Incidenti sul lavoro

Ho scritto fin troppe volte che, essendo un prete vecchio e pensionato, la mia occupazione principale è quella del “suffragio” e del “commiato”, un “lavoro” che a molti può sembrare marginale ma che invece io vado scoprendo ogni giorno di più quanto può diventare importante ai fini dell’annuncio del regno. Mi pare quindi quanto mai doveroso che io tenti di specializzarmi in questo aspetto della vita pastorale per poter fare il meglio possibile.

Il commiato cristiano mi offre sempre l’opportunità di fare una breve ma incisiva catechesi su argomenti fondamentali: la vita considerata come dono di Dio, l’opportunità di trasformare l’esistenza come un servizio ai fratelli, la prova come mezzo per una purificazione interiore, la prospettiva di una vita nuova, l’annuncio della misericordia e della paternità di Dio, l’assurdo di una esistenza senza la prospettiva dell’eternità.

Questa catechesi risulterebbe abbastanza arida però se non ci fosse almeno qualche piccolo riferimento alle vicende della persona a cui mi si è stato chiesto di dare l’ultimo saluto guidando la preghiera della comunità. Questi cenni particolari dovrebbero essere marginali mentre alcuni familiari si aspetterebbero che trasformassi l’omelia in un elogio funebre.

Tempo fa la figlia di un defunto se n’è avuta a male perché non ho citato il nome del nipotino tanto amato, in un’altra occasione un congiunto si è lagnato perché non avevo accennato all’amore del morto per gli animali. Qualche giorno fa, ho preso contatto con la moglie di un defunto e lei mi ha detto di lui quanto di meglio si può dire: buono, generoso, altruista, impegnato; però mentre lo accompagnavo alla sepoltura e parlavo della generosità dell’estinto con l’incaricato delle pompe funebri egli mi ha detto: “Ma don Armando, la signora non le ha anche detto che il marito ha trascorso più anni in galera che fuori?”. Purtroppo anche questi sono incidenti del mestiere!

Gli arti delle parrocchie

La parrocchia è la comunità di base dell’organizzazione della Chiesa Cattolica, essa ha compiti specifici e per perseguire i suoi obiettivi necessita di strumenti. Mi pare sia di dominio pubblico che la parrocchia debba provvedere al culto organizzando la preghiera pubblica e privata, debba provvedere alla catechesi sia per i bambini che degli adulti per far loro conoscere il messaggio di Gesù ed infine debba organizzare la carità al suo interno. Una parrocchia che non sia impegnata per il culto, la catechesi e la carità è una comunità monca, incompleta e carente di quegli elementi che sono essenziali per la sua stessa vita.

Per quanto riguarda il culto e la catechesi non c`è parrocchia che in qualche modo non provveda, vi sono parrocchie seriamente impegnate che mettono in atto le soluzioni più avanzate e rispondenti alle attese e alla sensibilità degli uomini d’oggi, mentre altre tirano a campare rifacendosi ad una tradizione ultra secolare con risultati evidentemente deludenti, comunque tutte le parrocchie in qualche modo sopravvivono anche se talora vegetano.

La carità invece pare che in molte di esse non desti alcuna preoccupazione, tanto da farle apparire prive di un arto e quindi squilibrate e terribilmente zoppicanti. Questa è una carenza mai sufficientemente denunciata! Una parrocchia, che non abbia un’organizzazione della carità almeno decente, dovrebbe chiudere perché priva di un arto essenziale per esercitare il suo ruolo.

Come risolvere il problema? Ci dovrebbe essere una sensibilizzazione da parte del Vescovo e della Caritas che è l’organismo istituzionale a cui è stato affidato l’incarico di promuovere la solidarietà. Purtroppo pare che anche questi organismi siano poco sensibili a questa esigenza che rimane ancora tanto marginale nella preoccupazione di Vescovi e parroci. Temo che anche le parrocchie più sensibili a questo dovere e più attrezzate per realizzarlo sbaglino quando tentano di fare supplenza. Ritengo sia doveroso stimolare le singole parrocchie ad attrezzarsi per la carità perché le supplenze favoriscono la pigrizia e l’incoerenza.

Burocrazia

Sono da sempre convinto che qualsiasi apparato burocratico, specie se di enti statali o parastatali, sia una delle più grosse palle al piede che impedisce alle strutture un passo veloce ma soprattutto una produttività che giustifichi un numero così grande di dipendenti. In tempi lontanissimi di questa sensazione, quasi istintiva, ebbi una dimostrazione teorica.

