La Voce – Anno 2 – n° 2 – 10 gennaio 2021

IL CUORE DEL MESSAGGIO

Siediti ai bordi della notte, per te scintilleranno le stelle. Siediti ai bordi del torrente, per te canterà l’usignolo. Siediti ai bordi del silenzio, Dio ti parlerà.

BREVI RIFLESSIONI

Era bello una volta – appena un anno fa, ma sembra passato più tempo – vedere arrivare un treno in una stazione italiana. Non un Frecciarossa pendolare in tre ore fra Milano e Roma, ma un treno a lunga percorrenza in arrivo dal Sud, e meglio se sotto Natale, come adesso. Si era appena spento lo stridio metallico dei freni e le porte si aprivano, che già vedevi qualcuno che abbracciava con calore un viaggiatore, e poi la sua compagna, e poi il nipote, in un tramestio di valigie e di strette forti e «ben arrivati!». Poi, il gruppo familiare si allontanava compatto, a distanziamento zero, verso l’uscita.
Non avremmo creduto che potesse cambiare: era sempre stato così, in Italia. Invece, se passi oggi dalla Centrale di Milano, quei pochi che arrivano vengono accolti con sagge e necessarie precauzioni – quando finalmente si riesce a riconoscersi, sotto alla maschera. Niente abbracci, baci meno che mai, nemmeno una stretta di mano. E i virologi sarebbero contenti, e davvero ora è giusto così, però viene da domandarsi: ma, una volta debellato il virus, riusciremo a tornare come prima? Torneremo italiani? Il dubbio viene perché, guardando i passanti per strada lontano dal centro e al di fuori delle compere natalizie, vedi una processione di volti rigorosamente con la maschera tirata su fino agli occhi, e bene attenta a mantenere nei negozi la distanza dagli altri, ma vedi anche qualcosa di più: una sotterranea paura che, nonostante ogni precauzione, il virus si insinui, contamini l’aria, magari nel fiato di due parole pronunciate da un altro cliente – due appena, perché in giro quasi non si parla più. E sono sguardi ostili se per sbaglio violi il metro di distanza, o peggio se la maschera ti scivola sotto la punta del naso. Per carità, giusto stare attenti. Ma certa animosità, certi toni inaspriti, o lo stringersi contro il muro quando un altro passa sul marciapiede, fanno pensare che il virus ci stia insegnando a vedere nel prossimo, prima di tutto, un pericolo, se non un nemico. Qualcosa che in questo Paese non abbiamo visto mai.
E, pure naturalmente obbedendo a ogni prescrizione anti contagio, è lecito domandarsi se, di seconda ondata in terza, una volta finita l’epidemia un fondo di diffidenza verso l’altro sconosciuto non ci resterà addosso; se guariremo da questo irrigidimento, da questa freddezza e quasi paura del prossimo, che del Covid sono un triste effetto collaterale. Non continueranno a difendersi gli anziani, i più minacciati, anche una volta sconfitto il virus?
E i bambini che sono andati a scuola per la prima volta nel 2020, e per prima cosa hanno imparato che bisogna stare distanti l’uno dall’altro, dimenticheranno questo innaturale imprinting, e torneranno normali?
Il timore, speriamo infondato, che l’epidemia ci stia insegnando anche un altro modo di stare in rapporto fra noi. I gesti, gli abbracci, la vicinanza fisica sono già una lingua, e una lingua universale. Noi italiani la parlavamo molto bene, generosamente, la bella lingua del corpo. Se ci ritrovassimo cambiati sarebbe un impoverimento, un altro segno lasciatoci addosso da questa malattia globale. Auguriamoci allora anche, insieme alla fine dell’emergenza e dei lutti e alla ripresa dell’economia e del lavoro, una ‘piccola’ cosa per l’anno che viene: di poter ritrovare la semplice gioia di un abbraccio fra amici, e perfino solo di una stretta di mano, di quelle forti, vere.
(Che nostalgia, sotto alle nostre maschere, ne abbiamo).

Marina Corradi

La Voce – Anno 2 – n° 1 – 3 gennaio 2021

IL CUORE DEL VANGELO DI QUESTA DOMENICA

E’ il tempo di scegliere che cosa conta e che cosa passa,
di separare ciò che è necessario da ciò che non lo è.

BREVI RIFLESSIONI DI UN PRETE ULTRANOVANTENNE

A PROPOSITO DELLE “VECCHINE” DELLA CHIESA DEL CIMITERO

Ho confidato ai fedeli di questa nostra cara Chiesa che rimpiango di non avere, nei giorni feriali, la consolazione della presenza di almeno un gruppetto di “vecchine” che preghi con me il Signore per i vivi e i defunti.

Non ho però perso la speranza. Qual è lo stato attuale?

C’è un anziana signora, cara, affettuosa, piccolina e tanto credente che viene a messa quasi tutti i giorni, prende posto sulle sedie dalla parte del tabernacolo, risponde devota, a voce alta, alle preghiere e non appena pronuncio le parole: “Ecco l’agnello di Dio che toglie i peccati del mondo”, si alza e si presenta a ricevere la comunione.
Le sue preghiere e il suo movimento per andare a ricevere l’Eucarestia inducono gli altri fedeli presenti a fare come lei.

C’è poi una signora di mezza età, alta e dignitosa che viene due o tre volte alla settimana.

Infine ci sono una ragazza, dignitosa e discreta che partecipa alla messa un paio di volte alla settimana e un uomo anziano che siede sull’ultima sedia e se ne sta per tutta la messa quieto e tranquillo.

Ho già scritto che i fedeli, a causa della pandemia, sono dimezzati, mentre i “fedelissimi” sono quasi scomparsi, quindi sono rimaste soltanto queste piccole “reliquie”!

Fortunatamente in questo ultimo tempo s’è aggiunto il signor Dario, che s’è offerto da giorni di fare da “zaghetto” e da sagrestano, un caro signore con il quale ho fatto il patto che, se anche dovessimo trovarci solo noi due, celebreremo comunque messa per il mondo intero.

Non vi nascondo però che ho aperto un bando per reclutare “vecchine”. Prometto che terrò informati i fedeli su quante risponderanno al mio appello.

don Armando

Dio mio, quanto ti amo! Eppure quanto vorrei amarti di più!
Quante volte ho pianto di dolcezza al tuo passarmi accanto e quante volte ti ho sentito così lontano.
Posso dire che sei ciò che desidero di più.
Sei il mio tutto ma sono ben lungi dall’abbandonarmi in tè senza riserve.

