Da “DIMENSIONE PI” – 10 settembre 2017

Da “DIMENSIONE PI” – 10 settembre 2017
Settimanale della parrocchia di San Marco di viale San Marco

Nell’articolo di fondo del periodico di questa settimana, il parroco don Mario Liviero, come ogni arbitro, fischia il segnale di partenza per il nuovo anno pastorale.

Ormai tutte le parrocchie avvertono il calo di presenze alla messa festiva durante i mesi estivi. Don Mario, dopo aver fatto una lunga premessa di ordine teologico sulla sostanza del vivere da cristiani, denuncia l’assenza completa di ragazzi e di giovani alla messa festiva dal periodo di chiusura fino a quello di apertura della scuola.

Questo fenomeno, che è iniziato una ventina di anni fa, è ormai sotto gli occhi di tutte le parrocchie. Ci sono delle comunità parrocchiali che in qualche modo “si difendono” con la promozione di numerosi campi estivi che però non arrivano mai ad avere un numero di presenze come nel periodo invernale in parrocchia. Pure la speranza che ragazzi e giovani durante l’estate vadano a messa nelle località di villeggiatura è di certo una pia ed illusoria chimera.

Credo che il problema vada studiato in maniera più seria con l’aiuto di esperti.

1.2.3. VIA!!!!

Cari amici, riprendiamo il nostro cammino: con gioia e con impegno perché grande e bello è il dono della fede cristiana che abbiamo ricevuto e che siamo chiamati a testimoniarci tra di noi cristiani, a chi si sente in crisi e in difficoltà con la fede, a chi l’ha abbandonata e ai tanti non cristiani ormai presenti tra di noi, che abitano nel nostro quartiere e nei nostri condomini accanto a noi.
Riprendiamo, anche se di fatto ciò che è fondamentale nella vita cristiana non è mai stato interrotto in questi mesi estivi. E che cos’è fondamentale nella vita cristiana? Nostro Signore Gesù! Lui si consegna a noi attraverso la sua Parola (Lui stesso è il Verbo, la Parola fatta carne) e attraverso l’Eucarestia, la Messa domenicale. In essa, nel segno del pane e del vino, ci ricorda il suo amore verso l’umanità che non viene mai meno e sempre si dona come pane che alimenta. Questo non è mai mancato nella nostra parrocchia nei mesi estivi, anche se il numero delle S. Messe è passato da tre a due (ma con Ottobre riprenderà anche la Messa delle 11.30). Che strano però! Tutti possiamo constatare che nei mesi estivi la partecipazione alla Messa domenicale è flop. Bambini e ragazzi poi quasi del tutto assenti. Certo, molti sono via, in vacanza, dai nonni: parteciperanno in quelle comunità. Anch’io sono stato in zone di turismo e quanta gente alla Domenica! E’ un dato di fatto però, e tutti lo constatiamo, che con il termine della scuola e fino al suo nuovo inizio tutto va in vacanza. Non esiste più niente, solo la vacanza. Il ritmo domenicale, che per noi cristiani segna il fluire del tempo, è soppiantato dal calendario scolastico. E’ come una mentalità radicata. “O stolti Galati”, apostrofava così l’apostolo Paolo i cristiani di quella regione,” mi meraviglio che così in fretta da Colui che vi ha chiamati alla grazia di Cristo passiate ad un altro Vangelo…”
Ma è così grave? Sì, è molto importante, fondamentale. Può non essere importante Gesù Cristo per un cristiano?
Ripartiamo quindi mettendo al centro Gesù Cristo in tutte le nostre attività, gruppi, iniziative e ridando alla Domenica tutta la sua importanza. Tutta, che significa non tanto partecipazione ad un rito ma comprensione del suo pieno significato e del coinvolgimento personale che richiede…

Da “LA BORROMEA” – 10 settembre 2017

Da “LA BORROMEA” – 10 settembre 2017
periodico del duomo di San Lorenzo

Oggi c’è una parola magica, “trasparenza”, che viene tirata in ballo nei riguardi degli aspetti più diversi della vita della nostra società. I cittadini si attendono, anzi esigono, che nella vita comunitaria le cose siano compiute alla luce del sole. Credo che questo discorso valga anche per le nostre parrocchie.

A questo proposito nel numero 2341 del periodico “La Borromea” della parrocchia del duomo di Mestre leggo la rubrica “offerte” nella quale sono riportate le offerte – non so se della settimana, del mese o dell’estate – messe là, bene in fila, perché i parrocchiani le conoscano. Quello finanziario non è di certo uno degli aspetti più importanti della vita della comunità cristiana, comunque penso che quando sul bollettino parrocchiale se ne dà conto, si coinvolge la parrocchia, si porta a conoscenza che vi sono dei fedeli che si fanno carico delle spese della comunità e soprattutto che danno al parroco la possibilità di far del bene.

Non sono in verità molti i bollettini parrocchiali che riportano le offerte ricevute in parrocchia. Sarebbe bello che si aprisse un dibattito tra i fedeli su questo argomento.

Offerte

Offerte per la Parrocchia:

In memoria di Tommaso Nordio: 200 euro – In memoria di Paola Levorato: 100 euro – In memoria di Vera Andreozzi: 100 euro – In memoria di Roberta Marchesi: 50 euro – In memoria di Giorgio Danieli: 310 euro – In memoria di Giuseppe Morino: 300 euro – In memoria di Gastone Papini: 100 euro – In memoria di Ines Ambrorggi: 300 euro -In memoria di Stefano Cera: 100 euro – In memoria di Graziella Dall’ Ora: 200 euro – In memoria di Maria Paola Dall’ Aglio: 150 euro – In memoria di Anna Maria Aspertì: 400 euro – In memoria di Loredana Cecchinato: 30 euro – In memoria di Piero Giovannini: 100 euro – In memoria di Alberto Scarparo: 150 euro – In memoria di Paolo Cercato: 150 euro – In memoria di Vittorio Ventura: 50 euro – In memoria di Maria Mattiazzo: 150 euro – In memoria di Teresio Roveda: 50euro In occasione del battesimo di Cloe: 100 euro – Gabriella e Gianfranco: 100 euro – Fam Zanotto – Pitteri: 200 euro – Coop Squero: 200 euro -Fam. Conte: 100 euro – NN: 50 euro.

Da “LA PROPOSTA” -3 settembre 2017

Da “LA PROPOSTA” -3 settembre 2017
periodico della parrocchia di Chirignago

Don Roberto, direttore e factotum del foglietto parrocchiale, spesso in questo suo periodico prende un piglio un po’ garibaldino. Il foglio quasi sempre si legge volentieri sia per la notizia di vita parrocchiale, intensa e volitiva, sia per le riflessioni di carattere religioso e pastorale quanto mai interessanti.

Nel numero di questa settimana don Roberto fa un’analisi molto briosa del consenso che godono i vari santi che si trovano nella sua chiesa, consenso che è commisurato ai lumini che i fedeli accendono in devozione ai loro protettori e con sua soddisfazione constata che la Madonna li batte tutti di gran lunga.

