Ma la nostra religiosità segue davvero l’insegnamento di Cristo?

Ho trascorso tutta la settimana a riflettere sul Vangelo che avrei dovuto commentare la domenica. La pagina di Matteo in cui Gesù pronuncia una dura condanna nei riguardi della religiosità, degli scribi del suo tempo, cha amavano passeggiare in lunghe vesti, farsi vedere a pregare lungamente, mentre contestualmente ambivano ai posti d’onore nella sinagoga e ai posti più prestigiosi nei banchetti ed arrivavano perfino ad approfittarsi della casa delle povere vedove strumentalizzando la religione.

Questa pagina del Vangelo mi ha costretto a confrontare il concetto che Cristo ha della religiosità e il modo con cui noi attualmente traduciamo nella prassi liturgica e paraliturgica la nostra lode al Signore.

Per quanta buona volontà ci abbia messo non sono riuscito a far combaciare il pensiero di Cristo con la nostra prassi religiosa.
Questo non è certamente un guaio di poco conto!

Il formalismo, l’ostentazione e il ritualismo condannato da Cristo non mi pare che, neanche dopo duemila anni di cristianesimo, siamo riusciti a debellarli completamente, motivo per cui ho la sensazione che la preghiera pubblica incida ancora troppo poco sulla vita reale sia delle persone che dalle comunità cristiane.

A questo proposito mi è riemerso, dai miei ricordi letterari, una bella pagina, quanto mai mordente, del grande letterato russo Leone Tolstoi. Il convertito immagina che Cristo si sia deciso di visitare in incognito le comunità cristiane della Santa Russia disperse nell’immenso territorio, mentre esse sono riunite in preghiera. Tolstoi immagina un Cristo critico e deluso dai cristiani in preghiera, tanto da domandarsi: “Questi fedeli non possono pretendere di essere miei discepoli praticando dei riti avulsi da vita reale e così lontani dal mio insegnamento!”

Io non ho né il talento né la saggezza di Tolstoi, ma ho la netta sensazione che il singolo cristiano e le relative comunità si debbano domandare con più onestà e più frequentemente: “Gesù si aggregherebbe volentieri ai nostri incontri di preghiera e condividerebbe la cornice, l’atmosfera, i contenuti e le tensioni interiori che esprimono la nostra lode al Signore?”

Per ora credo opportuno che risciacqui ben bene il mio pregare nelle parole del Vangelo, poi forse dovrò suggerire con carità e prudenza che anche i miei fratelli di fede che facciano altrettanto!

Quelle 17 chiamate senza risposta…

Io non ho nessuna dimestichezza con il computer, pur riconoscendogli una grande utilità, ed anche poca dimestichezza con il telefonino.

Questo piccolo aggeggio è certamente utile, ma ti toglie anche qualsiasi possibilità di avere momenti di intimità, perché ti perseguita ogni momento e in qualsiasi luogo, e poi ha il potere di irritarmi, incontrando in ogni dove un mondo di uomini e donne che sembrano dover dirigere una grande azienda o governare un intero esercito.

Neanche il capitano di un transatlantico è così impegnato a comunicare ogni momento con una infinità di interlocutori.

Alla mia età poi facilmente si è smemorati, si dimenticano chiavi, appuntamenti, nomi, numero di telefono e quant’altro e fra tutta questa mercanzia che ti avviluppa come una ragnatela c’è pure il problema del telefonino.

Se lo tengo in tasca mi capita che nel bel mezzo della predica sento la nota musichetta, che è più insistente della voce della coscienza, se lo metto in qualche luogo prima di dire messa e di fare qualche altra cosa inerente al mio ministero, mi accorgo spesso di dimenticarlo, ricevendo poi i rimbrotti della gente che mi aveva inutilmente cercato.

L’altro ieri mi sono dimenticato il telefonino nella sagrestia della cappella del cimitero, per recuperarlo solamente quando ci sono ritornato per la messa delle 15.

In tutto tra dimenticanza e ritrovamento, saranno passate 3-4 ore. Quando sono ritornato ho aperto lo sportellino e mi si presenta burbero un ammonimento: “17 chiamate senza risposta!”

Mi sono sentito come un piccolo alunno sorpreso dal maestro con le dita nel naso! Passato il primo momento di sorpresa e di smarrimento, ho cominciato a filosofeggiare: come ho fatto a vivere per ben quattro ore senza i suggerimenti, le richieste o le informazioni di ben 17 persone? E come han fatto loro a sopravvivere senza le mie risposte? Per poi soggiungere “E come hanno fatto gli uomini a vivere per 40 – 50 – 100 o mille secoli senza telefonino?

