L’anno della fede

La Fondazione Carpinetum sta perseguendo un progetto, un sogno, o forse un’utopia. Però sono convinto che essi siano i più validi per celebrare seriamente l’anno della fede, che per essere autentica e credibile deve diventare solidarietà.

La Cittadella della solidarietà sarebbe così il frutto più genuino dell’anno della fede. Per quanto riguarda il progetto, avendo la curia avocato a sé la sua realizzazione, mi pare che ai fedeli della base rimanga solamente il dovere di pungolo, cosa che speriamo facciano.

Per quanto riguarda invece il “Villaggio solidale degli Arzeroni” il finanziamento per il “don Vecchi 5” c’è quasi già. Per tutto il resto (l’ostello per i famigliari degli ammalati, degli operai ed impiegati poveri, dei senzatetto, gli appartamenti per i mariti divorziati, gli alloggi per il vecchio clero, gli alloggi per i disabili e quant’altro) penso che la Fondazione possa offrire alle parrocchie principali la possibilità di realizzare ognuna una di queste strutture. Volete che San Lorenzo, il Sacro Cuore, via Piave, non possano fare quello che Carpenedo ha già fatto? Per le parrocchie più piccole potremo proporre degli abbinamenti: San Pietro Orseolo con Santa Maria Goretti, la Favorita con San Lorenzo Giustiniani, ecc.

Se per la fine del 2013 a Mestre ci sarà questo gran cantiere della solidarietà, credo che sarà meglio del coro della Fenice per cantare la gloria di Dio.

Betlemme in versione terzo millennio

Ho telefonato ad un mio collega per segnalargli il caso pietoso di un’anziana signora che vive nella sua parrocchia sola nonostante un’incipiente demenza senile. Questo, a sua volta, mi ha chiesto aiuto per una giovane coppia con un bambino di due o tre anni ed un altro in arrivo fra pochi giorni.

Non sapendo che cosa fare e a chi rivolgersi – ma nessuno di noi, per quanta buona volontà ci metta, sa cosa fare – li aveva ospitati nel suo garage. Da un paio di mesi questa famigliola ha bussato a tutte le porte civili e religiose, senza trovare risposta.

Per mangiare e vestire la nostra città ha qualche disponibilità, ma per ospitare non c’è proprio nulla. Perfino all’asilo notturno i senzatetto da qualche tempo sono costretti a turnarsi, ma comunque il rifugio dei barboni non sarebbe stato adatto per questo caso.

L’inettitudine del Comune è senza limiti. Pare che, specie ultimamente, esso si sia dedicato agli sperperi (vedi i 30 milioni per le fondamenta, inutili, del Palazzo del Cinema) o ad impedire, a chi si impegna per i poveri, di portare avanti i suoi progetti sociali, mediante una burocrazia dissennata ed irresponsabile. Non parlo tuttavia solo del Comune, ma mi riferisco pure alla mia Chiesa. Possibile che la nostra diocesi non possa affrontare qualcosa almeno per le emergenze?

La cittadella, con il relativo ostello per chi ha bisogno di un tetto da un paio d’anni è stata appesa alla “virtù della carità soprannaturale”. Oggi, come duemila anni fa, non c’è posto in alcun “albergo” per il bimbo che deve nascere!

Chisso

Chisso è l’assessore della Regione Veneto onnipresente. Non passa giorno che la stampa locale non lo presenti come protagonista di uno degli infiniti ed ingarbugliati problemi dei quali si intesse la vita della nostra città e della nostra Regione. Ha una voce pacata, un volto sempre composto e sereno e delle prese di posizione sagge. La città si è accorta della sua operosità e l’ha votato in maniera sovrabbondante.

Il nostro assessore dà l’impressione che si prenda a cuore ogni problema, come fosse l’unico e il più importante a cui offrire la sua attenzione. Io lo considero un amico vero del “don Vecchi”. La prima volta che è venuto al Centro io gli spiegai la dottrina a cui ci rifacciamo. Capì al volo che era una soluzione innovativa e vincente, infatti pochi giorni dopo ci arrivò la comunicazione che la Regione aveva stanziato centomila euro per il Centro di Marghera.