Monsignor Vecchi era molto amico della famiglia Coin, i notissimi imprenditori veneziani, ma soprattutto di uno dei suoi giovani rampolli: il dottor Piergiorgio. Monsignore, quando questo giovane imprenditore veniva a fargli vista, spesso lo invitava a pranzo. Il dottor Piergiorgio, che collaborava con il fratello Vittorio alla conduzione della grande azienda familiare, come tutti i giovani era curioso e desideroso di aggiornarla dal momento che essa poggiava ancora sul fiuto commerciale dei vecchi fratelli Alfonso e Aristide, rispettivamente loro zio e padre. Durante il pranzo normalmente si parlava sia della nostra parrocchia sia della sua azienda e a questo giovane imprenditore piaceva quanto mai raccontarci dei viaggi in America che faceva per aggiornarsi sulle metodologie più avanzate di gestione e di vendita. Ricordo di aver appreso allora che quando in un’azienda il numero di impiegati supera un certo livello invece di essere produttivi finiscono per intralciare il lavoro e per costituire un peso per l’azienda stessa.

Quando penso ai tremilaseicento dipendenti del Comune di Venezia e agli oltre seimila delle società controllate dal Comune, mi spiego l’assoluta inefficienza dell’apparato comunale e penso che questa realtà valga anche per la Regione per non parlare poi dello Stato. Quindi non capisco perché, se è scientificamente dimostrato che un numero di dipendenti così elevato è più dannoso che utile, Renzi non faccia fare una cura dimagrante all’apparato statale e Zaia e Brugnaro non facciano altrettanto in Regione e in Comune rendendo questi organismi leggeri, efficienti, meno costosi e soprattutto impegnati a servire i cittadini e non a rendere la loro vita sempre più difficile.

Onore ai militi ignoti

Perdonatemi amici lettori se ancora una volta ricordo “il mio maestro”, Monsignor Valentino Vecchi, però una sua affermazione calza così bene al discorso che voglio fare, che proprio non riesco a non citarlo una volta ancora. Gli antichi affermavano “Repetita iuvant” perché il chiodo per conficcarsi deve essere colpito più volte con il martello però è altrettanto vero anche quello che noi studenti di tempi lontani aggiungevamo in un latino maccheronico che non serve tradurre: “ma stufant”.

Questa è l’osservazione di don Valentino Vecchi: “Quando una persona entra in un edificio di pregio, d’istinto cerca con gli occhi i marmi lavorati artisticamente, i capitelli corinzi, ionici o dorici con le relative colonne e quasi mai il suo sguardo e il suo pensiero vanno a quelle umili pietre di terracotta coperte dall’intonaco che sostengono l’edificio”. Ebbene in questi ultimi anni della mia vita, in cui spesso vengo a conoscere concittadini ai quali porgo l’ultimo saluto prima di consegnarli alla paternità di Dio, sento il dovere di onorare e di ringraziare quegli uomini e quelle donne umili che hanno fatto il loro dovere, che si sono spesi per le loro famiglie e che spesso si sono anche fatti carico dei fratelli più poveri.

Inizialmente nel mio sermone cercavo di illustrare feste particolari, imprese di valore, episodi significativi ma poi, piano piano, ho capito che non c’è niente di meglio e di più importante per la società che incontrare galantuomini, donne di casa e genitori che hanno cresciuto la loro famiglia trasmettendo valori autentici. Sono assolutamente certo che la nostra società non si è ancora sfasciata e sta ancora in piedi solamente grazie a questi uomini e donne che hanno fatto il loro dovere in silenzio, con tanto sacrificio e non certo per merito di quei parolai che riempiono ogni giorno le pagine dei giornali con i loro volti, le loro chiacchiere e le loro beghe inconcludenti. Perciò oggi depongo, con rispetto e riconoscenza, la mia corona d’alloro per onorare la vita e la memoria di questi “militi ignoti” ai quali dobbiamo tutto, ma proprio tutto!

