Le chiacchiere dei ricchi (e i soldi dei poveri)

Oggi m’è arrivata la seconda risposta alla richiesta che ho fatto agli enti pubblici per avere un contributo per la costruzione di 64 alloggi per gli anziani poveri della nostra città.

La risposta è quella della Banca Antonveneta che, fra l’altro, noi del “don Vecchi” usiamo per depositare gli affitti dei 300 residenti e per le operazioni bancarie che la nostra Fondazione deve fare. L’Antonveneta ha risposto con un NO, espresso con parole cortesi, ma che rimangono nitidamente e praticamente ancora un NO. La domanda l’avevo pensata con estrema attenzione, misurando ogni parola ed ogni virgola, però, nonostante tutto il mio sforzo, essa ha ottenuto soltanto un bel NO rotondo e preciso!

Un mio recente amico, che ha una preparazione universitaria specifica in questo settore e che ha pure passato la vita a fare questo mestiere, mi ha detto che probabilmente ho impostato male la mia richiesta. A suffragio della sua tesi m’ha raccontato una storiella che aveva appreso a sua volta da una lezione di un suo docente universitario. Eccola!

Due frati si incontrarono per la preghiera. Il primo recitava il breviario fumando tranquillamente, mentre l’altro si rodeva l’animo e friggeva dal desiderio, non potendo fumare perché l’abate, alla sua richiesta, gli aveva risposto di no; perciò disse al confratello: «Come mai l’abate ti ha dato il permesso di fumare durante la preghiera e a me l’ha proibito?» L’altro, pronto, rispose: «Perché hai mal impostato la domanda; mentre tu hai chiesto il permesso di fumare durante la preghiera, io ho chiesto se posso pregare mentre fumo e l’abate perciò mi ha detto di si».

Dopo questa argomentazione quanto mai logica, ho deciso di chiedere al mio amico di interessarsi lui della richiesta di aiuti a livello economico presso gli enti pubblici, mentre io mi riservo il compito di chiedere, come meglio so, alla povera gente, di aiutarmi a pagare i 64 alloggi di Campalto per gli anziani poveri della città.

Penso di andare sul sicuro ricordandomi di un’altra storiella. Il parroco della grandissima chiesa di Montebelluna si dice che abbia apposto una lapide sul suo tempio con la scritta “Questa chiesa è stata costruita con i soldi dei poveri e con le chiacchiere dei ricchi”. Finora è così anche per il “don Vecchi” di Campalto!

Addio cara amica (in ricordo di Cristina)

Molti anni fa l’aereo che trasportava il “Torino”, la squadra di calcio che a quel tempo andava per la maggiore, andò a sfracellarsi contro il colle su cui sorge la basilica di Superga. In quell’incidente perì l’intera squadra, compresi i dirigenti e gli accompagnatori.

Ricordo che in quell’occasione il solito giornalista della televisione chiese ad un signore che guardava i relitti fumanti, che cosa provasse di fronte a quel dramma. Lo spettatore diede una risposta che ricorderò per sempre. Disse: «Quando succedono cose del genere si dice normalmente, magari provando dispiacere “è’ una disgrazia, una grande disgrazia”, però se in quell’incidente c’è dentro un amico carissimo, è tutt’altra cosa!»

Io sto provando in questi giorni la “tutt’altra cosa”. Vivo la maggior parte della giornata in cimitero, mi occupo principalmente di esequie, di funerali, di benedizioni alle salme e alle ceneri, partecipo sempre in maniera sentita al lutto, perché sono convinto da sempre di ciò che disse Raoul Follereau: «Considero fratelli e sorelle tutti gli uomini che vivono su questa terra». Però il lutto per la morte di Cristina, la dolce e cara creatura che per molti anni perse i suoi occhi per leggere questi geroglifici, mediante cui esprimo i miei pensieri e prendo posizione nei riguardi della vita, e rubò tempo, prima al suo lavoro e poi alla sua famiglia, per inserire il mio diario nel computer, è “tutt’altra cosa!”

Ero solito incontrarla col suo sorriso contenuto e discreto, con la sua figura sempre signorile e ben curata, partecipare all’Eucarestia che celebro ogni sabato nell’interrato del “don Vecchi”, mentre ricevevo il malloppo di pagine e pagine, come non le fosse pesato starsene ore ed ore al computer; mai una lagnanza, mai farmi pesare la sua volontaria fatica.

Ho trepidato per lei per la “bestia” oscura che conosco fin troppo bene, ho sperato con lei, i suoi cari e i suoi amici, ho partecipato e condiviso, m’ero illuso che ambedue ce l’avremmo fatta. Invece no! Il male ha avuto il sopravvento e purtroppo l’ho vista perdere battaglia su battaglia, sempre più frequentemente, e quando non avevo notizie dirette, le leggevo, senza avere il coraggio di parlare, negli occhi sempre più lucidi e nella voce sempre più roca del carissimo Giulio.

