La predica, percorso non sempre facile!

Qualche tempo fa ho scoperto, in uno dei tanti periodici che mi arrivano, un vademecum per le prediche domenicali: la regola dei tre “C” per avere un esito positivo.

La predica deve essere:

1) corta;
2) chiara;
3) convincente.

Io da sempre ho abbracciato questa dottrina, però calare questa norma dalla teoria alla pratica non è di certo la cosa più facile di questo mondo.

Quando la pagina del Vangelo da commentare riassume o è in linea con i convincimenti più profondi della mia coscienza, allora riesco abbastanza serenamente ad affrontare l’argomento. Quando però m’imbatto in certe pagine di san Giovanni, che volano alto e che si rifanno ad un misticismo che mi è estraneo, allora son guai! Per quanto rifletta, preghi o cerchi di documentarmi, annaspo tra mille difficoltà.

Per me il sermone domenicale deve avere un carattere cherimnatico, ossia deve essere un messaggio deciso, convincente, che indica una meta condivisibile a cui tendere, mettendo in moto contemporaneamente la ragione ed il cuore.

A volte mi pare di colpire nel segno quando sento l’assemblea partecipe, attenta, silenziosa, ma se non ho questa sensazione, allora mi pare di girare a vuoto, mi sento perduto e non mi resta che offrire al Signore il mio “fiasco” o l’occasione perduta di fare un po’ di bene, terminando al più presto il sermone.

Mi hanno riferito che monsignor Crociata, che deve essere un pezzo grosso del Vaticano, recentemente ha affermato che è ora che i preti la finiscano con certa paccottiglia di oratoria religiosa, inconcludente, ripetitiva e desolante. Io sono d’accordissimo, però credo che chi sceglie i brani del Vangelo da commentare dovrebbe pur tener conto che non tutti i preti sono Lacordaire o Bossuet, e quindi dovrebbe aiutarci a proporre il Vangelo nella sua integrità, senza però scegliere pagine che di loro natura sono mille miglia lontane dalla nostra cultura e dalla nostra sensibilità.

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