Cosa mi insegnò la parabola del Samaritano

Qualche Domenica fa ho tenuto il sermone della parabola del buon samaritano.

Confesso che in quell’occasione avrei preferito il tono del comizio a quello della pia meditazione. Vi sono dei passaggi del Vangelo che non dico che mi entusiasmano, perché questo è troppo poco, ma che mi caricano di un’ebbrezza interiore.

Io ho avuto modo di ascoltare un commento al “Laurentianum” di Mestre, da parte di Padre David Maria Turoldo, nel quale è venuto fuori il meglio dell’attore, del sacerdote e del poeta che questo frate, servo di Maria, assommava nella sua personalità ricca e appassionata, e non dimenticherò mai la lezione di vita e di Vangelo che è emersa dalla sua parola piena di passione religiosa e civile.

Qualche anno dopo, ebbi modo di leggere una delle migliori lettere pastorali del Cardinale Carlo Maria Martini, arcivescovo di Milano, che aveva come tema “Farsi prossimo” e che ruotava tutta attorno alle tematiche della parabola evangelica. Porto ancora con me alcune verità che sono diventate punto di forza nella filosofia della mia vita. Il “prossimo” non è colui che ti è vicino, ma colui a cui ti accosti con pietà e con partecipazione al suo dramma. E ancora: la religiosità non è quella teorica del dottore della legge, del sacerdote che tira dritto e del levìta, il quale aveva altro a cui pensare che soccorrere il malcapitato.

La salvezza non è per chi appartiene ad un certo schieramento, per chi è iscritto in un certo registro o si definisce con una certa terminologia formale, ma per chi si sporca le mani per soccorrere il prossimo, seppur incontrato per caso.

Ricordo un pezzo un po’ spregiudicato in cui si ipotizzava che in Cielo può accadere che vicino ad una monachella tutta pudore e preghiera, possa sedere il Ché Ghevara con il mitra sulle ginocchia perché anche lui, pur a modo suo, ha tentato di soccorrere il suo prossimo sfruttato!

Altra verità: nessuno può rifarsi solamente all’organizzazione sociale, alle competenze e tentare di scusarsi dicendo “non è compito mio!”, ma ognuno deve compromettersi col prossimo che ha bisogno.

Forse, se non avessi letto con questo cuore la parabola del samaritano, il “Don Vecchi” e tante altre cose sarebbero rimaste nella sfera delle utopie o, peggio ancora, dei futuribili.

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