Al Patriarca

Il Patriarca mi ha mandato gli auguri per Natale. Penso che li abbia mandati a tutti i preti, i frati e le suore della diocesi, un paio di migliaia di collaboratori, più o meno vicini.

Quest’anno il cartoncino era un po’ più sobrio che non nel passato, probabilmente il Patriarca ha tenuto conto della crisi e del grosso impegno finanziario per il restauro del seminario; tirar fuori una università di carattere internazionale dalla vecchia bicocca che mi ha ospitato per i dodici anni di seminario, deve essere un’impresa veramente colossale!

Ogni tanto tento di immaginarmi i cameroni da cento letti, o le cellette con le inferriate alla finestra, quando alla sera alle 21 passava il “prefetto” e chiudeva a chiave la porta dall’esterno ed un quarto d’ora dopo toglieva la luce. Faccio fatica a pensare come riusciranno a farne delle stanze con bagno e tutti i conforts.

Ma torniamo agli auguri; li ho graditi alquanto, anche se immagino siano fatti in serie perché so che il Patriarca dispone di una numerosa ed efficiente segreteria. Ho tentato di vedere se la firma era autografa o stampata in tipografia. Non sono riuscito a scoprirlo, ma già il fatto che abbia voluto mandarci gli auguri con le parole di un santo Padre della Chiesa, m’è motivo di conforto e di gradimento.

Il Patriarca è molto più giovane di me, ma ha anche tanti e tanti impegni più di me. Spesso lo penso gravato di responsabilità, grane di ogni genere e vorrei poterlo aiutare. Per questo motivo quest’anno gli ho risposto con una lettera per assicurargli che, se anche non vado agli incontri organizzati dalla Curia, mi sento partecipe della vita della Diocesi che egli governa e che sta impegnando ogni forza residua ed ogni minuto per il Regno.

Spero che la segreteria gli abbia riferito che, se anche vecchio, scontroso, protestatario, mi sento partecipe e corresponsabile della missione della Chiesa di Venezia nei riguardi del Popolo di Dio e che perciò il mio Patriarca può contare sulla vecchia guardia alla quale appartengo da un pezzo.

Il Gazzettino formato tabloid non è più il “mio” Gazzettino…

Quando di primo mattino aprivo Il Gazzettino, che suor Teresa mi porta prima della colazione, mi sembrava di spalancare la mia finestra sul mondo e in particolare sulla mia città, e scoprirla ogni giorno uguale e diversa.

L’ho confessato varie volte, io sono abbastanza abitudinario: mi alzo alle 5,30, mi rifaccio il letto, dico il breviario e alle 7 faccio un po’ di colazione; uno yogurt e una tazzina di caffelatte, mentre normalmente sfoglio Il Gazzettino, che suor Teresa con gentilezza e spirito di sacrificio, acquista dal giornalaio di viale don Sturzo; dedico alla lettura 15-20 minuti, cinque per le notizie nazionali e dieci per Mestre e Venezia, alle 7,25 parto per il mio “lavoro”: apertura e riordino della “cattedrale” e della succursale, la vecchia ed amata cappella alla quale ho dedicato quarant’anni della mia vita.

Leggo Il Gazzettino fin da bambino. Ad Eraclea, mio paese nativo, una volta non arrivava che questo periodico. Il Gazzettino rappresentava una realtà amica e familiare; quei gran paginoni, quegli articoli magari di poco conto, ma a cinque-sei colonne! Tutto quello che accadeva a Mestre, Venezia, diventava interessante.

Ora è arrivato, per volontà di non so chi, il formato tabloid; ogni volta che prendo in mano la vecchia testata di Talamini, mi pare di incontrare un estraneo che si è introdotto furtivamente a casa mia, mi sembra uno sconosciuto con un cappottino troppo stretto, che parla a monosillabi, che riduce ogni evento a fatto banale e scontato, neppure degno di uno sguardo, seppur superficiale.

In questo ultimo tempo mi son chiesto inutilmente “Ma perché non hanno aspettato ancora un po’ per cambiare, non hanno pensato che a noi vecchi hanno rubato un altro pezzo del nostro “piccolo mondo antico?”