Democrazia

A me piace la democrazia però senza aggettivi che la qualifichino, aggettivi che temo la svuotino del suo contenuto autentico. Io non ho mai accettato l’abbinamento tra il termine “democrazia” e l’aggettivo “proletaria”, abbinamento in uso tra i comunisti di un tempo convinti di rafforzare, con questo connubio, il concetto stesso di democrazia perché questa parola è già sufficientemente densa di significati anche senza l’integrazione di aggettivi vari. Ritengo che la democrazia, il cui significato è “governo del popolo”, sia un po’ come una coperta che viene tirata ora da una parte ora dall’altra a supporto di decisioni e di scelte in cui spesso quel popolo, che dovrebbe esercitare la sovranità in via indiretta attraverso rappresentanze elettive, viene ignorato.

L’ingovernabilità è una malattia endemica del nostro Paese e spesso ci ha fatto assistere alla paralisi decisionale anche quando i governi potevano contare su solide maggioranze. La dialettica interna recentemente è degenerata in lotta ideologica e di potere, sia all’interno del partito di maggioranza relativa che in altre formazioni politiche, creando tensioni che generanno instabilità. Anche il premier Renzi, all’interno del suo partito, deve fare i conti con queste tensioni provocate da divergenze con la minoranza interna, tensioni che anche Renzi ha cavalcato quando, a sua volta, era minoranza. Noi non possiamo fare altro che pregare e sperare che il buon senso prevalga in tutti coloro che hanno responsabilità politiche.

La maggioranza deve quindi esercitare il mandato di governare, l’opposizione il suo ruolo di controllo propositivo e ambedue, superando sterili contrapposizioni, non devono dimenticare che il loro mandato è quello di operare, nel rispetto dei reciproci ruoli, per il bene di tutti senza continui ed inutili balletti per rimpallarsi la responsabilità della realtà in cui stiamo vivendo.

Ho fatto questa premessa non per un’esercitazione dialettica ma per affermare ad alta voce che mi irrita che Camilla Seibezzi, delegata dal sindaco Orsoni per i diritti civili, le politiche contro la discriminazione e la cultura, pretenda di imporre all’attuale sindaco Brugnaro, che tra l’altro non condivide le sue convinzioni, di adeguarsi ai suoi sballati concetti sul sesso, sui genitori e sulla teoria gender. Desidero mettere in guardia il nuovo sindaco affinché non si lasci condizionare dagli schieramenti politici estremi, dai sindacati, dai centri sociali e dai comitati che spuntano come funghi dopo una pioggia perché se così facesse non avrebbe scampo e quindi gli consiglio di accettare il messaggio di questo vecchio prete: “Tenga duro e non si lasci condizionare da questi cattivi profeti!”.

Il ristorante

Il Patriarca Roncalli mi ha insegnato che quando mi sta a cuore qualcosa, che ritengo utile o necessaria, se ne parlo un po’ con tutti, prima o poi troverò qualcuno disposto a darmi una mano. Ho fatto tesoro del consiglio di questo santo vecchio e confesso che mi sono trovato bene e, anche se non sempre le cose sono andate secondo i miei calcoli, le mie attese e i miei convincimenti, ho comunque “ho portato a casa” sempre qualche risultato. Io sono un uomo che si “innamora a prima vista”, ed è soggetto ai “colpi di fulmine”, quindi quando intravvedo la possibilità di realizzare un nuovo progetto mi butto a capofitto e finché non riesco a realizzarlo non trovo pace e non demordo.

L’ultimo “colpo di fulmine” è quello di riuscire ad aprire un “ristorante” per i poveri che soffrono in silenzio, che non sono soliti batter cassa né in parrocchia né in Comune, ma vivono con dignità il loro disagio, magari tirando la cinghia. Tanti anni fa, durante la benedizione delle case, conobbi una famiglia che viveva in una casa pulita e ordinata e manteneva un regime di vita che fino ad allora mi era parso nella norma, successivamente però venni a sapere che erano soliti comperare quasi esclusivamente alette di pollo perché non potevano permettersi molto altro. Ora vorrei dare una mano a questa gente povera, ma dignitosa offrendo loro la cena almeno per un mese o se possibile anche più a lungo con l’auspicio che riescano a superare le difficoltà in cui si dibattono. Finora ho ottenuto la disponibilità del catering “Serenessina Ristorazione” ad offrirci fino a centodieci pasti per sera. Spero che la Fondazione metta a disposizione la sala da pranzo e quanto altro può servire e che qualche concittadino di buona volontà si renda disponibile per il servizio e per l’organizzazione che credo sarà un po’ complessa.

