“Non giudicate!”

Qualche giorno fa ha rivisto una cara signora con la quale avevo lavorato per una ventina di anni a favore degli anziani della casa di riposo di Mestre.

Ambedue eravamo più giovani e ricchi di sogni. Ora siamo ambedue più anziani, ma fortunatamente ancora impegnati e sognatori di un mondo migliore.

Ci fu un tempo in cui le nostre strade presero direzioni diverse; il fallimento del suo matrimonio e la sua scelta politica fece si, che senza trauma di sorta ognuno prese la sua strada, ci ritrovammo occasionalmente qualche volta, sempre timorosi che quasi si fosse allargata la crepa della separazione. Ci ritrovammo poi quasi anziani, una decina di anni fa a sognare e lavorare ancora per il bene degli altri. I risultati sono stati abbastanza miserelli, comunque credo che abbiamo avuto almeno il merito d’avercela messa tutta!

Ora lei collabora ancora con me ma a partime perché si occupa di mille altre cose positive con l’entusiasmo di sempre.

Quando le rividi giorni fa, mi apparve un po’ stanca e sciupata, gli domandai il perché di questa stanchezza.

Mi rispose che aveva fatto la notte all’uomo da cui ha divorziato forse da un quarto di secolo. Mi confidò con tanta naturalezza con pudore e pietà umana, che essendo quest’uomo ormai morente, facevano la notte a giorni alterni lei e la nuova “moglie” perché non c’era alcun altro a poterlo fare. Questa confidenza mi costrinse a pensare al casellario formale che la società e la chiesa mi offrono per inquadrare questi drammi umani: divorzio, separazione, peccato, amore coniugale. Confrontando questi termini con queste due donne che alternativamente avevano amato lo stesso uomo e poi con pietà e fraternità l’aiutavano nell’ora estrema della vita.

Quanto sono inadeguati, angusti i nostri termini per dare cornice alla vita! Provai quasi un senso di smarrimento e di compatimento per chi ha sicurezze formali a questo riguardo ed accostai costoro all’intimazione di Cristo: “non giudicate!”

Mi parve più saggio, più umano e più cristiano mettere queste due donne e il morente nel cuore di Dio. Così stavano molto meglio!

“Fa più rumore un ramo che cade che una foresta che cresce!”

Mi fece molta impressione qualche anno fa una citazione, che non avevo mai sentito, e che il prof. Rama, che non era solamente un celebre oculista, ma anche un ottimo ed incisivo conferenziere fece, durante il suo discorso: cioè: Fa più rumore un ramo che cade che una foresta che cresce!

Dopo quella volta ho sentito in tante e tante altre occasioni citare questa sentenza.

In verità è un’immagine vera e felice, L’immagine che in un’altra occasione avevo sentito dall’avvocato Carnelutti, principe del foro veneziano, con un’altra espressione ma con identico contenuto: “Il male è come i papaveri in un campo di grano, bastano pochi di questi fiori dal color rosso vivo per farti sembrare il campo pieno di questi fiori, mentre il bene è come le viole, anche se in un campo ce ne sono moltissime e profumate, devi cercarle con attenzione perché sono umili e nascoste.

Da quando è nato l’Incontro, mi sto costruendo alla meno peggio un archivio, con tutto quel materiale che è nella stessa lunghezza d’onda della linea editoriale scelta per il nostro periodico. Col materiale ricavato in poco più di due anni avrei personaggi, testimonianze, avvenimenti, pensieri ed iniziative benefiche che mi potrebbero bastare per più di dieci anni. Attualmente non ho che l’imbarazzo della scelta per portare all’attenzione dei lettori un mondo nascosto e sconosciuto che si rifà al vangelo, al bene e alla solidarietà.

Talvolta soffro di non riportare tutto quello che di vero, di bello e buono vado scoprendo, non solamente nella stampa, ma anche nei rapporti normali e quotidiani con la vita di tutti i giorni. La foresta meravigliosa vigorosa e promettente che sta crescendo nel silenzio e nell’umiltà è veramente immensa e ricca di prospettive. Peccato che i mass-media non le riportino!

