Certe notizie mi sconvolgono!

Non so se capita a tutti, ma io talvolta sono tentato di tagliare tutti i collegamenti col mondo perché talmente sconvolto, avvilito da certe notizie, che mi convincono sempre più che l’arroganza, l’ipocrisia sono veramente invincibili. Forse è meglio non sapere, per non perdere quel po’ di pace e di fiducia che ancora ho per il mio mondo!

In questi giorni sono quattro le notizie che mi hanno fatto del male turbandomi profondamente.

La prima: Rosy Bindi, la presidente del più grande partito di opposizione, in rapporto al provvedimento anti-crisi ha affermato che esso è profondamente iniquo perché fa pagare la crisi ai poveri e non alle classi agiate. Il mio disagio nasce dal fatto che un tempo una donna che da una vita fa politica nel nostro territorio m’ha presentato la Bindi come una religiosa appartenente ad una congregazione laicale (in suddette congregazioni laicali, pur gli aderenti rimanendo nel mondo, devono praticare i consigli evangelici: povertà castità e obbedienza). Ora credo che la Bindi incassi in un mese tanto quanto incassano i 230 residenti al “don Vecchi” messi assieme! Questi però non battono ciglio nei riguardi della finanziaria, mentre la Bindi protesta perché le tolgono il 10% di mensile che un italiano normale non riuscirà mai ad avere.

Secondo: Palamara, presidente del sindacato o dell’associazione dei magistrati, ha affermato che la categoria farà sciopero per la “stangata”. Mi hanno detto che il primo stipendio di un magistrato è di cinquemila euro al mese, comunque è opinione corrente e non smentita che la magistratura è la categoria più pagata!

Terzo: Calderoli, matto o strambo finché si vuole nei riguardi di “Roma ladrona”, ha proposto la riduzione dei compensi dei calciatori e degli sportivi in genere, subito è stato subissato da un polverone di proteste, a difesa di questi bellimbusti che, peraltro, perdono sempre.

Da ultimo anche il nostro sindaco, forse ancora sprovveduto, si fa pescare a dormire in un albergo da 430 euro la notte. Come scusa, hanno scritto che tirerà fuori di tasca propria la differenza tra i 230 euro alla notte che il Comune gli permette di spendere e i 430 che ha speso!.

E’ bene che il sindaco sappia che il Comune di Venezia contribuisce con euro8 1,25 al giorno per i residenti al “don Vecchi” e che moltissimi di loro devono dormire, mangiare, vivere e pagare le tasse per un intero mese con una somma del genere!

Sulle critiche alla Chiesa Cattolica di questi mesi

Confesso che sono più che stufo di sentir parlare di pedofilia. Siamo tutti convinti che è un sacrilegio turbare l’innocenza dell’infanzia e che la colpa raddoppia o si triplica quando si tratta di sacerdoti o di religiosi in genere.

E’ giustissimo esecrare la pedofilia, ancor più giusto farlo nei riguardi dei preti che si macchiano di questa gravissima colpa, mi pare più che mai necessario mettere fuori dalla tentazione le persone che sono ammalate di questa devianza, ma ora basta! Dedichiamoci a tutte le devianze: alla violenza, all’imbroglio, a smascherare tutti i crimini sociali dei politici, dei banchieri, dei sindacati, delle lobbies internazionali, ma smettiamola di rimescolare nel passato, di accusare chi con discrezione e misericordia ha tentato di salvare chi ha sbagliato e di recuperarlo alla vita normale.

Si va predicando con infinita ipocrisia che il carcere deve tendere al recupero sociale del condannato, i più avanzati culturalmente predicano ed insistono sulle pene alternative alla galera e poi si fa di tutto per screditare in ogni maniera vescovi saggi e prudenti, misericordiosi e buoni che hanno già attuato ciò che avanguardie sociali stanno auspicando. Mi commuove il vecchio Papa che invita alla penitenza e alla conversione, però credo che sia ormai finito il tempo di recuperare la logica e i metodi di don Camillo, perché certi “democratici” nuovo stampo, hanno una morale per conto loro e a loro uso e consumo.