Il guaio e l’ostacolo più grave è la mia età, ormai ho quasi novant’anni e mentre il cuore e il cervello sono ancora in buone condizioni il resto è logoro. Ma volete che a Mestre non ci sia qualcuno più giovane e più bravo di me disposto a dar vita a questa meravigliosa e insperata opportunità?

L’esercito di Brancaleone

Quando qualcuno è costretto ad avvalersi di collaboratori impreparati, rissosi, indisciplinati, poco obbedienti e soprattutto con idee ed obiettivi poco chiari e poco definiti, è normale pensare che con simili soggetti non si possa andare troppo lontano e non ci si possa illudere di vincere la guerra.

Fuori dalla metafora, quello che io con tono pomposo e trionfalistico chiamo: “Il Polo Solidale del Don Vecchi” è composto da cinque brigate: “La Fondazione Carpinetum” e le associazioni di volontariato “Vestire gli Ignudi” (vestiti), “Carpenedo Solidale” (arredo per la casa e generi alimentari), “La Buona Terra” (frutta e verdura) e “Lo Spaccio della Solidarietà” (ritiro e distribuzione di generi alimentari in scadenza dai sette supermercati Cadoro). Queste cinque brigate, possono contare all’incirca su trecento elementi. I comandanti sono tutti “capitani di ventura” provenienti da impegni precedenti svolti nelle attività più disparate. La truppa poi è reclutata in maniera sommaria senza andare troppo per il sottile e tra le sue fila annovera sia persone che hanno fatto scelte precise e meditate e svolgono le loro mansioni in maniera estremamente coscienziosa e responsabile sia soggetti inviati dal Comune per un loro inserimento sociale, tra questi due estremi poi c’è un po’ di tutto: disoccupati, persone che non sanno come passare il tempo, altre che hanno bisogno di compagnia e c’è perfino qualcuno che spera di trarre dal volontariato qualche vantaggio economico, magari in generi alimentari o altro.

Le battaglie a favore dei più bisognosi le dobbiamo fare con questo esercito di Brancaleone, certamente difficile da governare, e quando qualcuno ogni tanto ci suggerisce nuove regole, maggior disciplina e una miglior selezione io non me la sento di accogliere questi buoni consigli perché temo che tutto si sfasci e venga a mancare l’aiuto ai poveri. Alla fin fine però mi consolo perché con questa formazione tanto eterogenea in vent’anni abbiamo distribuito, bene o male, decine di migliaia di tonnellate di aiuti di ogni genere: spero perciò che tutto questo continui almeno finché campo.

Pozzo senza fondo

Ho già raccontato ai miei amici che sessant’anni fa confidavo a Monsignor Aldo Da Villa, mio vecchio parroco di allora e oratore quanto mai brillante e convincente, la mia grossa difficoltà nel preparare il sermone per la domenica e l’angoscia che provavo al pensiero che l’anno successivo avrei dovuto commentare lo stesso brano del Vangelo dicendo qualcosa di nuovo.

Monsignore mi rassicurò affermando che la Parola del Signore è la manifestazione di Dio stesso e quindi, per sua stessa natura, sconfinata ed infinita nei contenuti. Ebbi fiducia di quel bravo prete e da più di sessant’anni continuo a commentare il Vangelo scoprendovi, per fortuna, sempre qualcosa di nuovo, di bello e di utile.

La settimana scorsa la liturgia della domenica offriva ai fedeli la pagina del Vangelo di Giovanni che parla della moltiplicazione dei pani e dei pesci, il miracolo con cui Gesù sfama una folla di cinquemila uomini oltre alle donne e ai bambini. Quello che è quanto mai interessante però è la modalità con cui Cristo compie questo miracolo. Fin dal primo approccio della mia preparazione ho scoperto alcune verità che mi sono parse non solo interessanti, ma estremamente attuali e rivoluzionarie. Ne faccio un accenno per sommi capi sperando che mi capiti l’occasione di tornare sull’argomento in maniera più esaustiva.

