Una lettera che mi ha riportato al “piccolo mondo antico”

Nota della redazione: lettera e risposta di don Armando sono pubblicate nel numero dell’Incontro del 28 febbraio 2010, che -ironia della sorte visto l’argomento-, trovate anche online.

Oggi ho ricevuto una bellissima lettera di una cara signora, che conosco almeno da quarant’anni e che ha generosamente collaborato con me lungo tutto questo tempo.

Ho gradito quanto mai la lettera perchè ricca di sentimento e di simpatia, intelligente ed ordinata.

Ci vediamo poco, ognuno è sempre di corsa e crede di non aver tempo per conversare amabilmente, motivo per cui ella ha sentito il bisogno di mettere per iscritto sentimenti ed amicizia.

La lettera mi è stata particolarmente cara anche perché rappresenta un ricordo di quel “piccolo mondo antico” che ormai è praticamente scomparso e che usava la lettera per costruire e sviluppare amicizia.

Oggi la gente non scrive più, manda messaggini con il telefonino, fa gli auguri a mezzo mondo premendo un tasto del computer, ma tutto è così anonimo e sintetico per cui le parole sembrano pronunciate da un robot o da un merlo parlante che conosce al massimo cinque o sei parole e adopera sempre quelle per i motivi più diversi.

Ogni anno per Natale e Pasqua ero solito attaccare, a festone, sulle porte del mio appartamento biglietti di auguri perché le immagini, i colori e le frasi augurali mi davano una sensazione di festa e mi tenevano compagnia. Quest’anno ero tentato di non farlo più perché avevo la sensazione che i messaggini, che io cancello senza degnarli di uno sguardo, avessero già soppiantato le calde e belle frasi augurali profumate d’affetto e di sentimento.

Mi costava però abolire una tradizione, e quindi ho rifatto ancora una volta i festoni, coprendo quasi tutte le porte; la varietà dei colori e dei disegni è ancora quella di un tempo, ma la stragrande maggioranza sono biglietti inviati da enti pubblici e da aziende che hanno impiegati a disposizione per questo compito.

E’ ben difficile trovare profumo, poesia, affetto in questi cartoncini colorati. Fortunatamente la bella e cara lettera della signora Laura ha mitigato l’anonimato e l’organizzazione delle pubbliche relazioni!

Le feste della vita e della religione stanno morendo di inedia anche per questo nuovo virus virtuale!

“Ricordati delle ultime cose e non perirai”

Stampiamo ogni settimana 4500 copie de “L’incontro”, e semmai ne rimane qualche decina, vengono ritirate e rimesse in circolazione immancabilmente la settimana successiva, quindi abbiamo almeno 4500 lettori. Se poi fosse vero quello che gli esperti del settore affermano, che ogni copia viene letta da quattro cittadini, dovremmo concludere che 18.000 mestrini leggono il nostro settimanale. Veramente un bel numero!

Qual’è l’associazione, il movimento o la parrocchia che ha un pubblico così vasto e fedele?

Il “ritorno” di questa abbondante proposta è però piuttosto scarso; sono relativamente pochi i lettori che ci fanno pervenire il loro parere.
Qualche complimento qualche rara osservazione, ma nulla più!

Qualche giorno fa uno dei miei fratelli, che è un attento e fedele lettore del periodico, mi ha fatto un’osservazione che anche qualche altro, nel passato, mi aveva già fatto trapelare. Osservazione a cui voglio in qualche modo rispondere. Mi diceva Luigi, così si chiama questo piccolo imprenditore della serramentistica: “Il discorso sulla vecchiaia e la morte è perfino troppo ricorrente su L’incontro!”

E’ vero! Ho una qualche giustificazione istituzionale in quanto il periodico è il portavoce dei “Centri don Vecchi” struttura per anziani – della Pastorale del lutto e della chiesa del cimitero e per di più ha come direttore un ottantenne.

Con queste premesse sarebbe un po’ strano che parlasse di giovinezza, di economia, di divertimento per quanto sano!

Quindi chiedo ai lettori di annacquare la dose sull’argomento leggendo un qualcosa di altro, di più allegro.

Ricordo però a tutti la massima ch’era spesso sulle labbra del vecchio Papa Roncalli “Ricordati delle ultime cose e non perirai” e le ultime cose sono, piaccia o non piaccia: morte, giudizio, inferno e paradiso!

Oggi servono meno parole ma che siano chiare!

