dico “ammesso che io possa durare ancora dieci anni – e sarebbe un miracolo davvero straordinario – ma, a novant’anni, in che condizioni sarò ridotto?” Anche adesso fatico e mi angoscio quando mi imbatto in problemi di una qualche difficoltà o in progetti abbastanza impegnativi che devono percorrere degli iter piuttosto difficili.

In quest’ultimo tempo ogni tanto s’affacciano ipotesi sempre nuove e soluzioni diverse per “la cittadella della solidarietà”, ma ognuna delle quali comporta ostacoli e difficoltà non indifferenti da superare. Mi fa sognare che a Mestre possa nascere un piccolo mondo in cui si possa trovare una soluzione per qualsiasi tipo di povertà, ma pure mi sgomenta il pensiero di dover combattere infinite battaglie, superare ostacoli e risolvere situazioni complicate. Per ora ho tentato di dare una cornice sempre più precisa ed adeguata al sogno, giungerà però presto il tempo di dover cominciare i primi passi. Questo, purtroppo, mi preoccupa molto!

Certe notizie mi sconvolgono!

Non so se capita a tutti, ma io talvolta sono tentato di tagliare tutti i collegamenti col mondo perché talmente sconvolto, avvilito da certe notizie, che mi convincono sempre più che l’arroganza, l’ipocrisia sono veramente invincibili. Forse è meglio non sapere, per non perdere quel po’ di pace e di fiducia che ancora ho per il mio mondo!

In questi giorni sono quattro le notizie che mi hanno fatto del male turbandomi profondamente.

La prima: Rosy Bindi, la presidente del più grande partito di opposizione, in rapporto al provvedimento anti-crisi ha affermato che esso è profondamente iniquo perché fa pagare la crisi ai poveri e non alle classi agiate. Il mio disagio nasce dal fatto che un tempo una donna che da una vita fa politica nel nostro territorio m’ha presentato la Bindi come una religiosa appartenente ad una congregazione laicale (in suddette congregazioni laicali, pur gli aderenti rimanendo nel mondo, devono praticare i consigli evangelici: povertà castità e obbedienza). Ora credo che la Bindi incassi in un mese tanto quanto incassano i 230 residenti al “don Vecchi” messi assieme! Questi però non battono ciglio nei riguardi della finanziaria, mentre la Bindi protesta perché le tolgono il 10% di mensile che un italiano normale non riuscirà mai ad avere.

Secondo: Palamara, presidente del sindacato o dell’associazione dei magistrati, ha affermato che la categoria farà sciopero per la “stangata”. Mi hanno detto che il primo stipendio di un magistrato è di cinquemila euro al mese, comunque è opinione corrente e non smentita che la magistratura è la categoria più pagata!

Terzo: Calderoli, matto o strambo finché si vuole nei riguardi di “Roma ladrona”, ha proposto la riduzione dei compensi dei calciatori e degli sportivi in genere, subito è stato subissato da un polverone di proteste, a difesa di questi bellimbusti che, peraltro, perdono sempre.

Da ultimo anche il nostro sindaco, forse ancora sprovveduto, si fa pescare a dormire in un albergo da 430 euro la notte. Come scusa, hanno scritto che tirerà fuori di tasca propria la differenza tra i 230 euro alla notte che il Comune gli permette di spendere e i 430 che ha speso!.

E’ bene che il sindaco sappia che il Comune di Venezia contribuisce con euro8 1,25 al giorno per i residenti al “don Vecchi” e che moltissimi di loro devono dormire, mangiare, vivere e pagare le tasse per un intero mese con una somma del genere!

Tanta, tanta, tanta burocrazia!

Credo che il mondo intero conosca la mia allergia, anzi il mio deciso rifiuto alla mentalità della burocrazia di qualsiasi ente statale, parastatale o comunale. Purtroppo il mio disappunto è costantemente alimentato da motivi sempre nuovi. Chi ha deciso di “vivere” e di darsi da fare per il prossimo, fatalmente s’imbatte molto spesso in questo muro di gomma che si alimenta di circolari, regolamenti, ordinanze e disposizioni di legge.