“Il volto si fa memoria e la memoria si fa presenza”

Nelle pareti bianche del mio piccolo alloggio al don Vecchi sono appese solamente le amate Icone, che ho raccolto col passar degli anni. Le icone mi sono particolarmente care perché per me sono come delle reliquie delle preghiere di tanta povera gente, dalla fede semplice, che ha affidato a Cristo, alla Vergine ed ai santi amati dai russi la loro preghiera nei momenti difficili della loro vita grama. Ogni volta che passo accanto alle sacre immagini si sovrappongono ad esse i volti delle donne e dei vecchi che nelle loro isbe sparse nel desolato territorio pregavano di fronte a queste sacre immagini, molte di queste icone portano ancora i segni del fumo e della fiamma dei lumini accesi davanti ad esse.

Unica eccezione è un portaritratti d’argento, aperto a libro, con a sinistra la foto di mio padre con la sua vecchia Guazzetti e quella di mia madre, col suo volto mesto, mentre ricama presso un pergolato verde. Mi sono tanto care queste due istantanee dei miei vecchi genitori; mi ricordano la laboriosità, la fatica, i disagi affrontati con infinito coraggio per crescere i loro sette figli!

Quante volte me li sento così vicini cosi vivi e cosi cari mentre li guardo con tanto affetto e tanta nostalgia, quanta riconoscenza e quanto amore suscitano nel mio cuore queste due foto, tanto che io che sono cosi schivo vorrei baciare quelle immagini.

L’altro giorno, mentre tenevo in mano l’ostia bianca, su cui avevo appena pronunciato le sacre parole della consacrazione, provai lo stesso sentimento, gli stessi palpiti di quando vedo i volti dei miei vecchi genitori. L’ostia bianca, forse mi aiuta ancora di più a ricordare a dar volto vivo e raccogliere il pensiero di Cristo, ad aprirmi alla sua presenza a sentirlo accanto a me. Solo così riesco ad avvertire la presenza reale.

“Il volto si fa memoria e la memoria si fa presenza”, che stimola all’apertura al messaggio e alla presenza di una realtà particolare, ma che in ogni modo è realtà!

”…ma non è detto che abbia sempre ragione!”

Il giorno dell’inaugurazione del Centro don Vecchi di Marghera il Patriarca con fare bonario, ma non a caso disse alla folla dei partecipanti al lieto evento: “Don Armando parla poco, ma scrive molto” e poi soggiunse dando una breve pausa ”ma non è detto che abbia sempre ragione!”

L’affermazione è ovvia e quasi scontata, lo Spirito Santo non garantisce neanche al Papa d’aver sempre ragione; magari pure fosse vero! Per un povero prete come me credo che non sia per nulla preoccupato che dica sempre la verità! Prendendo la parola, avendomi quasi costretto ad intervenire, gli promisi, che sarei stato più attento; cosa che farò di certo, ma neanche in quel momento mi passò minimamente per la testa che non sarei stato onesto o che avrei taciuto per amor di pace.

Nella chiesa ce ne sono anche troppi di adulatori, di critici nascosti, di opportunisti silenti per comoda prudenza o per non compromettersi, perché anch’io mi aggiunga a questa povera gente. La critica per la critica o per partito preso o per invidia ritengo un comportamento ignobile, però dire quello che penso essere la verità per amore della causa e della comunità di cui sono sempre parte integrante, la ritengo un sacro dovere, specie nei riguardi di chi ha compiti di responsabilità nella Chiesa.

Costoro sono spesso isolati, i palazzi e la carica sono come un insuperabile muraglia cinese per gli apporti di verità e i contributi che possono venire dal basso per le scelte pastorali. La massima che mi ha sempre guidato durante la mia lunga vita di prete, che mi ha gratificato moralmente, ma mai mi ha difeso da reprimende e da emarginazioni più o meno coperte è stata quella del profeta del nostro tempo don Primo Mazzolari: “Libero e fedele”: C’è stato qualcuno meno fortunato di me che a quarantanni è stato promosso a Barbiana una parrocchia di una trentina di abitanti, ma forse per questo don Lorenzo Milani è diventato uno dei preti più amati e ascoltati nel nostro tempo.

Il seme della parabola

Il mio piccolo gregge è formato in maggioranza da donne di tutte l’età, ma fortunatamente non mancano i giovani e gli uomini, taluno anche di prestigio.