“Isacco” e “Giacobbe”

Io non me ne sono accorto, ma l’ultimo inverno è stato veramente micidiale per le piante del nostro parco, che gli scorsi anni non avevano mai temuto il gelo, ma quest’anno hanno subìto gravi danni. Molti oleandri, che normalmente attecchiscono come la gramigna e prosperano in maniera vistosa, durante l’ultimo inverno sono stati bruciacchiati dal gelo e parecchi sono morti, cosicché, nonostante la primavera avanzata, fanno fatica a metter su una chioma verde e meno che meno sembrano vicini alla fioritura.

Quello che però mi ha preoccupato e fatto temere il peggio, sono le due venerande piante di olivo “Isacco” e “Giacobbe”, età: 360 anni e costo undici milioni di vecchie lire. Ho fatto piantare questi due colossi, tutti contorti e pieni di rughe profonde, nel bel mezzo del prato a levante dell’edificio. Volevo che gli anziani fossero incoraggiati dalla veneranda età di queste due piante, dalla loro forza e capacità di sopravvivenza.

Essi avevano gli scorsi anni una folta chioma argentea e rappresentavano un monumento alla vita. Purtroppo il gelo li ha denudati totalmente, tanto che facevano pena e tristezza i loro due scheletri contorti. Ho chiamato un esperto che li ha potati ben bene, rilasciandoci una diagnosi positiva. In questi giorni sto tirando un sospiro di sollievo vedendo “Isacco” e “Giacobbe” con un leggero velo di verde tenue a coprire le loro vergogne.

Mi sono chiesto di sovente come gli anziani del “don Vecchi” hanno vissuto il dramma dei due vecchi olivi. Pare che non si siano scomposti più di tanto, forse danno per scontate sia la vita che la morte.

Io pensavo di essere ormai un esperto di vecchiaia, mentre mi accorgo ogni giorno di più che ho ancora molto da imparare sull’argomento.

La morte ci dovrebbe insegnare a guardare in un’altra ottica i problemi quotidiani

A pranzo un posto, nonostante fosse passata la mezza – ora canonica per il pasto di mezzogiorno – continuava a rimanere vuoto. Spesso al “don Vecchi” c’è perfino qualcuno che si dimentica del mangiare! Una telefonata al 101, silenzio, nessuno risponde! Una veloce verifica, perché non è proprio infrequente che qualcuno dei 230 residenti decida di partire da questo mondo, ed Armando, l’unico mio omonimo al “don Vecchi”, giace per terra mentre radio e televisione, imperterriti, continuano a parlare senza che alcuno le ascolti.

La morte ha colto il nostro inquilino durante la notte. La sera precedente l’avevo visto, come al solito, fare la sua fumatina all’aperto per non portare danno col suo fumo passivo. Ora giace sul pavimento in attesa delle figlie e delle pompe funebri che trasportano la sua salma all’obitorio.

Nella mattinata avevo discusso in maniera animata dei vari problemi, che non mancano mai in una comunità così vasta ed in un mondo così intricato qual’è il nostro. Ora con Rolando, il direttore, ci ritroviamo a parlare quasi sottovoce sul ballatoio dinanzi alla dimora del nostro coinquilino deceduto durante la notte. Voci più pacate, problemi più vasti e più complessi, però meno urgenti e che svuotano di contenuto le problematiche delle quali ci eravamo occupati fino ad un’ora prima.

Un tempo inorridii di fronte ad un quadro posto nel coro dei cappuccini che ritraeva un vecchio frate con la barba lunga ed un teschio in mano. Ora capisco che sarebbe molto più saggio se inquadrassimo con una cornice di eternità i nostri problemi, che sono quasi sempre effimeri e risolvibili, ma che non dovrebbero poterci togliere il senno e la misura!

Tanta, tanta, tanta burocrazia!

Credo che il mondo intero conosca la mia allergia, anzi il mio deciso rifiuto alla mentalità della burocrazia di qualsiasi ente statale, parastatale o comunale. Purtroppo il mio disappunto è costantemente alimentato da motivi sempre nuovi. Chi ha deciso di “vivere” e di darsi da fare per il prossimo, fatalmente s’imbatte molto spesso in questo muro di gomma che si alimenta di circolari, regolamenti, ordinanze e disposizioni di legge.