  • “Una grande folla segue Gesù vedendo i segni che compiva nei riguardi dei sofferenti”: se la Chiesa vuole avere maggior seguito deve occuparsi sempre più concretamente di chi è in difficoltà.
  • “Gesù si preoccupa e sfama la gente”: Gesù quindi è venuto per la salvezza globale dell’uomo e non solamente per le anime o per l’aldilà come pensano troppi cristiani.
  • “Provvedete voi dice agli apostoli”: loro obiettano che neanche con una somma ingente avrebbero potuto farlo, è quindi evidente che mentre noi poveri uomini commisuriamo il nostro impegno per i poveri alle nostre disponibilità, Gesù invece parte dalle esigenze di chi ha bisogno.
  • “II bimbo con i cinque pani e i tre pesci”: ognuno deve fare la sua parte impegnandosi senza se e senza, il resto lo fa il Signore.
  • “Raccogliete gli avanzi”: nulla di più attuale nella società dei consumi.

Sono andato a mendicare!

Oggi ho dedicato la mattinata a fare il mendicante e per farlo ho dovuto perfino annullare la Messa che celebro ogni giorno in cimitero. È vero che in passato ci sono stati preti come don Marella di Pellestrina, che quotidianamente si metteva in un angolo di una delle strade più trafficate di Bologna per chiedere la carità necessaria a mantenere i poveri della “Città dei Ragazzi” che egli aveva fondato ai margini della città attorno agli anni ’30-’40, confesso però che a me è costato quanto mai mendicare presso un funzionario della Regione il permesso di poter continuare a distribuire i vestiti alla folla di concittadini e di extracomunitari che per potersi vestire decentemente accedono “all’ipermercato degli indumenti” del Polo Solidale del Don Vecchi. Mi è costato tanto perché l’ente pubblico, che in questo caso è la Regione, invece di favorire ed aiutare queste associazioni di volontariato del privato sociale, che rappresentano in assoluto il meglio della nostra società, mettono loro i bastoni fra le ruote, con imposizioni banali, assurde ed inconcepibili usando le leggi come un capestro piuttosto che come uno strumento per aiutare i più poveri.

Sono stato in Regione dove come sempre ho incontrato una marea di impiegati e di dirigenti che la comunità purtroppo paga per creare grane piuttosto che per risolvere i problemi. Io sono certamente un povero “Nàne” ma da sessant’anni bazzico tra i poveri e i volontari e potrei aprire una scuola, non solamente per gli impiegati ma anche per i dirigenti, per insegnare a questi funzionari tutto sui poveri e sulle persone che si occupano di loro. In più di un’occasione mi sono trovato davanti a persone assolutamente incompetenti, amanti delle carte con le quali si trastullano da mane a sera, e purtroppo, per amore della povera gente, ho dovuto “mangiare il rospo” e sono stato costretto ad assecondarli perché hanno loro il coltello dalla parte del manico.

La giustizia ingiusta

La recente sentenza della Consulta, che ha stabilito che anche le scuole paritarie, ossia quelle gestite da parrocchie o da enti religiosi e riconosciute dallo Stato dovranno pagare ICI e IMU, non solo mi ha irritato ma mi ha anche indotto ad un rifiuto radicale verso questi alti magistrati che nei momenti critici, nei quali persone di buona volontà e di retto sentire sono impegnate fino allo spasimo per tenere a galla la barca nazionale che fa acqua da tutte le parti, senza scomporsi e comportandosi come se fossero in possesso della verità assoluta iniziano a menare picconate aprendo ulteriori falle che non possono sortire altro effetto se non quello di aiutare la barca ad affondare più velocemente. Questo è avvenuto recentemente per le pensioni ed avviene ora per la scuola cattolica.

La cosa mi riguarda in generale come cittadino di questo Paese ma soprattutto in maniera più specifica perché per trentacinque anni mi sono impegnato, fino allo spasimo, per trasformare il vecchio asilo infantile di Carpenedo nel moderno ed avveniristico “Centro Polifunzionale per l’Infanzia: Il Germoglio” di Via Ca’ Rossa. Ebbene quella scuola era di gran lunga all’avanguardia con lo zoo, il giardino botanico, la casetta per le feste, il trenino e l’asilo nido. Questa struttura è costata al Comune e allo Stato meno di un terzo di quanto allora si spendeva per realizzare una scuola pubblica per l’infanzia e oltretutto i genitori della nostra scuola d’eccellenza, che pagavano una retta modesta, erano costretti a pagare anche una quota ben più onerosa da destinare alla scuola pubblica di cui non usufruivano.