La vecchiaia è anche questo: sentirsi più soli perché i tuoi “amici” ad uno ad uno se ne sono andati. Ora è morto perfino il vecchio Gazzettino!

In ricordo di Ibleto Gori

I miei rapporti con Ibleto Gori risalgono ormai a molti anni fa. Ibleto era uno dei 6000 parrocchiani che ho visitato ogni anno per almeno 35 anni di seguito. La porta di casa sua, che inizialmente si era aperta cigolando con tanta diffidenza, di anno in anno andò ad aprirsi con sempre maggior cordialità.

Fin da principio Ibleto, romagnolo purosangue, di nome e di pensiero, mi disse che accettava la visita e la benedizione solamente per rispetto a sua moglie che era credente.

La moglie, sfortunatamente, morì ed Ibleto continuò a ricevermi in casa e a volere la benedizione in ricordo e per affetto della sua moglie credente. Di fatto diventammo amici cari, egli arrivò perfino ad invitarmi a pranzare con lui preparandomi il famoso piatto veneziano “risi e bisi”.

Ibleto era capo operaio, capace, coerente e non ammetteva per nessun motivo il poco impegno sul lavoro.

Il destino purtroppo s’accanì nei suoi riguardi, colpendolo con un tumore alla bocca. Affrontò il male con stoico coraggio, non permettendosi mai un lamento.

Al tempo della malattia della moglie m’aveva supplicato che ottenessi per lei una tomba vicino alla mia chiesa del cimitero, cosa che purtroppo non era in mio potere. Ammalatosi, chiese lo stesso favore anche per lui e fortuna volle che fosse accontentato dalla sorte. Alla fine del porticato, dalla parte destra, addossato alla mura, c’era, fino a qualche giorno fa, la sua tomba, col marmo inclinato e la scritta: “Non desidero né fiori né preci”. Credo però che si trattasse pressappoco di una storia come quella della benedizione della casa ed io perciò, passandogli davanti cento volte al giorno, mi fermavo per un “requiem”, poi guardavo la sua foto e sempre mi sembrava che mi sorridesse sornione e commosso, senza però mancare ai suoi principi, forse di ravennate repubblicano e mangiapreti.

Qualche giorno fa hanno esumato la salma e portato via la lapide. Mi ha addolorato la perdita di un certo rapporto visivo con questo caro amico “lontano”, ma di certo, passando per via Montegrotto ove abitava, o nel vialetto ove Ibleto ha riposato per quindici anni, non mancherò di pensarlo con affetto ed ammirazione e di continuare a chiedere al Signore di riservarmi un posto accanto a questo “ateo” sui generis!

Un dono quantomai gradito

Una carissima signora, a cui voglio molto bene, anche se è sempre esagerata nelle espressioni d’affetto e di ammirazione nei miei riguardi, quest’anno m’ha regalato l’ultimo volume di Vittorino Andreoli, “Preti”, viaggio fra gli uomini del sacro. Questa signora mi ha lasciato in chiesa il grosso volume con una dedica “esagerata”, come è il suo modo di mostrarmi affetto e riconoscienza per l’orizzonte bello ed infinito che ho tentato di indicarle: “Ad un gran prete auguro un grande 2010. Con affetto”.

Probabilmente, se avesse scritto “Ad un vecchio prete” sarebbe stata più nel giusto, ma siccome lei è fatta così, io così com’è le voglio bene. Monsignor Vecchi m’ha insegnato che dobbiamo voler bene alle persone come sono, perché se pretendessimo di voler bene solamente a quelle che rientrano nei nostri cliché, finiremmo per non voler bene a nessuno.

Ma non è di questo che voglio parlare, anche se ribadisco che io tento e voglio innamorarmi di uomini e donne reali non di realtà fittizie, da manuale, e talvolta credo che qualche seppur piccolo successo probabilmente lo debbo a questa scelta.

Non ho ancora cominciato a leggere il grosso volume, ne ho letto la presentazione e l’indice, ma conosco abbastanza bene questo psicologo-psichiatra, uno tra i professionisti più noti ed affermati nel nostro Paese, perché da anni seguo una rubrica quanto mai interessante che Andreoli tiene sul quotidiano cattolico “Avvenire”.