Potrei riempire l’intera raccolta annuale de L’incontro per raccontare le peripezie incontrare col Gas, con l’Enel, con lo sportello unico dell’Assessorato dell’Edilizia in questi ultimi tre o quattro anni. Bollette in più, addebiti non giustificati, ritardi biblici, inghippi di ogni genere, E questo non per ottenere o gestire una villa sul Brenta o uno yacht alla Tornatore, ma per offrire un “buco” per gli anziani senza casa, per riparare le loro biciclette dalle intemperie, per permettere loro di sopravvivere nonostante la pensione di 516 euro al mese.

Detto questo, e convinto che i confessori dovrebbero dare a questi soggetti almeno dieci o quindicimila padrenostri, come don Camillo soleva fare con i “rossi”, talvolta mi viene da pensare che non è tutta cattiveria la loro, ma che spesso sono le norme confuse e contradditorie che politici ed amministratori poco intelligenti e spesso interessati, sono lì a costringere a simili comportamenti, sotto la minaccia della perdita del posto di lavoro.

Spesso sono anche i cittadini che non vogliono quasi mai prendere in considerazione il bene comune e tengono conto solamente dei loro interessi.

Ricordo a questo proposito un fatto particolare. Un tempo si pensava che i seminari non bastassero a soddisfare la richiesta di ragazzi di entrarvi. Il Patriarca Agostini pensò di aprire il seminario minore, quello per le medie, a villa Fietta, una bella villa veneta che la diocesi possedeva a Paderno del Grappa. Monsignor Vecchi fu incaricato di costruire una struttura per ospitarlo. Non so con quali sotterfugi riuscì ad ottenere dal sovrintendente ai beni culturali di costruire un obbrobrio di fabbricato innestato sulle linee eleganti della bella villa del `700 dei conti Fietta. Quando avevamo l’occasione di passare da quelle parti, monsignore mi faceva osservare con fine ironia: «non so proprio quale balordo sovrintendente m’abbia permesso di fare un simile sgorbio!»

Non sarebbe male se la burocrazia impedisse tali scempi, mentre s’impunta per farmi costruire a Campalto una facciata in vetro del costo di cento milioni!

La nostra Chiesa mestrina dovrebbe fare di più per la povertà

E’ molto difficile fare la carità. C’è chi, praticamente, anche se non lo dice, decide che gli altri, per quanto in difficoltà, s’arrangino; c’è chi invece, come me, non sa che pesci pigliare. La richiesta di aiuto sempre mi mette in crisi, anche se onestamente so dove mettere il superfluo alla mia vita, che è quanto mai sobria.

Monsignor Vecchi era assolutamente contrario alla carità spicciola, perché diceva che quando si crea una struttura di servizio per i poveri, questa continua ad essere loro di aiuto per decenni, se non per secoli, mentre quando uno fa la carità spicciola, questa, normalmente, risolve ben poco e l’indomani il povero si trova nello stesso disagio.

Ho appena firmato il contratto con l’azienda che per settembre del prossimo anno si è impegnata a consegnarmi altri sessanta appartamentini per anziani poveri e perciò tento di risparmiare fino all’ultimo centesimo per onorare l’impegno contratto. Ebbene, qualche settimana fa è venuto, come al solito, un serbo-croato magro, allampanato e malconcio, che io ho sempre assimilato ai mussulmani fatti fuori dai serbi a Sebrenica, per ricevere la solita paghetta settimanale di dieci euro. Sennonché, ancora una volta, mi ha chiesto l’aumento – cosa che è sempre solito fare, pur avendogli detto che se tutti i preti di Mestre gli dessero dieci euro alla settimana, riuscirebbe a campare decentemente. Questa volta però mi disse che non poteva più continuare così e che perciò aveva deciso di tornare in Serbia, o comunque nel suo paese nei Balcani e quindi non l’avrei più visto.

Gli diedi i sessanta euro che gli servivano, pur temendo che prima o poi sarebbe ricomparso. Infatti la settimana scorsa me lo son visto alla porta della nuova chiesa. Non ebbi proprio tempo di sentirmi raccontare la storia del ritorno, perciò gli dimezzai la diaria dandogli frettolosamente cinque euro.