Cristina venne a salutarmi nella chiesa del cimitero ove, dopo poco tempo, avremmo preso commiato da lei consegnando la sua anima, finalmente tornata luminosa, libera e viva, prima di partire per le “sue vacanze in Alto Adige”. Volle riempirsi gli occhi del verde dei prati e dei boschi, i polmoni dell’aria tersa e della visione delle montagne possenti, prima di lasciare la nostra terra per il Cielo.

Cristina ha portato con sé anche un po’ del mio cuore in Paradiso, ma di certo s’è portato tutto quello di Giulio e dei figli. Addio, amica cara!

L’arte al don Vecchi, un altro frutto dell’insegnamento di mons. Vecchi

Io ho avuto una fortuna, che però sarei propenso di reputare perfino una disgrazia: ho avuto dei maestri intelligenti e preparati che mi hanno educato al bello. Monsignor Vecchi, al tempo del liceo, faceva l’assistente dell’UCAI (Unione cattolica artisti italiani) e a quel tempo Venezia brulicava di pittori ed artisti di gran valore.

Monsignore aveva un debole per l’arte e perciò ne parlava volentieri. Noi studentelli in erba avevamo capito “il debole” del nostro insegnante di filosofia e perciò tentavamo di rallentare il programma “inducendolo in tentazione”, facendogli domande su Cesetti, Carena, Guidi o Carrer… Il nostro peccato di tentatori forse avrà indebolito la nostra conoscenza di Spinosa, Kant, Cartesio, però, fortunatamente, abbiamo acquisito il gusto del bello. Credo che, tutto sommato, la storia della filosofia, con tutte le astruserie dei suoi protagonisti, sia meno interessante della storia dell’arte; la produzione artistica è più facilmente godibile delle trovate filosofiche “Penso, quindi esisto”, “Tutto scorre”, “L’uomo è una monade senza porte o finestre”, “L’uomo è un lupo per gli altri uomini”, e cose del genere!

Questa esperienza esistenziale mi ha portato a preoccuparmi di raccogliere quadri e mobili d’arte, ancor prima che si gettassero le fondamenta del “Don Vecchi” di Campalto. Non mi pare più che i miei concittadini residenti al “Don Vecchi” apprezzino più di tanto i quadri che ornano tutte le pareti della struttura, ma forse per giustificare la mia avidità del bello, voglio illudermi che l’armonia di tante opere pittoriche li renda migliori.

Oggi sono particolarmente felice perché è ritornata dal restauro una tela del `700 inglese, di notevoli dimensioni, rappresentante una scena bucolica. Già sogno la parete bianca ove s’imporrà all’attenzione questo quadro o il comò del seicento fiorentino – seppur molto probabilmente rifatto – che esso andrà a impreziosire.

La vita è fatta anche di queste gioie modeste ed io ne godo quanto mai, sognando che dei poveri vecchi accolgano parenti ed amici in una struttura che molti credono sia ricca e lussuosa. Mi fa felice che della povera gente, almeno si illuda di vivere in una casa nobile e signorile i loro ultimi anni.

Se solo l’amministrazione pubblica aiutasse chi offre una vita più dignitosa agli anziani…

In questi ultimi mesi il tormentone che agita i responsabili del “Don Vecchi” sono gli anziani in perdita di autosufficienza. Un tempo i residenti, felici per l’ambiente signorile e gradevole, per i conforts che scoprivano nel nostro Centro e soprattutto per la retta a portata perfino di chi fruisce soltanto della pensione sociale, dicevano: «Ci avete offerto il Paradiso in terra!» Ciò mi gratificava e mi faceva immensamente felice. Al “Don Vecchi” di Marghera, aperto solamente un paio di anni fa, l’atmosfera è ancora quella da Paradiso, ma in quello di Carpenedo siamo arrivati almeno al Purgatorio.

Qualche giorno fa, in una delle mie visite sempre più rare in quel di Marghera, ho trovato un ambiente veramente idilliaco: ambienti comuni climatizzati, poltroncine moderne ed accoglienti, prato verde e ben rasato, quadri, ordine, pulizia e l’efficiente e completa autogestione m’hanno dato un po’ l’impressione di quel mondo bello che ognuno sogna. A Carpenedo però, la sempre più alta marea degli anni sta provocando lo stesso disagio che l'”acqua alta” provoca a Venezia. Ormai ci avviciniamo all’età media degli 84-85 anni, con tutti gli inconvenienti che quest’età comporta.