Andreoli che si dichiara, pur con grande umiltà ed onestà, non credente, per molti versi assomiglia al nostro sindaco Cacciari: si sente che è quanto mai interessato, non solo dal lato professionale, alla figura e alla Testimonianza del prete. Io condivido fino in fondo l’interesse di Andreoli per il prete, ho letto tutto quanto la narrativa e la saggistica hanno scritto sulla figura e la missione dell’uomo di chiesa. Ma, a differenza di Andreoli, io sono estremamente più esigente e più duro nel condannare meschinità, mestiere, superficialità e quant’altro. Credo che l’appartenere alla categoria me lo permetta, anzi me lo imponga.

Ho cominciato col leggere il capitolo che Andreoli dedica al “prete del cimitero” perché mi riguarda in maniera diretta, ma leggerò con altrettanta attenzione tutto il resto.

Aspettando le “vecchine”, prezioso tesoro per ogni chiesa

Qualche giorno fa il Vangelo mi ha giustamente costretto a riflettere sulla profetessa Anna, quella “Betta dalla lingua schietta” che, incontrando la Madonna nel tempio, in occasione della sua purificazione e della presentazione di Gesù, le predisse che fare la mamma in maniera seria è un “mestiere” faticoso, difficile e talvolta anche ricco di amarezze.

La Madonna accettò la lezione e la mise in pratica, tanto che rimproverò Gesù per il fatto che si era fermato a Gerusalemme per discutere con i dottori nel tempio ed infatti, dopo la reprimenda “perché hai fatto questo? tuo padre ed io ti abbiamo cercato”, Gesù – ci informa il Vangelo – “cresceva e si fortificava in età, sapienza e grazia”.

Tutto serve nella vita, se è accettato con intelligenza, umiltà e buona volontà.

Il discorso su Anna mi ha fatto venire in mente un pezzo di Bergellini, l’intellettuale fiorentino che con penna felicissima, sorniona ed intelligente, dedica una bellissima pagina alle “vecchine” che bazzicano molto di sovente in ogni chiesa. Non possiamo concedere sempre l’aureola a tutte queste vecchine, perché qualche pettegolezzo, qualche “manietta” ce l’hanno anche loro, ma è pur vero che danno respiro e cuore alle sacre mura solenni del tempio e rimangono testimoni di una fede convinta e di antichi valori cristiani.

Io non ho la fortuna di avere queste vecchine, nella cappella ottocentesca perché è troppo piccola e tanto fredda, nella prefabbricata perché è troppo nuova per ospitare nonne che hanno bisogno di tempo per mettere radici.

Non è vero che non ho “vecchine” in assoluto, in verità ne ho troppo poche perché diventino il cuore e le labbra della nuova chiesa “Santa Maria della Consolazione”. Ma in futuro chissà!

Non faccio distinzioni politiche quando si tratta di far del bene!

Qualche giorno fa mi ha telefonato un signore di Marghera per offrirmi delle arance. Al Don Vecchi possediamo volontari, mezzi e volontà di recuperare ogni cosa per i poveri. Dissi immediatamente di si. Il signore però volle raccontarmi la genesi di questo dono, alludendo alle informazioni della stampa. Purtroppo la suora, nei giorni peggiori del maltempo, non era uscita verso le 5,30 per portarmi le notizie “fresche” di giornata, per cui non ero al corrente dell’iniziativa.

Il signore mi raccontò, con un certo malcelato orgoglio, che il suo partito “Rifondazione Comunista” aveva fatto arrivare dalla Sicilia una certa quantità di arance da vendere per dare il ricavato ai numerosi operai che a Marghera stanno lottando, purtroppo inutilmente, per non perdere il posto di lavoro. Nel passato verdi e rossi, forse in maniera giusta, ma imprudente, hanno tirato troppo la corda e così hanno accelerato lo smantellamento del polo industriale di Marghera.

Comunque non tutte le arance erano andate vendute, motivo per cui questo signore, che probabilmente conosce il Centro Don Vecchi di Marghera, si è rivolto a noi perché ne beneficiassero dei “poveri” diversi da quelli in lotta in fabbrica.