Ho letto nella meditazione di qualche giorno fa, che è inutile e dannoso pretendere di condizionare il corso degli eventi, perché di queste cose se ne occupa il buon Dio!

Ricordo il vecchio canonico di San Marco, Monsignor Silvestrini, morto quasi a cent’anni, che passando davanti ad un cinema di Venezia, con un certo sarcasmo e disprezzo disse: “Ecco una realtà di cui io posso fare a meno!”

Io non voglio essere così radicale, ma non voglio neppure che il telefonino mi riduca in schiavitù! Amo troppo la mia libertà per perderla per un telefonino! Tanto poi credo che i 17 che mi hanno chiamato in quella mezza mattinata, siano sopravissuti senza che io avessi risposto al telefonino! Ed io pure non sono vissuto peggio senza rispondere a 17 telefonate!

La libertà di culto deve essere reciproca!

I vescovi svizzeri e quelli italiani hanno biasimato la decisione degli abitanti dei quattro cantoni elvetici di proibire la costruzione di altri minareti.

Povero popolo! Quando il suo parere è favorevole a certi personaggi o a certe caste, allora vale il detto “vox populi, vox Dei” Quando però non garba a chi sta in alto, allora si insinua che sia stato strumentalizzato da gente senza scrupoli e in qualche modo interessata.

C’è poi chi approfitta di una decisione popolare, che in qualche modo avvalla il suo pensiero, per farsi propaganda.

Nel nostro caso Castelli della Lega, che poi mi è simpatico perchè non si fa intimorire da alcuno e poi è sornione e tagliente nei suoi interventi, è arrivato al punto di proporre la croce sul tricolore.

Mi pare un po’ troppo, credo che valga anche per Castelli il vecchio detto “Scherza con i fanti ma lascia stare i santi”.

Cristo sta ben sopra a questa questione ed è bene lasciarlo stare!

Io ho pensato alla vicenda, perché sono solito “partecipare” alle vicende del nostro tempo; mi pare che non sia una gran questione e perciò non valga la pena di creare un motivo in più di attrito e di scontro, però c’è una questione di fondo che non mi va assolutamente giù ed è la questione della così detta reciprocità. I mussulmani vanno rispettati, si deve loro permettere, anzi si deve aiutarli a pregare Dio come vogliono, a patto però che rispettino le nostre leggi, le nostre tradizioni e la nostra fede e si adoperino in maniera seria e concreta perché nei paesi in cui loro sono la maggioranza, pretendano dai loro governi e dai loro capi religiosi di avere lo stesso comportamento che essi chiedono e pretendono nei paesi in cui loro sono in minoranza.

Questo ora non avviene assolutamente e perciò finchè questo non avviene, non solo non permetterei che costruiscano i minareti ma neanche permetterei nessuna manifestazione pubblica della loro religione.

La libertà, la democrazia, il rispetto sono diritti universali e non parole che si tirano fuori dal cassetto quando torna conto. Piaccia o non piaccia!

Una speranza e un altolà per il domani!

L’unica speranza perché la Fondazione, di cui sono presidente, possa avere un domani e possa, come stabilisce il suo statuto, creare a Mestre dei servizi a favore delle persone più fragili è quella che i cittadini, che non abbiano discendenti diretti, facciano testamento a favore di questa realtà, che ha come unico scopo quello di aiutare i più poveri.

L’esperienza pregressa come parroco a Carpenedo, mi ha dato ragione.
La bellissima villa ad Asolo, Ca’ Dolores, Ca’ Teresa, Ca’ Elisa, Ca’ Elisabetta ed altro ancora sono il risultato di questo messaggio che ho tentato di passare alla città e che i mestrini hanno recepito.

I benefici di questa seminagione non sono neppure totalmente esauriti perché una cara signora ha già donato la nuda proprietà di un grosso complesso immobiliare, che alla sua morte, passerà alla parrocchia di Carpenedo permettendogli così di realizzare altre strutture per i meno abbienti.

Un paio di anni fa, quando s’è pensato a questo vecchio prete cocciuto e testardo, per farlo presidente della Fondazione Carpinetum, non avendo essa proprietà e mezzi economici, non mi è rimasto che battere la stessa strada, forte dell’esperienza già fatta.