L’uomo ha sempre parlato, la parola è il mezzo indispensabile per uscire dall’isolamento e comunicare bisogni ed offerte.

Un tempo però l’uomo comunicava con i singoli o a un gruppo ristretto di persone. Anche i grandi comunicatori per quanto dotati di voci stentoree e collocati in posizioni vantaggiose per farsi udire potevano farsi sentire da gruppi relativamente ristretti di uditori.

Da quando Gutemberg ha scoperto la stampa e soprattutto da quando l’uomo ha avuto a disposizione il microfono, la radio, la televisione ed ora anche internet, anche il più umile e modesto dei comunicatori, potenzialmente e senza grandi difficoltà, può comunicare con gli abitanti del mondo intero.

Questa possibilità offerta ad ogni cittadino del mondo è certamente una splendida conquista, purtroppo però c’è sempre il rovescio della medaglia, la parola si è inflazionata, svilita, quasi totalmente svuotata di significato, tanto da diventare una mosca molesta e fastidiosa da scacciare perché importuna.

Ora c’è il grande problema di riempire la parola di contenuti e di autorevolezza.

Oggi c’è il rimpianto e la nostalgia dell’uomo saggio e pensoso, che pur pronunciando poche parole offre messaggi e valori per la vita.

Cristo, non solo c’è riuscito ma si è fatto apprezzare dai suoi cittadini perché “parlava con autorità” e non come gli scribi. Cartesio, il filosofo, ha fatto suo l’insegnamento di Cristo e dei grandi pensatori dell’antichità quando parla delle “Idee chiare e distinte”.

Oggi il problema non è più quello di comunicare, ma quello di riempire la parola di saggezza, di contenuti veri, elaborati con pazienza, nella riflessione e meglio ancora confrontate con la Parola di Dio.

Di natura mia sono parco di parole, e questo è sempre stato un cruccio consistendo la mia missione nel passare il messaggio, ora mi viene da concludere che sia un dono quello che un tempo pensavo fosse una deficienza.

L’eredità che lascerò

Il nostro mondo mi pare che assomigli sempre più ad un rullo compressore, che stritola tutto quello che trova e rende appiattite ed irriconoscibili le persone anche quando sono personaggi notevoli.

Fino ad una ventina di anni fa era nota a tutti la bella e singolare figura di Raoul Follerau, l’apostolo dei lebbrosi.

Questo francese con la faccia rotonda e dalla “farfalla vistosa” al posto della cravatta, quasi sempre in compagnia della moglie, il quale appoggiandosi al bastone da passeggio, girava in lungo e in largo il mondo per portare avanti la sua impegnativa e provvidenziale “guerra” contro la lebbra, quella terribile malattia che fino a poche decine di anni fa imperversava in particolare in Africa, ma anche nell’America del Sud e nei paesi dell’Estremo Oriente.

Raoul Follerau, oltre che ad essere un apostolo, che si è assunto la splendida missione di liberare i lebbrosi del mondo dalla malattia che deforma il loro corpo e li costringe ad una vita penosa ed infelice, era anche un brillante scrittore, una prosa scorrevole era la sua, ma soprattutto usava immagini e pensieri estremamente incisivi.

In questa stagione della mia vita, in cui tutto mi rende frequente il pensiero dell’aldilà, mi è capitato in questi giorni di ricordare un passaggio del testamento ideale di Follerau: “Giovani del mondo vi lascio in eredità i progetti che non sono riuscito a realizzare, le imprese che non ho portato a termine, i miei sogni che sono rimasti solo sogni”.

Riflettendo su questo singolare testamento, mi sono scoperto tanto ricco, una specie di Rockefeller che possiede un immenso patrimonio del genere di questo apostolo, che in realtà ha realizzato dei progetti veramente colossali.

Credo che ogni uomo che ama il mondo, nonostante il suo impegno, si rende conto che, sono sempre infinite le cose che rimangono da fare e che comunque lasciamo incompiute.

Va a finire che prima o poi dovrò andare da un notaio per lasciare in eredità alla chiesa di Venezia, ai suoi sacerdoti e alle tantissime persone che ho conosciuto, questo immenso patrimonio di sogni e di progetti che mi appassionano dei quali sono riuscito a realizzare solamente una piccola parte.

La mia umile ricetta per vivere bene gli 80 anni

La gente si sorprende quando dico con tutta tranquillità che tra un paio di mesi compio 81 anni.