Nella cordiale conversazione telefonica è emerso un antico “peccato originale” non ancora rimesso col “battesimo”. «Sa, don Armando, anche se noi siamo sulla sponda opposta alla vostra, anche noi apprezziamo quanto sta facendo per i vecchi».

Lo bloccai immediatamente: «Quando si tratta di aiutare i poveri io da sempre mi trovo sulla sponda di quelli che tentano di farlo. Sono con voi per i vecchi, come lo sono per gli operai delle fabbriche di Marghera».

Non l’ho chiesto, ma non avrei nessuna pregiudiziale nell’accettare una tessera del Partito Radicale, se questo significasse impegnarci a fondo per una solidarietà concreta e reale. Come accetterei anche quella del P.D.L. se mi dimostrassero che sono più buoni e generosi nell’aiutare i poveri.

Educazione di ieri e di oggi, generazioni di ieri e di oggi…

Mi parrebbe di fare un torto alla “profetessa Anna”, la vecchia vedova ottantatreenne che, dopo la morte del marito, con cui aveva vissuto otto anni, passava tutto il tempo in “digiuni e preghiere”, così la descrive il Vangelo. Il discorso di Anna alla Vergine, un po’ amaro, un po’ lusinghiero, pur essendo onesto e realistico, non fu troppo incoraggiante. Comunque credo che Maria ne abbia tenuto conto e si sia preparata a stringere i denti nei momenti difficili e a rivolgersi con fiducia al Signore.

Se i vecchi in genere, e in particolare i genitori, preti ed educatori parlassero con più franchezza ed onestà ai giovani, forse li aiuterebbero ad essere più agguerriti e più resistenti nei momenti delle difficoltà.

Le nuove generazioni, che non hanno sofferto i disagi della guerra e della miseria e che “hanno avuto tutto”, come dice la gente, sono indifese, fragili, disorientate di fronte alle prove e troppo spesso fuggono, si disperano, falliscono e s’arrendono.

Anna è forse troppo dura quando predice che la spada trapasserà il cuore a Maria, comunque il risultato è stato quanto mai positivo.

L’inno sacro descrive così Maria sotto il patibolo del figlio : “Stabat mater dolorosa!”. Quanta dignità, quanto coraggio, quanta forza interiore. Tutto questo può nascere solamente quando gli educatori sono onesti e coraggiosi, cosa che pare quasi scomparsa dalla scena del nostro mondo. Insegnanti, preti, giudici, educatori, politici, per aver consenso a poco prezzo e per non aver noie, favoriscono con la loro ignavia il crescere di una generazione di bulli, di debosciati, di bamboccioni, drogati.

Non so se nei collegi inglesi si adoperi ancora la verga, comunque da noi dovrebbe essere introdotta per legge.

Quando io frequentavo le elementari, le mamme portavano alla maestra dei rami freschi d’albero perché, se era il caso, punissero i loro figli. Queste mamme hanno cresciuto uomini. Ora, che per una parola poco dolce, le mamme ricorrono ai giudici, sta crescendo una generazione di ribelli e di violenti.

Se solo tutti i mestrini si lasciassero coinvolgere dall’utopia della città solidale!

Quant’è difficile proporre valori positivi! Ormai da molti anni sento il dovere di promuovere ad ogni costo la solidarietà come valore che può rendere più vivibile e civile la vita a livello cittadino. Faccio una gran fatica a comprendere ed accettare che chi dispone di mezzi economici più o meno considerevoli non senta, prima che il dovere, il bisogno di aiutare chi è in difficoltà, specie se è anziano e quindi non è più in grado di puntare all’autosufficienza.

In questi giorni sono intervenuto presso i mass-media della città perché mi aiutino a collocare “le azioni della Fondazione Carpinetum”. In fondo non si tratta che di raggranellare solamente due milioni di euro! Per una città come la nostra questo obiettivo è ben modesto, eppure son certo che dovrò sudare sette camicie per recuperare questa somma.

Il problema più grave non è poi tanto questo, quanto la messa in moto di una mentalità solidale, ossia la mentalità di far proprio un meccanismo per il quale ognuno fa quel che può, o riesce, per aiutare chi è in maggior difficoltà. Dove questo meccanismo funziona, veramente fioriscono “miracoli” veri e propri.