Quello dei lumini è un tipo di pietà popolare che nel nostro nordest si sta spegnendo inesorabilmente. Si spera quindi che i fedeli di oggi lo sostituiscano con un qualcosa di più consistente, scoprendo che i santi sono dei testimoni di vita cristiana vera e non sono disposti ad aiutare chi spende qualche solderello per dar loro lustro.

Don Roberto si riserva quindi una battuta finale nei riguardi di chi accende il lumino e non mette l’offerta relativa trasformando così un cespite in un danno per la chiesa.

I FALSI DEVOTI DELLE SANTE RITA E LUCIA

Nella nostra chiesa le candele funzionano così: S. Antonio se la cava benino e ogni settimana porta in casa qualche soldino. Padre Pio anche lui qualcosa fa, ma molto meno di S. Antonio. S. Lucia (S. Rita & C.) e Giovanni Paolo 2° non si pagano nemmeno il plateatico, quella che provvede per tutti è la Madonna.
Bene, di questo eravamo consapevoli da sempre. Quello che abbiamo notato ultimamente è che davanti all’immagine di S. Lucia & C. spesso arde qualche lumino, anche durante la settimana. E qual’è la sorpresa alla domenica, quando svuotiamo le cassette, quando troviamo quella di S. Lucia con due spiccioli che non valgono un lumino. Sarà difficile che queste note vengano lette dai devoti in questione, ma se per puro caso lo facessero, sappiano che i loro lumini accesi valgono meno di zero, anzi sono un furto (piccolo ma sempre furto) che fanno ai danni della chiesa e della comunità.
Sappiano soprattutto che il valore del lumino sta nel sacrifico che accenderlo comporta. Un sacrificio che deve essere fatto da chi esprime la devozione e chiede la grazia, non fatto fare alla parrocchia che, comunque, il lumino lo deva pagare.
Accendere un lume e non mettere la corrispettiva offerta porta male.

Da “LA FESTA” 3 settembre 2017

Da “LA FESTA” 3 settembre 2017
periodico dell’unità pastorale delle parrocchie di S.Cassiano e S.Silvestro di Venezia

Nell’unica facciata de “La Festa” il parroco, don Antonio Biancotto, riflette “a voce alta” e riferisce ai parrocchiani le vicende della comunità. Vi ho trovato questa settimana un articoletto di cronaca che, di primo acchito, appare scontato perché riferisce di due suore di queste parrocchie che sono state trasferite una a Ravenna e l’altra a Maranello, località nota per la FIAT.

La prima è stata incaricata dal parroco ravennate di “benedire le famiglie”. Questo insolito compito pastorale per una suora mi ha dapprima sorpreso, ma poi mi è parso quanto mai saggio ed innovativo. Vi sono oggi dei parroci che dei propri parrocchiani conoscono solamente quell’otto o dieci per cento che va a messa, mentre l’altro novanta per cento nasce, vive e muore senza mai incontrare quel sacerdote che dovrebbe cercare, conoscere e tentare di riportare a casa anche la novantanovesima “pecorella smarrita”. Veramente saggio quel parroco di Ravenna!

Mi auguro di tutto cuore che questa “notiziola da bollettino parrocchiale” sia letta da quell’ottanta-novanta per cento di parroci veneziani che trovano tempo per tutto, ma non per incontrare le famiglie della loro comunità.

ALCUNI CAMBI TRA LE SUORE SALESIE DEL PONTE STORTO

In settimana ci hanno salutato suor Mariela e suor Romina, la prima è stata trasferita in una scuola materna della città di Ravenna, la seconda a Maranello (la cittadina della Ferrari) in una comunità a servizio della pastorale parrocchiale. Entrambe si erano messe a disposizione della catechesi accompagnando un gruppo alla Cresima e un gruppo delle superiori. Ringraziamo entrambe per la generosità e l’entusiasmo nel mettersi a servizio della nostra comunità. Ora siamo in attesa dei nuovi arrivi e confidiamo nella disponibilità a collaborare con la parrocchia. Cogliamo in questi spostamenti delle suore Salesie nelle scelte e di altre congregazioni religiose e l’orientamento a dar seguito alle indicazioni del Papa che ha invitato la Chiesa ad andare verso le periferie umane delle nostre città. Suor Romina mi diceva che alla comunità in cui andrà è stato chiesto di mettersi a servizio del territorio “benedicendo le famiglie”. È una prospettiva nuova per le religiose, che risponde al bisogno di andare in cerca della pecorella smarrita.

La nostra disponibilità

Lettera aperta ai parroci, alle assistenti sociali del Comune, agli enti di valenza solidale e soprattutto ai concittadini che si trovano in ristrettezze economiche.

Siamo consapevoli che questo nostro appello è purtroppo piuttosto raro e può sonare perfino strano e per questo siamo particolarmente felici di portarvi a conoscenza di una realtà che a Mestre ancora non tutti conoscono. Per grazia di Dio e per buona volontà di mezzo migliaio di volontari, in simbiosi con il Centro don Vecchi di Carpenedo è nata una agenzia di solidarietà quanto mai vasta ed efficiente, che presto speriamo possa diventare in Italia il primo supermercato di carattere solidale. Ogni giorno affluiscono in via dei Trecento campi 6 di Carpenedo, dove si trovano i nostri magazzini, centinaia e centinaia di concittadini italiani ed extracomunitari che si trovano in difficoltà economiche e che chiedono aiuto presso i nostri attuali magazzini di carattere solidale, trovando fortunatamente una risposta ai loro bisogni. Grazie alla Provvidenza siamo in grado di aiutare un numero ben consistente di persone in difficoltà. Per questo ci rivolgiamo a voi, che siete i naturali interlocutori dei poveri, perché sappiate che, qualora non siate attrezzati a dare risposta esauriente alle richieste di chi è in difficoltà, noi a nome della Chiesa mestrina possiamo aiutare voi e quindi chi viene da voi a chiedere aiuti. Cosa possiamo mettere a disposizione?

  1. Un emporio di vestiti nuovi ed usati di ogni tipo e di ogni taglia. Siamo convinti che a Mestre non ve ne sia uno di eguale neppure in quelli di carattere commerciale.
  2. Mobili e arredo per la casa; dalle stoviglie ai soprammobili, dai mobili correnti a pezzi d’epoca, dai quadri ai lampadari e ai tappeti. Disponiamo, insomma, di tutto quello che serve per arredare la casa.
  3. Frutta e verdura in grande abbondanza. Ogni giorno recuperiamo dai venti ai trenta quintali di questi generi alimentari che ci vengono regalati dai mercati generali di Padova, Treviso, Marghera, Santa Maria di Sala e dai supermercati della città: Alì, Cadoro, Coop e Despar.
  4. Generi alimentari in scadenza: di ogni qualità, compreso carne, pesce e tanto altro ancora.
  5. I generi alimentari della Agea ossia forniti dall’Europa.