Potrei riempire l’intera raccolta annuale de L’incontro per raccontare le peripezie incontrare col Gas, con l’Enel, con lo sportello unico dell’Assessorato dell’Edilizia in questi ultimi tre o quattro anni. Bollette in più, addebiti non giustificati, ritardi biblici, inghippi di ogni genere, E questo non per ottenere o gestire una villa sul Brenta o uno yacht alla Tornatore, ma per offrire un “buco” per gli anziani senza casa, per riparare le loro biciclette dalle intemperie, per permettere loro di sopravvivere nonostante la pensione di 516 euro al mese.

Detto questo, e convinto che i confessori dovrebbero dare a questi soggetti almeno dieci o quindicimila padrenostri, come don Camillo soleva fare con i “rossi”, talvolta mi viene da pensare che non è tutta cattiveria la loro, ma che spesso sono le norme confuse e contradditorie che politici ed amministratori poco intelligenti e spesso interessati, sono lì a costringere a simili comportamenti, sotto la minaccia della perdita del posto di lavoro.

Spesso sono anche i cittadini che non vogliono quasi mai prendere in considerazione il bene comune e tengono conto solamente dei loro interessi.

Ricordo a questo proposito un fatto particolare. Un tempo si pensava che i seminari non bastassero a soddisfare la richiesta di ragazzi di entrarvi. Il Patriarca Agostini pensò di aprire il seminario minore, quello per le medie, a villa Fietta, una bella villa veneta che la diocesi possedeva a Paderno del Grappa. Monsignor Vecchi fu incaricato di costruire una struttura per ospitarlo. Non so con quali sotterfugi riuscì ad ottenere dal sovrintendente ai beni culturali di costruire un obbrobrio di fabbricato innestato sulle linee eleganti della bella villa del `700 dei conti Fietta. Quando avevamo l’occasione di passare da quelle parti, monsignore mi faceva osservare con fine ironia: «non so proprio quale balordo sovrintendente m’abbia permesso di fare un simile sgorbio!»

Non sarebbe male se la burocrazia impedisse tali scempi, mentre s’impunta per farmi costruire a Campalto una facciata in vetro del costo di cento milioni!

La nostra Chiesa mestrina dovrebbe fare di più per la povertà

E’ molto difficile fare la carità. C’è chi, praticamente, anche se non lo dice, decide che gli altri, per quanto in difficoltà, s’arrangino; c’è chi invece, come me, non sa che pesci pigliare. La richiesta di aiuto sempre mi mette in crisi, anche se onestamente so dove mettere il superfluo alla mia vita, che è quanto mai sobria.

Monsignor Vecchi era assolutamente contrario alla carità spicciola, perché diceva che quando si crea una struttura di servizio per i poveri, questa continua ad essere loro di aiuto per decenni, se non per secoli, mentre quando uno fa la carità spicciola, questa, normalmente, risolve ben poco e l’indomani il povero si trova nello stesso disagio.

Ho appena firmato il contratto con l’azienda che per settembre del prossimo anno si è impegnata a consegnarmi altri sessanta appartamentini per anziani poveri e perciò tento di risparmiare fino all’ultimo centesimo per onorare l’impegno contratto. Ebbene, qualche settimana fa è venuto, come al solito, un serbo-croato magro, allampanato e malconcio, che io ho sempre assimilato ai mussulmani fatti fuori dai serbi a Sebrenica, per ricevere la solita paghetta settimanale di dieci euro. Sennonché, ancora una volta, mi ha chiesto l’aumento – cosa che è sempre solito fare, pur avendogli detto che se tutti i preti di Mestre gli dessero dieci euro alla settimana, riuscirebbe a campare decentemente. Questa volta però mi disse che non poteva più continuare così e che perciò aveva deciso di tornare in Serbia, o comunque nel suo paese nei Balcani e quindi non l’avrei più visto.

Gli diedi i sessanta euro che gli servivano, pur temendo che prima o poi sarebbe ricomparso. Infatti la settimana scorsa me lo son visto alla porta della nuova chiesa. Non ebbi proprio tempo di sentirmi raccontare la storia del ritorno, perciò gli dimezzai la diaria dandogli frettolosamente cinque euro.