Certamente questa soluzione è simile al piantare un olivo, ci vogliono decenni e decenni perché quest’albero produca frutti!

Io sono ben cosciente di lavorare per chi verrà dopo di me, ad 80 anni compiuti, quali prospettive di tempo si possono avere?

In questi due anni ho seminato “in spem contra spem” pur sapendo di non essere io a raccogliere i frutti di questa proposta. Anche stamattina mi ha chiamato un signore per confidarmi che ha deciso di fare testamento a favore della Fondazione. Io ho raccolto contento per lui e per i poveri del futuro questa saggia e provvidenziale decisione.

Io dovrò arrabattarmi per il don Vecchi di Campalto, ma la confidenza ricevuta mi fa sognare che altri raccoglieranno i frutti e faranno di Mestre una città veramente solidale ripromettendomi però che se i miei successori osassero usare per scopi diversi questa fiducia e questa generosità, cosa purtroppo sempre possibile, verrò anche dall’altro mondo per tirarli per i piedi!

Per molti preti è ancora difficile parlare agli uomini d’oggi

Avevo appena terminato la celebrazione religiosa del commiato di un vecchio maestro. Io mi lascio sempre coinvolgere da questo evento, ricordandomi di quell’affermazione sublime di Raul Follerau, l’apostolo dei lebbrosi: “Io ho tanti fratelli quanti sono gli uomini che abitano in questo nostro mondo”

Non conoscevo il defunto, come non conoscevo i figli e la sua famiglia. Quasi sempre i funerali che giungono in cimitero sono come i relitti che la risacca depone sul bagnasciuga.

I cristiani praticanti, le persone di prestigio, sono giustamente portati nelle loro chiese ove converge la comunità e l’ambiente è quasi sempre decoroso. Da me, in cimitero, giungono i poveri con cui a fatica si trova un parente che se ne faccia carico, gli ospiti della casa di riposo, i cristiani che non erano soliti frequentare la chiesa e perciò quasi sconosciuti dai parroci e dalla parrocchia, i vecchi che con le malattie del nostro tempo l’Alzheimer o il Parkinson, sopravvivono senza coscienza o la gente trapiantata e perciò conosciuta quasi da nessuno.

Il fatto che il caro estinto fosse un vecchio maestro, e l’esser stato io per molti anni insegnante alle magistrali, e contemporaneamente assistente religioso della categoria, con l’aggiunta che la lettura del De Amicis e del Guareschi, ha lasciato nel mio animo delle belle immagini di insegnanti saggi e di educatori autentici, ha fatto sì che mi sentissi ancora di più coinvolto. Evidentemente la gente se n’è accorta dal tono commosso della voce e dalla convinzione con cui ho tentato di inquadrare da uomo e da cristiano, la partenza del fratello maestro.

Finita la messa una signora è venuta a ringraziarmi e a congratularsi per il sermone “non ho mai sentito una predica così “laica” quasi certamente voleva dire che s’era abituata a sentire preti con frasi scontate, pensieri che viaggiavano sopra i capelli senza toccare né il cuore, né la ragione e né la sensibilità, tanto che le sembrava strano che un prete potesse pronunciare parole che si usano anche fuori della chiesa e che possono essere comprensibili e condivise anche dalla gente comune.

Se si è giunti a questo punto significa che c’è da fare ancora molta strada per inserirsi nel circuito della vita degli uomini d’oggi, e questo è preoccupante!

Quel clima di rassegnazione e resa nelle istituzioni cittadine…

Ero convinto di essermi aperto una strada con i primi tre Centri don Vecchi. Mi ero quindi illuso che quando ho chiesto la licenza edilizia per il quarto, i funzionari del Comune, mi avrebbero srotolato una corsia rossa di velluto.

Non sono in verità molti i cittadini che mettono a disposizione della collettività trecento appartamenti per anziani e scommettono di farli vivere anche con la pensione minima senza pesare sui figli e sul Comune.

Invece no, nell’Italia di “Franceschiello” c’è una tale ragnatela di leggi, ordinanze, disposizioni e quant’altro, che quando uno ci cade dentro, finisce per avvilupparsi come un ragno e perdere il senno e la vita.