Ben s’intende che talora v’è tanta abbondanza e talora questi stessi generi scarseggiano. Comunque si trova sempre qualcosa! Questa possibilità di distribuzione consistente di beni è dovuta ad un’organizzazione seria: abbiamo sei grandi furgoni, dei quali uno per la catena del freddo, la disponibilità di milleduecento metri di superficie e soprattutto un numero quanto mai consistente di volontari. Crediamo che oltre l’organizzazione, che si rifà alla dinamica di ogni magazzino di carattere commerciale, il punto di forza sia quello che questa attività vive e si rifinanzia da sola. Perché ad ogni utente viene richiesta un’offerta pressoché simbolica per sostenere la gestione e perché siamo quanto mai convinti che bisogna creare un “volano” della carità, che crei piano piano in tutti benefattori e beneficati, una mentalità solidale: motivo per cui ognuno, in rapporto alle sue possibilità, deve collaborare ed aiutare chi è più povero di lui. Gli unici prodotti per i quali non si richiede alcun contributo sono i generi alimentari della Agea che per legge devono essere totalmente gratuiti. Informiamo, infine, che l’orario estivo di apertura è dal lunedì al venerdì, dalle ore 15 alle 18, e che i magazzini sono facilmente raggiungibili perché dispongono di un ampio parcheggio e anche perché la linea 2 dell’autobus ha una fermata ad appena 50 metri di distanza.

Da “COMUNITÀ E SERVIZIO” – 3 settembre 2017

Da “COMUNITÀ E SERVIZIO” – 3 settembre 2017
settimanale della parrocchia di S. Giuseppe di viale San Marco

Alessandro Seno, il giornalista di questa parrocchia, puntualmente, ogni settimana, offre il suo messaggio attraverso una cronaca scorrevole e leggera, ricca di immagini e battute sornione. Sullo stesso periodico interviene, abbastanza frequentemente, Monica Alviti, che io suppongo sia un’insegnante di lettere o una psicologa. Gli articoli di questa parrocchiana di viale San Marco appaiono, almeno nella forma, più autorevoli e sicuri. Nel pezzo di questa settimana la signora Alviti affronta il problema del compito dei genitori che, per mostrarsi moderni, rinunciano al loro dovere di offrire ai figli con decisione ed autorevolezza messaggi precisi, tali da non essere discussi ma accettati come un valore sicuro da accogliere con fiducia.

Consiglio quindi chi visita questa pagina web, soprattutto se è un giovane genitore, di leggere questo articolo con attenzione perché è scritto da una persona che non si preoccupa di seguire la moda corrente, ma anzi ha il coraggio di andare controcorrente per il vero bene dei figli.

CON UN SONORO CALCIO NEL C**0
Di Monica Alviti

Il comico toscano Pieraccioni lancia un accorato appello su facebook ai genitori moderni: torniamo ai metodi spicci dei nostri nonni perché ormai i bambini di oggi non hanno più quel timore reverenziale che un tempo portava i più piccoli a obbedire ciecamente. Si mette in discussione lui stesso come genitore, ammettendo che qualcosa gli è sfuggito di mano nell’educare la figlia di 7 anni. “‘Babbo – mi ha chiesto seria – ma se io da oggi faccio tutto quello che mi dici, tu mi potresti pagare?’. La risposta doveva essere un tenero calcio nel culo, invece mi è pure scappato da ridere! (…) Ritorniamo, in qualsiasi modo, a quei bambini educati e felici di ricevere un balocco e non a questi che ne chiedono uno al giorno per poi scordarselo nel punto esatto dove l’hanno scartato. E soprattutto leviamogli da davanti quel ca**o di Ipad” perché “Signori! Siamo passati da ‘mio padre mi fulminava con uno sguardo’ a ‘mio padre se dice di no lo fulmino’. Il messaggio – chiaro e diretto – ha ottenuto 24mila “mi piace” in poche ore e più di 2500 commenti. “Quanto hai ragione” gli fanno sapere in molti, mentre altri sono in disaccordo con lui: “Essere genitori di una volta non significa passare dalle pedate… non mi pare che gli adulti di oggi in generale siano così eletti perché educati a botte… non cerchiamo scappatoie, ma voglia di ascoltare i nostri figli”.

Da “L’INCONTRO” – 10 settembre 2017

Da “L’INCONTRO” – 10 settembre 2017
Settimanale della Fondazione Carpinetum dei Centri “don Vecchi”

Don Fausto Bonini, l’ex parroco del Duomo di Mestre, giornalista brillante ed autorevole, che per molti anni ha diretto “Gente veneta”, il settimanale della diocesi di Venezia, tiene su “L’Incontro” la rubrica “Il punto di vista”. Normalmente affronta problemi religiosi quanto mai sentiti ed attuali. In questo numero affronta il problema del celibato dei preti.

L’argomentare di don Fausto è sempre asciutto, senza divagazioni, sempre essenziale e in questo numero, con grande lucidità, riafferma che per la Chiesa cattolica il celibato fu, ed è ancora, un qualcosa di grande e di sublime, ma non è tuttavia un requisito essenziale all’esercizio del sacerdozio. Il sacerdozio di uomini coniugati cominciò con gli apostoli, continuò per tutti i secoli dell’era cristiana tra i cattolici di rito ortodosso ed oggi ne abbiamo pure testimonianza dai bravi preti che anche a Mestre seguono le piccole comunità cristiane dei concittadini extracomunitari. Don Bonini non lo dice in maniera esplicita, però lascia intendere che ormai è giunto il tempo che tutto il discorso del sacerdozio debba essere rivisto.
Don Fausto non l’ha detto, ma aggiungo io che è opportuno che sia rivisto pure il corso di studi del seminario. Oggi si studiano materie inutili, si fanno fare percorsi infiniti di troppi anni a giovani diplomati e laureati che con un paio di anni di studi specifici potrebbero impegnarsi in parrocchia.

Oggi ci sono ancora uomini e donne che credono veramente in Dio e in Cristo ed amano la gente, che potrebbero guidare le comunità cristiane del nostro tempo senza i tradizionali percorsi.