Ora vivo tra gli scrupoli perché certamente non avrò grossi contraccolpi nel mutuo che ho richiesto per questa uscita non preventivata, ma ancora una volta sto tormentandomi pensando che la nostra Chiesa mestrina dovrebbe trovare delle soluzioni dignitose per questa povertà. Per ora penso che dovrò tornare alla “paghetta” dei dieci euro settimanali, finché almeno non apriremo la “cittadella della solidarietà”!

Il primo nemico della nostra società è sicuramente la burocrazia!

Non ho mai avuto l’occasione e la voglia di stilare una classifica, con una relativa graduatoria, di quelli che considero i nemici più insidiosi per la nostra società e per il bene del nostro Paese.

Neanche tento di scrivere la litania di nomi di persone, autorità ed istituzioni, perché non vorrei cadere sotto il fuoco incrociato di tanta gente ottusa e spregiudicata. Comunque vi confesso che la burocrazia comunale, provinciale, regionale e statale si colloca in uno dei primi posti e si contende la “maglia rosa” della stupidità, della grettezza morale e del disinteresse verso i cittadini.

Siamo giunti a livelli ormai impossibili ed insostenibili. Un geometra mi raccontava qualche giorno fa, le sue tristi vicissitudini di operatore edile nei riguardi delle aziende dell’Enel, del Gas o della Telecom.

Telefoni per una pratica: dopo tentativi ripetuti all’infinito, ti risponde al telefono, finalmente libero, un impiegato di Lampedusa o di Canicattì, il quale dice di passarti l’esperto per il Veneto. Nel frattempo cade la linea e così ricomincia la “fiaba del sior Intento!” Nuovo tentativo di telefonare, finalmente la risposta di un altro impiegato, nuova illustrazione della pratica, nuovo tentativo di passaggio … e così via.

A livello comunale finora la soluzione non giunge più rapida, ma l’indifferenza, l’arroganza, la pretestuosità non sono di certo inferiori.

Io sono solito adoperare in questi casi queste armi di ordine psicologico e pratico. Primo: a livello psicologico il cittadino deve essere cosciente di essere lui “il padrone” dell’impiegato, che è pagato con i soldi del contribuente, quindi niente cappello in mano, niente complessi, ordini piuttosto che suppliche! Secondo: mi passi il suo capoufficio o il suo dirigente!» Non sempre funziona, ma questa richiesta è una specie di “passpartout” che t’aiuta ad aprire la serratura. Terzo: il ricorso all’opinione pubblica, il quotidiano, il settimanale, la televisione locale: sui politici funziona sempre, sugli amministrativi un po’ meno, però è efficace.

Un giorno dissi a Cacciari, all’inizio di uno dei suoi tre mandati a sindaco: «Se lei riuscirà in questi prossimi quattro anni a rendere efficiente la burocrazia comunale, sarà già un grande successo: Il sindaco filosofo ci ha provato tre volte, ma ha sonoramente fallito nonostante fosse un filosofo, ossia un amante della sapienza!

La burocrazia comunale contro le biciclette dei residenti al don Vecchi

Il riparo per le biciclette dei 230 residenti al Centro don Vecchi ha una storia complicata, aggrovigliata e soprattutto tribolata. La riassumo in poche parole. Gli anziani residenti più che le automobili usano le biciclette. Attualmente penso che ne abbiano cento-centoventi, e gli anziani sono quanto mai gelosi di questi veicoli, forse ricordandosi che nella loro giovinezza possedere una bicicletta era segno di agiatezza.

Abbiamo commissionato ad un architetto noto in città la progettazione di questa “custodia” e abbiamo pagato per il progetto e fatto costruire da un’impresa quanto mai seria. Non so cosa sia successo, di chi sia la colpa, sennonché un “cristiano” del quartiere per ben tre volte ha sporto denuncia ritenendo l’opera abusiva.