Le due associazioni di volontariato che operano al Don Vecchi e si ispirano a questa dottrina, in qualche modo “costringono” i concittadini ad entrare in questa catena solidale. Centinaia, migliaia di persone indigenti ogni giorno ritirano vestiti, coperte, bigiotteria, mobili, “pagando” prezzi pressoché simbolici e sempre alla loro portata. Centinaia di volontari offrono gratis qualche ora alla settimana, senza faticare più di tanto, arrivando così a recuperare cifre notevoli (più di duecentomila euro a fine dicembre), con le quali contribuiscono a creare 60 nuovi alloggi per anziani poveri.

I mestrini più poveri stanno realizzando questo “miracolo”; se a questo sistema di solidarietà si unissero anche i cittadini più abbienti, più intelligenti, professionalmente più preparati, potremmo offrire alla città servizi di prim’ordine beneficiando i più poveri e gratificando i più ricchi.

Il problema rimane però quello di convincere tutti a lasciarsi coinvolgere dall’utopia della città solidale. Splendida utopia, che però ha bisogno della “fede” per essere intrapresa.

Solo ora, Signore, comincio a capire il Tuo messaggio…

La liturgia della Chiesa ha sdoppiato, negli ultimi giorni del 2009, il brano del Vangelo che narra la presentazione di Gesù al tempio e la purificazione di Maria. Leggo sempre molto volentieri questo brano che la Chiesa ha scelto, il 2 febbraio, per la celebrazione di questo dolce e significativo mistero.

Questa celebrazione mi ha sempre dato la sensazione di una timida apertura alla primavera e rinnova nel mio spirito ricordi dolcissimi di splendidi incontri religiosi: la chiesa gremita di fedeli, i canti accorati del coro, la fila interminabile di chierichetti, la marea di luci tremule e i lumi consegnati ai fedeli per accenderli nei momenti difficili, la fede che illumina, rasserena e conforta.

Quest’oggi, nella breve riflessione, mi sono soffermato sul cantico del vecchio Simeone, il “Nunc dimittis”: “Ora, Signore, mi puoi lasciar andare in pace perché i miei occhi hanno finalmente scoperto il Salvatore”.

Mi è venuto spontaneo chiedermi se avessi potuto anch’io pronunciare quelle confortanti parole. Ma subito mi è venuto da pensare: «Signore, mi pare di aver bisogno ancora di un po’ di tempo perché sto cominciando solo ora a fare le scoperte religiose più affascinanti. Solo ora, Signore, comincio a capire il Tuo messaggio e riesco pian piano a comprendere la bellezza, la validità del Tuo Vangelo. Infatti, man mano mi inoltro nella strada che Tu mi indichi, lascio alle mie spalle una religiosità formale e mi appoggio appena leggermente alle formule e ai riti per cogliere l’essenziale della Tua proposta negli incontri quotidiani, nei rapporti con l’uomo, nella vita e nella storia. Quante volte mi vien da dire con sant’Agostino “Tardi, Signore, Ti ho scoperto, tardi Ti ho amato”.

Se è possibile, Signore, dammi ancora un po’ di tempo perché possa passare dalla religiosità rituale a quella esistenziale, che è quella vera, quella che sta inebriando il tempo della mia vecchiaia! Comunque, Signore, si faccia, non la mia, ma la Tua volontà!»

L’insopportabile razzismo fomentato da certi movimenti produce rovi e spine!

Arrossisco, ma debbo confessare che ieri pomeriggio ho preso una solenne arrabbiatura. Mi ha telefonato una signora presentandosi con un cognome quanto mai diffuso nella zona. Ha cominciato col complimentarsi per quanto vado facendo per i vecchi e i poveri in genere, proseguendo però col dirmi che non è giusto che doniamo i generi alimentari a persone che li buttano nei cassonetti della spazzatura e che comunque non li meritano perché percepiscono un regolare stipendio.