Lo incontrai poi in Regione da Sernagiotto per il “don Vecchi 5” per gli anziani in perdita di autonomia. Era venuto per perorare la nostra causa presso il collega. «Questa è gente seria di cui ti puoi fidare» disse a Sernagiotto.

Qualche giorno fa don Gianni l’ha incontrato per chiedergli di aiutarci per il problema aggrovigliato della viabilità per giungere al futuro cantiere degli Arzeroni. Ci ha promesso di darci una mano. Sono certo che lo farà perché è un amministratore galantuomo. Oggi trovare un galantuomo in politica è una fortuna e una grazia del cielo.

Da qualche tempo dico un’ave Maria per Chisso perché non “si stufi” e continui ad aiutare la sua gente e sappia che c’è chi lo stima e gli vuol bene.

I “miei” frati

Qualche settimana fa ho dedicato l’editoriale de “L’incontro” alla presenza dei religiosi nella nostra città, presenza ancora relativamente numerosa, anche se un po’ in declino, come del resto avviene per tutti gli ordini religiosi e per tutte le congregazioni. Durante i cinquant’anni che ho vissuto all’interno della Chiesa della nostra città, ne ho visti passare di frati, tanti e diversi, ma quelli che mi sono rimasti nel cuore sono una mezza dozzina ai quali voglio dedicare una memoria riconoscente.

Padre Simeone, con la sua barba bianca e la sua voce pacata. Non aveva una buona eloquenza, ma possedeva un cuore buono, capace di consolare e di distribuire a piene mani la misericordia di Dio.

Il cappuccino padre Sigismondo, sempre presente e sempre disponibile a fare un piacere ai poveri parroci. Arrivava perfino a fare qualche piccolo sotterfugio di nascosto dei suoi superiori pur di dare una mano.

Padre Francesco Ruffato, l’intellettuale ricco di una carica umana che ha dato vita ai maggiori supporti della cultura cristiana in città.

Padre Evaristo, il frate degli operai del dopoguerra, che aveva una schiera infinita di postulanti per un posto di lavoro. Viveva da assediato ma a tutti dava una speranza.

Padre Matteo, parroco dell’Addolorata, anima ardente, apostolo ottimista e ricco di fede che si è speso per la sua gente senza risparmio.

Padre Antonio, il frate degli stabilimenti di Marghera, apostolo serio e impegnato, poche parole ma fedeltà assoluta alla sua missione.

In questo mezzo secolo saranno passati per Mestre tanto altri bravi frati, ma questi sono quelli che hanno brillato di una luce più bella e più intensa.

Passato e futuro della carità

Il cardinale Scola mi pare abbia stimmatizzato l’inattività e il piangersi addosso dei veneziani, invitandoli a credere in se stessi ed a giocare il ruolo che loro compete, avendo alle spalle la tradizione gloriosa della Serenissima.

Il vecchio Patriarca alle parole ha fatto seguire l’esempio, creando dal nulla una nuova università: il Marcianum.

M’è piaciuto ed ho condiviso la sua scelta di non rimanere ai bordi dei problemi della nostra città e il suo sforzo di essere sempre protagonista negli eventi importanti della città tentando di offrire a tutti i livelli e in ogni circostanza il contributo che attingeva dal pensiero cristiano.

Spero tanto che il nuovo Patriarca gli sia complementare, sviluppando la dimensione orientale della proposta cristiana: la carità, componente essenziale del messaggio di Gesù, rianimando e mettendo in rete strutture e servizi nati nel passato. Noi del “don Vecchi” gli offriamo fin da subito due progetti ambiziosi ed innovativi: “La cittadella della solidarietà”, che è andata a finire nel limbo, e il “Villaggio solidale”, che sta “germogliando” agli Arzeroni. La componente orizzontale della Chiesa veneziana oggi ha particolarmente bisogno!

Lo stesso maestro e discepoli diversi

Un mio collega, che in verità non è la prima volta che afferma di non condividere il mio operato, ha criticato una volta ancora, sul suo periodico, il fatto che io chieda offerte per aiutare i poveri e che io mi adoperi per creare strutture a favore di chi è in difficoltà. Io prendo sempre in considerazione le critiche e perciò ho fatto un serio esame di coscienza.