Vedo frequentemente tra la folla dei fedeli il giudice del tribunale dei minori, specie ora che ha perso la sua dolce Chiara, viene nel camposanto per onorarne la memoria, per pregare per la sua anima, ma credo anche per chiederle d’aiutarlo nella sua solitudine. Qualche giorno fa, con quel suo fare semplice, cordiale e bonario mi disse alla fine della messa “a quando don Armando il diario del 2007? quello del 2006 l’ho già terminato di leggerlo!” Gli sorrisi riconoscente ed un po’ imbarazzato, perché vedendo come stanno andando le cose, sono propenso di dare alla stampa quello del 2007, dato che le bozze sono gia pronte.

Qualche settimana fa una suora dello stato maggiore delle Dorotee, mi ha confidato che fa la meditazione sul mio diario; questo non mi imbarazza soltanto, ma mi mette in crisi, perché non vorrei traviare un’anima semplice e bella con le mie rudi prese di posizione, se a volte esse sono talmente prive di garbo e di prudenza. Credo d’aver si il veleno dei serpenti, ma non la semplicità delle colombe,come ci chiede Gesù!

Una suora missionaria m’ha mandato una foto con il mio diario sul tavolo di lavoro. Taluno mi ringrazia per la franchezza, talaltro mi dice che si diverte nel leggerlo. Io spero e trepido augurandomi che le mie tante parole siano come il seme della parabola e non come le piume della maldicenza che San Filippo Neri precisò che erano ormai irrecuperabili.

La “liturgia” della giustizia

Un prete anche se vecchio, risente dell’aria che tira nel mondo in cui vive. Al Gazzettino, do’ almeno una sbirciata ogni mattina, il pranzo e la cena anche per questo povero vecchio prete sono “allietati” dal telegiornale. E tutti sanno che goduria siano questi strumenti di comunicazione di massa. Talvolta mi pare che notizie che questi mass- media ci forniscono assomiglino molto alle epigrafiche le imprese di pompe funebri espongono sui vetri delle loro agenzie!

Anche nel settore tormentato della giustizia pareva che ci fosse un riverbero dell’arcobaleno della “Pax” di cui o parlato ieri. Il ministro della giustizia aveva usato tante cortesie e quasi per ricambiare i magistrati avevano espulso dalla loro congregazione un giudice che non era riuscito a studiare durante otto anni le motivazioni di una sentenza; motivo per cui mafiosi catturati con tanta fatica da carabinieri e polizia erano stati liberati per decadenza dei termini o dei tempi.

Un gesto significativo a quanto pare una specie di liberazione del soldato ebreo da parte di Amas.

Io non cè l’ho con i magistrati e con la giustizia, ci vorrebbe altro! Anche se mi fa un certo che, che i dipendenti dello Stato meglio pagati accumulino ventimila pratiche inevase soltanto a Venezia. Non sono mai stato tenero per quanto riguarda il mio mondo con l’ampollosità della liturgia, ma sia ben chiaro che la “Liturgia” della giustizia è ben più ampollosa ed assurda. A me è capitato di esser convocato alle 8,30 del mattino per fare da testimone per un furtarello sulla cassetta delle elemosine e di passare mezza giornata ad ascoltare sciocchezze, futilità con risultati superati ed assurdi e il tutto come se si trattasse della cosa più sacra di questo mondo. Non so da chi dipende ma credo che bisogna semplificare, sveltire svecchiare perché quella gente pare non si sia accorta che siamo nel 2008 non nell’anno uno o giù di li.

Santa Rita (la Santa degli impossibili) e il dialogo in politica

M’era parso finalmente di scorgere dopo tante burrasche, sul cielo d’Italia l’arcobaleno, ben s’intende non quello dell’estrema sinistra, ma quello più rasserenante di Noè.

Finalmente il mio cuore aveva battuto forte per l’annuncio della “Pace politica” preannunciata da Veltroni e Berlusconi.

Mi sono subito detto: “Era ora!” Possibile che nel nostro Paese quando chi sta al governo reputa bianca una soluzione, l’opposizione dica sempre “No è nera!”

E quando chi era all’opposizione e va al governo, capiti la stessa cosa! Penso da un pezzo “O questa gente è pazza, o è disonesta!”