Stiamo studiando come rallentare l’invecchiamento o, semmai, puntellare l’autosufficienza che viene meno. Noi qualche idea l’avremmo, anche il Comune è totalmente consenziente, però in pratica l’operazione vorrebbe fosse a costo zero, e qui i conti non tornano!

Mi hanno riferito di qualcuno dei nostri che ha dovuto trasmigrare in casa di riposo. I racconti di questi “esuli” sono stati veramente raccapriccianti: pochissimo personale, nessuna possibilità di decisioni autonome, seppur marginalissime, pannoloni con funzione di latrina da svuotarsi solamente quando possibile, automi in attesa della “morte”, anche se non fisica, ma dello spirito e della persona umana. Il tutto al costo di cento euro al giorno.

Purtroppo, a causa dei regolamenti dell’apparato sociale, in pratica l’amministrazione pubblica scuce la borsa per queste soluzioni infernali, piuttosdto che aumentare l’euro e venticinque centesimi che finora mette a disposizione per ogni residente del “Don Vecchi”.

Potremmo trovare anche soluzioni alternative, però dovrebbero lasciarci liberi dagli schematismi di una burocrazia costosa ed insufficiente. Ora siamo nel guado, chi vivrà vedrà!

Il punto sui Centri don Vecchi

La soluzione di alloggi accessibili anche agli anziani più poveri, e con qualche lieve servizio di supporto, per almeno un decennio si è dimostrata una soluzione ottimale, non solo innovativa, ma pure pilota nei riguardi delle residenze per la terza età.

Mezzo mondo è venuto a vedere i “Don Vecchi”, ad informarsi su questo nuovo modello che egregiamente allontana il tempo della casa di riposo, offrendo una maggior qualità di vita e a costi infinitamente minori, tanto che in più luoghi si sono create strutture simili.

Ma il nostro mondo corre molto in fretta, sicché ogni giorno mi convinco sempre più che la soluzione ha bisogno di aggiornamenti abbastanza consistenti e per nulla marginali. I motivi sono questi:

1) I residenti si accorgono e approfittano di tutti i vantaggi come fossero non il frutto di sacrifici di qualcuno, ma loro diritti sacrosanti.
2) Con mille sotterfugi tentano di beneficiare dei costi bassissimi per metter via o, più ancora, per poter aiutare figli o nipoti.
3) Abbastanza presto si accorgono degli aspetti convenienti, se ne approfittano a piene mani, ma sono molto restii ad una collaborazione generosa.
4) I figli sono sacri, guai disturbarli perché lavorano, han diritto di riposarsi, andare in vacanza; mentre pretenderebbero che giorno e notte la direzione provvedesse ai loro bisogni. C’è stato perfino chi avrebbe preteso che vendessimo i quadri per pagare più personale a loro servizio.
5) Naturalmente per via degli acciacchi e l’età avanzata quasi tutti scoprono prestissimo la previdenza offerta da Comune e Regione, intascano silenziosamente e poi, altrettanto silenziosamente versano in banca o, più ancora, ai figli.
6) Il ricorso alle badanti, pagate in nero, è una tentazione; infatti le lingue prevalenti al don Vecchi sono il rumeno, il moldavo e l’ucraino.
7) Infine, il passare degli anni ha innalzato non solamente l’età media, ma soprattutto gli acciacchi ed ha diminuito l’autonomia.

Ormai venti-trenta dei nostri anziani avrebbero bisogno della casa di riposo, ma le esistenti non hanno posti disponibili. Il Comune insiste, per motivi sociali ed economici, per la domiciliarità al “Don Vecchi”, offrendo una qualche ancora incerta disponibilità a far gestire dal Centro il costo dei servizi che esso eroga agli anziani. Questa soluzione esige scelte notevoli, assunzioni di responsabilità maggiori, modifica dello statuto e soprattutto il consenso dei singoli residenti.

Speriamo che il tempo porti consiglio e che a settembre siamo in grado di fare le scelte più opportune.

Cosa mi insegnò la parabola del Samaritano

Qualche Domenica fa ho tenuto il sermone della parabola del buon samaritano.

Confesso che in quell’occasione avrei preferito il tono del comizio a quello della pia meditazione. Vi sono dei passaggi del Vangelo che non dico che mi entusiasmano, perché questo è troppo poco, ma che mi caricano di un’ebbrezza interiore.

Io ho avuto modo di ascoltare un commento al “Laurentianum” di Mestre, da parte di Padre David Maria Turoldo, nel quale è venuto fuori il meglio dell’attore, del sacerdote e del poeta che questo frate, servo di Maria, assommava nella sua personalità ricca e appassionata, e non dimenticherò mai la lezione di vita e di Vangelo che è emersa dalla sua parola piena di passione religiosa e civile.