La gente è spesso buona e soprattutto vivo tra persone che mi vogliono bene e perciò immagino facciano finta di complimentarsi per la decisione con cui tento di andare avanti, questo fa onore a loro e bene a me!

Io mi ritrovo quasi nella stagione in cui si domanda alle persone anziane la ricetta per la presunta vitalità e il segreto per aver raggiunto tale meta.

Io certamente non mi metto a dispensare ricette perché comincerei a compatirmi, a ridere di me stesso!

Posso però affermare e credo di non scoprire l’acqua fredda, che l’impegnarsi, il continuare a sognare, a lavorare fisicamente ed intellettualmente costituisce di certo un aiuto anche se non elimina tutti gli acciacchi della mente e del corpo perchè essi continuano a crescere pian piano e in maniera inesorabile. La seconda confidenza che mi sento di fare e che aiuta molto è il fatto di accettare i miei limiti, la mia età, di scegliere di impegnarmi totalmente finchè si riesce e di sfruttare principalmente quei settori in cui riesco a far qualcosa. Da ultimo, ed è una cosa che ho imparato solamente qualche settimana fa, è quella di cercar di godere delle cose che ancora si riesce a cogliere, piuttosto di crucciarmi di ciò che ormai non è più alla mia portata. Io credo di non essere ancora pronto per “partire”, penso che farei molta fatica ad accettare stoicamente ed in maniera imperturbabile se mi dicessero che la partenza è fissata fra qualche settimana o fra qualche mese, pur sapendo che attualmente il buon Dio sta mandando la “cartolina di precetto” alle classi vicine al 1929, la classe a cui appartengo.

Comunque mi distrae, mi fa passare serenamente il tempo il preparare settimanalmente “L’incontro” ogni 15 giorni il “Coraggio”, ogni mese “Il sole sul nuovo giorno”. L’impegnarmi per abbellire la chiesa della Madonna della Consolazione e soprattutto far crescere la comunità che si riunisce settimanalmente per la lode al Signore, realizzare il don Vecchi di Campalto e tutto quello che va dietro a questa avventura che credo sia ancora alla mia portata.

Non mi illudo per nulla, né mi turbo quando la stampa cittadina mi descrive come un prete vulcanico, solo io conosco bene i miei limiti, i miei acciacchi e le mie paure. Comunque vorrei impegnarmi, finchè posso, a spendere bene e generosamente il mio tempo e le mie risorse!

L’inimitabile pazienza e bontà del Signore!

Quant’è difficile fare i capi, coordinare le attività dei dipendenti e peggio ancora di collaboratori, far capire che gli interessi dell’insieme “dell’azienda” sono tali che talvolta bisogna sacrificare quelli di qualche settore specifico, far comprendere che solo chi sta al vertice è in grado di vedere qual’è in sostanza il bene globale.

Io “dirigo” un'”azienda” molto piccola, ma nonostante ciò molte volte soffro per le incomprensioni, perché ognuno mi tira la tonaca e vorrebbe che comprendessi i problemi del settore specifico e ne favorissi la realizzazione, mentre dal gradino un po’ più in alto in cui sono costretto a stare, so che anche un lieve spostamento finirebbe per mettere in crisi un altro settore che è pur importante per il bene del tutto.

Molte volte trovandomi in queste angustie mi è venuto da pensare che i politici se non altro meritano una certa stima ed una certa considerazione perché riescono a raccordare le istanze e gli interessi così divergenti dei cittadini e soprattutto dei loro elettori.

Talvolta mi sono spinto anche oltre sembrandomi di scoprire un’altra prova per dimostrare l’esistenza di Dio, prova da aggiungersi alle famose cinque di S. Tommaso d’Aquino.

Solamente l’intelligenza di Dio riesce a raccordare tutte le telefonate, i fax, le e-mail, le raccomandate, i telegrammi e le preghiere così contrastanti che giungono ogni momento in cielo.

Chi mai, che non fosse Dio, potrebbe raccordare domande così appassionate, ma contrapposte che gli uomini fanno giungere ogni giorno al Padreterno. Il buon Dio non stronca mai le speranze, permette sempre ad ognuno di avere una qualche possibilità d’essere accontentato,e soprattutto persegue in maniera saggia, buona e giusta le esigenze di tutti e nel contempo di ognuno.
Pazienza e bontà del Signore!