L’arcobaleno segnalato con frequenza dalla maggior parte dei giornali, dico la maggioranza perché c’è qualcuno che si ostina a ritenere una lettura che maggioranza e minoranza si mettano finalmente d’accordo, questi però sono certamente matti e anche disonesti! (chiusa la parentesi) pareva preannunciasse finalmente il bel tempo. Mi sembrava che politici di centro destra e di centro sinistra, si fossero finalmente decisi a dialogare, discutere per trovare delle soluzioni concordate.

A me che sono un politicamente ingenuo, sembrava di constatare già i primi risultati di questa “Pace”: erano infatti stati eliminati gli aculei estremi dello schieramento politico, i bastian contrari di professione che inseguivano eteree chimere e che non avevano proprio capito nulla dei fallimenti, delle catastrofi economiche e delle tragedie umane di certe utopie.

Signor no!

Veltroni ha ripreso l’antica grinta e le vecchie frasi della famiglia da cui proviene, Berlusconi accigliato riparte lancia in testa per la nuova tenzone! Mi spiace, non mi resta che ricorrere agli ottavari, ai tridui e alle novene a S. Rita, la santa degli impossibili! Però ho paura che sarà dura anche per lei!

A proposito di vacanze

Ogni tanto qualche persona cara che mi vive accanto e che mi conosce fa un sorriso di compatimento un po’ divertita quando sono preoccupato se perdo qualche mezz’ora di tempo senza essere impegnato in qualcosa che reputo giusto fare. Sono sempre stato un po’ stacanovista e rigido con me stesso nell’impiego del tempo e del denaro.

Invecchiando questo assillo sta aumentando. Talvolta penso che nasca dalla consapevolezza di non aver avanti a me molto tempo e molte energie, talora invece sono portato a pensare che impegnando bene le risorse si possono fare ancora delle cose belle delle quali possano beneficiare tante creature ormai impotenti ed in balia della sorte.

Io non sono mai stato ricco, la mia famiglia era una famiglia di artigiani, mio padre e mia madre hanno lavorato sodo per crescere la nidiata di sette figli, e giustamente io, ma anche tutti i miei fratelli, abbiamo cominciato presto a lavorare.

Ricordo che quando tornavo dal seminario, mentre alcuni amici mi raccontavano che trascorrevano le vacanze in montagna, io invece aiutavo il babbo nella sua bottega di falegname; scaldavo la colla, raddrizzavo i chiodi vecchi per poterli riadoperare! Questa scuola mi ha educato al risparmio, all’impiego serio del tempo, al rigore di una vita impegnata. Qualche giorno fa, sentendo che la gente fa debiti pur di andare in vacanza, m’è venuto da chiedermi “come passerò le mie vacanze quest’anno? Poi mi venne quasi da sorridere. Non ho mai fatto vacanze almeno che non si dica vacanza portare in montagna un centinaio di ragazzini, dormire per terra, mangiare quanto i ragazzini cucinavano

Ora scelgo di rimanere a casa, perché al don Vecchi c’è tanto verde e si sta bene, perché ho da fare e perché mi rimorderebbe troppo la coscienza spendicchiare per nulla, quando centinaia e centinaia di milioni di esseri umani, non hanno acqua, pane, casa e vivono in condizioni disumane. La solidarietà per me non è e non può ridursi ad una predica, né un discorso che vale solamente per gli altri!

Mestre: “Sul ponte sventola bandiera bianca”?

Mi viene da pensare che quando un popolo comincia a decadere questo processo non si fermi a metà strada, ma continua inarrestabile finché non arrivi alla sua completa distruzione.

Un tempo pensavo che il ciclo della decadenza della Serenissima Repubblica di Venezia fosse decisivamente terminato prima con l’arrivo dell’albero della libertà piantato nei campielli di Venezia e poi con la resa definitiva all’impero degli Asburgo.

Invece no; la decadenza continua sia nelle pietre della città che si corrodono, che nell’esodo continuo dei veneziani della città insulare verso la terraferma, che nel chiudersi dei negozi della città e nelle vendite delle case agli americani, giapponesi e russi perché vi trascorrano un paio di settimane nella città museo. Ho fatto queste tristi melanconiche considerazioni i giorni scorsi in occasione di due incontri. Il primo con un membro della Comunità di Sant’Egidio che nella vicina Padova prospera numerosa ed efficiente, mentre da noi a Mestre è ancora una piantina stantia che stenta attecchire.