(C. Carretto)

La Voce – Anno 1 – n° 12 – 27 dicembre 2020

IL CUORE DEL VANGELO DI QUESTA DOMENICA

Se sappiamo leggere tra le righe degli avvenimenti, se sappiamo capire al di là delle parole, se sfogliamo come pagine i giorni che si susseguono l’uno all’altro, scopriamo che c’è una storia meravigliosa scritta per noi.

BREVI RIFLESSIONI DI UN PRETE ULTRANOVANTENNE

FUGGIRE I COMPAGNI CATTIVI

Barbara D’Urso, Maria De Filippi, Alfonso Signorini, Alessia Marcuzzi e tutta la schiera della vostra bolgia infernale….. IO VI ACCUSO.

Vi accuso di essere tra i principali responsabili del decadimento culturale del nostro Paese, del suo imbarbarimento sociale, della sua corruzione e corrosione morale, della destabilizzazione mentale delle nuove generazioni, dell’impoverimento etico dei nostri giovani, della distorsione educativa dei nostri ragazzi.

Voi, con la vostra televisione trash, i vostri programmi spazzatura, i vostri pseudo spettacoli artefatti, falsi, ingannevoli, meschini, avete contribuito in prima persona e senza scrupoli al Decadentismo del terzo millennio che stavolta, purtroppo, non porta con sé alcun valore ma solo il nulla cosmico.

Siete complici e consapevoli promotori di quel processo mediatico che ha inculcato la convinzione di una realizzazione di sé stessi basata esclusivamente sull’apparenza, sull’ostentazione della fama, del successo e della bellezza, sulla costante ricerca dell’applauso, sull’approvazione del pubblico, sulla costruzione di ciò che gli altri vogliono e non di ciò che siamo.

Questo è il vostro mondo, questo è ciò da anni vomitate dai vostri studi televisivi. Avete sdoganato la maleducazione, l’ignoranza, la povertà morale e culturale come modelli di relazioni e riconoscimento sociale, perché i vostri programmi abbondano con il vostro consenso di cafoni, ignoranti e maleducati. Avete regalato fama e trasformato in modelli da imitare personaggi che non hanno valori, non hanno cultura, non hanno alcuno spessore morale.

Rappresentate l’umiliazione dei laureati, la mortificazione di chi studia, di chi investe tempo e risorse nella cultura, di chi frustrato abbandona infine l’Italia perché la ribalta e l’attenzione sono per i teatranti dei vostri programmi.
Parlo da insegnante, che vede i propri alunni emulare esasperatamente gli atteggiamenti di boria, di falsità, di apparenza, di provocazione, di ostentazione, di maleducazione che diffondono i personaggi della vostra televisione: che vede replicare nelle proprie aule le stesse tristi e squallide dinamiche da reality, nella convinzione che sia questo e solo questo il modo di relazionarsi con i propri coetanei e di guadagnarsi la loro accettazione e la loro stima; che vede lo smarrimento, la paura, l’isolamento negli occhi di quei ragazzi che invece non si adeguano, non cedono alla seduzione di questo orribile mondo, ma per questo vengono ripagati con l’emarginazione e la derisione. Ho visto nei miei anni di insegnamento prima con perplessità, poi con preoccupazione, ora con terrore centinai di alunni comportarsi come replicanti degli imbarazzanti personaggi che popolano le vostre trasmissioni, per cercare di essere come loro. E provo orrore per il compiacimento che trasudano le vostre conduzioni al cospetto di certi personaggi. Io vi accuso, dunque, perché di tutto ciò siete responsabili in prima persona.

Spero nella vostra fine professionale e nella vostra estinzione mediatica, perché solo queste potranno essere le giuste pene per gli irreparabili danni causati al Paese.

(Marco Galice)

La Voce – Anno 1 – n° 11 – 20 dicembre 2020

IL CUORE DEL VANGELO DI QUESTA DOMENICA

Con il Signore si può, anzi spesso si deve dialogare su quello che ci propone, però l’ultima parola non può che essere “sì”. La Madonna questa domenica ce ne da uno splendido esempio; prima vuole capire bene il disegno di Dio poi risponde: “Eccomi!”

BREVI RIFLESSIONI DI UN PRETE ULTRANOVANTENNE

ARRIVEDERCI

I fedeli che partecipano ogni domenica all’“incontro col Padre” nella chiesa del cimitero sono praticamente dimezzati.
Le norme anticovid hanno più che dimezzato le sedie fruibili in chiesa: dei 220 posti a sedere, soltanto 100 sono attualmente utilizzabili.
Fino a qualche domenica fa un buon numero di fedeli partecipava alla S. Messa all’esterno della chiesa e entrava solamente per la Comunione; ora però, con l’arrivo dell’inverno, è più che comprensibile che anche loro abbiano desistito.
Vi confesso, cari amici, che ho nostalgia delle assemblee molto affollate che superavano i 250 fedeli.
Com’era bello vedere gli incontri amichevoli, le chiacchere sommesse prima della liturgia, ma soprattutto quanto mi era caro vedere i volti sorridenti, gli atteggiamenti di grande fraternità di una comunità diversa da quelle territoriali delle parrocchie.
Nella nostra “cattedrale tra i cipressi” infatti la gente conveniva spinta dal ricordo delle persone care che riposano nel camposanto, ma più ancora dall’atmosfera calda e cordiale di una comunità che si riuniva per scelta personale, in nome dell’unità e con la voglia di condividere una religiosità sobria, serena e partecipe.
Quanta nostalgia suscita nel mio cuore di vecchio prete questa esperienza così cara, bella e profonda.
Ogni volta che il mio sguardo raggiunge l’assemblea, ora distanziata, che in passato si teneva per mano, mi sovvengono i volti cari di tanti fratelli di fede che di solito occupavano tutte le sedie della chiesa.
Vi confesso che sento un bisogno struggente di vedere i vostri volti cari, che ormai da mesi non scorgo più a causa della pandemia.
Ho raggiunto molti con un saluto ed un augurio al telefono, ma di altri ricordo solo il volto e non conosco né il nome né il recapito telefonico, quindi mi è impossibile contattarli.
Vorrei trasmettere loro il mio affetto e la mia riconoscenza per aver “scaldato” per tanti anni il cuore di questo vecchio prete ultranovantenne.
Mi auguro che questa lettera raggiunga anche l’ultimo dei miei fedeli che spero di rivedere quanto prima per lodare e ringraziare assieme il Signore.
Vorrei che sapeste che, quando tengo il Corpo di Cristo tra le mani, gli chiedo ogni volta aiuto e benedizione per ciascuno di voi.
A presto.