Le risposi che non mi meravigliavo che sulle 2400 persone che assistiamo ci potesse essere qualche comportamento indegno o qualcuno che ci imbroglia. E’ un fatto fisiologico che ci sia una piccola frangia di persone che si approfittano. Continuai dicendo che il responsabile è una persona quanto mai pignola e che tiene la documentazione dell’assegnatario di ogni tessera, attenendosi con scrupolo ai parametri che assieme abbiamo fissato per concedere i viveri. Comunque le assicurai che siamo aperti ad ogni tipo di collaborazione, quindi, se avesse avuto qualche elemento utile relativo a una determinata persona, avremmo provveduto a ritirare immediatamente la tessera. Io insistevo perché lei ci fornisse le informazioni necessarie, mentre lei, incurante, ribadiva la presunta ingiustizia.

Pian piano finii per capire che si trattava di una sua badante, che probabilmente lei pagava poco o in nero, ma che, nonostante questo, avrebbe dovuto essere trattata da noi come un sotto prodotto umano. La semina razzista, da parte di movimenti che cavalcano sentimenti istintivi e meschini raccogliendo consensi elettorali, sta producendo rovi e spine.

Finii per accalorarmi e per non sopportare ulteriormente queste forme incivili, troncando la conversazione. Mi dispiace, però credo che dobbiamo bollare come si merita ogni forma di sfruttamento e di malcelata superiorità razziale nei riguardi delle nazioni povere del mondo.

Ricordi di un mondo con più poesia

Quant’è difficile recuperare le atmosfere e le dolci sensazioni dell’infanzia!

Uno dei divertimenti sani, anche se pericolosi, era quello di andare a scivolare sul ghiaccio.
Non c’era inverno in cui i canali non ghiacciassero permettendo a noi ragazzi di costruirci degli slittini e poi gareggiare sulla lastra liscia di ghiaccio.

Era un’impresa la costruzione dello slittino, un piccolo sedile di tavola con due ferri rotondi per scivolare sul ghiaccio, un poggia gambe sul davanti e due bastoni chiodati per darci la spinta.

Il guaio era che spesso ai bordi della sponda al sole, il ghiaccio era più sottile e non era impossibile che non reggesse, perciò si finiva facilmente a mollo!

Presentarsi bagnati dalla mamma era un dramma, povera donna non aveva un guardaroba fornito, spesso c’era solo un cambio di indumenti, quindi si faceva un gran falò di canne e tornavamo a casa affumicati più che asciutti.

Poi c’era pressappoco ogni inverno due o tre volte la neve, le battaglie a palle di neve, i pupazzi, gli igloo, ma soprattutto la campagna silenziosa ed ovattata da quella soffice e leggera coltre bianca:

Con la neve si organizzava la caccia ai passeri, mettevamo una porta sorretta da un lato da un piccolo bastoncino legato da uno spago, poi si spargeva sotto la porta frammenti di pane e quando i passeri si calavano per mangiare il pane, tiravamo lo spago e i passeri rimanevano intrappolati sotto la porta.

Ora avrei scrupoli, a quel tempo definivo il gioco: astuzia, lotta per la sopravvivenza!

Ora tutto sembra più banale i bambini sono sempre occupati, se vogliono pattinare sul ghiaccio hanno i palasport riscaldati, la neve fa fatica a arrivare alla terra perchè diventa ancora prima poltiglia grigiastra e fangosa.

Sembra che il nostro mondo abbia rubato la poesia alla vecchia natura e tutto sia diventato banale e più squallido tanto che una volta finito di nevicare sarei tentato di promuovere un triduo o una novena perché piova e cancelli tutto.

Il mondo moderno ci ha dato tanto, ma ci ha tolto ancora di più perché un mondo senza poesia e senza incanto non diventa solamente un povero mondo, ma un mondo in disfacimento!

O forse tutto questo dipende solamente dalle cataratte della vecchiaia che ti fa rimpiangere il passato!

Un’amara sorpresa e un’altrettanto amara consapevolezza

Gli antichi affermavano che “Sotto il sole non accade mai niente di veramente nuovo” perché quello che poteva accadere è già accaduto.

Per certi versi i nostri vecchi avevano ragione! Ti capita però talvolta qualcosa che ti costringe a mettere in dubbio anche le antiche affermazioni sapienzali!

Qualche giorno fa m’è arrivata una raccomandata da parte di uno studio legale. Un po’ incuriosito ed un po’ timoroso aprì i sigilli di questo plico, conteneva la diffida da parte di un avvocato ad occuparmi di un certo giovane che io ho conosciuto fin da bambino e che molte volte, assieme ad altra brava gente, avevamo tentato di aiutare in momenti veramente cruciali per lui.