Ora vivo tra gli scrupoli perché certamente non avrò grossi contraccolpi nel mutuo che ho richiesto per questa uscita non preventivata, ma ancora una volta sto tormentandomi pensando che la nostra Chiesa mestrina dovrebbe trovare delle soluzioni dignitose per questa povertà. Per ora penso che dovrò tornare alla “paghetta” dei dieci euro settimanali, finché almeno non apriremo la “cittadella della solidarietà”!

Accettarsi e accettare gli altri

La mia famiglia è sempre stata di estrazione economica più che modesta e perciò mi capitava di rado d’andare in qualche negozio per far delle compere. Si dava poi il fatto che qualsiasi capo di vestiario la mamma mi comperasse, io non ne ero mai contento. E ciò non perché avessi gusti difficili, ma solamente perché avevo un senso di istintivo rifiuto per tutto quello che è nuovo. Anche ora io mi affeziono alle mie vecchie robe, che non cambierei neppure con capi da boutique.

La mamma, conoscendomi bene da questo lato, tentava di coinvolgermi nell’acquisto, chiedendomi di andare con lei in negozio. Peggio che peggio! Ero assolutamente allergico ai negozi. Più tardi ho capito il perché: quando fossi stato coinvolto non avrei potuto più protestare per l’indumento nuovo che non mi era facile accettare.

So che il mio modo di reagire era ed è in controtendenza al modo di pensare della maggioranza della gente che ama sempre il nuovo. Da qualche tempo mi sento quasi costretto ad approfondire da un punto di vista psicologico questa tendenza.

Finora sono giunto alla semplice conclusione che si tratta di un istinto irrazionale che non ha motivazioni logiche o esistenziali, come molti nostri modi di reagire sono determinati da pulsioni oscure. L’unica verità positiva che ne ho tratto, potrebbe sembrare scontata, eppure penso abbia un grande ruolo nella vita: cioè bisogna accettarci, ma soprattutto accettare gli altri così come sono, non pretendendo l’esclusione di manie che, pur essendo irrazionali, fan parte integrante della nostra personalità. Diversamente la vita diventa un grave problema.

Monsignor Vecchi era solito dirmi: «Armando, se non accetti le persone come sono, rimarrai sempre solo e tagliato fuori dalla vita e questo è un brutto giorno per un prete!»

Quelle parole lontane che m’aiutano a celebrare la festa della Santissima Trinità

Qualche domenica fa, come in tutte le chiese del mondo, ho celebrato anche nella mia “cattedrale” tra i cipressi il mistero della Santissima Trinità.

Alla mia gente, tanto cara ed affezionata al loro vecchio prete, dissi che la Trinità era la “festa di Dio” e che se sempre mi sento inadeguato a celebrare i divini misteri, per l’occasione avvertivo un senso di sgomento e di vertigine a dover prendere la parola su un tema così alto e sublime. Soggiunsi poi, quasi a mia difesa, che per ogni creatura è arduo parlare dell’assoluto: della fonte dell’essere, della verità, della bellezza e dell’amore. Forse questo sarebbe un momentino più facile per i poeti, per gli innamorati e per i santi, meglio ancora se un prete assommasse in sé tutte e tre queste virtù, ma io, povero gramo, dal pensiero contorto e dalla parola tormentata, non sono nulla di tutto questo.

In quella occasione mi sentivo come Geremia, il profeta, che protestò presso Dio perché gli chiedeva un compito così arduo. Allora il Signore mandò un angelo con una brace rovente per purificare le labbra del profeta. Mi ricordai allora di un lontanissimo episodio di quando ero titubante ed in ansia nel dover prendere la parola per inquadrare il volto di Dio, quasi quasi provavo ribellione per un compito così difficile. Sennonché una signora fiorentina che ascoltò queste mie preoccupazioni e quasi il rifiuto di prendere la parola, mi confidò: «A me dà un senso di ebbrezza questa festa e questo mistero, ho l’impressione di tuffarmi in un mare limpido e profondo e sentirmi tutta avvolta dall’immensità di Dio!» Questa signora è stata per me l’angelo che ha purificato il mio cuore e mi ha fatto sognare ogni anno l’abbraccio forte ed appassionato di Dio. Pare che i fedeli se ne siano accorti e abbiano condiviso questa sensazione, pur non essendo io un santo, tanto meno un innamorato e neppure un poeta.

Il primo nemico della nostra società è sicuramente la burocrazia!