Io per esempio, pur comprendendo che ognuno deve guadagnare e fare i suoi interessi, coprirei di sonore e sacrosante legnate i responsabili di quelle lobby internazionali che hanno terrorizzato il mondo con la paura diffusa ad arte di una pandemia letale, chiamata influenza suina, facendo spendere miliardi e miliardi per vaccini che ora ingombrano i magazzini di mezzo mondo e che i furbi di turno propongono di vendere agli stati più poveri e meno progrediti.

Poi penso anch’io di aver fatto richieste insensate, interessate, poco sagge e soprattutto egoiste e allora capisco che è bene che lasci che il Signore faccia il suo mestiere perchè è l’unico che lo sa fare bene e a vantaggio proprio di tutti e di ognuno!

“Cosa volete che io sia”

Il professor Giovanni Rama, l’illustre oculista che ha reso famoso l’ospedale di Mestre per il trapianto delle cornee e che ha grandemente contribuito per la promozione della legge per rendere possibili e più facili i trapianti e che iniziò quello splendido servizio di dedicare le ferie per operare in un ospedale all’interno del Kenya il quale non avrebbe mai potuto permettersi specialisti di primo piano e che infine ideò il grande progetto della Banca degli occhi che oggi è una felice “realtà”, mi ha sempre onorato del suo affetto e della sua amicizia.

Un giorno, in una delle tante conversazioni, che avvenivano nel suo studiolo, parlandomi della sua professione mi confessava che un medico serio dovrebbe fare il monaco, perchè la professione del medico è talmente assorbente che non lascerebbe spazio ad altri impegni.

Mi rimase sempre impressa questa affermazione di un uomo dedito seriamente al servizio della salute dell’umanità. Questo concetto è da secoli e secoli attuato da uomini e donne che hanno intuito che l’impegno per certi servizi, non lascia spazio ad altri interessi per quanto conformi alla natura e pur nobili ed alti.

Come capisco allora le ragazze che rinunciano all’amore di un uomo per poter amare tutti, i missionari che rinunciano ad ogni legame familiare per poter essere totalmente disponibili, come pure capisco lo sforzo titanico della chiesa nel voler mantenere il celibato dei preti. Se un prete vuole davvero dedicarsi a Dio e agli uomini non ha il tempo e possibilità di seguire le esigenze pur legittime di una donna e di una famiglia.

Se però un uomo sceglie di fare il prete ad ore o come un semplice mestiere allora non solo può occuparsi di una famiglia, ma anche di affari e di altro ancora!

Spesso mi viene in mente la confidenza del prof. Rama soprattutto quando al don Vecchi i residenti mi considerano prete quando pretendono avalli i loro interessi e perciò io diventi distaccato, comprensivo, accomodante e responsabile della struttura quando per un altro verso interessa loro la funzionalità e l’efficienza della struttura.

Io mi sento spessissimo in una situazione ambigua dalla quale non mi è possibile uscire. Se faccio il prete non dovrei interessarmi di nulla di quanto riguarda l’economia, la funzionalità, l’efficienza. Se invece faccio l’imprenditore tutte le qualità e i requisiti del sacerdote non mi sono che di imbarazzo e di impaccio per una sempre più completa razionalità ed efficienza amministrativa e sociale.

Probabilmente anche il prof. Rama portò fino alla fine l’ambiguità delle due funzioni che alla fin fine si danneggiano reciprocamente.

Credo che anche per quello che mi riguarda dovrò portare fino alla fine il peso ed il disagio di doveri e funzioni che sono alla fin fine contrastanti.

I “bond del paradiso”

Veramente non è la prima volta che mi sia capitato di trovarmi coinvolto in una avventura mediatica quale quella che sto vivendo da qualche giorno.

Dopo essermi scervellato per trovare una soluzione per la copertura finanziaria del costruendo don Vecchi di Campalto, mi è parso di comprendere che, se io avessi messo in vendita dei certificati di parziale proprietà, anche se a livello sostanzialmente simbolico del don Vecchi di Campalto, facendo sottoscrivere azioni della Fondazione che lo gestirà, molto probabilmente avrei ottenuto qualche risultato, sempre che fossero quote a prezzo accessibile.

Fissai il costo in 50 euro. Poi mi feci stampare dai miei collaboratori un certificato di forma un po’ spagnolesca, che si rifà ai certificati di credito delle poste italiane di una volta che avevo visto per caso.

Lanciai l’iniziativa finanziaria dalle colonne de “L’incontro”.

La cosa ebbe immediato successo, dato anche delle numerose spintarelle che io non ho cessato di darle.