Il secondo andando per una volta ancora a visitare una mia “vecchia” parrocchiana alla Casa dei gelsi a Treviso, la splendida struttura che i trevigiani hanno costruito per chi sta terminando i suoi giorni su questa terra affinché terminino in maniera degna la vita assistiti dai loro cari, dalla scienza e dai concittadini. Confrontavo le stanze, l’ordine, il decoro, l’efficienza, gli spazi, il verde, i fiori di questa magnifica struttura con l’ospice del policlinico San Marco, un vero deposito per moribondi, e con la vita seppur coraggiosa, ma tribolata dell’Avapo mestrina, la corrispondente dell’Advar trevigiana. Pare che una volta ancora riecheggino le meste e sconsolate parole del poeta “sul ponte sventola bandiera bianca!”

Pensionati e calciatori

Io non sono un fanatico del calcio. Non nego sia uno spettacolo piacevole, perché di spettacolo si tratta; il calcio oggi è una specie di circo equestre aggiornato, al posto dei trapezi e dei giocolieri, vi sono le corse, e acrobazie per fermare e lanciare il pallone, l’entusiasmo chiassoso e colorito della folla e le chiacchiere veloci e spigliate dei cronisti, ma niente di più! Quando gioca l’Italia, mi concedo talvolta due orette di questo spettacolo, anche se mi resta sempre il rimorso e la sensazione di aver impiegato male il mio tempo.

Il guaio, poi, è che la nostra squadra mi pare più lenta, più svogliata degli avversari; gli italiani o perdono o vincono per scommessa o per il rotto della cuffia. E sì che sono pagati bene, anzi dicono troppo bene! Gente che guadagna miliardi alla stagione, perché dovrebbe sudare, arrischiare di farsi male e correre come dannati? Quando penso a queste cose, piuttosto banali, mi torna sempre alla mente che il nostro Paese avrebbe bisogno di un rilancio morale ed ideale, di capi capaci di esigere di più, di pretendere un impegno migliore, una vita più parca, di un costume più sano!

Ma con questa classe politica, con la televisione che distrugge ogni valore, con dei sindacati sempre bastian contrari, con industriali che non vedono che il loro profitto senza di condividerlo con i propri dipendenti, una Alitalia che produce miliardi di passivo, preti che rischiano sempre più di diventare impiegati statali a stipendio fisso e posto assicurato.

Io prego talvolta che il buon Dio ci mandi un nuovo S. Francesco d’Assisi o un Savonarola, un altro Don Milani, o un duplicato di Papa Giovanni, un La Pira o un De Gasperi, comunque un qualcuno che ci faceva sognare, capace di pretendere piuttosto che promettere non sempre usando la carezza, ma anche la frusta!

Perrotta e Veltroni mi avevano indotto per un attimo a sognare, ma ora pare che anche questa illusione si sia spenta.

Cosa possiamo sperare finché per le strade di Napoli da mesi e mesi si accumulano tonnellate e tonnellate di spazzatura, la mafia ed associati detta legge nel meridione, finché ci sono italiani a mille euro al mese, pensionati a cinquecento, e calciatori a centinaia di milioni di euro?

Anche la rappresentanza ha un suo ruolo!

Molti anni fa, presso Piazza Ferretto, si era aperto un “Centro Benessere” per gente stanca, stressata, fuori peso, e comunque desiderosa di migliorare la propria immagine e la propria prestanza fisica. Venne in canonica una inviata di questo Centro per chiederci una mano a reclamizzare questa iniziativa, che, a parer loro, aveva anche una valenza spirituale perché dicevano che se la gente si sente bene, è anche più propensa a pensieri e rapporti più positivi.

L’aspetto particolare che mi colpì fu la ragazza che ci portò di questa pubblicità: era una giovane veramente meravigliosa; sprizzava armonia, freschezza, entusiasmo e bellezza da ogni poro. Tanto che mi venne spontaneo pensare che quel centro benessere fosse veramente una sorgente di efficienza e di vita piena di fascino. Io non andai al Centro benessere, e non so proprio come andò a finire, comunque compresi l’importanza di presentare bene qualsiasi iniziativa.