Ero poi particolarmente irritato perchè il funzionario che stava mettendoci i bastoni tra le ruote, era uno dei ragazzini del Patronato di Carpenedo. In verità “aveva fatto combattere” anche da ragazzino, ma mentre la gran parte dei ragazzi crescendo “fa giudizio” in questo caso temo che egli abbia perso anche quel po’ che aveva.

Mi si suggerì di ricorrere al sindaco per non trovarmi in mezzo al guado in prossimità delle elezioni comunali.

Mi fu concessa udienza prestissimo. Ci andai con il progettista ed un membro del consiglio della Fondazione.

Venezia era appena emersa, bagnata come un anatroccolo, da un metro e trenta di acqua alta, umidità, spazzature, passerelle scompigliate!

A Ca’ Farsetti c’era consiglio comunale, un andirivieni disordinato e crocchi ad ogni angolo, uscieri poco protocollari, gli unici che si salvavano in quell’ambiente che sapeva di decadenza erano i vigili in uniforme.

Incontrai il sindaco in un salone con una tavola rotonda piena di carte in disordine, era stanco morto e parlava sottovoce. Credo che Daniele Manin il giorno della resa fosse più gagliardo, tanto mi parve stanco e sconfitto!
Fu cortese, telefonò al funzionario dicendogli di “darsi una mossa”.

Ci congedò in fretta perché doveva andare nella “fossa dei leoni” almeno così mi parve.

Certamente la forma è marginale in rapporto ai problemi, ma la Venezia di case e di uomini che ho incontrato, mi è apparsa desolata e rassegnata alla resa. Peraltro in questo paesaggio triste e melanconico, non mi pare che all’orizzonte appaia un “salvatore della Patria”. Tutt’altro!

Un gesto di pietà fra eccessi opposti

Non mi sono mai piaciute le manifestazione plateali del dolore per la scomparsa di un familiare. Dicono che nel meridione siano una costante.

Io non lo so. Mi è capitato una volta solamente, tanti anni fa, al tempo in cui era massiccia la emigrazione dal sud, di assistere ad una di queste manifestazioni durante un funerale che ho celebrato io stesso.

Un’anziana signora di Adrano, la quale era stata trapiantata di brutto nel nostro Veneto, assolutamente incapace della seppur minima integrazione, tanto che quando dovevo comunicare con lei, avevo bisogno della sua nipotina che mi facesse da interprete, durante il funerale, prima cominciò a singhiozzare forte, poi a lasciarsi andare in esclamazioni desolate, infine si sdraiò nel pavimento della chiesa a mani e gambe divaricate, in preda ad un parossismo irrefrenabile. Dovetti dire dall’altare che non avrei continuato la messa se non si fosse calmata.

Non credo che oggi nel sud succedano ancora tali comportamenti.

Ora però nel nord s’è passati al lato diametralmente opposto. Spesso la gente, quasi sempre poca, assiste al rito funebre imperturbabile, apparentemente assente, per fermarsi poi nel sagrato a chiacchierare lungamente in maniera disinvolta come fossero usciti dalla proiezione di un film piacevole.

Pare che sia morto il dolore, e sia pure morta la sacralità della morte!

Stamattina però, quasi sorpreso, ho assistito all’inumazione delle ceneri di un vecchio genitore. La giovane figlia portò lungo il viale in braccio, l’urna delle ceneri del padre, come cullasse il suo bimbo, con una delicata e calda tenerezza materna, baciò l’urna con immenso affetto prima che fosse collocata nel loculo.

Il volto era bello con un cenno di sorriso, gli occhi erano umidi di lacrime d’affetto, mentre attaccava un mazzolino di fiori all’urna cineraria.

Per fortuna nel nostro vecchio mondo resiste ancora il seme vero della pietà filiale.

Incontro con un San Francesco dei giorni nostri

Avevo appena terminato la messa. Ero contento perché avevo respirato, durante la celebrazione, un’aria di profonda intimità e di grande raccoglimento. Qualcuno mi ha confidato che la nuova chiesa, con le grandi capriate e tutto il soffitto in legno, gli dà l’impressione di trovarsi in una baita di montagna.

Per certi versi è vero, pare sempre di trovarsi in un luogo in cui si respira un’aria di famiglia, di intimità, motivo per cui non si fa alcuna fatica a creare comunità e a sentirsi vicini.

Comunque stavo uscendo particolarmente contento; l’incontro con Cristo, con i fratelli e con la Sacra Scrittura, aveva finalmente appagato il mio spirito, quando mi fermò un giovane distinto, dall’apparente età di 25 o 30 anni, il quale mi disse: “Vorrei, don Armando, darle un contributo per cui avrei bisogno che mi desse le coordinate della banca della sua Fondazione”.