IL CELIBATO DEI PRETI
di don Fausto Bonini

Cinquant’anni fa Papa Montini pubblicava l’enciclica “Sacerdotalis caelibatus: ma la legge secondo cui i sacerdoti non possono sposarsi non è di diritto divino e potrebbe cambiare.
Da oltre mille anni i preti non si sposano. Ma prima non era così e in futuro, forse, non sarà più così. Preti che lasciano il sacerdozio o che sono obbligati a lasciarlo perché si sposano ce ne sono stati e ce ne saranno sempre. Il fatto non fa più notizia. E quando succede diventa piuttosto “pettegolezzo”. Ma perché ne scrivo proprio adesso? Per ricordare che nel giugno del 1967 papa Paolo VI pubblicava l’enciclica Sacerdotalis caelibatus, “Il celibato sacerdotale”. Cinquant’anni fa. Vale la pena di rileggere quel documento per riscoprire la validità della scelta celibataria “come segno di amore senza riserve, stimolo di una carità aperta a tutti”. Mi limito ad evidenziare alcuni aspetti a partire dall’affermazione che la Chiesa custodisce da secoli il celibato per i suoi preti come “fulgida gemma” che si fa segno di un amore totale per Cristo e per la Sua Chiesa. Però ricorda anche che la “verginità non è richiesta dalla natura stessa del sacerdozio”- e che “il carisma della vocazione sacerdotale è distinto dal carisma che induce alla scelta del celibato come stato di vita consacrata”. Si tratta dunque di due carismi diversi. Due doni diversi. E qui Paolo VI cita la tradizione della Chiesa d’Oriente dove convive l’esperienza dei sacerdoti celibatari e dei sacerdoti sposati. Ormai abbiamo esperienza diretta di questi sacerdoti sposati che guidano le comunità orientali sia cattoliche che ortodosse, anche a Mestre e a Venezia. Nessuno ormai si scandalizza più. Anzi ammiriamo in questi sacerdoti la capacità di donarsi non solo alla famiglia, ma anche e soprattutto alla comunità che guidano. Insomma la legge del celibato – riconosce lo stesso Paolo VI – non è di diritto divino, ma di diritto ecclesiastico. È una legge della Chiesa cattolica, che va rispettata e accettata da chi ha scelto liberamente di seguire la via del sacerdozio. Ma non è detto che sarà sempre cosi dal momento che si tratta di due forme di vocazione diverse: quella al sacerdozio e quella alla vita celibataria. Forse la scarsità di vocazioni al sacerdozio è legata e condizionata dalla scarsità di vocazioni alla vita celibataria e quindi è forse giunto il momento di separare le due scelte e conservare la “fulgida gemma” del celibato a chi mette al primo posto questa scelta e per viverla al meglio decide di entrare in una comunità monacale o di frati, fra i quali poi qualcuno sente di essere chiamato anche al sacerdozio. Comunque non dimentichiamo il suggerimento di Gesù: “Pregate il Signore perché mandi operai nella sua messe”.

Da “VITA DI COMUNITA’” – 3 settembre 2017

Da “VITA DI COMUNITA’” – 3 settembre 2017
periodico della comunità di Santa Maria Goretti di Carpenedo

Già ho informato che “il foglio” della parrocchia di Santa Maria Goretti è del tutto particolare, perché riporta poche riflessioni e assai contenute come lunghezza, ma in cambio è sempre ricco di appuntamenti. Questo numero, ad esempio, contiene l’avviso ai parrocchiani di un incontro che riguarda “Le cellule parrocchiali di evangelizzazione – Italia Nordest”.

Segnalo questo incontro perché penso che nel Patriarcato questo progetto particolare di pastorale sia portato avanti solamente dalla parrocchia di Santa Maria Goretti e forse, ma non ne sono certo, anche dalla parrocchia di San Pio X di Marghera. Non credo che il citato incontro sia aperto a tutti, ma credo che comunque sarebbe interessante per i sacerdoti e per i responsabili parrocchiali, avere una conoscenza più approfondita di questo metodo pastorale.

Sono certo che don Narciso Danieli, il parroco che porta avanti questa esperienza, sarà contento di dare informazioni sul metodo e sui relativi risultati.

CELLULE PARROCCHIALI DI EVANGELIZZAZIONE ITALIANORDEST
Sabato 16 Settembre
GIORNATA DI FORMAZIONE
per tutti gli Evangelizzatori (in particolare per Leader e Coleader)

“LE 3 DIMENSIONI DI CHI ANNUNCIA IL VANGELO”:
– come il Buon Pastore
– come padre e madre
– sospinto dallo Spirito Santo

PROGRAMMA:
– ore 9.30 Accoglienza e preghiera
– ore 10 -11.30 Formazione
-11.30/12.30 un Laboratorio (a scelta) -13.00 Pranzo (iscrizioni in segreteria)
-14.30/15.30 assemblea
-15.30 Conclusioni, preghiera, saluto

c/o Patronato Santa Maria Goretti – Mestre, Vicolo della Pineta n. 3
– formazione condotta da:
don GianMatteo Botto e dalla équipe di Roma, Parrocchia del Preziosissimo Sangue

Da “COMUNITÀ IN CAMMINO” – 27 agosto 2017

Da “COMUNITÀ IN CAMMINO” – 27 agosto 2017
periodico della parrocchia di San Pietro di Oriago

Il giovane parroco, don Cristiano Bobbo, che da alcuni anni è il pastore di questa comunità cristiana della Riviera del Brenta, cura in tutti i numeri del suo foglietto parrocchiale una rubrica impegnativa quanto mai interessante: “Lungo il fiume, pensieri in libertà di un parroco della riviera”.

In questo numero don Cristiano riflette su tre argomenti: 1) I giovani ed internet, vantaggi e limiti; 2) La conclusione del grest che ha visto in parrocchia ben 350 presenze; 3) Il campo scuola degli adolescenti.

La pagina è interessante e si legge volentieri perché la cronaca e le riflessioni sono scorrevoli e concrete e perché si avverte il cuore di un pastore appassionato della sua gente. E’ infine interessante perché dimostra che ancora oggi, nonostante il laicismo, la crisi religiosa, le parrocchie possono essere vive e che il mondo giovanile è perduto solamente quando vi sono preti che non credono fino in fondo al messaggio di Gesù, ma quando si incontrano parroci come don Cristiano pure il deserto fiorisce.

LUNGO IL FIUME
Pensieri in libertà di un Parroco della Riviera
di don Cristiano Bobbo

Alcuni giovani sono venuti a confrontarsi con me su degli argomenti che dovevano sviluppare per le attività di gruppo durante il campo estivo. Avevano fatto una ricerca su internet e avevano raccolto un sacco di spunti, belli, profondi, ma un po’ troppi e non sapevano cosa scegliere. D’altronde i nostri giovani sono ormai tutti dei nativi digitali che, ad esempio, se sono interessati a un autore legato al concetto di “amore”, sul loro computer magari trovano sessantamila possibilità. Se ripenso alla mia esperienza e a quelli della mia generazione, noi andavamo a cercare i testi, sapevamo dov’era quel tal libro di quell’autore, mentre oggi i nostri ragazzi hanno davanti a sè trenta o cinquanta diversi scrittori, interi scaffali virtuali di testi da consultare, e non sanno da dove cominciare. Hanno la biblioteca più ricca, ma paradossalmente sono più poveri. Non credo che un problema come questo vada affrontato con la logica dell’esorcismo. Internet, l’e-book non sono il diavolo, e la cultura e i libri non finiranno a causa loro. La possibilità che la lettura avvenga anche attraverso canali nuovi va presa in considerazione, anche se, lo sappiamo, è un tipo di lettura diverso. Questo è ciò che dobbiamo far capire ai più giovani, che non possono accontentarsi solo di un tweet. Non è difficile, basta impegnarsi. Magari cominciando semplicemente a leggere un libro dall’inizio alla fine…