Sono arrivati i vigili, hanno riscontrato delle irregolarità. Noi siamo ricorsi al progettista che ci ha rassicurato della validità dell’opera. Però ci è arrivata una contravvenzione di ben cinquemila euro, ben dieci milioni di vecchie lire.

Una volta pagata la multa pensavo di essere finalmente a posto anche se a caro prezzo. “Illusione, dolce chimera sei tu!” Nuovo ricorso al professionista, nuove assicurazioni, tanto che ad un certo momento m’è stato perfino detto che quello che prima era negato ora è imposto dal Comune: la custodia per le bici.

Non sto a ripetere il numero di telefonate, di proposte e controproposte. L’ultima soluzione prevedeva d’attaccare la “baracca” delle biciclette alla facciata principale con un tunnel per girare attorno al fabbricato. «Ferma tutto!» ordinai, «il Comune venga pure a demolire. Troveranno 230 anziani con un prete ottantunenne a guidare la rivolta sulle barricate».

Per ora ho allertato la stampa e la televisione perché informino l’opinione pubblica nazionale della stupidità della burocrazia veneziana: Mi sono detto: «Mi metteranno dentro!» Quella della galera è un’esperienza che finora non ho mai fatto, né desidero in verità farla! Se però è necessario, mi mettano pure dentro, perché ho tentato di tenere al riparo dalla ruggine le “fuori serie” dei nostri vecchi!

Ci sono tante difficoltà ma sono ben determinato a superarle!

Confesso che sto incontrando più di una difficoltà nel portare avanti i progetti che attualmente mi stanno a cuore.

Per il “don Vecchi” di Campalto ormai ho firmato il contratto con l’Eurocostruzioni. 2.870.000 euro, somma a cui si deve pure aggiungere l’IVA; non ci si meravigli che lo Stato tassi anche chi lavora per esso, anzi si sostituisce ad esso. Le tasse sono sacrosante e si devono pagare, anche se poi ci si accorge che chi le evade può concedersi il lusso di regalare appartamenti del costo di milioni e milioni di euro a parlamentari e ministri!

Per quanto riguarda la “struttura pilota” per prolungare l’autosufficienza, con qualche soluzione architettonica migliorativa o qualche persona di servizio in aggiunta, siamo appena all’inizio dell’impresa e prevedo ostacoli, imboscate burocratiche ed inghippi di ogni genere, ma questa è la regola in vigore, guai a fermarsi al primo ostacolo!

Un architetto, a cui manifestavo la mia sorpresa e la mia indignazione per chi non solo non favorisce, ma pare che remi contro, anche quando si tratta di opere benefiche, mi disse con salomonica saggezza: «Don Armando, non c’è da meravigliarsi quando si incontrano ostacoli, il vero motivo di meraviglia è quando non si incontrano gli ostacoli!”

Per quanto riguarda “la cittadella della solidarietà”, opera che è ancora nella fase del sogno e della utopia, finora ci sono giunte più prese di posizione negative di quelle positive. Questo però non mi spaventa. In questi giorni, sentendo che il nostro assessore alla viabilità ha proposto un nuovo progetto per il tracciato del tram, mi sono ricordato di un episodio di cui mi ero dimenticato. Non riuscendo ad ottenere la concessione edilizia dal sindaco che vent’anni fa era appunto l’avvocato Ugo Bergamo (i nostri amministratori sono eterni) per il “don Vecchi uno” avevo minacciato su “Lettera aperta”, il periodico della parrocchia, che se entro una data fissata il Comune non mi avesse dato suddetta licenza, alle 12 di ogni giorno avrei fatto suonare le campane a morto.

Qualcuno, evidentemente, si incaricò di mandare alla vecchia madre del sindaco il periodico con la notizia funebre, al che mi riferirono che questa cara donna si sarebbe rivolta all’illustre figlio supplicandolo: «Ughetto mio, non permetterai mica che quel parroco suoni le campane a morto!»

Mi arrivò la concessione edilizia! Ora mi è motivo di molto conforto il sapere che io sono ancora io, quello di vent’anni fa!