Non ho mai avuto l’occasione e la voglia di stilare una classifica, con una relativa graduatoria, di quelli che considero i nemici più insidiosi per la nostra società e per il bene del nostro Paese.

Neanche tento di scrivere la litania di nomi di persone, autorità ed istituzioni, perché non vorrei cadere sotto il fuoco incrociato di tanta gente ottusa e spregiudicata. Comunque vi confesso che la burocrazia comunale, provinciale, regionale e statale si colloca in uno dei primi posti e si contende la “maglia rosa” della stupidità, della grettezza morale e del disinteresse verso i cittadini.

Siamo giunti a livelli ormai impossibili ed insostenibili. Un geometra mi raccontava qualche giorno fa, le sue tristi vicissitudini di operatore edile nei riguardi delle aziende dell’Enel, del Gas o della Telecom.

Telefoni per una pratica: dopo tentativi ripetuti all’infinito, ti risponde al telefono, finalmente libero, un impiegato di Lampedusa o di Canicattì, il quale dice di passarti l’esperto per il Veneto. Nel frattempo cade la linea e così ricomincia la “fiaba del sior Intento!” Nuovo tentativo di telefonare, finalmente la risposta di un altro impiegato, nuova illustrazione della pratica, nuovo tentativo di passaggio … e così via.

A livello comunale finora la soluzione non giunge più rapida, ma l’indifferenza, l’arroganza, la pretestuosità non sono di certo inferiori.

Io sono solito adoperare in questi casi queste armi di ordine psicologico e pratico. Primo: a livello psicologico il cittadino deve essere cosciente di essere lui “il padrone” dell’impiegato, che è pagato con i soldi del contribuente, quindi niente cappello in mano, niente complessi, ordini piuttosto che suppliche! Secondo: mi passi il suo capoufficio o il suo dirigente!» Non sempre funziona, ma questa richiesta è una specie di “passpartout” che t’aiuta ad aprire la serratura. Terzo: il ricorso all’opinione pubblica, il quotidiano, il settimanale, la televisione locale: sui politici funziona sempre, sugli amministrativi un po’ meno, però è efficace.

Un giorno dissi a Cacciari, all’inizio di uno dei suoi tre mandati a sindaco: «Se lei riuscirà in questi prossimi quattro anni a rendere efficiente la burocrazia comunale, sarà già un grande successo: Il sindaco filosofo ci ha provato tre volte, ma ha sonoramente fallito nonostante fosse un filosofo, ossia un amante della sapienza!

Ci sono ancora preti e vescovi che non posso che amare!

Io sono forse troppo critico ed esigente nei riguardi sia della Chiesa alta come di quella bassa. Dai parroci e giovani preti mi aspetterei più dedizione, più passione, più coraggio, più iniziativa. Ho l’impressione che il basso clero stia combattendo oggi, quasi rassegnato, una battaglia di posizione, rintanato nelle anguste e buie trincee piuttosto che uscire allo scoperto, avendo coscienza di possedere il messaggio più valido, la “notizia” migliore.

Non so rassegnarmi ad una Chiesa di dipendenti annoiati che aspettano la fine del mese o di funzionari esecutori di ordini superiori, ma senza iniziativa.

Quante volte non ho pensato a quello che si dice del giovane Alessandro Magno, che era preoccupato che non ci fossero più battaglie da combattere e da vincere, più mondo da conquistare.

Qualcuno mi ha criticato duramente quando ho scritto di sentirmi quasi come quei pochi soldati giapponesi che non s’erano accorti che la guerra era stata dichiarata finita. Per me la guerra per la diffusione del Regno non dovrebbe finire mai!

Alla Chiesa alta rimprovero la propensione per l’ampollosità dei riti, la tendenza a crearsi la corte di palazzo, i discorsi aulici e il mancato immergersi nel popolo e nella storia. Però debbo pur ammettere, e di questo sono solamente lieto e anche profondamente orgoglioso, che spesso sia in una chiesa che nell’altra, scopro delle splendide figure di preti e di vescovi, in ogni caso di discepoli di Gesù.