Prima di fare ulteriori commenti sugli alti gradi della magistratura, che dovrebbero essere i garanti supremi della giustizia, voglio far notare che, mentre la povera gente gode di stipendi da fame, loro non si vergognano di percepire stipendi più che lauti di cui loro stessi definiscono l’importo. Sono quanto mai triste nel fare queste considerazioni e non posso fare a meno di ritornare con il pensiero ai martiri di questa categoria: Livatino, Chinnici, Falcone, Borsellino e tantissimi altri e sono anche convinto che i giudici che lavorano in silenzio e fanno il loro dovere di servitori dello Stato siano la maggioranza. Detto questo ho la sensazione che nelle alte sfere di questa categoria si annidino magistrati che, ispirandosi a vari settori della politica e della finanza, usano la Giustizia in maniera partigiana e faziosa per far prevalere soluzioni che non hanno nulla a che fare con il bene del Paese.

Scopa nuova

Sono sempre stato convinto che i proverbi ci trasmettano esempi di saggezza popolare perché nascono da esperienze di vita vissuta. A leggere il Gazzettino pare che la nuova Amministrazione di Venezia manifesti almeno inizialmente una certa intraprendenza. C’è un proverbio che afferma: “Scopa nuova, scopa bene”, dobbiamo però anche avere un pizzico di prudenza ed attendere ulteriori conferme per non rischiare di rimanere delusi. Sempre rifacendomi ai proverbi ce n’è uno che dice: “Meglio poco che niente”, per fortuna però ce n’è anche un altro, più incoraggiante, al quale voglio aggrapparmi per poter almeno sperare: “Chi ben comincia è a metà dell’opera”.

In questi giorni, dovendo transitare più volte al giorno per l’incrocio della piazza di Carpenedo, ho avuto modo di vedere che i lavori per la rimozione di quel terribile acciottolato, che scuote l’auto come un terremoto, sono iniziati. A quanto mi si dice pare che in un paio di settimane i lavori saranno ultimati e tutto verrà sistemato.

Qualcuno dirà: “È ancora poco”, è vero però è qualcosa. Partendo da questa parziale constatazione positiva mi è venuto da pensare, rifacendomi all’auspicio che ho manifestato in questa rubrica prima delle elezioni quando ho scritto: “Spero che il Patriarca, preceduto dalla Croce astile e seguito dal clero e dal popolo veneziano, si rechi da un imprenditore affermato e possibilmente onesto per pregarlo di donare alcuni anni della sua vita per rimettere in sesto la nostra città”. Per quanto riguarda la scelta di un professionista piuttosto che di un politico il Signore mi ha esaudito mentre per quanto riguarda la sua onestà e la sua capacità, per non restare deluso, preferisco aspettare ancora un po’ ad esprimere giudizi. Spero anche che il Signore continui ad ascoltarmi suggerendo a Brugnaro di tirare dritto, di tenersi lontano dai cattivi compagni annidati tra i politici, nei sindacati e nei vari comitati e di procedere, anche se con prudenza, applicando quelle leggi del buonsenso e della corretta amministrazione che per tanti anni, a Venezia, sono state disattese.

La lezione di don Fausto

Ho avuto modo di affermare molte volte che qualsiasi società ha un’estrema necessità di campioni, di santi e di martiri che facciano da capi cordata nell’aprire vie nuove verso la vetta e che dimostrino, con la loro vita e con la loro esperienza, che è possibile farlo per aiutare i meno esperti a raggiungerla. Quest’esigenza è importante in tutti i settori della vita umana e a maggior ragione lo è per la pastorale e per la vita parrocchiale. Poter disporre di questi campioni come guida e come punto di riferimento nella nostra esistenza è un dono del cielo e, grazie alle loro doti naturali, al loro impegno e grazie anche ai “maestri” che a loro volta hanno avuto la fortuna di incontrare, essi diventano “mosche cocchiere” per chi è meno dotato e per chi è talmente pigro da autogiustificarsi affermando che certe mete sono irraggiungibili.

Qualche tempo fa ho avuto l’occasione di leggere l’Annuario redatto da Monsignor Fausto Bonini che fino a pochi mesi fa, prima di diventare pensionato, era il parroco della comunità cristiana di San Lorenzo, il Duomo di Mestre. Questo testo mi ha offerto un progetto pastorale tanto innovativo, avanzato e all’avanguardia da consigliarne la lettura ai miei confratelli e da suggerire a don Fausto di inviarne copia a tutti noi sacerdoti anche se lui, probabilmente per comprensibile modestia, non ha aderito alla mia richiesta.