Qualche anno dopo, ebbi modo di leggere una delle migliori lettere pastorali del Cardinale Carlo Maria Martini, arcivescovo di Milano, che aveva come tema “Farsi prossimo” e che ruotava tutta attorno alle tematiche della parabola evangelica. Porto ancora con me alcune verità che sono diventate punto di forza nella filosofia della mia vita. Il “prossimo” non è colui che ti è vicino, ma colui a cui ti accosti con pietà e con partecipazione al suo dramma. E ancora: la religiosità non è quella teorica del dottore della legge, del sacerdote che tira dritto e del levìta, il quale aveva altro a cui pensare che soccorrere il malcapitato.

La salvezza non è per chi appartiene ad un certo schieramento, per chi è iscritto in un certo registro o si definisce con una certa terminologia formale, ma per chi si sporca le mani per soccorrere il prossimo, seppur incontrato per caso.

Ricordo un pezzo un po’ spregiudicato in cui si ipotizzava che in Cielo può accadere che vicino ad una monachella tutta pudore e preghiera, possa sedere il Ché Ghevara con il mitra sulle ginocchia perché anche lui, pur a modo suo, ha tentato di soccorrere il suo prossimo sfruttato!

Altra verità: nessuno può rifarsi solamente all’organizzazione sociale, alle competenze e tentare di scusarsi dicendo “non è compito mio!”, ma ognuno deve compromettersi col prossimo che ha bisogno.

Forse, se non avessi letto con questo cuore la parabola del samaritano, il “Don Vecchi” e tante altre cose sarebbero rimaste nella sfera delle utopie o, peggio ancora, dei futuribili.

Un “fioretto” fortunato

Recentemente ho avuto, a Villa Querini, un colloquio quanto mai importante per la vita del “Don Vecchi”, con il dirigente che è il responsabile dell’amministrazione comunale per quanto concerne l’assistenza agli anziani.

Non eravamo soli, perché ognuna delle due parti era accompagnata da una piccola delegazione di tecnici: iI funzionario del comune dalla dottoressa Corsi, che credo sia il tecnico più preparato e soprattutto più appassionato di questo problema; da parte mia avevo il ragionier Candiani, che da una quindicina di anni vive le problematiche del Centro, e dalla signora Cervellin, che fino a poco tempo fa ha guidato tutto il personale infermieristico dell’Ospedale dell’Angelo, donna di una logica stringente, accompagnata da una calda familiarità.

Il motivo del contendere: il mantenimento, quanto più a lungo possibile nella residenza protetta, degli anziani in perdita di autonomia. Io a sostenere che senza personale adeguato la cosa era impossibile, il rappresentante del Comune preoccupato della situazione finanziaria del Comune, non certamente rosea, pur sapendo che per ogni anziano al “Don Vecchi”, il Comune eroga un euro e venticinque centesimi al giorno, mentre in casa di riposo la spesa è di 50 euro più 50 della Regione.

Io ho premesso che andavo all’appuntamento nel convincimento e con la volontà di cercare assieme una soluzione possibile. Il “duello” è avvenuto armati ambedue di “fioretto”, ma muniti di corpetto e di visiera, perché in ambedue c’era l’intenzione di non “ferire” l’altro.

Ci fu un “assalto”, però sempre corretto, ma deciso. Credo che se dovessi dare un punteggio, dovrei dire che l’incontro si è risolto alla pari; ognuno, credo che sia rimasto soddisfatto di come ha portato avanti le sue tesi e di certo nessuno ha arretrato di un millimetro. Ambedue abbiamo portato avanti le nostre tesi, convinti di dover raggiungere il meglio e il possibile. Alla fine entrambi abbiamo delegato i tecnici a tradurre in numeri e in cifre l’operazione comune.

Al momento in cui annoto nel diario quest’incontro, non sono in grado di misurare gli obiettivi raggiunti o meno; di certo il discorso sulle dimore protette per anziani ha fatto un passo avanti ed io e il dottor Gislon ci siamo conosciuti meglio come persone che non mollano facilmente, ma che dialogano, magari in maniera dura, ma onesta.

Proverò anch’io la “cerca” modernizzata!

Quando a maggio sono stato in pellegrinaggio, con i residenti del “Don Vecchi”, al santuario della Madonna dell’Olmo a Thiene, ho avuto il piacere di incontrare e dialogare un po’ con un ragazzo del nostro quartiere, che ha mollato tutto, s’è perfino “liberato” del gruzzolo che aveva messo da parte, per vedere se era adatto a seguire le orme del poverello d’Assisi, san Francesco.