GREST; OCCASIONE PREZIOSA

Questa sera eravamo in trecentocinquanta per la festa finale del Grest: una grandiosa tavolata in una bella serata di fine Luglio, ottima cena, compagnia stupenda, musica, recite e spettacoli dei ragazzi per la gioia e la soddisfazione di tutti. Occasioni come queste ci confermano nella certezza che non siamo fatti per la solitudine, che non possiamo dare il meglio di noi stessi rimanendo come reclusi nel carcere dorato della nostra autosufficienza. Siamo di natura aperti all’altro. Eppure una grave malattia che purtroppo infetta non pochi adulti è la chiusura, che nasce dall’egoismo o dalla paura dell’altro e che acquista varie patologie degenerative (razzismo, odio, fobia, isolamento, avversione e così via). L’unica medicina è quella dell’amore, dell’incontro, del dialogo, dell’apertura. Quella medicina che abbiamo voluto propinare ogni giorno a piccole dosi alle centinaia di ragazzi che hanno condiviso questa bella avventura estiva con tantissimi amici. Sono grato, pertanto, ai nostri giovani animatori che hanno voluto mettere il loro impegno perché la loro vita diventasse espressione di un senso anche per i più piccoli, un segno di luce, di accoglienza, di benevolenza e di pazienza verso tutti. È quella che si è soliti chiamare “testimonianza”, l’esatto opposto di certe esistenze insipide, ingrigite, insignificanti. E nonostante gli errori, dovuti a superficialità o a inesperienza, siamo sicuri che anche quest’anno il Grest delle nostre Parrocchie sia stata una preziosa occasione per la crescita di quella vera civiltà fondata sui valori cristiani che sono stati da sempre la garanzia dell’umana convivenza.

LA BELLEZZA DEI SENTIMENTI

Questa mattina c’è stata la partenza dei preadolescenti per il campo scuola della durata di una settimana, in montagna.
Abbiamo pregato insieme, ragazzi, animatori, genitori con la celebrazione della S. Messa nella nostra chiesa e, dopo il carico dei bagagli, sempre più voluminosi, è arrivato il momento dei saluti da parte di chi parte e di chi resta. È vero che il loro di¬stacco non sarà lungo, è vero anche che avranno modo di comunicare al telefono tutti i giorni, ma l’ultimo bacio della mamma (ricevuto con po’ di disagio dal ragazzino emancipato che si sente osservato dagli amici) la stretta estrema della mano prima di salire in pullman e poi quel “tenersi per gli occhi”, come per mano, nonostante il finestrino che li separa, racconta chiaramente l’intensità dei sentimenti che legano genitori e figli. Parlare di sentimenti oggi può apparire ambiguo dal momento che spesso vengono umiliati dalla volgarità o dalla superficialità. Ma vorrei spezzare una lancia in difesa di quei sentimenti che traspaiono dal silenzio e dallo sguardo come strumenti di comunicazione, di intimità, di affetto. Mi piace allora pensare che in tante famiglie, soprattutto in questi giorni di ferie estive, di tranquillità e di convivenza più continua ci sia il tempo e la disponibilità per guardarsi negli occhi per recuperare la freschezza dei sentimenti che ci legano gli uni agli altri. Senza dover parlare ad ogni costo perché nell’amore i silenzi sono più eloquenti delle parole!

Santiago di Compostela

Da “CAMMINARE INSIEME” – 3 settembre 2017
periodico dell’unità pastorale di Eraclea e di Ca’Turcata

E’ quanto mai interessante venire a conoscenza che anche nelle parrocchie rurali della nostra diocesi ci si apre ad esperienze religiose quanto mai antiche ma riscoperte in questi ultimi anni come novità soprattutto significative. E’ una riscoperta di strumenti capaci di ravvivare la fede mediante il cammino, il vivere e pregare assieme. Credo quindi sia utile leggere la testimonianza offerta da questo gruppetto giovanile che s’è cimentata nel cammino di Compostela.

Santiago di Compostela

Secondo la tradizione, l’apostolo Giacomo giunse in Spagna per predicare il Vangelo, ritornato in Palestina fu fatto decapitare da Erode Agrippa (At 12,2). I suoi discepoli ne trasferirono le spoglie in nave sino a Iria Flavia, il porto romano più importante di Spagna, per poi seppellirle nel vicino bosco presso il quale eressero un altare, A causa delle persecuzioni e delle proibizioni di visitare il luogo, se ne persero le tracce fino a quando nell’813, l’eremita Pelayo vide dei bagliori e udì cantici provenienti dal bosco. L’eremita riferì gli accadimenti al Vescovo di Iria Flavia, Teodemiro, il quale, dopo aver fatto sfoltire la vegetazione circostante, scoprì i resti del Santo Apostolo, riconosciuti per via delle incisioni sulla lapide. Re Alfonso II (759-842), informato di ciò, si recò presso il luogo del ritrovamento proclamando San Giacomo (Santiago in spagnolo) Patrono del Regno (attuale Galizia). In suo onore fu fatto costruire un Santuario che più tardi diventerà Cattedrale. Il nome “Compostela” deriva forse da campus stellae, a ricordo dei bagliori di luce al momento del ritrovamento.
Nel Medioevo ci fu un fenomeno religioso sorprendente che creò una base comune di tipo culturale a quell’unità di popoli che noi oggi chiamiamo Europa. Goethe diceva. “L’Europa è nata in pellegrinaggio e la sua lingua materna è il Cristianesimo”. Questi brevi cenni storici ci aiutano a comprendere il Cammino di Santiago.
Così era sorto e così noi l’abbiamo vissuto: il lungo viaggio in auto di 5.400 km, gli spostamenti quotidiani di avvicinamento, i 140 km percorsi a piedi. Le giornate iniziavano con le lodi, continuavano con le meditazioni e preghiere personali, con la recita del santo rosario e si concludevano con la partecipazione alla Santa Messa. Lungo il percorso abbiamo incontrato innumerevoli persone che ci facevano sentire popolo in cammino verso un’unica meta. Ci salutavamo augurandoci “buen camino” nello stupore di sentirci avvolti da boschi di querce e castagneti centenari, foreste di eucalipti, corsi d’acqua: la natura si faceva armonia e inno al suo Creatore e noi ci sentivamo felici di farne parte. Abbiamo partecipato alla messa del pellegrino nella cattedrale di Santiago e siamo stati incensati dal “butafumeiro”, il grande turibolo che viene fatto oscillare per tutta la lunghezza della navata centrale, tramite corde tirate da 10 monaci. Nell’abbracciare la statua di San Giacomo e nel venerare le sue reliquie nella cripta, abbiamo portato le intenzioni di preghiera della nostra Parrocchia. Nel ricordare questi meravigliosi giorni, sentiamo una profonda commozione, la fatica ha lasciato il posto alla pace, alla soddisfazione e all’emozione, alla gratitudine… buon cammino di vita a tutti. Don Davide, Tommaso, Giacomo, Silvia, Marta, Sara, Giulio, Italo, Enzo, Fiorella, Giorgio, Michele, Flavia, Lucia e Patrizia.