Con tanto affetto
don Armando

BUON NATALE

La pandemia ha reso il Natale di quest’anno molto simile a quello di Betlemme, che risale a 2000 anni fa.
Anche quel primo Natale infatti è avvenuto in una cornice di solitudine, povertà e intimità familiare. Il virus ha liberato il mistero cristiano da tutto quello che, fino a oggi, lo aveva snaturato e tradito: luminarie, cenoni, regali, sprechi e riti sfarzosi.
Il contagio ci ha permesso di comprendere meglio che possiamo incontrare Dio nel povero e di scoprire che solo quello che Gesù è venuto a dirci e a portarci è il vero e meraviglioso dono di Dio.
Auguro quindi a voi amici di poter fare questa grande scoperta di trovare il coraggio di spendere la vostra vita per far fruttare questo dono.

La Voce – Anno 1 – n° 10 – 13 dicembre 2020

IL CUORE DEL VANGELO DI QUESTA DOMENICA

Ognuno di noi credenti deve dare voce a Giovanni perché gridi “nel deserto” delle nostre città e delle nostre chiese che il Signore è ancora tra noi affinché anche gli uomini d’oggi confessino le proprie colpe e si facciano perdonare dal buon Dio.

BREVI RIFLESSIONI DI UN PRETE ULTRANOVANTENNE

Le vecchine della chiesa

Molti anni fa mi è capitato di leggere un articoletto frizzante e quanto mai simpatico di Piero Bargelli, un famoso scrittore fiorentino, che ha illustrato con tocchi di penna quanto mai felici un argomento che non mi aspettavo da un autore di grido come lui.
L’articolo s’intitolava “Le vecchine della chiesa” e mi ha incuriosito lo stile brioso e scorrevole con il quale incorniciava le signore ormai anziane solite a frequentare la chiesa del rione non solo per il precetto festivo, ma pure per le messe feriali. Donne vestite di nero, un po’ curve, che ascoltavano messa con la corona in mano, facevano il giro degli altari per dire una preghiera, per ricevere la grazia particolare che, si diceva, concedessero ognuno dei santi che dimorava nella loro chiesa.
Le “vecchine” con mano delicata, sistemavano i fiori, salutavano il priore e non disdegnavano quattro chiacchiere sottovoce con le amiche, prima di uscire dalla chiesa.
Anche a me, specie nei primi anni da parroco, ai Gesuati, a San Lorenzo e a Carpenedo, capitava di osservare con simpatia queste pie donne.
I cristiani un po’ supponenti le definivano bigotte, mentre in realtà loro consideravano la chiesa una seconda casa, il luogo che le aveva accompagnate per tutta la vita.
Provo una notevole simpatia, nostalgia e invidia per i vecchi preti che ogni giorno avevano almeno una ventina di queste care creature, perfino troppo devote, che partecipavano con fede ai divini misteri.
Quanto le sogno, quando nella mia chiesa i fedeli si possono contare sulle dita di una mano o quando, tra molti fedeli, nessuno apre bocca o quando sto per distribuire la comunione e nessuno esce dai banchi per ricevere il Signore.
Ora che le donne terminano la loro giovinezza attorno agli ottant’anni e diventano vecchie verso i novanta, quando non riescono più a stare in piedi, la chiesa diventa più solitaria e deserta.
Nella mia “cattedrale”, in verità, c’è ancora una di queste “vecchine” che risponde a voce alta, che si alza dalla sedia non appena dico “ecco l’Agnello di Dio”, che mi saluta con affetto e che durante i funerali “religiosi”, solamente perché fatti in chiesa, aiuta con le sue risposte a voce alta chi ha ancora qualche dimestichezza col rito eucaristico, ad unirsi alla sua preghiera convinta.
Spero, lo confesso a chi mi legge, che almeno una dozzina di vecchine mi scaldino il cuore con la loro fede e la loro pietà e mi rivolgo a tutte le donne anziane che vengono numerose a pregare sulla tomba dei loro cari: prima o dopo la visita ai vostri cari defunti, venite pure nella nostra cara chiesa per lodare e ringraziare il Signore per questo povero mondo che si illude di vivere bene anche senza ricordare che tutto quello che ha è un dono del Padre comune.

La Voce – Anno 1 – n° 9 – 6 dicembre 2020

IL CUORE DEL VANGELO DI QUESTA DOMENICA

GAUDIUM ET SPES

Il forte monito che Gesù ci fa questa domenica è di intercettare i messaggi che ci vengono dalla vita e di tradurli in scelte coerenti. Troppa gente anche oggi vive distratta e con la testa per aria; il cristiano però è invitato a essere attento e consapevole per compiere le scelte giuste!

BREVI RIFLESSIONI DI UN PRETE ULTRANOVANTENNE

Il brutto e il bello

Qualche settimana fa mi sono giunte due notizie che riguardano la vita parrocchiale.
Comincio dalla brutta.
In occasione del commiato cristiano nella chiesa del cimitero di una defunta che in giovinezza aveva abitato nella piccola comunità montana di Vito D’asio, ma che per molti anni s’era trasferita a Mestre, il parroco mi ha chiesto che, durante il rito funebre, facessi presente che sia lui sia la piccola comunità parrocchiale partecipavano spiritualmente al funerale della loro vecchia paesana. Cosa certamente bella, ma durante la breve conversazione telefonica mi ha riferito che lui era il parroco di ben nove comunità parrocchiali! Vorrei quindi far presente a chi partecipa al culto nella chiesa del nostro cimitero che, pur avendo un parroco di 92 anni, ha la fortuna di averlo tutto per sé! Quindi deve approfittarne e ringraziare il Signore per questo dono!
La notizia bella invece è questa: sul bollettino della parrocchia di Chirignago la settimana scorsa era scritto che è cominciato il catechismo con ben 35 gruppi delle elementari ed ognuno con una catechista. Dalla prima superiore fino all’università invece ci sono sei gruppi di formazione cristiana, ognuno dei quali è guidato da tre catechisti adulti. A un vecchio prete come me fa un immenso piacere constatare che il superamento della crisi religiosa per la pandemia dipenda quasi esclusivamente dalla buona volontà e dallo spirito di sacrificio dei sacerdoti.