Chiesi, com’è naturale, come si trovava e che cosa faceva. Tra l’altro mi disse che si occupava della mensa dei poveri, com’è tradizione in quasi tutti i conventi dei cappuccini. Il discorso si allargò perché ero, e rimango, interessato a scoprire come si possono trovare gli approvvigionamenti, essendo questo un grosso problema per il Banco alimentare del “Don Vecchi”. Lui mi disse che c’era un frate addetto alla “cerca”. La frase dapprima mi evocò il personaggio dei Promessi Sposi, fra Cristoforo, che s’era imposto questa penitenza per espiare i suoi trascorsi non tutti virtuosi, poi mi ricordai di un fraticello francescano che fino ad una trentina di anni fa passava per le calli di Venezia a raccogliere e mettere nella bisaccia che portava a tracolla le elemosine dalle donne dei vari quartieri.

Il nuovo giovane amico mi disse che nel suo convento la cerca s’era aggiornata, il fraticello addetto partiva col suo motocarro e andava presso i suoi “clienti”, un “portafoglio” che il frate precedente aveva acquisito e trasmesso a lui.

Questo episodio mi diede un’idea! Anch’io ho la necessità di raccogliere almeno due milioni di euro; finora ho fatto la cerca alla vecchia maniera, stendendo la mano mediante “L’incontro” e portando a casa “pan vecchio e alimenti di poco conto”. Penso che sia giunta l’ora di aggiornarmi, di fruire del portafoglio di clienti che ho acquisito in questi ultimi quarant’anni: Chisso per la Regione, il sindaco Orsoni per il Comune, Segré per la Fondazione Carive, l’Associazione Industriali di Venezia, il Banco San Marco, la Banca Antonveneta e qualche altro.

A quanto mi disse l’aspirante frate della Madonna dell’Orto, il suo confratello che modernamente va alla cerca col motocarro da clienti prestabiliti porta a casa una quantità di alimenti. Speriamo che la cosa funzioni anche nel mio caso!

Solidarietà: chi protesta e chi dialoga; io vado avanti!

In una notizia apparsa sul “Gazzettino” di alcune settimane fa, non so se giustamente o meno, m’è sembrato di leggere che il vicesindaco, nonché assessore, tra l’altro, alla sicurezza sociale, prof. Simionato, fosse intervenuto ad un’assemblea tenuta in ambienti della parrocchia di San Pietro Orseolo, assemblea in cui alcuni cittadini avevano protestato in maniera violenta contro l’andirivieni di poveri che nel pomeriggio dalle 15 alle 18 vengono al “Don Vecchi” per ritirare indumenti, generi alimentari e mobili.

Il giornalista, tra l’altro, pareva riferisse che il prosindaco aveva promesso di regolamentare tale afflusso al “Don Vecchi” non visto di buon occhio dai suddetti residenti. Molto probabilmente si trattava degli stessi residenti che un tempo s’erano opposti, riuscendoci, alla costruzione di case popolari, quindi s’erano opposti alla costruzione del “Don Vecchi due”; infine, quando al “Don Vecchi” si pensò di creare un Centro per anziani non autosufficienti nell’ex cascina Mistro, si opposero col pretesto di voler costruire un Centro giovanile. Quando poi il “Don Vecchi” rinunciò al progetto perché la struttura sembrò non idonea, e perciò avevano la possibilità di costruire quel Centro giovanile, non si sa perché, desistettero dall’impresa.

Ora, molto probabilmente, temendo che si attui il sogno della “Cittadella solidale” si sono rifatti vivi. Queste reazioni non mi interessano per nulla perché chi non accetta i più poveri e i più deboli, non solo non ha le mie simpatie ma, meno ancora, la mia stima, come uomo, come cattolico, come cittadino e come cristiano. Però che il vicesindaco avesse abbracciato questa causa non m’andava proprio giù.

Quando questo amministratore mi chiese un colloquio, ci andai con spirito quanto mai bellicoso. Incontrando però il dottor Simionato, l’indignazione sbollì come per incanto, in quanto egli mi disse che per coscienza, cultura e convinzioni personali, non aveva che stima per quanto andiamo facendo al “Don Vecchi” per i poveri.

L’incontro servì anche per fare un giro di orizzonte sui problemi sul tappeto – anziani in perdita di autonomia, “Don Vecchi” di Campalto, “Cittadella della solidarietà” e generi alimentari in scadenza – trovandoci d’accordo su tutto il fronte.

Sono grato all’assessore, nonché vicesindaco, per la ritrovata intesa con la civica amministrazione e per la volontà di lavorare in maniera sinergica a favore dei meno abbienti. Per quanto riguarda i concittadini, posso rassicurarli che tento di avere rispetto per tutti, ma grida, firme e quant’altro non mi scompongono affatto, quello che ritengo giusto e doveroso lo perseguo nonostante tutto e credo d’averla finora sempre spuntata.