Ecco le conclusioni: Primo: monsignor Vecchi, che fu mio maestro di vita, diceva che le persone alle quali chiedeva contributi per i poveri dovevano essergli riconoscenti perché li aiutava a far del bene e a guadagnarsi il Paradiso. Io sono ancora di questo parere. Secondo: il mio collega afferma che il prete ha il compito di educare, mentre spetta allo Stato dar risposte e servizi a chi è in difficoltà. A questo proposito Gesù, mio principale, ma anche principale del mio collega, disse ai suoi discepoli – e noi siamo gli epigoni di quei discepoli -«Date voi da mangiare alla folla» e poi, lui in persona, completò l’opera.

Lo stesso Maestro, in altra occasione molto più importante – perché si trattava dei criteri con cui saremo giudicati – disse: «Avevo fame, sete, ero senza vestiti, senza casa, in ospedale e in carcere… e tu?».

Ora il mio collega può pensarla come vuole, ma se vuole pensarla come Gesù, nostro Maestro, sta sbagliando di grosso!

Quattrocento milioni

Un signore che alla domenica viene a cercare pace, conforto e coraggio nell’Eucaristia che celebriamo con tanto fervore nella mia “cattedrale tra i cipressi”, dopo la messa mi ha chiesto di parlarmi, dicendomi che una cliente del suo studio di commercialista aveva deciso di donarmi una somma per il “don Vecchi 5”, avendo ricevuto un’eredità.

Due giorni dopo, dopo un rapido scambio di telefonate, suonai al campanello di un appartamento in una zona centrale di Mestre adibito a studio, ove incontrai la mia benefattrice accompagnata, credo, da un direttore di banca.

Tentai di illustrare le finalità del “don Vecchi” e del nuovo progetto, ma capii subito che lei sapeva già tutto. “L’incontro” penso che raggiunga 15-20mila concittadini e li informi su questa nostra splendida avventura a favore degli anziani di Mestre.

Seduta stante il direttore di banca telefonò in sede e l’indomani arrivò il bonifico di duecentomila euro. Traduco la somma in lire perché ho la sensazione che dica meglio la dimensione dell’offerta: quattrocento milioni!.

Il “don Vecchi 5” costerà otto miliardi, ma avendo alle mie spalle una città con questo cuore, son certo che non è un azzardo cominciare.

P.S. Qualche settimana dopo questa signora ha fatto il bis donando altri 200.000 euro.

Felici, con qualche eccezione

Qualche giorno fa sono stato al “don Vecchi” di Campalto per una verifica sulle piccole questioni in atto. Me ne sono tornato a casa con il cuore che cantava alla “Beniamino Gigli”. I prati rasati, le bordure dei viottoli tutte fiorite, le auto ordinate, la facciata solenne ma accattivante, l’ingresso accogliente e il grande salone, ricco di mobili, quadri, divani e piante, da non aver nulla da invidiare a quelli dei palazzi dei patrizi veneziani che si affacciano sul Canal Grande.

Soprattutto mi ha fatto felice la contentezza, il brio e l’orgoglio degli anziani residenti. Le signore mi sono apparse più belle e più giovani quando mi manifestavano la felicità di dimorare in una struttura così sontuosa e signorile.

L’incontro si è svolto sereno ed è servito a mettere a punto i problemi che un grande condominio di sessantaquattro appartamenti, anche se piccoli, non può non presentare.

In verità c’è stata anche qualche voce un po’ rozza e stonata che denunciava il carattere infelice e un’educazione mancante, comunque si è trattato di qualche piccolo neo trascurabile.

L’unica cosa che mi spiace è che i mestrini conoscano il “don Vecchi” solo di nome; se lo vedessero di persona sono certo che ne “prenderebbero una cotta”, come me!

L’assessore

Io ho manifestato più volte ed apertamente il mio gradimento e la mia ammirazione per il governo di Mario Monti, formato solamente da ministri e sottosegretari “tecnici”. Logicamente uso lo stesso criterio per quanto riguarda “il governo comunale”. Gli assessori che stimo di più sono quelli che provengono dalle libere professioni.

Credo che per quanto riguarda il “don Vecchi 5” e il villaggio solidale degli Arzeroni, il “Mosè” che ci sta facendo passare il mar Rosso, guidandoci alla “Terra promessa” sia l’assessore tecnico, prof. Enzo Micelli.