Partendo da questo spunto, stimolato dal contenuto della corposa busta con i bollettini parrocchiali della diocesi, oggi non posso esimermi dal sottolineare quanto questi periodici, che normalmente sono poveri di contenuti, durante l’estate lo siano ancor di più. Ricordo ancora quando don Fausto curava settimanalmente “La Borromea” che costituiva un messaggio ed una testimonianza fatta quasi esclusivamente da immagini, soluzione quanto mai coerente al modo di trasmettere messaggi dei nostri giorni. Alla Borromea affiancava, con scadenze varie, “Piazza Maggiore” un giornale-rivista nel quale offriva un dibattito condotto da giornalisti qualificati sui problemi attuali della città e della Chiesa di Mestre. Sono le soluzioni di questo genere ad essere efficaci e innovative nello stimolare un dialogo con la parrocchia e con la città.

Meglio tardi che mai!

Salvini, volgare, sfrontato e a caccia di voti a qualunque costo come sempre, all’invito di Papa Francesco di “non voltarci dall’altra parte” nei riguardi dei profughi ha detto che se al Pontefice stanno tanto a cuore questi poveri grami può portarseli in Vaticano. Penso che anche Salvini legga i giornali e guardi la televisione e quindi sappia come il nostro Papa non viva da sovrano ma si sforzi in ogni occasione di comportarsi come un servo. Ritengo opportuno evitare di ritornare sui suoi modi di essere sia perché ne ho già parlato molte volte sia perché sono convinto che tutti conoscano ed apprezzino i comportamenti del nostro amatissimo e caro Pontefice. Credo che anche Salvini abbia saputo che il Papa ha invitato i preti, le suore e le diocesi che hanno conventi, monasteri e seminari vuoti ad aprirli ai profughi. Purtroppo però non tutti i preti, i frati, le suore e i vescovi sono come il Papa.

Io, da impertinente quale sono sempre stato, ho “mandato a dire” al Papa, attraverso “L’incontro”, di non limitarsi a rivolgere inviti ma di impartire l’ordine, ad ogni parroco d’Italia, di mettere a disposizione uno o più appartamenti, in funzione della grandezza della parrocchia, per una o più famiglie di profughi. Tutti gli enti religiosi, sia grandi che piccoli, potrebbero fare un gesto come questo. La stampa finora non ha diffuso la notizia che il Papa abbia impartito questo ordine e per questo sono convinto che o il segretario di Papa Francesco si è dimenticato di passare al Pontefice quel numero de “L’incontro” oppure che i preposti degli enti religiosi, dopo aver ricevuto l’ordine, abbiano fatto orecchie da mercante ed abbiano preferito limitarsi a parlare della santa virtù della carità invece di praticarla.

Desidero però che si sappia che io non mi tiro mai indietro e in questi frangenti mi domando: “Ed io cosa posso fare?”. Pur non essendo il responsabile dei Centri Don Vecchi ho insistito affinché la Fondazione destinasse a questo scopo un piccolo appartamento che abbiamo ereditato ma, poiché è molto malmesso, la direzione ha pensato che quella sarebbe stata una carità pelosa. Il consiglio di amministrazione della Fondazione ha preferito mettere a disposizione della Protezione Civile due alloggi, in uno dei cinque centri Don Vecchi, da destinare ad anziani che abbiano avuto la casa disastrata dal tornado che ha colpito la Riviera del Brenta. L’offerta è stata un po’ tardiva ma comunque fortunatamente c’è stata e una volta ancora è valido il motto: “Meglio tardi che mai!”. Ora sto aspettando di apprendere cosa faranno Salvini e la sua Lega.

Oggi, missionari a casa nostra

Una ventina d’anni fa, non ricordo come, conobbi una vecchia suora che da una vita era missionaria in un paese africano ed ho mantenuto con lei una fitta corrispondenza. Oggi le suore sono qualificate, conseguono titoli di scuola superiore e prima di partire per le missioni si specializzano con corsi di formazione mentre un secolo fa, quando quella ragazza del nostro Veneto partì per le missioni, penso che al massino avesse conseguito l’attestato di terza elementare. Il fatto poi di essere rimasta in Africa per vari decenni aveva talmente imbastardito il suo italiano, già inquinato dal nostro dialetto, che le lettere che ci scriveva erano di una povertà assoluta sia per i vocaboli che per la grammatica e per la sintassi. Le lettere di quella santa creatura, che avevo fatto conoscere alla parrocchia come “la vecchierella di Dio”, erano però lettere che toccavano il cuore e trasmettevano la sua sconfinata passione per le anime. Questa vecchia missionaria, morta a più di novant’anni in Africa perché non si volle staccare dai suoi poveri indigeni, da un lato ci illustrava come spendeva le nostre offerte: fagioli secchi, sale e altri generi di prima necessità e dall’altro ci parlava con tenerezza delle decine e decine di adulti che si preparavano a ricevere il Battesimo ad una scuola dove l’insegnante era questa vecchia suora quasi illetterata ma con una laurea in fede e generosità conseguita con centodieci e lode.