Ad esempio quando uno mi faceva un’offerta di 50 euro o un suo multiplo, stampavo il nome come se mi avesse chiesto un’azione. Mi sentii legittimato a farlo avendo dichiarato pubblicamente che tutto quello che ricevevo l’avrei messo sul conto del don Vecchi quater.

Compresi però ben presto che il bacino de “L’incontro” era troppo piccolo per avere un risultato adeguato al bisogno. Allora preparai una documentazione abbondante con elementi che interessano i mass-media e la spedii agli amici de “Il Gazzettino”, della “Nuova Venezia”, di “Gente Veneta” del “Corriere della Sera” e di “Rai Tre”.

Il primo che ha risposto è stato il “Corriere del Veneto” con un articolo di Alberto Zorzi dal titolo così stuzzicante che ha fatto il “miracolo”. Una vecchiaia tranquilla con i “Bond del Paradiso”.

Probabilmente il titolista dell’articolo tradusse la parola “azione” con quella più moderna e corrente di “Bond” e la congiunse al “paradiso”, Io infatti a scanso di equivoci mi sono garantito da possibili richieste di risarcimento col dire che le azioni erano esigibili solamente al momento del giudizio finale che tutti sanno segue la morte.

E’ nato subito un putiferio; ha telefonato l’Ansa, Antenna Veneta, Rai Tre, un’agenzia milanese e tutti i quotidiani cittadini.

Non credo d’aver scoperto ed essermi appropriato dell’oro dell'”Eldorado” comunque il “lancio” ha rimesso in moto tutta l’operazione.
Così va la vita!

La predica non è cosa semplice

Quando ero a Carpenedo, per i motivi più diversi, capitava che venisse a celebrare qualche sacerdote di Mestre o di qualche altra città, così avevo modo di ascoltare, tanto volentieri, le prediche che tenevano nelle varie occasioni. Talvolta mi è capitato di incontrare dei sacerdoti veramente bravi che rendevano il messaggio evangelico di una grande attualità e quanto mai convincente.

Più spesso però ero deluso da certi sermoni, pieni di luoghi comuni, di idee fuori corso, di pensieri per nulla incisivi ed appartenenti ad un repertorio ecclesiastico scontato e per nulla appetibile per chi desidera dalla Parola di Dio un qualcosa di stimolante che apra la mente e il cuore con l’impatto, con “la buona notizia”.

Comunque l’ascolto delle riflessioni della parola, di sacerdoti diversi in ogni caso mi offriva un contributo; in positivo quando il discorso, pur semplice, era convincente, fresco ed incisivo, ma egualmente utile quando la predica era deludente perché mi metteva in guardia su ciò che dovevo non dovevo dire.

Il confronto mi era sempre di grande utilità. Ora mi trovo sempre solo con me stesso, mi manca la possibilità di verifica e perciò gli unici indici di valutazione sono per me le reazioni dei fedeli, ma essi sono da secoli abituati a non reagire, ad ascoltare magari senza partecipare per nulla. É la mia coscienza? Però neanche questo è un indice sempre valido.
Io non appena avverto di non ingranare e di ripetere i concetti mi scoraggio immediatamente e debbo concludere il più rapidamente possibile!

Per me la predica è sempre stata un cruccio infinito, non tanto per non far brutta figura, ma soprattutto perchè sono convinto che il messaggio di Dio è troppo importante e troppo necessario per l’uomo perché esso non sia presentato in maniera intelligente, elegante ed adeguato alla sensibilità e alle attese dell’uomo d’oggi.

Un tempo avevo un amico sacerdote che si autoconvinse di non essere all’altezza di fare una buona predica e perciò da quel giorno si rifiutò in maniera assoluta di predicare.

Io non so se a più di 80 anni sia opportuno o no commentare il Vangelo?
Non sarebbe male una verifica da parte di competenti, come si fa con la patente di guida e il permesso semmai di continuare dovrebbe essere sempre di più breve durata.

Troppa comprensione non fa davvero bene ai più giovani

Qualche giorno fa ho celebrato un funerale nella nuova chiesa del cimitero. Non c’era come al solito tanta gente, forse più o meno una trentina di persone. La defunta aveva più di 95 anni e gli ultimi sette li aveva trascorsi in casa di riposo.

Con la vita anonima, in cui ormai è scomparso il senso comunitario e la partecipazione agli eventi che toccano anche i vicini di casa, rientra purtroppo nella norma il fatto che ci sia sempre meno gente al commiato degli anziani.