Questo professore l’ho conosciuto quando era il presidente del consiglio di amministrazione dell’IVE, l’immobiliare del Comune di Venezia, ai tempi in cui mi battevo per ottenere il terreno per costruire “Il Samaritano”, la struttura di accoglienza per i famigliari degli ammalati dell'”Angelo” e degli altri ospedali di Mestre.

Gli amministratori che provengono dalla politica sono convinto che di fronte ad ogni proposta si pongono non la domanda se serve o no, ma se porta voti o meno! Per questo motivo preferisco gli “amministratori tecnici”.

La Santa Alleanza

Credo che agli amici interessi sapere come abbiamo vinto la guerra per la realizzazione del “don Vecchi 5” e del Villaggio Solidale. La racconto perché credo che possa essere utile a qualcuno.

Dopo aver stretto una “santa alleanza” tra un giovane prete ed uno anziano, don Gianni e don Armando – 42 e 82 anni – abbiamo individuato ove “buttare la testa di ponte” tra le linee della burocrazia comunale.

C’è parso che il luogo più opportuno ce lo offrisse il prof. Ezio Micelli, assessore tecnico, quindi non condizionato nel ricevere o perdere voti alle prossime elezioni.

Don Gianni ha iniziato una intensissima azione diplomatica, telefonando, mandando e-mail a più non posso, paracadutandosi all’interno del Comune. Mentre io ho preparato una “meravigliosa macchina da guerra” che sarebbe stata usata dopo alcuni ultimatum perentori. Ogni settimana sarebbe apparso un articolo su un periodico cittadino diverso e tutte le settimane un articolo su “L’incontro”. Poi avrei rivolto un appello, invitando dalla donna delle pulizie dell’ufficio del sindaco ad ogni personalità conosciuta a premere, telefonare, insistere.

E’ partita la prima bordata con un articolo di Alvise Sperandio su “Il Gazzettino” ed un intervento del consigliere regionale Gennaro Marotta. E’ bastata! La notte del 27 luglio il Consiglio Comunale, con decisione bipartisan, ha votato la cessione dell’area. C’è stato solamente un voto contrario di Bonzio di Rifondazione Comunista, ma quello è un bastian contrario, ch’è un onore avere il suo dissenso.

La linea del Piave

Nota della Redazione: questo articolo, come gli altri, risale ad un paio di mesi fa e fortunatamente nel frattempo il comune ci ha dato il terreno.

Quando si parla della grande guerra ci si riferisce all'”offensiva del Piave” come alla battaglia decisiva di quel tragico ed immane conflitto.

Mio padre, che a quel tempo abitava al Eraclea nel mio paese nativo, che è a ridosso della sponda sinistra del Piave, mi raccontava dei tentativi dei tedeschi di passare il fiume tentando in ogni maniera di buttare ponti di barche. Io sono suo figlio; quasi un secolo dopo mi pare non solamente di partecipare con trepidazione a questo evento, ma sento su di me la responsabilità di guidare un’altra battaglia importante, come il vecchio Cadorna. Se entro poco tempo non riusciamo ad ottenere la superficie per costruire il “don Vecchi 5” per gli anziani in perdita di autonomia, perdiamo il finanziamento della Regione, una opportunità che capita una volta nella vita.

Qualche giorno fa ho scritto al sindaco e alla compagine dei suoi assessori che sento il dovere sacrosanto di dar voce a chi non ha voce e che perciò adoprerò ogni mezzo lecito per sconfiggere la burocrazia dell’amministrazione comunale.

Spero che una volta tanto Orsoni esca dalla sua pace olimpica per prendere posizione ed aiutarci ad aiutarlo.

Terrò informati i miei amici pubblicando ogni settimana i bollettini della nostra guerra.

P.S. le mie minacce hanno raggiunto lo scopo: il Comune ci ha dato il terreno

L’operaio della Vinyls

Il vento della disperazione ha spinto al “don Vecchi”, come un fuscello, un operaio della Vinyls di Marghera. M’è parso subito come uno di quei fiori di plastica sbiaditi dal sole, che quando tira vento di tramontana vengono sparsi disordinatamente lungo il marciapiedi del nostro cimitero.