In occasione del pellegrinaggio al santuario della Madonna dell’Olmo, ho scoperto che il vescovo Carraro, il cappuccino padre Flavio, che ho conosciuto come padre guardiano dei cappuccini di Mestre, poi vescovo di Verona, una volta in pensione, ha scelto come sua “dimora episcopale” il convento della piccola comunità francescana, condividendo con essa, come semplice frate, sia il “coro” che il desco pur essendo poco presente perché il suo zelo apostolico lo spinge ad accettare ogni invito alla predicazione

Forse la Madonna dell’Olmo non sa che per me è stata una vera grazia questa notizia che mi aiuta a credere ed amare preti e vescovi compresi, nonostante tutto!

Il funerale di un uomo che non rinnegò i suoi ideali

L’unica nota anacronistica e stonata è stata il saluto fascista al momento della sepoltura. Un vecchietto traballante, stendendo il braccio per il saluto romano, ha gridato: «Onore al camerata Orfango Ferrari», ma poi si è corretto soggiungendo «Campigli». Quindi si è risposto da solo tra il silenzio attonito e sorpreso dei cittadini che assistevano piamente alla tumulazione: «Presente!» Anche da questo ho compreso che della “liturgia fascista” nessuno si ricorda più nulla.

Sono stato contento che una concomitanza di circostanze abbia quasi costretto la famiglia a celebrare il commiato del loro caro nella nuova chiesa tra i cipressi del nostro camposanto, e che toccasse a me celebrare il rito religioso.

Io ho sempre stimato e voluto bene a quello che comunemente era ritenuto il fascista per antonomasia del Paese, e certamente ero ricambiato in sovrabbondanza dal signor Campigli.

Il vecchio parrocchiano Campigli non ha rinnegato nulla della sua giovinezza e del suo passato, perché i valori per cui era vissuto e aveva messo a repentaglio la sua vita, erano e sono condivisibili: Dio, Patria, Famiglia. Volesse il Cielo che anche le nuove generazioni facessero propri questi ideali! Credo che in verità Orfango non avesse nulla di cui rimproverarsi, perché questi valori non sono stati per lui una bandiera issata su un monumento, ma erano invece parte essenziale della sua vita di uomo, di cristiano e di cittadino. Il signor Campigli portava nel cuore delle ferite che, seppur rimarginate, sono rimaste sempre ben visibili, ma non odiava chi gliele aveva inferte.

Debbo ad Orfango la conoscenza della parte più fosca e più indegna della “resistenza” rossa. Anche di questo gli sono grato, pur essendo certo che in quella tragica guerra civile, sia da una parte che dall’altra, ci sono state delle magnifiche e stupende creature, per me basti pensare al capitano dei partigiani Bruna Conforti Belcoro. Come in entrambe le parti ci sono stati militanti squallidi, avventurieri, profittatori e criminali.

Sono tanto contento che pian piano il 25 aprile stia diventando la festa della fine della guerra civile, della riconciliazione nazionale, del recupero della democrazia dalla prepotenza alla barbarie, sia nera che rossa.

La storia per fortuna corre, pulisce e rimargina ogni ferita, sia di destra che di sinistra. “Il fascista” Orfango Campigli di certo fu un valido aiutante della storia in questi ultimi sessant’anni.

La burocrazia comunale contro le biciclette dei residenti al don Vecchi

Il riparo per le biciclette dei 230 residenti al Centro don Vecchi ha una storia complicata, aggrovigliata e soprattutto tribolata. La riassumo in poche parole. Gli anziani residenti più che le automobili usano le biciclette. Attualmente penso che ne abbiano cento-centoventi, e gli anziani sono quanto mai gelosi di questi veicoli, forse ricordandosi che nella loro giovinezza possedere una bicicletta era segno di agiatezza.

Abbiamo commissionato ad un architetto noto in città la progettazione di questa “custodia” e abbiamo pagato per il progetto e fatto costruire da un’impresa quanto mai seria. Non so cosa sia successo, di chi sia la colpa, sennonché un “cristiano” del quartiere per ben tre volte ha sporto denuncia ritenendo l’opera abusiva.

Sono arrivati i vigili, hanno riscontrato delle irregolarità. Noi siamo ricorsi al progettista che ci ha rassicurato della validità dell’opera. Però ci è arrivata una contravvenzione di ben cinquemila euro, ben dieci milioni di vecchie lire.