Il dono di Maria Santi

Un mese fa ho concelebrato con don Gianni, il parroco della comunità di san Lorenzo Giustiniani, il commiato cristiano per Maria Santi.

La signora Maria è stata veramente un dono del Cielo, per come l’ho incontrata, per quello che ha fatto per me e per i famigliari degli ammalati del nostro ospedale, e per il modo con cui ha concluso la sua vita quaggiù. Don Gianni mi ha chiesto se volevo dire una parola durante la celebrazione. Ho detto di no perché ero certo che avrei comunque rimpicciolito la sua bella figura e la sua storia.

L’ho incontrata in un momento di estrema difficoltà; non sapevo proprio come uscire dalla situazione quasi tragica in cui mi trovavo.

L’anziana Cleofe, giustamente, mi chiese di poter terminare il compito di fare la “padrona di casa” al “Foyer san Benedetto”, l’appartamento che offriva, e offre ancora, dieci posti letto ai famigliari che vengono da lontano per assistere in ospedale i loro congiunti ricoverati. Una vicina di casa venne a conoscenza del mio problema e mi disse: «Don Armando, ne parlerò con mia cugina che in questo momento forse potrebbe abbandonare la sua casa». Questa cugina era rimasta sola e con una pensione inconsistente. Venne un paio di giorni dopo, poco più che cinquantenne, vedova con due figlie sposate.

Si liberò di tutto, mi regalò perfino i quadri, pareva che volesse fare una scelta irreversibile a favore degli altri. In realtà si donò senza risparmio, sempre sorridente, mai preoccupata per le difficoltà, e così per una decina di anni della sua ancor giovane vita si donò a persone sempre nuove e mai conosciute, provenienti da ogni regione d’Italia.

Maria aveva sempre posto per tutti, e quando non l’aveva stendeva sul pavimento un materasso per lasciare il suo letto all’ultimo arrivato. Sembrava che non avesse mai un problema, che la vita e i rapporti con gli ospiti fossero sempre entusiasmanti, tanto che l’appartamento di 90 metri quadri pareva un albergo a cinque stelle. Era la sua calda umanità che faceva splendere il sole anche nelle giornate più grigie e nebbiose.

La malattia la colse in modo subdolo, ma ella la vinse col suo coraggio e la sua fede.

Ora che Maria se n’è andata, mi sento molto più povero da un lato, e molto più ricco da un altro, perché lassù in Cielo è certamente una delle stelle più luminose che io possa aver mai incontrato e sulla cui luce io posso contare.

Portare a Mestre “odor di Vangelo”

Dal 1956 vivo a Mestre e da quell’anno ho preso la parola infinite volte durante le eucaristie domenicali, e non solo una volta alla settimana ho parlato ad un numero veramente grande di matrimoni e di funerali, ho scritto per “Il Gazzettino”, per “Gente Veneta”, su “L’Anziano”, su “Lettera aperta”, su “Carpinetum”, su “L’Incontro”, su “Coraggio”; tantissime volte sono stato intervistato da varie televisioni, motivo per cui a Mestre sono veramente tanti i concittadini che mi conoscono e che mi salutano, soprattutto in occasione del diario settimanale.

Questa conoscenza poi non si limita ad una immagine, ma ha permesso ai mestrini di conoscere i miei pensieri, i miei progetti, le mie prese di posizione. Tutto questo mi fa tanto piacere, da un lato perché reputo veramente una fortuna ed una grazia vivere in un mondo di amici, e dall’altro lato perché ho imparato dagli scout che la persona in se stessa costituisce la migliore e la più efficace proposta ed il messaggio più convincente.

Mi auguro e spero quindi che il mio nome e la mia immagine costituisca una seppur sbiadita immagine, o un capitolo dell’Evangelo di Cristo, per i miei concittadini.

Mi sento insomma confortato e rassicurato, nonostante io sia una persona un po’ introversa, di poter compiere in qualche modo quell’opera di evangelizzazione che è lo scopo della mia vita.