La splendida realtà del Don Vecchi Marghera

Nella “Galleria san Valentino” del “Centro don Vecchi” di Marghera, viene allestita, grazie alla buona volontà di alcuni volontari, una mostra di pittura ogni 15 giorni. Questa iniziativa rende più vivace la vita del Centro, permette ai visitatori non solamente di ammirare l’estro, il buon gusto e talora l’arte dei nostri pittori, ma anche di “scoprire” il Centro.

Purtroppo nell’opinione pubblica vi sono ancora molte persone che pensano il “don Vecchi” come una delle tante case di riposo, in cui vegetano in attesa della morte dei poveri vecchi, spesso rimbambiti, in balìa di inservienti, in ambienti maleodoranti, di cattivo gusto.

Il regolamento della Galleria prevede che la Fondazione si faccia carico di ogni spesa, motivo per cui all’artista la mostra non costa un centesimo. Si chiede solo che il pittore regali una tra le opere scelte dal responsabile del settore. Questo dipinto sarà destinato ad ornare il nuovo Centro di Campalto.

Nel pomeriggio mi sono recato a Marghera per salutare gli ospiti, per vedere la mostra e per scegliere l’opera tra quelle attualmente esposte. Sono stato particolarmente felice nel trovare il prato rasato come un tappeto verde, i fiori ben curati, gli anziani sparsi a crocchi nella grande struttura, chi nel parco, chi nella hall, chi nella sala giochi, ma soprattutto nel riscoprire un ambiente pulitissimo: quadri alle pareti, un mobilio appropriato e di buon gusto ed un clima sereno e disteso.

A Marghera si pratica finora l’autogestione in maniera integrale; i residenti, coordinati da due volontari pensano a tutto: telefono, fiori, guardina e quant’altro serve in un condominio di 57 alloggi.

Confesso che sono orgoglioso dei nostri Centri; sono orgoglioso che gli anziani più poveri possano vivere in un ambiente veramente signorile, sono orgoglioso perché ad ogni anziano è richiesto un contributo possibile anche per chi ha le entrate più modeste.

Mi spiace solamente che le comunità cristiane delle diocesi siano coinvolte solamente in modo molto marginale e che la civica amministrazione, con la quale ci sono pur buoni rapporti, non collabori ancora in maniera adeguata perché gli anziani in difficoltà possano godere di questa soluzione.

La pigrizia da pensionati va combattuta!

Ho notato, con una certa sorpresa, che questa rubrica de L’incontro esce talvolta con la testata “Il diario di un prete in pensione” e talaltra con “Il diario di un vecchio prete”. Non so a quale criterio si attengano gli impaginatori; forse a nessun criterio, ma a quello che trovano nel “magazzino” del periodico.

Quando ho fatto questa scoperta, per nulla importante, mi sono chiesto d’istinto quale fosse la più giusta, quale io avrei preferito. Quasi subito ho optato per la seconda. Parlare di pensione ti dà subito l’impressione di una persona ormai logora, inefficiente, rassegnata a starsene alla finestra a guardare il fiume della vita che scorre veloce. Purtroppo al “don Vecchi” devo registrare spesso gente della mia età che passa tutto il santo giorno dormendo, mangiando e chiacchierando su argomenti futili.

E’ vero che taluno è in mal arnese e non potrebbe fare granché, ma è altrettanto vero che con un pizzico di iniziativa e di buona volontà si potrebbe sempre spendere più utilmente il proprio tempo. Per me il discorso “pensione” è un discorso fittizio, artificioso e di comodo perché ognuno riceve comunque aiuto dagli altri e quindi deve ricambiare con la propria disponibilità.

San Paolo, a questo riguardo, è semplicemente categorico quando afferma “chi non lavora, non mangi”. Quante volte mi rammarico per non trovare tra i 230 residenti chi voglia alzarsi presto per bagnare i fiori, chi non si renda disponibile per far la cernita della verdura, piegare “L’incontro”, servire al bar, o stare al tavolo della cortesia per fornire notizie ai visitatori o controllare gli intrusi.

Spesso poi il rammarico aumenta ulteriormente quando avverto che costoro avanzano pretese o sono i primi ad approfittare quando c’è qualcosa da ottenere.

Per quanto mi riguarda, pur non avendo cose impegnative e pesanti da svolgere, ho le giornate piene zeppe, tanto che spesso devo pigiare il tempo per farci stare qualcosa che di primo acchito parrebbe di troppo. Di questo non solamente non mi dolgo, ma ringrazio il Signore di poter essere ancora utile nonostante la mia vecchiaia.