Una volta pagata la multa pensavo di essere finalmente a posto anche se a caro prezzo. “Illusione, dolce chimera sei tu!” Nuovo ricorso al professionista, nuove assicurazioni, tanto che ad un certo momento m’è stato perfino detto che quello che prima era negato ora è imposto dal Comune: la custodia per le bici.

Non sto a ripetere il numero di telefonate, di proposte e controproposte. L’ultima soluzione prevedeva d’attaccare la “baracca” delle biciclette alla facciata principale con un tunnel per girare attorno al fabbricato. «Ferma tutto!» ordinai, «il Comune venga pure a demolire. Troveranno 230 anziani con un prete ottantunenne a guidare la rivolta sulle barricate».

Per ora ho allertato la stampa e la televisione perché informino l’opinione pubblica nazionale della stupidità della burocrazia veneziana: Mi sono detto: «Mi metteranno dentro!» Quella della galera è un’esperienza che finora non ho mai fatto, né desidero in verità farla! Se però è necessario, mi mettano pure dentro, perché ho tentato di tenere al riparo dalla ruggine le “fuori serie” dei nostri vecchi!

Ci sono tante difficoltà ma sono ben determinato a superarle!

Confesso che sto incontrando più di una difficoltà nel portare avanti i progetti che attualmente mi stanno a cuore.

Per il “don Vecchi” di Campalto ormai ho firmato il contratto con l’Eurocostruzioni. 2.870.000 euro, somma a cui si deve pure aggiungere l’IVA; non ci si meravigli che lo Stato tassi anche chi lavora per esso, anzi si sostituisce ad esso. Le tasse sono sacrosante e si devono pagare, anche se poi ci si accorge che chi le evade può concedersi il lusso di regalare appartamenti del costo di milioni e milioni di euro a parlamentari e ministri!

Per quanto riguarda la “struttura pilota” per prolungare l’autosufficienza, con qualche soluzione architettonica migliorativa o qualche persona di servizio in aggiunta, siamo appena all’inizio dell’impresa e prevedo ostacoli, imboscate burocratiche ed inghippi di ogni genere, ma questa è la regola in vigore, guai a fermarsi al primo ostacolo!

Un architetto, a cui manifestavo la mia sorpresa e la mia indignazione per chi non solo non favorisce, ma pare che remi contro, anche quando si tratta di opere benefiche, mi disse con salomonica saggezza: «Don Armando, non c’è da meravigliarsi quando si incontrano ostacoli, il vero motivo di meraviglia è quando non si incontrano gli ostacoli!”

Per quanto riguarda “la cittadella della solidarietà”, opera che è ancora nella fase del sogno e della utopia, finora ci sono giunte più prese di posizione negative di quelle positive. Questo però non mi spaventa. In questi giorni, sentendo che il nostro assessore alla viabilità ha proposto un nuovo progetto per il tracciato del tram, mi sono ricordato di un episodio di cui mi ero dimenticato. Non riuscendo ad ottenere la concessione edilizia dal sindaco che vent’anni fa era appunto l’avvocato Ugo Bergamo (i nostri amministratori sono eterni) per il “don Vecchi uno” avevo minacciato su “Lettera aperta”, il periodico della parrocchia, che se entro una data fissata il Comune non mi avesse dato suddetta licenza, alle 12 di ogni giorno avrei fatto suonare le campane a morto.

Qualcuno, evidentemente, si incaricò di mandare alla vecchia madre del sindaco il periodico con la notizia funebre, al che mi riferirono che questa cara donna si sarebbe rivolta all’illustre figlio supplicandolo: «Ughetto mio, non permetterai mica che quel parroco suoni le campane a morto!»

Mi arrivò la concessione edilizia! Ora mi è motivo di molto conforto il sapere che io sono ancora io, quello di vent’anni fa!

Un pellegrinaggio con pancetta

Siamo andati in pellegrinaggio con due pullman di anziani del “don Vecchi” al santuario della Madonna dell’Olmo, vicino a Thiene.

I nostri pellegrinaggi sarebbe più giusto chiamarli “brevi uscite” dalla monotonia del quotidiano. La meta è un pretesto e la storia del miracolo lontano cinque secoli è meno ancora di un pretesto per incontrare il Signore.