Venticinque anni di lavoro regolare nella stessa fabbrica, una moglie e due bimbi, poi la fabbrica ha chiuso per uno di quei tanti misteri dell’economia globale, anonima e spietata. «Don Franco mi aiuta, ma sono indietro con l’affitto. Non ce la faccio più!«.

Gli diedi cinquanta euro, ma nessun consiglio. Non ho più consigli da dare. Andandosene, mi mostrò una fattura del pronto soccorso dell'”Angelo”. Era caduto dalla bicicletta a causa delle rotaie del tram. Entrato alle 20, è uscito dopo mezzanotte con in mano un foglio di 52,80 euro per la visita ottenuta con la classifica “codice bianco”. La malasanità l’ha derubato della mia elemosina.

Pronto alla guerra in difesa degli anziani in perdita di autonomia!

Il dieci agosto abbiamo presentato alla Regione il progetto definitivo per i sessanta alloggi per anziani in perdita di autosufficienza, progetto correlato da un documento che attesti che la Fondazione dispone di una superficie in cui collocare la nuova struttura, altrimenti la Regione non può erogare il mutuo di duemilioniottocentomila euro già stanziati per questa operazione.

Credo che molti concittadini conoscano la triste storia. Il Comune aveva promesso un’area contigua al “don Vecchi”, ma il parroco di san Pietro Orseolo, attraverso la “mano secolare” di un sedicente “comitato antiantenna” si è opposto perché il quartiere non sia privato di una porzione di un parco che attualmente è destinato ai “bisognini” dei cani.

L’amministrazione, impaurita, ha ritirato la promessa ed ha proposto una superficie alternativa nella zona degli Arzeroni, certamente più decentrata. Comunque la Fondazione ha accettato il cambio, anche se svantaggioso. Il guaio è che alcune fasce di terreno il Comune non le ha ancora acquisite e perciò, per dar corso all’atto d’obbligo, deve portare a termine una serie di operazioni la cui competenza è dell’assessorato al patrimonio.

Io, nel passato, ho avuto la sfortuna di avere a che fare con questi uffici e ne conosco purtroppo i tempi biblici. Siccome le settimane passano producendo solamente promesse ed assicurazioni verbali, mi sento costretto a mettere in moto “la meravigliosa macchina da guerra” per mobilitare l’opinione pubblica. E’ certo che in guerra valgono poco le bombe mirate, si finisce sempre per sparare sul mucchio.

Venezia, da cinquant’anni parla del nuovo stadio che non è ancora nato, del nuovo carcere che ha perduto, ora chiacchiera sul Fondaco dei tedeschi e finirà per perdere anche quello. Le capita la fortuna insperata dell’offerta della torre di Chardin e anche su questo progetto chiacchiera e tentenna. Non vorrei che capitasse la stessa fine anche alla nuova struttura pilota per gli anziani in perdita di autonomia.

Da oggi comincia la guerra, che sarà senza quartiere, verso un Comune che è esattamente l’opposto della Serenissima Repubblica. In questo caso prometto alla città che mi batterò fino all’ultimo sangue.

Se quando verrà pubblicata questa pagina del mio “diario” non avrò in mano documenti certi, comincerò col pubblicare la lettera già inviata al sindaco, ricordandogli che “uomo avvisato mezzo salvato!”.

La Messa festiva al don Vecchi di Campalto

Nota della Redazione: questo articolo è stato scritto diverse settimane fa. Da allora la situazione, almeno per quanto riguarda via Orlanda, si è sbloccata perché finalmente l’Anas ci ha dato il permesso di mettere in sicurezza l’ingresso e l’uscita del centro don Vecchi di Campalto su via Orlanda. Al più presto inizieremo i lavori che saranno a carico quasi totalmente della Fondazione Carpinetum.

Ci pareva di aver finalmente risolto il problema della messa festiva per i residenti del Centro don Vecchi di Campalto, ma ora il problema è tornato in alto mare.

Tutti ormai sanno che il Centro don Vecchi di Campalto conta 64 appartamentini; essendo però alcuni destinati a coppie, i residenti risultano 70. La parrocchia di Campalto dista solamente settecento metri però via Orlanda, che è l’unica strada che porta in chiesa, è una “strada proibita” perché senza margini e con un traffico intenso e veloce, tanto che si contano, in questi ultimi anni, più di una decina di incidenti con dieci morti. L’unico modo per recarsi in centro per partecipare al precetto festivo è l’autobus, ma anche questo mezzo è assai pericoloso perché esige l’attraversamento di questa “strada maledetta”.