Qualche giorno fa ebbi pressappoco la stessa impressione su un argomento ben diverso, ma che mi richiamò il vecchio ricordo. Vengo al fatto. Recentemente ho dedicato un certo numero de “L’Incontro” alla Comunità di Sant’Egidio, realtà che conoscevo poco, ma pensavo meritasse di essere presentata fra i movimenti di ispirazione cristiana, ora presenti nella nostra società.

“L’Incontro” è importante, ma comunque nasce e muore a Mestre! Qualche giorno dopo l’uscita del periodico, mi telefonò una voce giovanile che disse avrebbe avuto piacere incontrarmi in merito alla Comunità di S. Egidio, e con mia grande sorpresa, disse essere presente anche a Mestre, ove svolge la sua attività di formazione cristiana ad Altobello e di solidarietà alla stazione distribuendo panini e aprendo un dialogo fraterno con quella settantina di anime morte, che passano la notte nei paraggi della stazione.

Ricevetti la delegazione formata da un giovane ingegnere, piuttosto parco di parole, ed una simpaticissima ragazza, che parlava, invece, in maniera quanto mai fl uida e convincente, con una voce calda, degli occhi espressivi e luminosi, ed un sorriso accattivante.

L’incontro fu certamente positivo e piacevole; ho conosciuto meglio la vita e l’attività della Comunità, nata a Roma, ma presente con una settantina di aderenti anche a Padova, ma soprattutto ho pensato che se i nostri giovani e le nostre ragazze avessero modo di incontrare queste creature, finirebbero pure per pensare che la Comunità di S. Egidio sia veramente una bella cosa e sia quanto mai opportuno aderirvi!

Anche la rappresentanza ha un suo ruolo!

La Chiesa è in attivo

Qualche giorno fa (l’articolo risale a giugno 2007, NdR) “la capo” dei miei chierichetti (sono due in pianta stabile e qualcuno di avventizio) ha fatto la prima comunione.

Francesca, che tutti chiamano Franceschina perché minuta di statura e con la voce di topo Gigio, da quando siamo al don Vecchi non manca una volta e non perde un colpo nella simpatia perché porta tutto il brio e la freschezza dell’infanzia.

Francesca mi ha portato, come ormai fan tutti, i confetti, però anche in questo gesto gentile c’è il tocco cristiano della sua famiglia; i confetti erano stati confezionati dal gruppo delle adozioni a distanza della parrocchia e certamente di parte del costo beneficiano i ragazzi di lontani villaggi dell’India con cui la comunità di Carpenedo è collegata.

La chiesa oggi forse soffre di un deficit numerico, ma certamente è in attivo nella sostanza, almeno su certi aspetti!

“Voi dovete essere sale, dovete essere luce per chi vi sta accanto”

Almeno su un aspetto della personalità splendida di S. Agostino, gli rassomiglio. Peccato si tratti di un aspetto di cui, pure il santo di Ippona, si doleva amaramente: “Tardi, Signore, ti ho conosciuto, tardi ti ho amato!”. Per me è triste, capire di dover esclamare con rammarico e tristezza questo; di dover ammettere qualcosa del genere per quanto riguarda la comprensione delle parole di Cristo.

Ci sono affermazioni evangeliche che ho letto mille volte nella mia vita, ma solamente ora, a ottant’anni e decisamente verso il tramonto, mi pare di scoprirne tutta la ricchezza e la bellezza, e se non sono fuori tempo massimo, poco ci manca! Stamattina ho letto quello che Gesù esige da chi vuole essere discepolo: “Voi dovete essere sale, dovete essere luce per chi vi sta accanto”.

Non è necessario frequentare un corso biblico o essere esperto in esegesi per capire la funzione del sale e della luce. Il sale ha la funzione preminente di dar sapore agli alimenti, la luce permette di cogliere la ricchezza dei colori, l’armonia dei volti, dei corpi, della natura, del cielo e del mare. La traduzione esistenziale è perfino troppo facile: il discepolo di Gesù deve essere uno che sa vivere, che è felice, che gode di quanto c’è di bello nella vita, che corre, danza, canta, sorride, ama e sogna.
Altro che quei poveri menagramo col volto storto, vestiti di nero, iagnucolosi, che non sanno né sorridere, né amare!