La cosa prima di incuriosirmi, mi sorprese; normalmente sono le persone anziane che mi aiutano con offerte più o meno consistenti, i giovani o non hanno soldi oppure se li hanno pensano ad altro che alle opere di carità.

La sorpresa mi mise sull’onda della banalità spingendomi a domandargli se stava studiando. La domanda però mi aprì uno squarcio su un mondo ideale sorprendente. “Studiavo” mi disse “Poi un anno fa mi sono fermato per fare il punto sulla mia vita, per chiedermi, perché vivo?” Mi raccontò che aveva fatto, durante l’ultimo anno, varie e forti esperienze religiose, era stato perfino a Calcutta, da Madre Teresa. Ora stava frequentando dei religiosi per studiare la sua vocazione. Aggiunse “Ho capito che devo liberarmi delle cose che mi condizionano e da ciò è nato il proposito di darle del denaro”. Mentre mi parlava, d’istinto collegavo il suo volto, il suo sguardo al volto del poverello d’Assisi appeso alla parete ed illuminato dal faro nella chiesa semibuia.

Il mio animo non poté che associarlo al giovane Francesco d’Assisi e alla sua avventura evangelica.

Anche oggi, chi lo direbbe mai, c’è chi si innamora di “Madonna povertà” chi si lascia inebriare dal mondo pulito e bello della natura, chi sogna di poter salvare l’uomo dal grigiore e dalla fatuità di una vita insignificante.

Questa è per me una giornata veramente fortunata. La copia del Francesco di Cimabue da ieri è viva e si confonde col volto del ragazzo che ho incontrato uscendo di chiesa.

Sta terminando il 2009 se non avessi incontrato altro, questo incontro qualificherebbe positivamente l’intero anno trascorso!

Lentezze burocratiche insostenibili

Quindici anni fa ero più giovane e più battagliero, ad 80 anni molte armi risultano logore e spuntate.

A quel tempo non riuscendo ad ottenere la licenza edilizia per il progetto di una “residenza collettiva protetta per anziani autosufficienti” , chiesi ad una impiegata comunale gli indirizzi dei 60 consiglieri dei vari schieramenti politici ed ogni settimana per due mesi spedii “Lettera aperta” il settimanale della mia parrocchia d’allora, che riportava ad ogni numero un attacco all’inerzia e alla insensibilità sociale del Comune nei riguardi degli anziani della città.

Quando poi mi capitava di “sparare” mediante “Il Gazzettino” o “Gente Veneta” lo facevo con ebbrezza.

Resistettero neanche per due mesi poi finirono per capitolare!
Era inevitabile che avvenisse!

Ricordo che l’allora assessore all’edilizia mi garantì che tra la domanda e la risposta sarebbero passati al massimo 15 giorni.

Poi suddetto assessore scomparve, suppongo con il naufragio della democrazia cristiana, ma le cose non sono per nulla mutate anzi peggiorate!

Abbiamo un Comune di sinistra, che dovrebbe essere particolarmente sensibile ai problemi dei poveri, dispone di 4600 dipendenti, la più grande e la più improduttiva azienda della città, abbiamo il ministro Brunetta, che pur militando dalla parte opposta, ha fatto motivo della sua vita smascherare i fannulloni però niente si muove.

Un tempo l’amministrazione comunale e gli enti pubblici erano forse scettici sulla formula che proponevamo, ora siamo diventati un “fiore all’occhiello!” La facoltà di Economia e Commercio ha commissionato una tesi di laurea su “I centri residenziali per anziani don Vecchi” una soluzione innovativa nei servizi per “le nuove povertà”.

La Regione l’altro ieri ci ha mandato una commissione di un grosso comune che ha in animo di realizzare qualcosa di simile, per visionare “un prototipo all’avanguardia” e sta iniziando ad inquadrare a livello legislativo gli alloggi protetti. Nonostante questo la nostra burocrazia comunale continua a mettere bastoni tra le ruote e a pretendere “percorsi di guerra” impossibili. La gente dice che io sono “battagliero” ora non bastano più le parole credo che si debba auspicare ben altro!

Anche questo è egoismo!