Tutti conoscono le vicende veramente tragicomiche per ottenere la messa in sicurezza, almeno per quanto riguarda l’autobus. Da quasi nove mesi stiamo aspettando il permesso dal Comune e dall’Anas e, al momento in cui sto scrivendo queste note, non è ancora arrivato.

Per grazia di Dio ci è arrivato dal cielo don Valentino, un prete anziano con tanti problemi ed ha cominciato a celebrare ogni domenica, tanto che s’era formata una piccola assemblea liturgica alla quale partecipava un terzo dei residenti. Purtroppo vecchiaia e malanni hanno costretto don Valentino in ospedale ed ora pare che debba andare al Nazaret.

Enrico, il diacono “ad honorem”, ha quindi ricominciato a celebrare la “messa secca” con la liturgia della parola e le preghiere, come avviene nelle comunità sperdute nelle savane africane.

I nostri vecchi pare però che non gradiscano simili surrogati al sacrificio di Cristo e disertano bellamente questi incontri religiosi, mentre sembra che la nuova comunità raccogliticcia avrebbe bisogno di prediche abbondanti!

Ora non ci resta che pregare perché il Signore mandi un nuovo operaio nella sua messe.

Un vecchio sogno per i giovani

L’approccio col diario di don Didimo Mantiero “Il volto più vero” mi ha fatto emergere un ricordo che credevo ormai sepolto da moltissimi anni e che era riemerso una decina di anni fa per ricadere poi quasi subito nella fossa del passato.

Il discorso, almeno per me, è quanto mai interessante e potrebbe perfino offrire a qualche responsabile della diocesi un’idea per realizzare qualcosa che fosse una risposta ad un problema pastorale non solo non risolto, ma che va aggravandosi di anno in anno.

Monsignor Vecchi aveva l’umiltà, e soprattutto l’intelligenza, di accertarsi su tutto quello che facevano gli altri e desiderava verificare sul campo ogni iniziativa per controllare direttamente sia la validità, sia i tentativi per risolvere i problemi.

Molte delle realizzazioni nate nella parrocchia del Duomo di Mestre una quarantina di anni fa, molte iniziative, ebbero come matrici queste ricerche e queste prese di visione delle esperienze esistenti in altre comunità. Così è stato per il settimanale della parrocchia, per Ca’ Letizia a riguardo dei poveri, per il Rifugio san Lorenzo, per l’attività estiva dei giovani e ragazzi, o la radio locale e per tante altre iniziative.

Si diceva in quegli anni che a Bassano avevano realizzato “Il Comune dei giovani” con tanto di sindaco ed assessori eletti dai giovani. Andammo a vedere e scoprimmo una struttura enorme e poliedrica. C’era dentro di tutto: sport, cultura, ricerca religiosa, musica, divertimento, veramente un mondo dedicato ai giovani.

Capimmo fin da allora che i nostri patronati erano asfittici e non avrebbero mai potuto essere un centro di vero coagulo per la gioventù perché le parrocchie che li promuovevano erano troppo piccole e non avrebbero mai avuto la forza di sostenere un centro così complesso ed articolato.

Cominciammo a progettare, ma io fui trasferito e monsignore aveva bisogno di una spalla ideale ed operativa che gli venne a mancare. La cosa morì lì.

Una decina di anni fa proposi il progetto ai confratelli del mio vicariato, constatando che i relativi patronati erano morti o moribondi. La cosa non andò avanti perché qualcuno che apparentemente appoggiò il progetto aveva altri sogni personali ed altri non amavano imbarcarsi in un’avventura che richiedeva coraggio, soldi e personale e soprattutto appoggio forte da parte del “governo centrale”.

Ora, leggendo il “diario” del prete vicentino, pubblicato solamente da poche settimane, vengo a scoprire che l’ideatore e il realizzatore di questo progetto innovativo è stato proprio lui, don Didimo Mantiero, il sacerdote che papa Ratzinger ha definito “uno dei più grandi parroci del nostro tempo”. I profeti parlano anche da morti.