La diffida riguardava me, alcuni volontari e tutti i parenti prossimi di questo ragazzo che avevamo tentato di coinvolgere per il salvataggio esistenziale di questo giovane dal naufragio della vita.

La cosa mi sorprese alquanto perché mai e poi mai avevo anche lontanamente inteso, di intromettermi nella sua vita privata, sempre mi era stato chiesto questo intervento. Evidentemente non ero riuscito, pur in tanti anni, scoprire la personalità recondita di questo giovane, che ha sempre recitato la parte dell’indifeso o dello sprovveduto, ma una volta che la personalità vera era un po’ emersa, egli ha fatto ricorso all’espediente legale per continuare a nascondere la sua fragilità e probabilmente le sue piccole furberie.

Il prossimo e il prossimo bisognoso presenta sempre sorprese.

La trovata legale non mi è dispiaciuta più di tanto, mi ha invece addolorato il fatto di non essere riuscito in tanti anni di frequentazione e di desiderio vero di essergli di aiuto a fagli comprendere che quanto s’era tentato di fare nasceva esclusivamente dal desiderio di dargli una mano nelle sue difficoltà e dal tentativo di metterlo in atto per il suo bene.

Ho incontrato un’anima bella e autentica!

Mi trovavo qualche giorno fa nella hall del don Vecchi. L’ambiente era pieno di gente: i soliti membri dei “club storici”, altri presso il bar, altri ancora che parlottavano a crocchi, che si componevano e scomponevano rapidamente. Verso le 17 “la nostra piazza grande” è assai animata e vivace.

Notai subito una signora un po’ spaesata; portava con sé due borsoni, uno con una grande imbottita e l’altro straripante di indumenti.

Rimasi per un istante perplesso, non avevo capito se proveniva dai magazzini San Martino o se fosse venuta per portare materiale agli stessi magazzini?

Non appena si accorse della mia presenza, mi si accostò immediatamente e senza tanti preamboli, dandomi del tu con un veneziano diciotto caratti, mi chiese un alloggio per sé e per il marito acciaccato almeno per l’inverno: “Ho quaranta metri di spazio, a piazzale Roma, ma tutto è rotto, sono senza riscaldamento, c’è bisogno di restauro” “Dai, dammelo un buco!” “Conosco Massimo, la Murer, la Miraglia,”… Conosceva tutti aveva parlato con tutti, e penso che sia vero; un po’ alla volta ne venne fuori il volto e il cuore della vecchia militante comunista.

Aveva fatto tutte le campagne, tutte le marce, aveva partecipato a tutti i comizi, aveva distribuito montagne di volantini,…. Tutti i suoi capi avevano cambiato nome, casacca, lei sola era rimasta la vecchia passionaria, convinta ed appassionata. Non aveva in verità trascurato il campo opposto, perché conosceva ugualmente preti, frati, era perfino andata a finire tra i neucatecumenali, imparando nomi dei profeti dell’antico testamento!
Parlava, con parlata veloce, calda, affettuosa, talora un po’ sorniona, ma sempre coerente.

Era appena tornata dalla manifestazione di Roma; trenta euro e due notti in treno per gridare contro Berlusconi, promossa da Di Pietro, ma a cui lei partecipò come rifondazione comunista!

Mentre parlava mi pareva di sentire mio padre, vecchio democristiano che non era stato smontato ne da tangentopoli, né da nessuna delle ultime disavventure della D.C.

Quanto mi sarebbe piaciuto dirle “Venga ho un appartamentino!” So che avrebbe innescato più di qualche polemica, perché non tutti i miei vecchi riescono a guardare a queste cose dalla mia altezza di quasi due metri!

Quando mi lasciò, dopo uno sfogo lungo e appassionato, ho pensato a quella masnada di furbi che giocano con i sogni e gli ideali di anime belle quali quelle di mio padre democristiano o quelle di questa donna del popolo che ha ancora l’orgoglio di sentirsi comunista autentica!..

Morale elastica

Fin da ragazzo mi hanno insegnato in modo dettagliato e preciso la distinzione tra peccato veniale e mortale.