La nuova congregazione

Il cardinale Patriarca Angelo Roncalli mi ordinò prete nella basilica di San Marco nel 1954 e dopo pochi giorni l’allora vicario generale mi chiamò a fare il cappellano ai Gesuati. Seppi poi che fu il parroco di quella parrocchia, che era stato anche il parroco della mia infanzia ad Eraclea, a fare questa richiesta. Due anni dopo lo stesso “vice Patriarca” mi spostò improvvisamente in Duomo a Mestre. Venni a sapere poi che il cappellano di allora era stato allontanato per certi comportamenti non troppo corretti nei riguardi dei ragazzi. Ci fu un certo scandalo e l’allora parroco monsignor Aldo Da Villa, che mi aveva conosciuto e mi aveva “scoperto” appassionato nel sostenere le mie idee, pensò che potevo essere il prete giusto per tamponare lo smarrimento che la vicenda pruriginosa aveva provocato tra i giovani della parrocchia.

L’inizio fu difficile, però l’entusiasmo delle primizie del mio sacerdozio mi aiutò a superare le difficoltà iniziali. Dapprima mi occupai della gioventù dell’Azione cattolica, quindi mi furono affidati gli scout dei quali avevo fatto una bella esperienza quando ero a Santa Maria dei Rosario alle Zattere. In verità il movimento era allora mal ridotto, ma in pochi anni rifiorì in maniera veramente promettente: tre branchi, tre reparti, due noviziati e due clan ed altrettante unità nel settore femminile. Penso che raggiungemmo in quegli anni i due/trecento ragazzi a San Lorenzo martire e nel contempo ci espandemmo in molte parrocchie della città.

I diciotto anni passati nella parrocchia di piazza Ferretto furono entusiasmanti; a tutt’oggi godo ancora della simpatia di quei ragazzini, che ora sono nonni e bisnonni. Non passa settimana che qualche uomo o donna più che maturi non venga a dirmi: “Don Armando si ricorda che..?” Chi semina sono certo che prima o poi, tanto o poco, raccoglie e io sto ancora raccogliendo da quella semina.

Voglio raccontare in proposito ai giovani preti una bellissima storia, proveniente da quel tempo e da quella comunità. Un paio di mesi fa mi si presentò una signora sui sessant’anni dal portamento asciutto e ascetico che dopo qualche confidenza mi ha detto: “Finora ho tentato di conoscere e amare il Signore mediante l’ascesi e la preghiera, ora vorrei continuare a farlo mediante il servizio ai poveri”. Con suor Teresa riuscimmo a trovarle al Don Vecchi un piccolo alloggio, più simile a una cella da eremiti che a un appartamento per anziani e da una settimana questa donna di Dio fa parte della nostra famiglia. Sono sicuro che ella metterà a disposizione del Signore, vestito da povero, i prossimi trent’anni della sua vita!

Una volta, vedendo il nostro numeroso esercito di volontari, il cardinale patriarca Marco Cé mi chiese tra “il serio e il faceto”: “Perché don Armando non pensi di fondare un ordine religioso?” Allora pensavo che erano fin troppi gli ordini religiosi e poi sono sempre stato convinto che oggi sia giunto il tempo d’amare e servire il Signore senza troppe monache e troppe regole, ma ascoltando la voce del proprio cuore e facendo del nostro meglio a favore del prossimo in difficoltà. Comunque, anche senza cerimonie e autorizzazioni vaticane, al Don Vecchi è nata una nuova “congregazione religiosa” composta da Suor Michela, Suor Angela, Suor Teresa, da me e dalla “novizia” appena entrata. Non ci siamo ancora dati un nome, perché siamo poco convinti che serva, però abbiamo sogni e progetti da vendere.

Campo mobile di Noviziato

Da PROPOSTA – 20 agosto 2017
Periodico della parrocchia di Chirignago

Vi presento due relazioni sui Campi mobili (zaino e tendina in spalla – accampamento in un luogo possibile – pranzo e cena alla trapper – momenti di riflessione e di confronto e momenti di silenzio e di preghiera). Una settimana di cammino di due gruppi di giovani della parrocchia.

Un’esperienza del genere, fatta in età giovanile, rimane incisa nella coscienza e nella memoria in maniera indelebile tanto che nessuna sbandata e nessuna crisi umana, esistenziale o religiosa, la potranno mai cancellare.

Presento queste due relazioni, la prima di un gruppo di adolescenti, la seconda di giovani, perché esse offrono alle comunità cristiane l’esempio di uno strumento educativo che produce effetti pressoché indelebili e del quale ogni comunità avrebbe la possibilità di dotarsi.

CAMPO MOBILE DI NOVIZIATO

Qual è la strada migliore per crescere solidamente da ragazzi ad adulti? Il campo mobile.
Anche quest’anno il nostro Noviziato ha svolto il suo campo mobile attraverso le Dolomiti Venete, partendo nell’ultima settimana di luglio dalla zona agordina e arrivando a Calalzo, potendo ammirare i paesaggi dei monti Schiara, Antelao e Marmarole. E’ stata una settimana, sebbene accompagnata da fatica e sudore, molto ricca e densa: la mattina sveglia alle sette, una veloce colazione e tutto nello zaino e, dopo aver affidato la giornata al Signore attraverso le lodi, si inizia a camminare.
Il percorso prosegue tutta la mattina fino alla pausa all’ora di pranzo nei pressi di un rifugio o su un prato, per tirare fuori il fornelletto e cucinare. Sazi e carichi di energie, verso le due si riprende il cammino, che finalmente finisce quando sentiamo i capi dire “Ecco siamo arrivati, qui ci accamperemo per la notte”. Allora si monta la tenda, se c’è disponibilità di torrenti si fa un bagno veloce, si dedica un’oretta all’angolo spirituale e ai vespri, si cena, dove possibile si accende un falò, si canta e si ride assieme, e poi tutti nelle proprie tende ci si addormenta con un sorriso e con il pensiero del giorno dopo. Come sempre lo zaino pesava e in più, quest’anno, ci ha tenuto particolare compagnia il caldo, dal momento che è stata una delle settimane più afose dell’anno… ma ce l’abbiamo comunque fatta!
E come? Grazie al sorriso dei nostri capi la mattina, grazie alle amicizie, alle risate, alle chiacchierate e ai canti intonati da Spola nei momenti in cui la fatica si faceva sentire di più.
La strada, è vero, sembra sempre lunga e infinita, ma vale la pena mettersi alla prova e sfidare le proprie capacità quando i risultati sono paesaggi meravigliosi, fantastici cieli stellati, spumeggianti cascate tra le rocce, profonde riflessioni e confronti su importanti temi della nostra vita e l’immensa soddisfazione di avercela fatta. Vorremo ringraziare il Signore per averci accompagnato durante il nostro cammino, i nostri capi Stella, Giulia, Spola, Gabri e Katia (non capo, ma assistente spirituale, mi raccomando!) e tutte le persone che hanno reso possibile questa indimenticabile avventura. Grazie ancora e buona strada

Giovanna e Antonio

“Allarme dipendenze” e “Forte Rossarol, perla della città”

Da L’INCONTRO – 3 settembre 2017
settimanale della Fondazione Carpinetum

Don Gianni Antoniazzi, da quando mi è subentrato, ha dato una nuova impostazione editoriale al periodico. Infatti ogni numero de L’Incontro è fondamentalmente monotematico, ossia tratta lo stesso argomento da angolature diverse.
Nel numero 36 di inizio settembre il tema trattato è quello delle “dipendenze” di ogni genere. A mio parere l’articolo più significativo su questo argomento è l’intervista che il coordinatore del periodico, Alvise Sperandio, fa al direttore del SerD di Mestre, dottor Alessandro Pani. Credo che genitori ed educatori in genere dovrebbero prenderne visione perché le prospettive del settore sono davvero preoccupanti.