Un incontro che mi ha aiutato a riconciliarmi con l’umanità!

Questa è stata una buona settimana per quanto concerne gli incontri. Io ritengo sempre una grazia ed un dono incontrare delle persone disponibili, serene e positive che ti fanno sentire che provano piacere a darti una mano e lo fanno magari facendo bene il loro mestiere e i loro interessi.

Appena arrivato a Carpenedo, ho avuto il piacere di incontrare il signor Antonio Vanore, che gestiva il “Cinema Lux” della parrocchia. “Don Antonio” era un maresciallo della pubblica sicurezza in pensione da anni, un meridionale DOC, ammiratore di Totò, il principe attore, non solo per la sua mimica e il suo estro, ma forse anche per la sua indole.

A quel tempo venivano al “peoceto” (chiamavano così la vecchia sala cinematografica parrocchiale) folle di bambini. Ogni domenica mi sembrava di partecipare ad una festa patronale del meridione: chiasso, confusione, andirivieni di ragazzi, caramelle, semi e bagigi, tanto che al lunedì la moglie del nostro caro gestore, impiegava un gran tempo a ripulire il locale dopo il passaggio del “branco di bisonti”.

Ebbene, io amavo incontrare quest’uomo sempre sorridente, accomodante ed ottimista. Sentivo che la sua presenza mi scioglieva, mi aiutava ad affrontare con più serenità le difficoltà parrocchiali che non erano, allora, davvero né poche né facili da risolvere.

Questa mattina sono stato al vivaio di Sgaravatti in via Castellana, per acquistare delle piante di oleandro per sostituire quelle “bruciate” dal freddo di quest’inverno. Il signor Federico, responsabile dell’azienda, pur conoscendomi da poco, mi ha consigliato, promesso aiuto, suggerito soluzioni che lui riteneva ottimali. Credo che se avesse voluto, avrebbe potuto vendermi mezza serra. E’ un gusto incontrare un personaggio del genere! Quant’è bello stabilire rapporti con queste persone solari, calde di umanità, capaci di ridimensionare positivamente i problemi!

Sono tornato a casa contento, anche se soltanto i posteri potranno ammirare un filare di oleandri della stessa altezza, armoniosamente posti uno accanto all’altro, perché oggi ci sono degli spilungoni di due metri e mezzo e nanetti di appena mezzo metro. Una cosa conta: oggi ho incontrato un uomo vero, che mi ha aiutato a riconciliarmi con l’umanità!

Trovare chi si offre per un servizio mi riempie ancora di gioia il cuore

La storia della Galleria San Valentino è stata sempre tribolata. Ho sognato che l’apertura del “don Vecchi” a Marghera potesse offrire a quel popoloso rione un centro di cultura e d’arte del quale era totalmente sprovvisto. Ho sognato che il gruppo abbastanza nutrito di critici che conosco da anni mi avrebbe dato una mano per realizzare e far funzionare la galleria, ma uno è morto, un altro si è ammalato, un altro ancora s’è ritenuto troppo lontano, qualche altro ha optato per la sua vita con abitudini consolidate, infine c’è stato chi s’è accorto che la galleria l’impegnava ad appuntamenti fissi ed abbastanza frequenti. Fatto sta che mi sono ritrovato solo soletto con i miei sogni di seminare il culto dell’armonia e della bellezza anche tra i capannoni abbandonati ed arrugginiti della Marghera industriale sognata dal conte Volpi.

Mi sono rivolto alle gallerie sorte a Mestre sulla spinta di monsignor Vecchi, che come me ha sempre inteso la proposta cristiana come una proposta globale che tende ad un nuovo umanesimo, ma non ho trovato né comprensione né aiuto. Fortunatamente un amico, soprattutto di mia sorella Lucia, più che di me ha avuto pietà di questo povero sognatore, e non so con quali lusinghe ha convinto una giovane signora, laureata in storia dell’arte, a farsi samaritana per questo vecchio prete malconcio e in panne.

Abbiamo avuto un primo incontro un paio di settimane fa e m’è parso che avesse scelto di fare questa nuova esperienza con spirito sereno e quanto mai positivo. Non so quale sarà il risultato di questa “assunzione”, di certo io considero già un gran regalo l’aver incontrato qualcuno che non dica pregiudizievolmente di no, come è così facile sentirsi rispondere ad ogni richiesta di impegno per un servizio.

L’incontrare invece qualcuno che, nonostante gli impegni, cerca di trovare un po’ di spazio anche per te, è una vera fortuna o, meglio ancora, una grazia del Cielo!