I santi della porta accanto

Non tutti i 150 volontari del polo della solidarietà del don Vecchi vengono a messa la domenica e forse nessuno dice il rosario la sera, ma tutti, spontaneamente, per libera scelta e senza pressione alcuna vengono tre ore al giorno per sei giorni alla settimana a servire i poveri.
Non ho il coraggio di chiamarli martiri o “santi della porta accanto”, però sono persone che di certo “Dio possiede anche se la Chiesa non li possedesse” come afferma Sant’Agostino. Io mi sento contento e fortunato di pensare come Sant’Agostino. Se san Pietro un giorno farà difficoltà ad aprire loro la porta del Paradiso nomino fin d’ora sant’Agostino loro avvocato di fiducia per vincere “la causa”.

Ai concittadini che frequentano il cimitero:
Chiedo il vostro aiuto

C’è una persona che quasi tutti i giorni prende le copie de “L’incontro” che sono esposte in varie parti del cimitero e le butta nella spazzatura; la stessa persona, o forse qualcun altro, accende le candele di cera e i lumini elettrici senza mettere la relativa offerta, causando un vero danno. Ho pregato il personale del cimitero di vigilare ma non sono venuto a capo di nulla, perché non è loro compito! Prego le persone che frequentano il nostro camposanto di segnalare questo signore alla direzione.
Ringrazio di cuore.

La Voce – Anno 1 – n° 8 – 29 novembre 2020

IL CUORE DEL VANGELO DI QUESTA DOMENICA

Comincia l’Avvento, il tempo nel quale la chiesa, in nome del Signore, ci invita a voltare pagina per affidare alla misericordia di Dio il nostro passato e per chiedere con fiducia ed entusiasmo i giorni nuovi che Egli vorrà donarci.

BREVI RIFLESSIONI DI UN PRETE ULTRANOVANTENNE

La foto della fede e quella della tomba

Caro concittadino, la fede e la preghiera rendono più vivo, più vero e più bello il volto del tuo caro che oggi sei venuto ad incontrare in questo camposanto.
La foto che c’è sulla tomba non riproduce più l’immagine di lui che è viva e presente nel tuo cuore, è la fotografia di uno che non c’è più mentre tu hai bisogno di un ricordo reale.
Prima di andare a pregare sulla tua tomba entra in chiesa e la fede te lo renderà vivo e presente. Solo la fede e la preghiera rendono reale il tuo incontro e gioverà a lui e a te.
La nostra cara Chiesa ti offrirà il dono di un incontro che scalderà il tuo cuore e manterrà reale il rapporto con la persona amata.

”La voce” o “La mia voce”

E’ stato uno dei miei vecchi scout a suggerirmi il nome per questa nuova Testata. In verità, mi ha invitato ad aggiungere a “La voce”, l’aggettivo possessivo “mia”, ma a me è parso un po’ troppo, visto che ho appena pubblicizzato il volume “Le mie esperienze pastorali 1954-2020”.
In ogni caso, per quel poco fiato che ho ancora, la “voce” parlerà sempre in maniera “libera e fedele” come quella del mio “padre spirituale” don Primo Mazzolari.
E’ mia intenzione di spendere questa voce per seminare coraggio, speranza, fiducia nel domani, spirito di sacrificio, coerenza, amore per Iddio e la Chiesa.
Ho la sensazione che oggi la comunità dei credenti abbia bisogno anche di povere voci, come la mia, per riconfermare le grandi e vecchie verità, per promuovere la ricerca di nuove strade in modo da offrire agli uomini del nostro tempo il grande dono del messaggio di Cristo.
Io, confesso, sono a farlo comunque, come l’ho fatto per tutta la vita.

I posti disponibili nella nostra chiesa

La chiesa del cimitero dispone di 210 sedie e, nei corridoi, può ospitare un’altra trentina di fedeli in piedi. In questo momento, a causa del virus, i posti disponibili sono solamente 110 ed è un po’ difficile vedere se sono liberi. Di conseguenza, sarebbe opportuno che chi entra per primo in chiesa occupasse fin da subito i posti più vicini all’altare in maniera che per chi arriva un po’ più tardi sia più semplice individuare quelli ancora disponibili.

La Voce – Anno 1 – n° 7 – 22 novembre 2020

IL CUORE DEL VANGELO DI QUESTA DOMENICA

Questo è il “codice di Dio”, codice sul quale saremo giudicati: avevo fame, ho avuto sete, ero un migrante, non avevo di che vestirmi, sono stato in carcere e tu cosa hai fatto per me? La prova dell’autenticità della fede è soltanto la solidarietà!

BREVI RIFLESSIONI DI UN PRETE ULTRANOVANTENNE

Il domani col volto di donna

Su “Il Gazzettino” del 13 ottobre ho letto che il nostro Patriarca ha finalmente inserito una donna ad un certo livello dell’organico della Curia. Una splendida notizia, a mio avviso!
Qualche giorno dopo ne ho letta una ancora più bella: il Papa ha fatto la stessa cosa nell’organico dei dicasteri del Vaticano.
Papa Bergoglio, che non cessa di sorprenderci spalancando ogni giorno di più le porte della Chiesa perché il domani entri bene accolto da noi discepoli del Risorto, ha aggiunto che la Chiesa è decisa a valorizzare sempre di più il ruolo della donna.
Personalmente ritengo che questo cambiamento sia avvenuto molto tardi e soprattutto “troppo poco”!
Da sempre ho sognato e desiderato che la Chiesa sia la prima a captare il luogo e il tempo nel quale il Signore fa nascere il domani, mentre continuo a constatare, con rammarico, che ciò avviene troppo tardi! Del “troppo tardi” non vale la pena parlare perché “acqua passata non macina più”, mentre del “troppo poco” sono convinto che sia giusto e doveroso parlare a voce alta.
Ogni membro della chiesa, della quale fortunatamente anche io faccio parte, pur con cautela, rispetto e pazienza è tenuto a esprimere la propria opinione affinché la Chiesa cammini sempre più al passo con i tempi nuovi.
Sono convinto che la società civile abbia compiuto più di qualche passo avanti per quanto concerne il ruolo dell’emancipazione della donna.
Alcune manifestazioni femministe, quasi sempre scomposte e volgari, sono comunque degne di nota, perché sono state espressione di un malessere e di un’ingiustizia, purtroppo atavica, ma comunque sono state un campanello dall’allarme sulla necessità di un doveroso cambiamento.
Credo che avvertiremo un po’ tutti con piacere questa crescita comprovata anche dalle molte forme di emancipazione che ogni giorno s’impongono alla nostra attenzione.
Sui mass media le donne hanno occupato brillantemente la scena e fanno una gran bella figura: sciolte, preparate, disinvolte, brillanti e anche piacevoli!
Mi auguro che questa tendenza si manifesti rapidamente anche nella Chiesa in modo che non ci siano solo suore impegnate negli asili e nei ricoveri!
Una ventina di anni fa ho auspicato che il ministero sacerdotale potesse essere esercitato non soltanto da uomini vedovi o sposati ma anche da donne nubili, sposate o vedove a patto che fossero creature ricche di fede e di amore per il prossimo.
Attualmente, data la scarsità di vocazioni al sacerdozio, si sta raschiando il fondo del barile per raccogliere quel poco che resta, ma nel mare grande della Chiesa penso che si possa trovare ancora una folla di persone disposte a dare voce e presenza affinché Cristo parli e salvi anche gli uomini del nostro tempo.
Papa Luciani nei suoi pochi giorni di pontificato ha affermato che Dio è Padre ma è anche Madre. Mi pare che così debba essere anche per gli uomini e le donne, perché siamo tutti fatti a immagine e somiglianza di Dio.