E’ pure da leggere con attenzione a pag.6 il servizio “Il Forte Rossarol” perché riguarda la nostra città ed è avamposto dei professionisti che lottano a Mestre contro le dipendenze.

Riportiamo l’intervista al dott. Pani e il servizio su Forte Rossarol, ma pure tutto il resto di questo periodico merita di esser letto con attenzione. A Mestre L’Incontro è di certo il periodico più significativo del pensiero dei cattolici e, in assoluto, il più letto dai mestrini.

Sempre più un’emergenza sociale
di Alvise Sperandio

Il direttore del SerD Alessandro Pani racconta il sensibile aumento delle dipendenze Il dramma dei giovani che fanno uso di sostanze e delle persone che si rovinano con il gioco.

Direttore Pani: dal suo osservatorio qual è la situazione sulle dipendenze a Mestre e qual è il trend rispetto agli anni scorsi?

“Non stiamo rilevando particolari differenze sui tossico-alcol dipendenti, i tabagisti e i giocatori d’azzardo presi in carico. Sono però in aumento situazioni multi-problematiche sociali, per compresenza di varie patologie, scarse o assenti risorse familiari e problemi di legalità, per le quali è necessario un complesso lavoro in stretta sinergia con altri servizi”.

C’è un profilo tipo di chi soffre di una dipendenza e quali sono le ragioni profonde che la inducono?

“Dipende dal tipo di dipendenza. Per tutte si tratta di soggetti quasi tutti italiani e in prevalenza maschi. I tossicodipendenti adulti hanno un’età media sui 40 anni, una scolarità media inferiore e per il 40% sono disoccupati. Ci sono molti giovani tra i 16 e i 24 anni, un terzo di loro sono studenti: la metà si rivolge al SerD per uso di eroina, il 40% per cannabis, il 7% per cocaina. Gli alcolisti hanno un’età media di 43 anni e i giocatori d’azzardo sui 50 anni, nella maggior parte lavorano o sono pensionati”.

La piaga dello spaccio e dell’uso di droghe di ogni tipo è in forte crescita, coinvolgendo anche i giovanissimi: perché questo mercato è tornato a dilagare?

“Perché ha sviluppato nuove sostanze e nuove tecniche e modalità di vendita mirate e capaci di conquistare questo target di popolazione. Gli adolescenti sottovalutano i rischi e sopravvalutano le proprie capacità di controllo. L’uso di droghe è il comportamento a rischio più diffuso tra i ragazzi, anche se non tutti quelli che le assumono rischiano allo stesso modo essendoci, tra tutti, soggetti più vulnerabili di altri”.

Un altro aspetto molto critico riguarda la ludopatia: perché il gioco fa ammalare sempre di più e che strategie si devono adottare per contenere il fenomeno?

“Tra le varie forme di dipendenza è quella che ha avuto il maggior numero di incremento negli ultimi anni. Per contrastarla stiamo lavorando in sinergia con tutti i SerD della provincia all’interno di un protocollo con la Prefettura che prevede formazione degli operatori, azioni di prevenzione, diagnosi preoce e trattamento adeguato, oltre che applicazione di appositi regolamenti comunali”.

È vero che è sempre più marcato il problema della polidipendenza, vale a dire che chi si droga spesso anche fuma, beve e gioca compulsivamente o viceversa?

“È un problema che ha trovato larga diffusione. L’ampia disponibilità di sostanze e di occasioni di gioco lo ha facilitato. Nelle fasce di popolazione più giovane si trovano ragazzi che, soprattutto nei fine settimana e nel corso della stessa serata, assumono sostanze diverse, con effetti imponderabili e a volte molto gravi fino a mettere a rischio la vita stessa”.

Che tipo di consiglio vuole dare per contrastare le dipendenze? E se questo suggerimento lo dovesse dare ai genitori, alle famiglie, alle così dette agenzie educative, cosa si sentirebbe di dire?

“I genitori hanno a disposizione il monitoraggio e il contrasto. È necessario osservare le attività del figlio dentro e fuori della famiglia: cosa fa, dove va, chi frequenta, come si organizza e occupa il tempo libero, che cosa desidera. Va ostacolata la cultura dell’accettazione, della tolleranza e della normalizzazione. Va, invece, valorizzata l’individualità, aiutando il ragazzo ad avere opinioni personali, evitando l’omologazione”.

 

Il Forte Rossarol, perla della città
di Luca Bagnoli

Nel 1987 don Franco De Pieri fondò il Centro di solidarietà “don Lorenzo Milani”. Trent’ anni dopo, al Forte Rossarol, questo straordinario lascito materiale e spirituale, si presenta come una realtà terapeutica residenziale altamente strutturata, punto di riferimento locale e nazionale per il trattamento delle dipendenze.

La pronta accoglienza

Il Pronto Accoglienza Confine, convenzionato e accreditato dalla Regione, gestisce la fase acuta della tossico-dipendenza, il momento della crisi, ospitando fino a 15 pazienti tra maschi e femmine per un massimo di 4 me-si. Nel 2016 ha seguito 86 persone, che hanno effettuato 117 ingressi. Il 62% ha concluso il programma, restando mediamente 2 mesi e 41 giorni, mentre il 29% ha interrotto prematuramente. Il 41% proveniva dalla provincia di Venezia.

Il Centro Soranzo

Quando nasce, 15 anni fa, Ideata da Mauro Cibin, attualmente collaboratore del comitato scientifico del Centro, è la prima struttura residenziale per alcolisti in Italia. “Soranzo – spiega il direttore responsabile Alberto Bottaro – non è una clinica, ma una comunità psicoterapeutica. Qui i pazienti, massimo 30 tra maschi e femmine per un periodo che varia dalle 4 settimane ai 6 mesi, devono possedere una buona capacità introspettiva e non fanno i classici lavoretti riabilitativi, ma vivono e convivono insieme occupandosi del proprio mantenimento quotidiano. Devono fare le pulizie, preparare la tavola. Solo la cucina viene gestita dal nostro personale. È una realtà che tratta le dipendenze, tutte le dipendenze, non importa quali, prendendo le mosse dalla persona in un contesto collettivo. Difatti, oltre alle sedute individuali, particolare attenzione viene posta alla terapia di gruppo, come quella mirata alla prevenzione della ricaduta, che fornisce gli strumenti idonei per affrontare la vita al di fuori della struttura. Il metodo che imparano viene praticato dai pazienti anche durante la degenza, quando ritornano a casa per brevissimi periodi”. L’obbiettivo è imparare ad osservarsi, per poi raccontare al proprio terapeuta quanto accaduto tra le mura domestiche. “In questo senso la famiglia è fondamentale – sottolinea Bottaro – Qui lavoriamo anche con i parenti, invitati ad essere partecipi di questo percorso che, una volta conclusosi in comunità, può proseguire in forma ambulatoriale. Un altro appuntamento quotidiano è de-dicato al corpo. Praticare attività fisica, come yoga, shiatsu e training autogeno, risulta indispensabile per l’at-tivazione di un corpo che cerchiamo di valorizzare. Inoltre, per i pazienti con difficoltà nella sfera emotiva, adottiamo la pet therapy, avvalendoci delle caratteristiche specifiche di un asino. Nel 2016 il Centro ha gestito 256 persone, che hanno effettuato 391 ingressi. Il 51% proveniva da fuori Regione, il 19% è stato inviato dal SerD, mentre il 28% si è presentato privatamente, a volte per evitare di essere schedati come tossicodipendenti, altre con l’auspicio di trovare maggiori attenzioni. Per noi non c’è differenza, qui garantiamo l’anonimato e pari trattamento, paghi la famiglia o lo Stato. L’importante è la forte motivazione dell’interessato, non accettiamo gli “smetto quando voglio”. Per questo l’86% dei pazienti conclude il percorso terapeutico”.