Meno bene forse la responsabilità morale che passa tra una trasgressione leggera ed una grave, ma era anche comprensibile che ciò avvenisse perché non è proprio semplice passare l’idea che in fondo è la coscienza rettamente informata che valuta la gravità di una azione e che la valutazione personale ha un peso più determinante che la violazione obbiettiva della legge morale.

Questi penso che siano ormai problemi sorpassati per le nuove generazioni che non hanno più alcun metro di valutazione morale e se n’è rimasto traccia esso è rozzo, elastico ed estremamente superficiale.

Questi discorsi impegnativi, se sono stati affrontati, ciò è avvenuto alle elementari e da parte di insegnanti che quasi mai hanno fatto scuola seria al riguardo.

M’è sembrato strano che mi siano riaffiorati alla mente problemi del genere quando nessuno ne parla più.
Ma questo emergere di ricordi dell’insegnamento morale d’altri tempi mi ha aperto a problemi morali ancora più vasti e complessi in occasione dell’arrivo di un giovane prete per la celebrazione di una messa.

La suora, che non so per quale motivo sembra un’esperta di automobili, circa il costo, le prestazioni, m’ha fatto osservare che l’automobile, nuova di ballino, con cui è arrivato il prete ha un costo iperbolico ed è una macchina super davvero!

Il prete abita a due passi dal centro, non credo che curi alcun servizio oltre quello della parrocchia e quindi l’automobile è un “capriccio personale”.

Di certo se quel prete gli accadesse di innamorarsi e gli scappasse qualche gesto affettuoso nei riguardi di una bella ragazza si sentirebbe in colpa e la comunità non gliela passerebbe facilmente, mentre spendere qualche decina di migliaia di euro senza motivo, non accorgendosi delle famiglie disoccupate o che non arrivano a fine mese non è motivo di scrupolo per lui né di indignazione per la comunità cristiana.

Se questa è morale credo che proprio nessuno ne senta più il bisogno perché quel tipo di morale è un termometro inservibile!

Sarebbe ora di smettere di credere che il proprio mondo sia il centro di tutto!

Quando ero bambino pensavo che la mia casa stesse al centro del mondo.
Per molti anni questa convinzione mi accompagnò reputando veramente che gli altri ambienti; strade, paesi, campagne fossero meno importanti della piccola casa inserita in una stradina più simile ad un viottolo che ad una strada seppur sterrata. Da ragazzino andai in colonia, mandato dal Fascio del paese, quando poi frequentavo la quinta elementare feci un tema patriottico, che poi seppi si rifaceva ad una frase del Duce: “L’aratro traccia il solco, ma è la strada che difende”, che fu giudicato degno di partecipare alla selezione cittadina e perciò vidi per la prima volta Venezia, “Costruita sulle palafitte” come ci aveva insegnato la maestra.

Quanta nostalgia per la mia casa, la mia strada, il mio Paese!

C’era sempre la vecchia convinzione, che il mio piccolo mondo fosse al centro, poi capii un po’ alla volta che anche per la gente che abitava in altri paesi, in altra città, provavano la stessa sensazione.

A tutti sfugge che ci troviamo all’interno di un grandioso progetto di cui conosciamo solamente una parte minuta, pressoché insignificante, che però in qualche modo si coordina e si collega con un congegno estremamente complesso che una mente illuminata governa con grande sapienza, facendo si che ci siano risposte adeguate ai bisogni di tutti.

In questi giorni in cui i rappresentanti del mondo si sono riuniti a Copenaghen per salvare il pianeta dall’auto distruzione, comincia finalmente ad emergere e convincere il concetto della globalizzazione, ma soprattutto sta faticosamente facendosi strada che la solidarietà favorisce il funzionamento del mondo, mentre l’egoismo porta fatalmente, non al sopravento e al vantaggio di qualcuno, ma ad una forma di danno universale.

Il messaggio del Natale non è una ricetta solamente per le storie singole, ma anche per la storia universale dell’umanità.

Dio ha dato all’uomo una sovranità limitata, credo che sia così, perché se non fosse così l’uomo avrebbe già distrutto o distruggerebbe quanto prima l’intero ecosistema della vita dell’uomo sulla terra.