La Voce – Anno 1 – n° 6 – 15 novembre 2020

IL CUORE DEL VANGELO DI QUESTA DOMENICA

Ad ogni uomo, al quale Dio dona la vita, dà un compito per il bene della comunità e le risorse per realizzarlo. Tu benefici del dono di tanti altri, ma ti viene chiesto di ricambiarlo!

BREVI RIFLESSIONI DI UN PRETE ULTRANOVANTENNE

Non ricordare i nostri defunti e una grave colpa e una grande perdita

Ho la sensazione che il “culto dei defunti” come tanti altri valori umani si stia affievolendo nella sensibilità degli uomini del nostro tempo, sempre più attratti dal fatuo, dall’inconsistente e dall’effimero propagandati in maniera ossessiva dai mass-media.
Nella preghiera della sera, dovremmo dedicare sempre un pensiero alle persone che ci hanno dato molto e dovremmo dedicare loro, almeno tre volte all’anno, una santa messa: il giorno della morte, del compleanno e del loro onomastico.
Il culto dei morti è una componente essenziale in ogni società che fonda la vita sui valori più alti, più nobili e più fecondi.

Tappi di plastica per l’AVAPO

Più volte ho scritto che l’AVAPO (l’Ospedale – casa per i malati di tumore) è di certo uno dei fiori all’occhiello della nostra città.
Ora aggiungo che tra l’AVAPO, i Centri Don Vecchi e il “Polo Alimentare” c’è un collegamento e una fraterna collaborazione, che ha dato vita all’iniziativa di collocare nello spazio antistante l’ingresso della chiesa del cimitero un recipiente nel quale i concittadini possono mettere i tappi di plastica, un modo per finanziare questa associazione benefica che, come tutte le opere di bene, è sempre a corto di soldi.
Stiamo ottenendo un ottimo riscontro, perché il suddetto contenitore si riempie di tappi più volte alla settimana.
Non si ottengono triglioni di dollari, ma tutto aiuta!

L’AVAPO ricambia la gentilezza

L’AVAPO rappresenta un’autentica fucina d’iniziative di carattere benefico. Quest’anno in occasione dell’11 novembre, il giorno in cui si ricorda San Martino, il santo che tagliò a metà il suo mantello per coprire un povero infreddolito, ha promosso un gesto quanto mai simpatico, invitando i pasticcieri di Mestre e i loro clienti a regalare un “San Martino” agli ammalati che questa Associazione assiste. Inoltre, ha invitato la cittadinanza a offrire un San Martino ai 550 anziani dei Centri Don Vecchi. In questo tempo cupo nel quale la paura e la solitudine si fanno maggiormente sentire, anche un piccolo gesto di gentilezza può dare conforto ai nostri anziani.

L’offerta per le SS messe

Per disposizione di Papa Francesco l’offerta per la S. Messa è assolutamente libera. Si ricorda che ogni offerta fatta nella chiesa del cimitero, qualsiasi sia il motivo, viene interamente destinata a opere di carità.

La Voce – Anno 1 – n° 5 – 8 novembre 2020

IL CUORE DEL VANGELO DI QUESTA DOMENICA

Il frutto del silenzio è la preghiera
Il frutto della fede è l’amore
Il frutto della preghiera è la fede
Il frutto dell’amore è il servizio
Il frutto del servizio è la pace. (Madre Teresa di Calcutta)

BREVI RIFLESSIONI DI UN PRETE ULTRANOVANTENNE

Non c’è rosa senza spine

Il don Vecchi è certamente una bella realtà ma non di certo “il paradiso terrestre”, quel Paradiso che dopo lo “sbaglio” di Adamo non si trova più su questa terra. Il Centro l’avevo sognato come una comunità di amici, e dato che è stato ideato da un parroco, l’avevo pensato quasi come un convento di religiosi nel quale regna l’amore fraterno. Con mio grande dispiacere, nemmeno la metà dei residenti viene a messa e soprattutto un buon numero pensa solamente ai fatti propri, riducendo la partecipazione alla vita della nostra piccola comunità a un frettoloso “buon giorno” o “buona sera” incontrandosi nei corridoi.
Per un prete tutto questo è troppo poco!
Non mi resta che continuare e seminare la “solidarietà” con grande assiduità, sperando che prima o poi fiorisca.

Il mio Sant’Agostino e i “vicini” e i “lontani”

Io amo e ammiro quanto mai S. Agostino per la sua intelligenza, la sua umanità e la sua fede.
Conosco le sue opere e ho letto “La città di Dio” ma soprattutto “Le confessioni”, un libro che considero fondamentale per la formazione religiosa.
S. Agostino ha scritto una frase meravigliosa: “ci sono uomini che la chiesa possiede ma Dio non possiede ed altri uomini che Dio possiede, ma che la chiesa non possiede”. Ebbene mi io sono sempre più appassionato alla ricerca di questi ultimi, dei cristiani senza chiesa, come li definì Ignazio Silone, che sono presenti nella nostra società. Incontrarli mi arricchisce, purifica la mia fede, mi fa guardare con più simpatia la società, mi spinge a continuare perché, come dice Tagore “Il Signore si trova solamente quando Dio è di tutti, e non solo di pochi “eletti”.

Mille copie

Quando il tipografo mi ha chiesto quante copie doveva stampare del libro “Le mie esperienze pastorali 1954-2005” mi è parso di essere esagerato dicendogli: 500. Lui però ha insistito dicendomi che mille copie avrebbero rappresentato solamente il costo di mezza giornata di lavoro in più! E non ho saputo dirgli di no!
Ora ad un mese dall’uscita del volume, mi rimangono solamente una quindicina di copie. Va bene che il volume l’ho regalato, però mai avrei pensato che tanta gente si sarebbe interessata delle vicende religiose di un povero prete ultranovantenne!