San Paolo affermava con orgoglio: «Io non ho nulla da proporvi se non Gesù Cristo crocifisso». Io non ho certamente l’ambizione di esser capace di un annuncio così autorevole ed efficace qual’ è stato quello dell’apostolo delle genti. Sarei già contento se la mia persona e la mia parola portassero a Mestre “odore di Vangelo”.

Che gioia, in tanti sono interessati alla Cittadella della solidarietà!

Durante la settimana mi ha telefonato il dottor Paolo Fusco, giornalista di “Gente Veneta”, per domandarmi un incontro per mettere a fuoco qualcuno dei problemi che egli sa che mi stanno a cuore e che, per motivi professionali, ma spero anche di ordine morale, stanno a cuore anche a lui.

Era un po’ preoccupato di disturbarmi e di turbare la presunta quiete di questo prete ormai in pensione.

Gli dissi che un prete non si disturba mai, memore di un pensiero del principe del foro veneziano, l’avvocato Carnelutti. Questo uomo di cultura e di fine sensibilità cristiana affermò un giorno che non esiste lo scocciatore, ma si può invece incontrare l’uomo poco aperto e disponibile alle esigenze del prossimo. Io poi sono sempre disponibile alle richieste degli operatori dei mass-media, perché sono convinto che se non si matura una cosiddetta “cultura” attorno ad un problema, ben difficilmente si troverà chi sia disposto a dare una mano per risolverlo.

Precisato questo, tra tanti altri problemi, ho parlato al dottor Fusco della “cittadella della solidarietà”, una specie di Nomadelfia mestrina in cui si trovi “tutto per i poveri”.

Di certo la prossima settimana uscirà un servizio su “Gente Veneta” (questo, NdR), il settimanale diocesano, su questo argomento. La meta della realizzazione è certamente lontana, ma già da ora la stampa è favorevole, sono favorevoli il Patriarcato e le autorità comunali. Pare che pure la Società dei 300 Campi, proprietaria del terreno, sia disponibile ad una trattativa. Un’altra impresa ci mette a disposizione cinquantamila metri quadri per un eventuale scambio di terreno ed un’altra società ancora, che tratta di voltaico, è disposta a regalarci il “tetto” della cittadella, in cambio della possibilità di collocarvi i pannelli.

Tutto questo non è proprio poco, alla distanza di poco più di un mese dal lancio dell’idea!

Voglio spendere tutte le mie energie per dare una vita migliore agli anziani non del tutto autosufficienti

Sto vivendo giorni molto impegnativi, di una ricerca faticosa, perché sto mettendo a punto un progetto affinché i residenti al “don Vecchi” possano vivere fino alla fine dei loro giorni e non siano sepolti anzitempo in una casa di riposo per anziani non più autosufficienti.

La messa a punto del progetto, su cui poi dovrò confrontarmi col Comune, perché lo finanzi, mi sta letteralmente logorando; aprire nuove piste, “scoprire” modi nuovi di impostare la vita, è faticoso quanto lo fu la scoperta dell’America per Colombo. Ti trovi solo, pur avendo delle intuizioni, delle linee di ricerca, spesso sorgono dubbi, perplessità e paure dalle quali è ben difficile liberarti completamente.

In quest’impegno m’aiutano due immagini, belle e nello stesso tempo tragiche. Quella di una nonnetta che vive vicino a “casa mia” e che ha compiuto 94 anni; di lei ho riferito qualche tempo fa quando rimase male perché il giorno del suo compleanno, quando ero andato a farle gli auguri, aveva ancora i bigodini in testa e perciò non era ancora pronta. Qualche giorno fa disse alla figlia: «Portatemi in casa di riposo, perché qui non mi aiutano sufficientemente!» L’accontentarono. Dopo tre o quattro giorni, con la grinta che le è propria, disse: «Riportatemi a casa, questa è una tomba, un cimitero, non una casa per vivere!»

L’altra immagine è quella di un mio amico che incontrai nel suo emporio di Favaro, ed essendosi accorto della mia malcelata sorpresa perché aveva due occhi grandi, infossati e lucidi per un tumore all’ultimo stadio, mi disse: «Don Armando, voglio che la morte mi incontri vivo, in piedi!»