Non appena diedi un tocco al campanello, che annuncia la celebrazione, mi accorsi di una mamma che teneva in braccio un bimbetto di due o tre anni che già frignava. Per prima cosa feci il proposito di non intervenire per nessuna ragione perché so che avrei avuto la disapprovazione di tutti, poi sperai inutilmente che la mamma si accorgesse del grave disturbo che recava alla celebrazione. Si spostò di posto, andò in fondo alla chiesa, gli sussurrò mille cose, svuotò la borsetta di tutto l’armamentario che le donne portano solitamente ed inutilmente con sé, tutto fu inutile il bimbo continuò a smaniare e piagnucolare fino alla fine. Mentre con grande sofferenza continuai a predicare e recitare le sacre formule, il mio animo andò a Taizè in Francia, quando, nei tempi lontani, vidi i monaci, con le loro lunghe tonache bianche, uscire per i vesperi, accompagnati da alcuni bambinelli di tre o quattro anni, che si sedettero composti e rimasero tali per il lungo tempo impegnato dai monaci nel canto dei vesperi.

I bambini francesi sono forse più quieti? No di certo! Quei bimbi sono stati educati in maniera diversa. Le nostre mammette sono tutto fuorché delle educatrici; permettono tutto, avallano tutto, non si oppongono a niente. Poi la gente si domanda da dove escano i bulli, i No Globals, i disobbedienti?

Ricordo che un tempo la responsabile del Sert di Mestre mi riferì di una indagine sul come incideva il tipo di educazione sui tossicodipendenti. Il 95% dei ragazzi che si drogano provengono da una educazione permissiva e solo il 5% da una educazione ferma e precisa.

Finché genitori, insegnanti, preti, amministratori, polizia e giudici continueranno a tollerare ogni trasgressione ad ogni età nella nostra terra non cresceranno uomini, ma selvaggi! Checché ne possano pensare gli psicologi e i psichiatri o la sinistra!

Gli acciacchi dell’Angelo

Il nuovo ospedale dell’Angelo mi è diventato un ambiente caro per molti motivi; perché spesso ne ho bisogno per i miei acciacchi, perché infermieri, medici e primari, sono sempre stati eccezionalmente premurosi e gentili nei miei riguardi, perché la struttura mi piace quanto mai, sia dal punto di vista funzionale che da quello estetico, infine e soprattutto perché il mondo della sofferenza credo debba meritare la più viva attenzione e disponibilità. Motivo per cui mi è causa di sofferenza quando leggo che i migliori medici se ne vanno, quando apprendo dalla stampa e da qualche confidenza che per motivi finanziari l’ospedale è in arretrato come strumentazione scientifica e perciò i medici sono costretti ad operare con strumenti tecnicamente superati mentre in città vicine non si bada a spese per avere una sanità all’avanguardia, soffro quando ho la sensazione che i vari comparti si muovano in maniera autonoma, non coordinandosi l’un con l’altro.

La mia preoccupazione diventa ancor maggiore quando tutto questo avviene nel settore dell’assistenza religiosa.

Il mio apporto attualmente avviene attraverso una serie di contributi a livello giornalistico. Due volte la settimana rifornisco, sempre a titolo gratuito, un espositore allestito, a questo scopo, e gli spazi della galleria d’attesa con 700-800 copie de “L’incontro”, ogni 15 giorni con altrettante copie di “Coraggio”, ogni mese con un centinaio di copie de “Il sole sul nuovo giorno” e sempre porto numerosissime copie di un opuscolo di preghiere e di un volume sulla elaborazione del lutto.

Credo che la catechesi e il messaggio cristiano passino all’Angelo soprattutto mediante questi veicoli, ma il tutto avviene in maniera solitaria, senza alcun coordinamento, senza strategia pastorale di sorta, mentre, a mio modesto parere, forse questo strumento è pressoché quasi l’unico a fare un discorso cristiano articolato e serio.

Talvolta ho la strana preoccupazione di essere quasi come il giapponese che non essendo stato informato che la guerra era finita, continuava ad essere un combattente solitario, ignaro che l’impegno cristiano forte e generoso è ormai terminato!

Un esempio che ogni mestrino dovrebbe seguire!

Io sono sempre stato esigente con me stesso e purtroppo lo sono anche con gli altri. Non riesco né a comprendere, né a tollerare che dei sessantenni – o perché sono andati presto a lavorare, o perché sono stati occupati presso enti statali o parastatali, o perché hanno avuto, per motivi diversi, degli abbuoni – se ne vadano in pensione e vivano il resto della vita oziando, trascinandosi da una sedia all’altra o da una passeggiata alla visita ad un ipermercato.