La rete

Nel mio volume “Le mie esperienze pastorali 1954-2005”, che è stato scritto troppo velocemente e con errori di tutti i generi, m’è parso giusto e doveroso dedicare un capitolo alle mie sconfitte.
Le mie ferite sono molte e dolorose.
Ho confessato con grande amarezza di non essere riuscito a costruire, almeno finora, una rete di condivisione e collaborazione tra le comunità parrocchiali di Mestre e il “Polo solidale del Centro don Vecchi” che è di certo una bella “cattedrale della carità” ma rischia di rimanere una “cattedrale nel deserto”!

La Voce – Anno 1 – n° 4 – 1 novembre 2020

IL CUORE DEL VANGELO DI QUESTA DOMENICA

Nessuno pianga più i nostri morti
Nessuno si disperi, né rigetti così la vittoria di Cristo.
Egli infatti ha vinto la morte.
Perché dunque piangi senza motivo?
La morte è diventata un sonno. Madre Teresa di Calcutta

BREVI RIFLESSIONI DI UN PRETE ULTRANOVANTENNE

I poveri della domenica

Cari amici, lasciatemi raccontare un fatto del quale ho scritto più
volte e che si rifà ad una conversazione di quasi mezzo secolo fa
avuta col mio vecchio parroco Monsignor Vecchi, allora impegnato
a costruire grandi opere di solidarietà.
Un giorno, vedendo che avevo una qualche clientela di poveri che
venivano in canonica a ritirare il piccolo contributo che riuscivo a
donare loro mi disse: “don Armando fai bene a dar l’elemosina ai
poveri diavoli che te la vengono a chiedere, ma sappi che se costruisci
una struttura, fai un’elemosina che risolve di più il disagio
sociale e che si protrarrà per almeno 50 anni! Una piccola sorella
di Charles De Foucauld alla quale poi chiesi se era dello stesso parere
del mio parroco, mi disse con garbo ed umiltà: “Anche il piccolo
gesto che non risolve nulla è sempre un gesto di fraternità!”.
Grazie al discorso fatto con Monsignor Vecchi, sono nati i centri
per gli anziani a lui dedicati, mentre ripensando alle parole della
suora è nata la scelta di off rire due euro alla cinquantina di
derelitti che ogni domenica vengono a prendersele prima della
messa, perché “non hanno tempo” per partecipare alla funzione
religiosa!

Chi canta prega tre volte

Nella mia chiesa del camposanto c’è un gruppetto di fedeli che
partecipano al culto domenicale. Fino a qualche mese fa ad animare
la liturgia c’era la piccola “corale” Santa Cecilia degli anziani
del don Vecchi, ma la pandemia ha scompigliato anche questo
gruppetto di generosi. Fortunatamente s’è off erto di animare il
canto il professor Mario Carraro, che fi no a poco tempo fa ha
diretto una corale ben più numerosa e famosa: la corale Carpinetum.
All’organo continua a esserci il dottor Carmelo, medico ed
organista come il più famoso dottor Schweitzer e non manca mai
Mariuccia, soprano di grido, che come voce solista contribuisce
a rendere quanto mai solenni le liturgie domenicali. Ora, nel rispetto
delle distanze sociali, le 220 sedie si sono ridotte a 110,
comunque si canta ancora decentemente le lodi al Signore!

Il supermercato “Santa Marta”

Ogni volta che passo in località Arzeroni, guardo con estrema attenzione
come procede la costruzione dell’ipermercato della carità.
Mi auguro che gli operai facciano presto, tanto presto ad
ultimarlo perché l’ondata autunnale della “pandemia economica”
causata dal coronavirus è già devastante e noi non siamo ancora
totalmente attrezzati per affrontarla serenamente. Comunque,
magari a mani nude, i nostri volontari sono più che mai decisi a
fronteggiare questa crisi, con coraggio e determinazione, però
non siamo ancora pronti!

Il canto del cigno

Non una predica di parole, ma un volume che riporta fatti, imprese e scelte concrete “Le mie esperienze pastorali 1954 – 2020” condensa il messaggio di 66 anni di sacerdozio

Mesi fa, Giorgio, mio caro coinquilino del Centro don Vecchi, la struttura nella quale vivo anch’io da quindici anni una volta che sono andato in pensione per limiti di età, è morto da coronavirus. Tutta la comunità, composta di 200 anziani, è stata messa in quarantena. Sono quindi rimasto recluso nel mio piccolo alloggio di quaranta metri quadrati, per interi quindici giorni. Confesso che questa reclusione mi è costata alquanto, come sono certo che è costata a tutti.

In questi lunghi quindici giorni, mi attanagliava l’incubo per le notizie poco rassicuranti che la televisione trasmetteva da mane a sera, notizie che mi facevano toccare con mano quanto fossi indifeso e quanto fosse precaria la vita. Dall’altro canto la reclusione e l’isolamento dagli altri mi esasperavano e mi facevano desiderare, come mai mi era accaduto prima, la libertà di movimento, la possibilità di incontrare e parlare con altre persone. Non avendo poi impegni particolari di cui occuparmi, avevo la sensazione che il numero dei giorni del calendario fosse sempre lo stesso, che le ore non passassero mai, e che le lancette dell’orologio, se non ferme, girassero molto più lentamente del solito!

La paura del virus e l’impossibilità di muoversi mi facevano capire che, o per la virulenza della pandemia o per la mia tarda età, 91 anni, mi ritrovavo a vivere “tempi supplementari”, tempi che sono notoriamente molto brevi.

Da questo stato d’animo è nata l’idea: perché non tentare di fare, forse, l’ultima omelia ai miei concittadini? Perché non condensare il messaggio che ho sempre reputato la mia più grande ricchezza in tutti i miei 66 anni di sacerdozio in un discorso definitivo? Non però una predica di parole, ma un discorso di fatti, di imprese e di scelte concrete? Subito s’affacciò alla mia mente l’interrogativo: “Come?”.