Quando penso che sto lavorando per uomini e donne, fratelli e sorelle che si trovano in queste condizioni, non posso badare alla fatica, alla stanchezza; per creature in queste situazioni vale la pena di spendere anche l’ultima goccia di forza.

Forse la mia idea non era del tutto sbagliata!

Nota: la redazione, che immette settimanalmente i pensieri di don Armando in questo spazio dando loro la forma di un blog, è felice di aver contribuito indirettamente a questo post!

Oggi mi ha raggiunto prima della messa un giovanotto che fa l’agente di commercio per una azienda che è disposta a finanziare “Piccoli cimiteri” di loculi cinerari da costruirsi in eventuali dependances di chiese o di luoghi sacri. Questo giovanotto, che aveva una busta con i relativi depliants e costi del progetto aveva scoperto sul mio blog che la loro iniziativa corrispondeva alla lettera al progetto che io avevo proposto alla “Veritas” e al comune per finanziare la chiesa del cimitero.

Sono stato contento dell’incontro per vari motivi: a) ho scoperto di avere un blog. A più di ottantanni possedere un “blog”, che non so neppure in che cosa consista, mi fa sentire moderno quasi fossi appena uscito dalla facoltà di informatica, b) la conferma che il mio progetto non era poi tanto peregrino quanto mi vollero far credere se pare che ci sia gente disposta a finanziare progetti del genere, mettendo a disposizione capitali che poi pensa di recuperare in vent’anni esigendo solamente la metà di quanto viene richiesto a chi acquista il loculo!

Le cose sono andate diversamente, ed io ne sono particolarmente felice perché la soluzione provvisoria è risultata quanto mai economica e positiva per i fedeli e per me. Da qualche tempo sto proponendo un altro progetto al comune per prolungare l’autosufficienza dell’anziano, per offrirgli una vita il più possibile normale ed umanamente rispettosa della sua persona e per abbattere i costi iperbolici che il comune deve addossarsi. So di certo che non la spunterò!

L’amministrazione civica è un pachiderma, spesso sordo alle proposte di chi opera per il prossimo, solamente spinto da ideali, è spendacciona per natura e purtroppo forse anche per scelta! Io faccio un’immensa fatica pensare ai 4600 “lavoratori” del comune che talvolta a taluno sembrano pagati per complicare la vita e creare impedimenti a chi vuol lavorare, ma capisco che mi debbo rassegnare.

Quelli che non vogliono i poveri nelle loro strade!

Molti anni fa, quando ancora facevo l’assistente della San Vincenzo cittadina, parecchie volte ricevetti le rimostranze dei residenti di via Querini perché ritenevano uno sconcio che in una strada del centro e signorile quale essa era ci fosse un continuo andirivieni di poveraglia! È purtroppo ben vero che spesso i poveri della mensa e del magazzino vestiti erano rissosi e disordinati, tanto che non era infrequente che fossimo costretti a chiamare la polizia, i vigili urbani o i carabinieri per ridurli a più miti consigli, ma purtroppo i poveri spesso sono così.

Qualche mese fa la stampa ha pure parlato di qualche disordine che i clienti della mensa dei frati creavano nei dintorni del convento dei Cappuccini che, fedeli all’esempio del poverello d’Assisi, s’impegnano per i poveri! D’altronde è la società che produce questi “rifiuti umani” e alla stessa società spetta quindi il compito di “smaltirli” nel modo migliore possibile!

Ricordo che suddetti residenti arrivarono a incaricare un avvocato perché imponesse alla San Vincenzo di spostare la mensa in periferia, perché essi non disturbassero una via signorile del centro.
La cosa svanì come una bolla di sapone e noi vincenziani continuammo a riparare i danni della società opulenta e dei consumi.

Dopo tanti anni la cosa si sta ripetendo purtroppo nel nostro quartiere, per la seconda volta un cittadino protesta solamente per il sogno che io voglia dar vita alla “cittadella della solidarietà”.