In occasione del convegno della Fao tenutosi a Roma e soprattutto dell’intervento del Sommo Pontefice, con cui ha condannato lo sperpero e l’egoismo come due delle principali cause della fame nel mondo, una rete televisiva mi ha chiesto un’intervista domandando un mio commento sull’intervento del Pontefice.

La ripresa televisiva durò due o tre minuti e ciò che è andato in onda meno che un minuto.

Nel mondo delle immagini c’è poco spazio per i ragionamenti, sono i volti, le persone che diventano esse stesse messaggio se nella loro vita si spendono per una qualche causa.

Mi trovavo perfettamente d’accordo col Papa, non tanto perché Egli è il maestro della fede e della morale per i cristiani, ma perché condivido fino in fondo la sua analisi sui motivi che determinano la fame nel nostro mondo. Però per non annegarmi nel mare magnum delle questioni mondiali, la mia puntualizzazione si fermò a livello cittadino.

A Mestre negli ultimi 40 anni sono stati aperti una serie di ipermercati, che hanno letteralmente strangolato i piccoli commercianti, facendoli chiudere mediante una concorrenza spietata che essi non potevano reggere. Poi, conquistato il mercato, stanno facendo il bello e il cattivo tempo. Fino un paio di anni fa buttavano in discarica i generi alimentari non più commerciabili, poi hanno scoperto che facendo sconti potevano lucrare anche da questa merce che i cittadini più intelligenti e più poveri sono costretti ad acquistare. Pur sapendo che ricavano enormi utili da questo bacino di utenza, neanche si sognano di donare “gli avanzi” ai poveri, ma vogliono lucrare anche dagli avanzi!

Se questo non è egoismo della marca più raffinata non saprei proprio dove cercare l’egoismo?

Il guaio poi è che ormai si è costituito praticamente un cartello per cui non è neppur possibile proporre forme di boicottaggio. Comunque sono certo che la “farina del diavolo” rimarrà prima o poi nel gozzo di questa gente doppiamente asociale perché di certo essa spendacchia in maniera egoistica il frutto della loro “rapina” non conoscendo però la sentenza evangelica “stolto, stanotte morrai!”

Certe fragilità degli uomini di Chiesa che le fanno perdere tempo e credibilità

Ho sempre considerato e fortunatamente considero ancora, la chiesa mia madre!

Quello che di più importante posseggo nel mio cuore e nel mio spirito lo debbo certamente ad essa.

Don Lorenzo Milani, a qualcuno che gli faceva notare quanto gli fosse stata matrigna, ed in realtà dobbiamo ammettere che per lui, ma non solo per lui, fu tale, rispose: “La chiesa mi dona i sacramenti, chi mai mi potrebbe fare un dono simile? La chiesa mi dona Cristo, il suo messaggio, la sua testimonianza; le soluzioni che essa dà circa la vita e la morte, quale organizzazione umana, partito o associazione mi può offrire tanto? La mia riconoscenza, la mia ammirazione e il mio amore per la chiesa non rimangono scalfiti di un millesimo dalla debolezza dei suoi membri o dei suoi capi!”

Lo scotto però alla nostra fragilità umana lo debbono pagare tutti, preti, frati, vescovi, teologi e Papa compreso!

Quindi nulla di strano che anche la chiesa incorra talvolta in qualche corbelleria. Perciò non credo che debba ritenersi una cattiveria il fatto di notare certe debolezze che talvolta appaiono nel comportamento di qualcuno dei suoi membri, pur autorevoli o pur occupanti posti di responsabilità particolare.

Ho pensato a questo, qualche giorno fa, quando un prete fiorentino è stato sospeso “a divinis” (ossia dalla celebrazione dei divini misteri) per il fatto che aveva sposato una coppia in cui la “moglie” un tempo era stata considerata “maschio”, ma che poi, mediante interventi chirurgici, lui stesso, i medici, i psicologici e lo stesso Stato avevano dichiarato essere femmina.

Non credo che un povero parroco sia tenuto a fare accertamenti clinici e psicologici del genere e meno che meno penso che il Vescovo e la sua Curia abbiano “una grazia di Stato” per saperne di più in questo campo, tanto da condannare un povero prete che ha benedetto le nozze di due creature, una delle quali s’è presentato con i pantaloni ed una in gonnella! Andiamo! Quello che è troppo è troppo!

Con tante cose importanti in cui la chiesa dovrebbe occuparsi, mi pare strano che vada a perdere tempo e credibilità in cose del genere!