In questi giorni sto leggendo la biografia di un’altra “suora” senza voti e senza tonaca: Madeleine Delbrêl che ha speso la vita nei sobborghi più scristianizzati di Parigi; una donna di Dio, fine intellettuale e una mistica impegnata nel sociale, quasi per nulla preoccupata di convertire e di battezzare e talora perfino in contrasto con l’apparato ecclesiastico ma attentissima al discorso politico dei responsabili dei quei quartieri dominati dal marxismo ed ancor più impegnata a testimoniare con la sua vita Gesù Cristo. L’unica sua preoccupazione fu quella di ascoltare tutti, di amare tutti, di dialogare con tutti ma soprattutto di vivere in una intimità così profonda con il Cristo affinché la sua gente, che amava più di se stessa, potesse vedere ed incontrare nella sua persona e nella sua umanità Gesù di Nazareth, il figlio di Dio. Due testimonianze da Vangelo tanto diverse però entrambe vere e autentiche e soprattutto capaci di mettersi in assonanza con gli uomini del tempo e del luogo dove hanno testimoniato Gesù. Oggi penso che la gente accetti e capisca maggiormente la Delbrêl che la “vecchierella di Dio” però ambedue sono state un ostensorio del Cristo.

Creare opinione pubblica

L’affermazione di Joseph Goebbels, ministro della propaganda del Terzo Reich, che sosteneva che le notizie anche puramente inventate, quando vengono ripetute più volte, diventano “verità”, temo purtroppo sia vera.

La presa che hanno sull’opinione pubblica le campagne pubblicitarie di vari beni e servizi condotte attraverso i media, soprattutto quando, utilizzando messaggi ingannevoli, millantano vantaggi o effetti mirabolanti, ne è la prova più eclatante.

Mio fratello, don Roberto, in questi giorni ha scritto un trafiletto sul settimanale della sua parrocchia, scritto che ho deciso di pubblicare su uno dei prossimi numeri de L’Incontro perché quanto mai interessante, in cui afferma che i mass-media per motivi di lavoro e di cassa sono talmente asfissianti nel ribadire certe notizie che finiscono, non solo per farcele percepire come vere e interessanti ma riescono anche a far sì che spesso le persone si carichino sulle spalle dei fardelli amari e pesanti di cui avrebbero fatto volentieri a meno. In questi giorni di afa i mass-media hanno così tanto insistito nel parlare di questo sole rovente da farci credere che il caldo sia ancora più micidiale. Io però tento di far tesoro in positivo di questa “legge di mercato”, tanto da parlare frequentemente di solidarietà nella speranza che piano piano possa passare la convinzione che sia non solo giusto ma anche necessario aiutarci vicendevolmente.

Credo che ci sia del vero in questa “legge di mercato” e la miglior conferma è la generosità che ha consentito di realizzare i Centri Don Vecchi. Sono convinto che fortunatamente questa “semina” stia producendo ancora frutti infatti non passa giorno che, nelle occasioni e per i motivi più disparati, qualcuno non mi offra qualcosa “per le sue opere” perché sicuro che l’offerta andrà a buon fine. Spesso ringrazio frettolosamente e con estremo imbarazzo.

Oggi, riflettendo su questa realtà, sento il bisogno di esprimere a tutti questi benefattori, grandi e piccoli, il mio grazie più sentito e di ripetere loro che hanno fatto e stanno facendo la scelta più giusta. Oggi Mestre dispone di quattrocento appartamentini per gli anziani meno abbienti. Lo scorso maggio abbiano inaugurato sessantacinque alloggi per anziani in perdita di autonomia e a pochi mesi di distanza siamo al tetto di altri sessantacinque alloggi per le criticità abitative. Spero che la scoperta delle leggi di mercato per una volta dia frutti positivi.