Suddetto cittadino ha denunciato questa “infamia” ai responsabili civili e religiosi della città e della Regione, non contento oggi ha aggiunto una postilla che suona un autentico sacrilegio affermando: “L’intera parrocchia si opporrà con ogni mezzo”.
Come mai? Non sono i poveri la ricchezza della chiesa?

La bella sorpresa che riserva sempre il Don Vecchi a chi lo visita

Qualche giorno fa, con un gesto di squisita gentilezza, un mio “compagno di sventura” m’ha fatto visita al don Vecchi assieme alla moglie, il cognato e due altre cognate.

La sorte ci ha assegnato la stessa camera e per una decina di giorni siamo convissuti nello stesso luogo, lui per la prostata ed io per il rene. Il “nemico” oggi non dà tregua e continua a “sparare sul mucchio”, a chi tocca tocca!

Durante le ore infinite, perché in ospedale le ore non durano solamente sessanta minuti, ma eternità, abbiamo avuto modo di scambiarci qualche confidenza e di parlare del mondo da cui provenivano e del quale ci occupiamo. Usciti ambedue un po’ malconci, qualche telefonata ha mantenuto aperto il dialogo tanto da spingere questo “amico di sventura” a farmi una visita assieme ai suoi famigliari al don Vecchi.

L’incontro è iniziato con la partecipazione alla messa in cimitero, con la visita al Centro e all’indotto dei magazzini per gli indumenti e dei mobili e col pranzo assieme ai miei colleghi anziani.

Io sono ormai abituato alla vita negli ambienti del don Vecchi, sono orgoglioso della struttura che è certamente leader nel settore degli alloggi protetti, do per scontata la galleria di quadri, i mobili in stile, ma mi ha particolarmente reso felice il senso di sorpresa e di ammirazione di chi viene pensando di trovare una casa di riposo maleodorante, sciatta e convenzionale, scoprendo invece un “albergo di qualità”. È stato così anche per i miei amici padovani, ma spero e voglio che sia così almeno fin che io avrò respiro per imporlo! I nostri vecchi meritano questo e altro!

“Ad arrabbiarsi non è bene ma forse è l’unico modo per venire a capo di ciò che sembra impossibile altrimenti!”

Ho incontrato questa mattina i due funzionari del comune più importanti per quanto concerne l’assistenza agli anziani.

L’incontro aveva tutte le premesse per essere burrascoso, però finimmo per capirci. Io ho compreso che l’amministrazione comunale non è duttile quanto io vorrei, in quanto deve attenersi a delle norme che altri hanno stabilito e molto poco è lasciato all’iniziativa del singolo funzionario. Loro hanno compreso che le mie impennate non sono determinate da capricci e meno ancora da interessi, ma dal desiderio di un servizio quanto mai puntuale nei riguardi degli anziani in difficoltà.

Convenimmo che solamente il dialogo costante e fiducioso e lo sforzo di tradurlo in scelte concrete può risolvere i problemi sempre nuovi in cui ci imbattiamo in una navigazione che avviene quasi sempre a vista.

Il motivo del contendere è sempre quello: quando l’anziano s’avvia sempre più verso la non autosufficienza tanto più la nostra struttura si rivela fragile ed inadeguata perché improntata sulla quasi totale autosufficienza.

Come fare a risolvere questo problema che spesso diventa un dramma umano?
Da un lato le case di riposo per non autosufficienti non dispongono di posti letto adeguati, infatti ben seicento anziani sono in fila per poter essere accolti, da un altro lato gli alloggi protetti quali il don Vecchi sono un’invenzione troppo recente perché le pachidermiche amministrazioni della Regione e del comune possano dotarli di soluzioni adeguate.

La conclusione è stata che il comune ci fornirà personale in aggiunta che la fondazione gestirà in maniera più autonoma perché questo intervento possa essere efficace. Ora si studieranno le modalità per aggirare gli ostacoli burocratici e raggiungere lo scopo.

Andreotti, da quella volpe che è sempre stato, diceva: “A pensar male è sbagliato ma spesso si indovina!” Io parafraserei che: “Ad arrabbiarsi non è bene, ma forse è l’unico modo per venire a capo di ciò che sembra impossibile altrimenti!”