Mi ha aiutato a rispondere a questa domanda una confidenza che in tempi molto lontani mi ha fatto l’onorevole Costante Degan, che era mio parrocchiano ed amico. Il quale un giorno mi disse: “Sa, don Armando, gli annunci, le parole che convincono sono quelle che hanno le gambe!” e alla mia sorpresa e stupore soggiunse “I discorsi che convincono sono quelli che hanno il respiro e il volto della testimonianza!”. Allora mi sono detto: perché prima di andarmene, non tento di fare una “predica” raccontando la mia lunga e intensa vita di prete? Perché non fare un discorso riferendo con umiltà e onestà come ho tentato di passare concretamente il messaggio di Cristo in cui ho creduto e per cui ho speso tutte le mie energie?

Da questa riflessione è nato questo volumetto: “Le mie esperienze pastorali 1954-2020”. A questo punto, però, mi si sono aggiunti altri due obbiettivi, che potevano completare questa mia decisione. Il primo: informare le nuove generazioni di cristiani e soprattutto di sacerdoti sul punto raggiunto dai cristiani e dai preti della mia età circa l’annuncio del “Regno”. Quindi passare il testimone dell’impegno pastorale della mia generazione perché altri potessero continuare l’impresa e la splendida avventura di realizzare la proposta di Cristo. Il messaggio di Gesù ha bisogno di essere sempre aggiornato e ritradotto in rapporto alla sensibilità e alla cultura che è in costante e veloce evoluzione. Ora i preti della mia età stanno terminando il loro compito, spetta ormai ad altri continuare dal punto da noi raggiunto.

L’ultimo obiettivo me l’ha offerto mio nipote don Sandro Vigani, regalandomi un suo recente volume sulla ricostruzione della chiesa di Eraclea, mio paese nativo, chiesa che fu distrutta dalla prima guerra mondiale. Il realizzatore di questa impresa è stato Monsignor Giovanni Ghezzo, che in paese tutti ritenevano un grande prete, non solo santo, ma anche colto.

Fin dalla mia infanzia avevo sempre sentito dire che, prima di morire, questo sacerdote aveva scritto una bella e significativa poesia dal titolo “Il canto del cigno” versi con i quali egli si accomiatava dalla sua gente. Finalmente ho potuto leggere questa poesia nel volume di don Sandro. Non dico che sia rimasto deluso, ma essa è scritta in maniera tanto aulica che non è proponibile per il nostro sentire. Comunque il suo titolo – “Il canto del cigno” – potrebbe essere messo a capo delle “mie esperienze pastorali 1954-2020”, perché anch’io sono giunto al momento in cui vorrei concludere cantando e lodando il Signore per la vita che mi ha donato, vita che tutto sommato è stata bella, intensa e convinta! Dono ai miei amici e alla mia gente questo “cantico”, non tessuto di note o di parole, ma di fatti concreti, sperando che sia anche per loro motivo di speranza, di incentivo e di pungolo all’impegno, a continuare, a realizzare “il Regno” annunciato da Cristo.

N.B. è possibile reperire, a titolo gratuito, questo volume presso la segreteria del Centro don Vecchi di Carpenedo o nella chiesa del cimitero di Mestre.

La Voce – Anno 1 – n° 3 – 25 ottobre 2020

IL CUORE DEL VANGELO DI QUESTA DOMENICA

Anche nel nostro tempo è opportuno e doveroso conoscere e imitare
i “santi con l’aureola”, però dobbiamo cercare di scoprire
quelli senza. Fortunatamente sono molti gli uomini e le donne
che “parlano di Dio” mediante l’onestà, il coraggio, la generosità,
l’amore della pace e della verità- Anche loro sono testimoni di Dio-

BREVI RIFLESSIONI DI UN PRETE ULTRANOVANTENNE

Le croci bianche

● La televisione in questi ultimi giorni ci ha mostrato più di una
volta un campo d’erba incolta, pieno di piccole croci bianche,
molte delle quali sghimbesce e disordinate, sotto le quali sono
sepolti i bimbi non ancora nati che le madri hanno deciso di non
dare alla luce e che oggi vorrebbero eliminare la memoria della
loro scelta quanto mai amara. La nostra società è sempre tanto
ipocrita, ma riguardo all’aborto lo è più che mai perché pretende
di chiamare con un nome quanto mai improprio un evento tragico
e triste. Guardando quel tristissimo spettacolo mi sono chiesto se
nel disegno di Dio qualcuno di quei bambini ammazzati avrebbe
potuto rappresentare per la nostra società un Francesco d’Assisi,
un Dante, un Einstein o un’altra figura di rilievo.

Il supermercato Santa Marta

● Il Signor Rivola, consigliere della Fondazione Carpinetum dei
Centri don Vecchi, ha suggerito di dedicare a Santa Marta il nuovo
ipermercato della carità. Tutti conoscono Maria e Marta, le sorelle
di Lazzaro, il resuscitato da Cristo; Maria tutta mistica, che
pendeva dalle labbra di Gesù, mentre Marta, che pur amava il
Nazzareno, era molto più concreta e con i piedi a terra quindi più
preoccupata di preparargli una buona cenetta in occasione della
visita. Io, con profonda convinzione, condivido la concretezza
di Marta perché ritengo che la fede debba tradursi sempre in
solidarietà. Confesso che anche oggi prediligo i vecchi ed attuali
discepoli di Cristo che tentano di trasformare in impegno solidale
il messaggio del Maestro, anche se so quello che Gesù disse a
Marta. Per mia fortuna, nonostante fosse un po’ gelosa, anche lei
è diventata Santa, meritandosi l’aureola! Invito quindi i cristiani
che appartengono a quest’ultima categoria a darci una mano per
portare avanti la nostra nuova impresa!

I Santi senza aureola

● Qualche giorno fa ho partecipato ad un’assemblea dei volontari
che prestano servizio al don Vecchi nel reparto degli indumenti,
un’attività particolarmente rischiosa a causa del coronavirus. Io
non mi sono assolutamente sentito di insistere affinché continuino
a svolgerla, anzi ho ribadito che ognuno doveva fare la sua
scelta in maniera assolutamente libera e responsabile. Ebbene
della sessantina dei presenti non uno s’è tirato indietro. Forse
nessuno s’accorgerà di questa generosità e di questo coraggio,
dimesso e sconosciuto, ma m’è parso che un angelo dalle grandi
ali stesse scrivendo su un block notes il nome di ognuno.