La mia formula

La redazione augura un sereno Capodanno ai lettori sperando che nessuno si faccia male per festeggiare il 2010!

Un tempo un vecchio parroco, sornione ma arguto quanto mai, disse che io avevo trovato “la gallina dalle uova d’oro” alludendo alla parrocchia, rifiutata un tempo da altri assegnatari, che mi era stata offerta 40 anni fa.

La nomea di aver incontrato comunità ricche economicamente mi ha accompagnato per tutta la vita.

Perfino mio fratello, don Roberto, che mi vuol bene e credo che mi stimi, un giorno facendo il confronto, a livello economico, tra la mia parrocchia e la sua, uscì con un paragone da par suo. Disse che come si trovano docce in cui l’acqua fluisce abbondantemente da tutti i fori, ci sono altre docce più povere d’acqua perchè molti dei forellini sono otturati.

Traducendo l’immagine egli voleva significare che a Carpenedo piovevano dollari, o oggi meglio ancora euro, moneta più apprezzata, mentre a Chirignago si poteva solo sopravvivere a causa dei fori otturati.

Penso che questa fama persista anche se ora ho come unico reddito la pensione del clero, mentre altri beneficiano di pensioni scolastiche o di altro genere di certo più remunerative della mia.

A dire la verità più di una volta ho tentato di insegnare la formula “magica” ai miei confratelli vicini o lontani che lamentavano scarsità di risorse economiche. Forse essa è sembrata troppo semplice come quella del profeta Eliseo quando suggerì a Naon il siro, per guarire dalla lebbra. Taluno pensa che il benessere economico sia imputabile alla fortuna, alle condizioni economiche dei parrocchiani o a qualche stratagemma particolare, mentre le cose stanno ben diversamente.

Ecco il segreto per riuscire: 1) lavorare seriamente da mane a sera e anche dopo sera; 2) vivere in maniera parsimoniosa, rinunciando a viaggi e vacanze esotiche; 3) essere coerenti con ciò che si predica; 4) occuparci prima del prossimo che della canonica, della chiesa e dei suoi arredi, perché la gente riconosce Cristo più nei poveri che nei riti; 5) uscire sempre allo scoperto e servire prima la verità che qualsiasi personaggio pubblico o ecclesiastico; 6) non avere ambizione alcuna di carriera.

Non ho mai tentato di brevettare questa formula pur essendo certo della sua validità, perché vedo che anche al don Vecchi funziona bene come a San Lorenzo e a Carpenedo.

Quindi la cedo gratuitamente a tutti coloro che ne sono interessati!

Il valore perduto dell’apprendistato

Un tempo c’era una massima che circolava tra gli artigiani, ed io appartengo e provengo da questa povera ma bella ed interessante categoria: “Il garzone o l’apprendista bravo ruba con gli occhi il mestiere”

Mio padre, che gestiva una piccola bottega di falegname, mi raccontava che quando, “andava a mestiere”, l’apprendistato un tempo era in auge ora è ormai scomparso, cercava di imparare il mestiere pur essendo incaricato di scaldare la colla, di raddrizzare i chiodi vecchi per poterli riadoperare e scopare la bottega dai trucioli, spiava le soluzioni del capomastro, tanto che pur molto giovane riusciva a risolvere i problemi che anche colleghi più anziani non riuscivano ad affrontare.

Questa riuscita gli veniva dal suo impegno a “rubare” il mestiere al falegname esperto suo maestro d’arte.

Oggi è sparito l’apprendistato perché i giovani “nascono” o pretendono d’essere nati già “imparati”.

Io, alla mia veneranda età, dovrei essere un esperto del mestiere del prete, dopo 55 anni di attività sacerdotale. Talvolta sono stato tentato, avendo ottenuto qualche risultato positivo, di passare le esperienze al giovane clero che mi stava accanto, ma non solamente nessuno mi ha chiesto un qualsiasi consiglio, ma anzi c’è stato perfino chi si è premurato di dirmi che ho sbagliato tutto, che il mio efficentismo non aveva spazio nella chiesa attuale, giungendo perfino a raccomandarmi che avrei dovuto smobilitare tutto l’apparato della mia comunità per standardizzare la parrocchia al modello di inedia e di miseria dominante (queste ultime note ben s’intende sono esclusivamente un mio parere).