Nella vita ognuno deve dare il suo contributo sempre, viva vent’anni o ne viva cento, e questo indipendentemente dalla pensione “legale”. Ognuno mangia, respira, cammina per strada, beneficia del lavoro degli altri, e perciò è giusto che ricambi, occupando il suo tempo ed impegnando le sue capacità a favore del suo prossimo. San Paolo, a questo proposito, è perentorio: “Chi non lavora non mangi!”

C’è un lavoro retribuito con lo stipendio, e c’è pure un lavoro che deve accontentarsi della riconoscenza o del benessere del suo prossimo. Preferisco infinitamente chi lavora in nero – dicano pure quello che vogliono sindacati o politici – a chi perde il tempo facendo nulla.

L’altra domenica indicai alla ammirazione dell’assemblea che gremiva letteralmente la nuova chiesa del cimitero, il signor Nino Brunello che, a novantadue anni, ogni domenica si presenta puntuale col suo amato violino, quel violino che lui ha suonato per la sua intera lunga vita, per accompagnare il canto del gruppetto di anziani del Don Vecchi che aiutano l’assemblea a lodare il Signore col canto.

Quella mattina il vecchio violinista, che aveva suonato con altri orchestrali fino a mezzanotte all’hotel Gritti di Venezia, alle dieci s’era presentato, sereno e sorridente, a compiere gratuitamente e con entusiasmo, il suo servizio all’altare. Sentii il bisogno di indicare all’ ammirazione dell’assemblea questa bella testimonianza di fede e di laboriosità. Tutti gli batterono le mani.

Quanto sarei felice che ogni mestrino meritasse l’applauso dei suoi concittadini per il dono del proprio tempo e delle proprie capacità.

La predica, percorso non sempre facile!

Qualche tempo fa ho scoperto, in uno dei tanti periodici che mi arrivano, un vademecum per le prediche domenicali: la regola dei tre “C” per avere un esito positivo.

La predica deve essere:

1) corta;
2) chiara;
3) convincente.

Io da sempre ho abbracciato questa dottrina, però calare questa norma dalla teoria alla pratica non è di certo la cosa più facile di questo mondo.

Quando la pagina del Vangelo da commentare riassume o è in linea con i convincimenti più profondi della mia coscienza, allora riesco abbastanza serenamente ad affrontare l’argomento. Quando però m’imbatto in certe pagine di san Giovanni, che volano alto e che si rifanno ad un misticismo che mi è estraneo, allora son guai! Per quanto rifletta, preghi o cerchi di documentarmi, annaspo tra mille difficoltà.

Per me il sermone domenicale deve avere un carattere cherimnatico, ossia deve essere un messaggio deciso, convincente, che indica una meta condivisibile a cui tendere, mettendo in moto contemporaneamente la ragione ed il cuore.

A volte mi pare di colpire nel segno quando sento l’assemblea partecipe, attenta, silenziosa, ma se non ho questa sensazione, allora mi pare di girare a vuoto, mi sento perduto e non mi resta che offrire al Signore il mio “fiasco” o l’occasione perduta di fare un po’ di bene, terminando al più presto il sermone.

Mi hanno riferito che monsignor Crociata, che deve essere un pezzo grosso del Vaticano, recentemente ha affermato che è ora che i preti la finiscano con certa paccottiglia di oratoria religiosa, inconcludente, ripetitiva e desolante. Io sono d’accordissimo, però credo che chi sceglie i brani del Vangelo da commentare dovrebbe pur tener conto che non tutti i preti sono Lacordaire o Bossuet, e quindi dovrebbe aiutarci a proporre il Vangelo nella sua integrità, senza però scegliere pagine che di loro natura sono mille miglia lontane dalla nostra cultura e dalla nostra sensibilità.

Quale che sia il nuovo sindaco, spero si occupi del bene della città!

Nota: questa riflessione di don Armando è precedente alle primarie del Partito Democratico che hanno sancito la candidatura di Giorgio Orsoni.

Pur controvoglia, a motivo del formato tabloid dell’attuale Gazzettino, che mi è cordialmente antipatico ed indisponente, sto seguendo le manfrine dei vari aspiranti a sindaco di Venezia. Per il centrodestra, da quel che ho capito, pare che ci sia in campo solamente il ministro Brunetta, piccolo, arrogante, saccente, indisponente e laico!