Io ero stato alla Madonna dell’Olmo una ventina di anni fa, sempre con gli anziani, anche se diversi dagli attuali, e ricordavo un ambiente un po’ romantico (i ricordi di esperienze lontane nel tempo giocano sempre brutti scherzi).

La struttura della chiesa, del convento e delle adiacenze si rifanno agli schemi consolidati dei frati cappuccini, che obbediscono ad un cliché ben determinato, sempre funzionale, con un’impostazione sobria, di gusto mediocre, ma di gradimento popolare.

Buona ed efficiente l’organizzazione, anche se il tutto manifesta la vita di un santuario di “seconda classe” che i frati promuovono con tanta buona volontà, ma che non offre quell’aria mistica e diversa che è possibile trovare altrove in ambienti più suggestivi da un punto di vista naturalistico.

Ho celebrato messa con un po’ di disagio perché non avevo previsto l’assenza di chi normalmente sceglie ed intona i canti e perché c’è stato più di un inceppo nelle preghiere dei fedeli e nella “presentazione” che è finita per diventare la “conclusione”. Pazienza! Non tutte le ciambelle riescono col buco!

La merenda invece è andata per il meglio: un prato verde, ombreggiato da alberi secolari, un’arietta fresca e tanti panini alla pancetta, al salame e alla mortadella. Questa parte della “liturgia” dei nostri pellegrini è sempre attesa e vissuta con vera intensità “spirituale”. Soprattutto le signore han cominciato a chiacchierare con tanta intensità e piacere e quando qualcuno fece osservare ch’era prevista anche la visita ad un antico convento di Schio, a stragrande maggioranza si optò per terminare in pace la merenda e continuare i lieti conversari.

La vita riserva anche queste sorprese a livello ascetico!

Il dono di Maria Santi

Un mese fa ho concelebrato con don Gianni, il parroco della comunità di san Lorenzo Giustiniani, il commiato cristiano per Maria Santi.

La signora Maria è stata veramente un dono del Cielo, per come l’ho incontrata, per quello che ha fatto per me e per i famigliari degli ammalati del nostro ospedale, e per il modo con cui ha concluso la sua vita quaggiù. Don Gianni mi ha chiesto se volevo dire una parola durante la celebrazione. Ho detto di no perché ero certo che avrei comunque rimpicciolito la sua bella figura e la sua storia.

L’ho incontrata in un momento di estrema difficoltà; non sapevo proprio come uscire dalla situazione quasi tragica in cui mi trovavo.

L’anziana Cleofe, giustamente, mi chiese di poter terminare il compito di fare la “padrona di casa” al “Foyer san Benedetto”, l’appartamento che offriva, e offre ancora, dieci posti letto ai famigliari che vengono da lontano per assistere in ospedale i loro congiunti ricoverati. Una vicina di casa venne a conoscenza del mio problema e mi disse: «Don Armando, ne parlerò con mia cugina che in questo momento forse potrebbe abbandonare la sua casa». Questa cugina era rimasta sola e con una pensione inconsistente. Venne un paio di giorni dopo, poco più che cinquantenne, vedova con due figlie sposate.

Si liberò di tutto, mi regalò perfino i quadri, pareva che volesse fare una scelta irreversibile a favore degli altri. In realtà si donò senza risparmio, sempre sorridente, mai preoccupata per le difficoltà, e così per una decina di anni della sua ancor giovane vita si donò a persone sempre nuove e mai conosciute, provenienti da ogni regione d’Italia.

Maria aveva sempre posto per tutti, e quando non l’aveva stendeva sul pavimento un materasso per lasciare il suo letto all’ultimo arrivato. Sembrava che non avesse mai un problema, che la vita e i rapporti con gli ospiti fossero sempre entusiasmanti, tanto che l’appartamento di 90 metri quadri pareva un albergo a cinque stelle. Era la sua calda umanità che faceva splendere il sole anche nelle giornate più grigie e nebbiose.

La malattia la colse in modo subdolo, ma ella la vinse col suo coraggio e la sua fede.

Ora che Maria se n’è andata, mi sento molto più povero da un lato, e molto più ricco da un altro, perché lassù in Cielo è certamente una delle stelle più luminose che io possa aver mai incontrato e sulla cui luce io posso contare.