Ricordo un progetto, poi mai realizzato, del vecchio Patriarca Luciani, che sperava di imbastire tre o quattro parrocchie efficienti e vitali perchè il giovane clero facesse in esse delle belle esperienze iniziali in maniera tale da impiantarle poi nelle comunità future alle quali sarebbe stato destinato.
Il Papa Luciani poi è morto portando nella tomba il suo progetto.

Spero che ci siano ancora preti coraggiosi e liberi che rimangono tali pur senza seguaci, almeno immediati!

Però penso che la moda, in mondo globalizzato, investe tutti, senza eccezione alcuna.

Il valore degli impegni imprevisti

Non sono mai stato metodico come Cuccia, il vecchissimo e curvo presidente di Mediobanca, l’istituto bancario più prestigioso d’Italia, il quale andava sempre in banca con una precisione cronometrica, comprava sempre lo stesso giornale, alla stessa ora e dallo stesso giornalaio.

Io sono una persona ordinata nel disordine, comunque mi programmo, grosso modo, le mie giornate, anche se esse quasi sempre si rifanno ad incontri, occupazioni abbastanza consuete, però non passa giorno che qualcuno non mi chieda un appuntamento.

Tento sempre di farmi dire per telefono il motivo dell’incontro, sperando di risolverlo telefonicamente, ma spesso non riesco nell’intento.

C’è della gente che pensa che certe cose si debbano discuterle a tu per tu con la presenza fisica ed altri che sperano di ottenere più facilmente quello che desiderano parlando direttamente. E’ vero che è più facile mettere da parte una domanda scritta sulla carta che mettere sotto la pila delle richieste una persona, e che è più facile liquidare una persona per telefono che farlo dopo un regolare appuntamento. Questi appuntamenti però mi scombussolano la giornata e la mia, seppur sommaria, programmazione. Non sono riuscito finora a vivere alla giornata prendendo di buon grado quello che il buon Dio mi manda, fidandomi della sua Provvidenza. Stamattina fortunatamente ho trovato nel testo della mia meditazione una soluzione che mi ha rasserenato e quasi convinto. Ad un impiegato che si lagnava col suo principale per queste interruzioni impreviste che rallentavano la sua produttività, il padrone gli disse: “Ma tu sei pagato anche e soprattutto per questo!”, gli imprevisti facevano parte dell’attività dell’Azienda.

Ho dedotto che anche il buon Dio mi potrebbe dire: “Ti pago proprio per questo, ti do salute, lucidità mentale, tempo, risorse ideali perché tu ti ponga a servizio della `clientela’ della mia Azienda!”

La cosa vista così mi rasserena un po’ perché se è contento Lui, il mio datore di lavoro, colui che mi remunera, perché non lo dovrei essere io?

Benedetta la vecchiaia!

Da quattro anni sono in pensione, ma se non potessi confrontare le date del calendario, 2 ottobre 2005 – 2 ottobre 2009 sono certo che direi che sono in pensione da almeno 40 anni!

Ricordo quel terribile 2 ottobre di quattro anni fa quando, dopo aver celebrato la messa delle 15, mi chiedevo angosciato, cosa avrei fatto fino alle 20?, che era l’ora della cena solitaria.

Oggi tutto è diverso; le giornate sono intense, le ore scorrono veloci e l’appuntamento domenicale con la mia splendida comunità tanto amata e numerosa del camposanto, sembra che si sussegua senza soluzione di tempo, tanto le settimane sembrano ravvicinate.

Il telefono squilla fin troppo spesso e gli impegni si accavallano, anzi talvolta si sovrappongono a causa della mia memoria sempre più precaria.

Faccio veramente una vita che mi piace, vivo tra gente cara e simpatica pur appartenendo a tutte le età e a tutte le etnie del mondo.

“L’incontro” poi mi permette di lanciare messaggi, di essere presente ed attivo nella vita della chiesa e della città, cosa di cui ho frequente riscontro incontrando gente che si riferisce a prese di posizione ed ad interventi civili ed ecclesiali che la mia indole e le mie convinzioni mi “costringono” a fare.

C’è un salmo, che benedice il Signore anche per i ghiacci, le nevicate e perfino per le tempeste, se va avanti così dovrò benedire il Signore anche per la vecchiaia e per i doni che essa comporta!

Uno dei miei “ragazzi”, ora manager affermato, ogni tanto scherza dicendomi: “Don Armando, lei può permettersi di tutto perché alla sua età non è più perseguibile e i carabinieri non la possono portare in galera”!

Così io ne approfitto!