Il Patriarca Urbani diceva di non chiedere mai un favore per un servizio a chi non fa niente, perché ti dirà subito di no, ma di chiederlo invece a chi è molto occupato, perché quella persona generosa troverà quasi sempre il modo di aiutare anche te. Ora ho avuto conferma che il vecchio Patriarca di Venezia aveva ragione!

Certe notizie mi sconvolgono!

Non so se capita a tutti, ma io talvolta sono tentato di tagliare tutti i collegamenti col mondo perché talmente sconvolto, avvilito da certe notizie, che mi convincono sempre più che l’arroganza, l’ipocrisia sono veramente invincibili. Forse è meglio non sapere, per non perdere quel po’ di pace e di fiducia che ancora ho per il mio mondo!

In questi giorni sono quattro le notizie che mi hanno fatto del male turbandomi profondamente.

La prima: Rosy Bindi, la presidente del più grande partito di opposizione, in rapporto al provvedimento anti-crisi ha affermato che esso è profondamente iniquo perché fa pagare la crisi ai poveri e non alle classi agiate. Il mio disagio nasce dal fatto che un tempo una donna che da una vita fa politica nel nostro territorio m’ha presentato la Bindi come una religiosa appartenente ad una congregazione laicale (in suddette congregazioni laicali, pur gli aderenti rimanendo nel mondo, devono praticare i consigli evangelici: povertà castità e obbedienza). Ora credo che la Bindi incassi in un mese tanto quanto incassano i 230 residenti al “don Vecchi” messi assieme! Questi però non battono ciglio nei riguardi della finanziaria, mentre la Bindi protesta perché le tolgono il 10% di mensile che un italiano normale non riuscirà mai ad avere.

Secondo: Palamara, presidente del sindacato o dell’associazione dei magistrati, ha affermato che la categoria farà sciopero per la “stangata”. Mi hanno detto che il primo stipendio di un magistrato è di cinquemila euro al mese, comunque è opinione corrente e non smentita che la magistratura è la categoria più pagata!

Terzo: Calderoli, matto o strambo finché si vuole nei riguardi di “Roma ladrona”, ha proposto la riduzione dei compensi dei calciatori e degli sportivi in genere, subito è stato subissato da un polverone di proteste, a difesa di questi bellimbusti che, peraltro, perdono sempre.

Da ultimo anche il nostro sindaco, forse ancora sprovveduto, si fa pescare a dormire in un albergo da 430 euro la notte. Come scusa, hanno scritto che tirerà fuori di tasca propria la differenza tra i 230 euro alla notte che il Comune gli permette di spendere e i 430 che ha speso!.

E’ bene che il sindaco sappia che il Comune di Venezia contribuisce con euro8 1,25 al giorno per i residenti al “don Vecchi” e che moltissimi di loro devono dormire, mangiare, vivere e pagare le tasse per un intero mese con una somma del genere!

“Isacco” e “Giacobbe”

Io non me ne sono accorto, ma l’ultimo inverno è stato veramente micidiale per le piante del nostro parco, che gli scorsi anni non avevano mai temuto il gelo, ma quest’anno hanno subìto gravi danni. Molti oleandri, che normalmente attecchiscono come la gramigna e prosperano in maniera vistosa, durante l’ultimo inverno sono stati bruciacchiati dal gelo e parecchi sono morti, cosicché, nonostante la primavera avanzata, fanno fatica a metter su una chioma verde e meno che meno sembrano vicini alla fioritura.

Quello che però mi ha preoccupato e fatto temere il peggio, sono le due venerande piante di olivo “Isacco” e “Giacobbe”, età: 360 anni e costo undici milioni di vecchie lire. Ho fatto piantare questi due colossi, tutti contorti e pieni di rughe profonde, nel bel mezzo del prato a levante dell’edificio. Volevo che gli anziani fossero incoraggiati dalla veneranda età di queste due piante, dalla loro forza e capacità di sopravvivenza.

Essi avevano gli scorsi anni una folta chioma argentea e rappresentavano un monumento alla vita. Purtroppo il gelo li ha denudati totalmente, tanto che facevano pena e tristezza i loro due scheletri contorti. Ho chiamato un esperto che li ha potati ben bene, rilasciandoci una diagnosi positiva. In questi giorni sto tirando un sospiro di sollievo vedendo “Isacco” e “Giacobbe” con un leggero velo di verde tenue a coprire le loro vergogne.

Mi sono chiesto di sovente come gli anziani del “don Vecchi” hanno vissuto il dramma dei due vecchi olivi. Pare che non si siano scomposti più di tanto, forse danno per scontate sia la vita che la morte.

Io pensavo di essere ormai un esperto di vecchiaia, mentre mi accorgo ogni giorno di più che ho ancora molto da imparare sull’argomento.