Inno alla solidarietà

La Fondazione Carpinetum si impegna quotidianamente per garantire un alloggio agli anziani in difficoltà e vorrebbe formare delle comunità solidali contando sul supporto dei residenti. Non passa giorno senza che io controlli e verifichi i progressi del cantiere dell’impresa edile Dema, che finalmente sta costruendo l’ipermercato della carità. Questa struttura, ubicata in località Arzeroni a Mestre, aiuterà in maniera moderna e adeguata i concittadini in ristrettezze economiche, offrendo loro generi alimentari. Purtroppo, a causa della pandemia, il numero di persone sulla soglia della povertà è aumentato in maniera esponenziale. Sarà altresì il segno tangibile di un modo più aggiornato e coerente di vivere il messaggio di Cristo. Il signor Edoardo Rivola, membro del consiglio di amministrazione dei Centri don Vecchi, ha proposto di chiamare la nuova realtà Santa Marta come la discepola di Gesù che non si è limitata a intrattenere il Signore con una bella conversazione, ma gli ha preparato la cena. Io sono perfettamente d’accordo con questa scelta che testimonia una fede vissuta con “i piedi per terra!”

Oggi però vorrei soffermarmi su un aspetto che credo riguardi sia tutti coloro che ambiscono a venire ad abitare in uno dei 500 alloggi dei Centri don Vecchi, sia l’opinione pubblica di Mestre. Mi preme innanzitutto fare una premessa per chiarire questo discorso: gli alloggi dei suddetti centri sono offerti gratis (sia ben chiaro una volta per tutte!) con la sola corresponsione delle utenze (i consumi effettivi di ciascun residente) e dei costi condominiali stabiliti in base alla metratura dell’alloggio. La Fondazione Carpinetum non si è mai sognata di aprire un’agenzia immobiliare che faccia concorrenza a quelle presenti in città. Il suo obiettivo è promuovere la solidarietà contando sul contributo di ogni residente in base alle sue capacità e alla sua disponibilità di tempo.

L’intento è scoraggiare il disimpegno e la tentazione di vivere sulle spalle degli altri. San Paolo, che è uno dei grandi maestri di vita cristiana, ha affermato con molta chiarezza e vigore “Chi non lavora, non mangi”, parole che io condivido fino all’ultima sillaba. Credo anche che l’impegno di dover badare ai nipoti non sia una giustificazione, perché è preciso dovere dei figli occuparsi della famiglia che hanno formato. È bene che facciano la loro strada, a meno che non ci siano situazioni di grave disagio. Devono imparare a essere autonomi senza continuare a vivere sulle spalle dei loro vecchi genitori che hanno già fatto la loro parte.

Qualcuno mi ha fatto notare che sono meno dell’8,9% i residenti del Centri don Vecchi, soprattutto 1 e 2, che offrono qualche forma di collaborazione. Se non potremo contare su questo prezioso supporto, i costi aumenteranno e non sarà più possibile offrire l’alloggio gratis come avviene oggi.

Nonostante io non abbia più alcun ruolo nella gestione dei centri, mi premurerò di suggerire al consiglio di amministrazione della Fondazione che, all’atto di presentazione della domanda, venga ribadita questa condizione. Se considerate il Don Vecchi casa vostra, perché non vi adoperate per mantenerlo “vivo”, attivo e curato? Non è possibile continuare a pensare che sarà qualcun altro a farsi carico dei tanti impegni quotidiani. Non possono essere sempre le stesse persone a rimboccarsi le maniche! Perché la vita dei nostri centri non vi riguarda?, mi chiedo amareggiato.

La Voce – Anno 1 – n° 2- Domenica 18 ottobre 2020

IL CUORE DEL VANGELO DI QUESTA DOMENICA

Il cristiano deve essere sempre corresponsabile e compartecipe alle esigenze della vita della società in cui vive dando il suo contributo in base alle sue possibilità.

BREVI RIFLESSIONI DI UN PRETE ULTRANOVANTENNE

L’ultimo amore

● L’ultimo splendido dono che il Signore mi ha fatto durante i miei 66 anni di sacerdozio è di certo il servizio religioso nella “Cattedrale tra i cipressi”, chiesa intima e bella. Liturgie domenicali sempre affollate e partecipi, catechesi pressoché quotidiane, durante le celebrazioni del “commiato cristiano”, sui principali “misteri” della nostra fede. A queste catechesi partecipa quasi sempre un numero abbastanza consistente di fedeli particolarmente disponibili nei confronti della Parola del Signore perché coinvolti dall’evento della morte, un suffragio che sempre si traduce in carità a favore dei poveri.
Amo, amo tanto la mia chiesa del cimitero, l’amo più di quanto io abbia amato quella di Eraclea, il paese in cui sono nato, quella della Madonna della Salute nella quale mi sono preparato al sacerdozio o il Duomo di San Lorenzo dove ho vissuto le prime esperienze da sacerdote e perfino più di quella di Carpenedo nella quale sono stato parroco per 35 anni. Amo di più la mia “cattedrale” perché sarà di certo il mio ultimo amore!

Don Roberto, Parroco doc

● Io ho un fratello più giovane di 20 anni che è pure lui sacerdote e parroco a Chirignago: don Roberto.
Qualche giorno fa ho letto sul suo settimanale “Proposta” questi titoli:
“Cento giovani sul Monte Grappa per l’inizio della loro vita associativa – 70 adulti in pellegrinaggio, 20 chilometri a piedi al santuario di Sesto al Reghena.
Quattro cori parrocchiali: coretto dei bambini – Corale Perosi, il coro dei giovani e il coro delle mamme.
Ripresa del catechismo: 35 gruppi di catechismo dalla seconda elementare alla terza media, con altrettante catechiste per non parlare poi dei gruppi di formazione giovanile, del centinaio di scout, della catechesi per gli adulti, delle visite alle famiglie, dei 15 gruppi d’ascolto che si riuniscono nelle loro case.
Mi vien da concludere: nonostante il coronavirus, la vita parrocchiale è ancora possibile, nonostante parecchi preti non la pensino cosi.

La serenità delle mie scelte

● Le testimonianze positive sono un dono di grandissima importanza.
Ho raccontato ancora un episodio, che pur essendo passati almeno trent’anni e più, mi sta aiutando ancora.
Eccovi il fatto: m’ero recato in un grande magazzino di indumenti gestito da un parrocchiano che sapevo gravemente ammalato di cancro. Incontrandomi egli s’accorse che ero a conoscenza del suo male e che ero sorpreso che, malgrado le sue condizioni, fosse ancora in bottega.
Mi disse allora: ”Don Armando voglio che la morte mi incontri vivo! Anche per questo voglio sognare ed impegnarmi per quanto posso, come se avessi vent’anni.
Pur essendo convinto che non ho più un organo che funzioni a dovere, voglio impiegare anche gli avanzi”