Io dovrei essere contento perché una decina di anni fa, in una occasione come questa, mi mandò a chiamare per propormi l’assessorato alla sicurezza sociale. Non avrei potuto accettare, comunque Brunetta perse le elezioni, motivo per cui non ebbi neppure l’imbarazzo di un diniego per “incompatibilità di ministeri”.

Qualche tempo fa gli scrissi perché pensavo che potesse darmi una mano. Non ebbi neppure un cenno di risposta. Ho pensato che a motivo del rigore e del risparmio avesse abolito la segreteria e perciò, dovendo fare tutto da solo, non avesse proprio il tempo per rispondere ai suoi concittadini. Comunque ho l’impressione che ora, che vuole cambiare la Costituzione e fondare la Terza Repubblica, non abbia proprio voglia di annegarsi a Venezia visto che l’acqua sale fino ad un metro e cinquanta!

Nel centrosinistra sento parlare di Orsoni, il quale ha dichiarato che io l’ho preparato alla prima comunione quando ero a San Lorenzo. Se Orsoni diventerà sindaco, dovrei essere in una botte di ferro perché ho sempre insegnato a tutti i miei ragazzi che la solidarietà è il cuore, l’anima e la vita del cristiano.

Poi la stampa parla di Bettin e della Fincato. Con Bettin, eccetto che per il discorso dei centri sociali, che lui ritiene il danno minore non chiuderli, mentre io ci metterei sopra la più grossa pietra tombale, per tutto il resto ritengo che egli sarebbe una delle garanzie più sicure per quello che riguarda lo stato sociale e l’attenzione alla povera gente e questo è quanto di meglio mi aspetto dal nostro sindaco.

La signora Fincato la conosco da poco, ma credo che essendo un persona intelligente e cortese, con lei dovrebbe essere facile intendersi. A lei debbo la chiesa del cimitero.

Ora sto pregando che, qualsiasi sia il nuovo sindaco, metta in atto progetti di rinnovamento senza lasciarsi avviluppare da condizionamenti di sorta, ma puntando ad ogni costo al bene della città.

Abbagliante, Divina Provvidenza che testimonia il grande passo di un giovane

Già qualche settimana fa ho sentito il bisogno di fissare sulla carta un incontro particolarmente significativo che ho fatto al termine della messa celebrata in cimitero. Si trattava di uno di quegli incontri che fanno più bene degli esercizi spirituali di sant’Ignazio, che durano un mese intero in meditazioni, verifiche, silenzio e preghiera.

Un giovane mi domandava i riferimenti bancari perché aveva deciso di fare una donazione al Don Vecchi per la nuova struttura che sogniamo di aprire a Campalto, volendosi egli spogliare di una ricchezza inutile.

Non li ricordavo, perché ora che abbiamo adottato la prassi europea, per versare anche quattro soldi occorre ricordare mezza pagina di numeri e di sigle. L’Europa forse ci ha caricati di tutta la pignoleria della burocrazia francese e soprattutto tedesca. Forse i tedeschi si sono abituati al “chiodo” da secoli; io, che amo la “finanza creativa” e la vita senza legami, sento sempre più spesso il bisogno di mandare a quel paese questa pignoleria europea.

Il giovane mi fece capire che la sua decisione non nasceva da un colpo di filantropia, ma derivava da una scelta lucida di disfarsi di ciò che appesantisce la vita per “cantare la gloria di Dio, come gli uccelli dell’aria e i gigli del campo”.

Passarono alcune settimane e non successe nulla, pensai che a questo mondo si incontrano spesso persone strane, sennonché, qualche giorno fa, il mio “direttore”, che frequenta la banca come io faccio la visitina al Santissimo, mi ha riferito che erano stati accreditati sul conto corrente della Fondazione ben settantacinquemila euro da una persona che chiedeva l’anonimato.

Capii immediatamente chi aveva donato quei centocinquanta milioni! Dentro la mia coscienza s’accesero immediatamente due fari. Il primo mi fece capire che grazia e che fortuna sia constatare che a questo mondo ci sono ancora giovani che si giocano la vita sulla proposta di Cristo; averne incontrato anche soltanto uno è per me come aver incontrato Giovanni Battista, Elia o san Paolo! Il secondo faro, che mi ha abbagliato gli occhi, m’ha fatto vedere il volto della Divina Provvidenza. E per me, uomo di poca fede, questo è un miracolo super!