Tutto questo l’aveva capito perfino quell’anima dannata di André Gide, quando affermò: “Come potete voi credenti pretendere di essere testimoni del Risorto avendo una faccia da funerale, e quando camminate sul ciglio della strada e a testa bassa?”

“misericordia io voglio e non sacrifici”

Sono quanto mai d’accordo che non si può spigolare nel Vangelo e cogliere i pensieri che maggiormente coincidono con le convinzioni e la visione della vita che ognuno ha. Il Vangelo va preso “in toto” anche quando si incontrano dei passaggi non graditi, che fai fatica ad accettare. Comunque non credo sia ingiusto e peccaminoso vibrare particolarmente di gioia quando incontri delle affermazioni che coincidono esattamente al tuo modo di pensare.

Qualche domenica fa, nella parte finale della pagina del Vangelo che la Chiesa ci ha offerto per la meditazione,c’era una frase famosa e forte di Gesù – ma quando mai le affermazione di Cristo non sono valide e forti? – “misericordia io voglio e non sacrifici”.

Mi ripromettevo di soffermarmi particolarmente su questa frase che costituisce uno dei punti di forza nella proposta cristiana, e credo, oggi, sia giusto offrire ai credenti, perché la traducano in maniera esistenziale per gente del nostro tempo, che credo avverta quanto mai l’esigenza di un cristianesimo incarnato nelle problematiche di oggi. La società contemporanea potrà anche affermare di fronte ad una cerimonia condotta da una valente regia: “Che bel rito!”, ma nulla più; rimane nell’animo solamente una sensazione.

L’esigenza più forte, oggi, mi sembra sia quella di una fede che diventa “misericordia”, partecipazione al dramma di chi soffre, intervento coraggioso e generoso verso chi è in difficoltà.

Speravo di battere tanto su questo chiodo, sul quale pochi preti si impegnano, sennonché, quattro gocce, di una nuvola dispettosa di passaggio, ha scompaginato la mia assemblea che partecipava all’Eucaristia tra le tombe, accanto ai grandi cipressi del Camposanto, ed io dovetti fermarmi all’annunciazione solamente del testo evangelico.

Il cristianesimo di S. Giacomo

Spesso sento dei colleghi preti che sprecano aggettivi di ammirazione per gli scritti di San Giovanni, io debbo confessare che, pur sapendo che il Signore ha voluto parlare anche mediante lo stile un po’ arzigogolato e poco immediato dell’apostolo prediletto di Gesù, gli preferisco San Giacomo.

Prima di Pasqua e dopo Pasqua mi sono sorbito le “pappardelle” di San Giovanni, che si ripete continuamente e mi costringe ogni anno di arrampicarmi sugli specchi nei miei tormentati sermoni. Giacomo, che ho letto in quest’ultimo tempo, ha uno stile certamente più rozzo, ma tanto più comprensibile ed efficace; inoltre le argomentazioni del fratello di Pietro non navigano sopra le nuvole, ma sono di una estrema concretezza.

Il cristianesimo di S. Giacomo avrebbe potuto essere preso come testo di riferimento da “cristiani per il socialismo”, dalle Comunità di base, e dai discepoli della Teologia della liberazione, perché i suoi discorsi sulla carità, non sono disquisizioni di lana caprina, ma si rifanno ad un realismo che ti inchioda alle tue responsabilità e fa riecheggiare nella coscienza la domanda perentoria di Dio a Caino: “Dov’ è tuo fratello?”

Mons. Vecchi sembra abbia tradotto S. Giacomo con una battuta quanto mai efficace: “Un fatto vale mille chiacchiere”. Talvolta, osservando la pastorale di certe Parrocchie, mi capita di domandarmi: “Ma questa gente non ha mai letto S. Giacomo?”. Non credo che gli apostoli possano essere considerati come appartenenti a categorie più o meno importanti. Leggiamo pure S. Giovanni, più prolifico di discorsi, ma non trascuriamo S. Giacomo più parco, ma più efficace.

Credo che, leggendo S. Giacomo, si impari cos’è la carità e che cosa sono invece le chiacchiere sulla carità!