La comunità Contatto

La Comunità Contatto, che accoglie fino a 30 ospiti tra maschi e femmine, si occupa del reinserimento. Insegna, per esempio, a creare un curriculum vitae e ad affrontare un colloquio di lavoro. Fornisce dunque gli strumenti per rendere i pazienti autonomi nella ricerca del proprio ruolo in società. Il 22% di loro conclude questa attività rimanendo in struttura mediamente per 8 mesi.

Il valore aggiunto

Per quanto concerne le figure professionali, nella cittadella del Centro Don Milani operano psicologi, psicoterapeuti, educatori, psichiatri e infermieri. “Come ci ha insegnato don Franco – conclude Bottaro – l’equipe è fortemente concentrata sull’attenzione alla persona e in costante aggiornamento. La comunicazione tra colleghi è continua, ogni 4 ore ci relazioniamo in merito alle diverse situazioni che riguardano i pazienti. Insomma, mi piace pensare che siamo tutti animati dalla scienza e dal cuore”.

Normandia

Da PROPOSTA – 4 giugno 2017
periodico della parrocchia di Chirignago

Le vacanze estive sono ormai alle nostre spalle, comunque mi pare opportuno proporre una pagina del diario relativo ad una “gita-pellegrinaggio” di una settimana compiuta a maggio da una cinquantina di parrocchiani di questa comunità cristiana assieme al loro parroco.

Per esperienza personale posso affermare che una soluzione del genere, nella quale si coniugano preghiera, riflessione, visita a luoghi di fede, con l’aggiunta di un clima amichevole ed incontri conviviali gioiosi, a livello pastorale è più producente di un corso di esercizi spirituali. So che sia la comunità di Carpenedo che questa di Chirignago fanno ogni anno un’esperienza del genere. Ci si può quindi facilmente informare sulle modalità presso i relativi parroci.

NORMANDIA

Si arriva a Mont Saint Michel attraversando la campagna bretone. La famosa abbazia, infatti, sorge proprio sui confini tra Bretagna e Normandia. E la campagna bretone è tanto diversa dalla nostra e a suo modo infinitamente bella. Dai noi i fazzoletti di terra sono segnati da fossi e da siepi e disseminati di case. In Bretagna gli spazi sono illimitati, e lo sguardo arriva all’infinito senza incontrare una fattoria e senza cambiar coltivazione: immense distese di colza, di un giallo vivacissimo, e poi altrettanto infinite piantagioni di grano … ogni tanto un villaggio di quattro case, tutte uguali, (in Francia le città sono più o meno come le nostre, ma i paesi di campagna sono completamente diversi: le case sembrano fatte con lo stampo, senza eccezioni, tutte uguali, ma veramente uguali).
Ad un tratto si vede, da lontanissimo, come una piramide. Altissima, avvolta nella nebbia. E’ Mont Saint Michel, quel complesso monastico che sorge su una rupe alta 80 metri sul livello del mare, un mare che in certe ore della giornata la avvolge completamente, ed in altre, quando la marea si ritira, la fa sembrare un gigante piantato su una palude.
Io mi ero fatto un’idea del tutto diversa dalla realtà a proposito di questo monastero. Pensavo che sulla sommità della roccia fosse stata costruita l’abbazia, e che si potesse raggiungerla con una stradina affiancata da tanti negozietti per i turisti. Tutto diverso.
Alla base della immensa roccia ci sono sì dei ristorantini e dei negozi di souvenir, ma poi bisogna affrontare una serie di scale, scalette, scaloni, che portano su, su, su e che sembra non finiscano mai. Ma siamo saliti tutti, anche Mafalda sorretta dal fedelissimo Egidio, e siamo arrivati davanti alla chiesa abbaziale da cui si contempla l’oceano. Entrati in chiesa abbiamo visto che davanti all’altare alcuni monaci ed alcune monache erano seduti per terra in attesa di cominciare a cantare il Vespero. E quando è arrivato il momento, una giovanissima e bellissima sorella si è attaccata ad una grossa corda e ha cominciato a suonare la campana che chiamava alla preghiera. Da lì è cominciata la visita al monastero che non sorge solo sulla cima, ma scendendo per altrettante scale e scalette, e attraversando un’infinita di sale e saloni, non finisce più.
E qui l’aura di mistero ti avvolge, perché ti sembra di essere ritornato ad un lontanissimo passato, fatto di silenzi, di antiche melodie, di misteri, di magie. Saloni immensi con caminetti ancor più immensi (dove si potrebbe tranquillamente bruciare un pezzo di bosco). E nonostante la stagione di primavera avanzata, le pareti ed i soffitti, altissimi e di pietra, trasmettono una intensa sensazione di freddo: come avranno fatto d’inverno a sopravvivere i monaci in queste ghiacciaie? Insomma ricordate il libro ed il film il “nome della ro¬sa”? Così.
Mont Saint Michel ti immerge in quel mondo lontano, misterioso ed affascinante.
Qualcuno del gruppo ci ritorna (stregato?) anche dopo cena. Io conservo nel cuore l’impressione di essere ritornato indietro nei secoli e la figura bella, pulita ed edificante della giovane suora attaccata alla corda della sua. Credo che qualcuna di noi mai abbia prima gustato una simile attenzione e un simile buongusto da parte di quattro cavalieri senza pari: Piero, Gianni, Luigino e don Roberto ci hanno gratificate oltre ogni dire con queste ed altre attenzioni, non ultima quella di servirci a tavola da esperti ed eleganti camerieri, dall’antipasto al liquore ammazzacaffè!
Non abbiamo parole per dire noi grazie, grazie, grazie per la serena giornata di calore, di amicizia, di doni e leccornie (per le quali siamo riconoscenti anche a qualche amico parrocchiano che ha voluto offrirceli!).

Con affetto Nadia

Gli acquazzoni improvvisi

Da LA FESTA – 13 agosto 2017
Periodico dell’unità pastorale di San Cassiano e di San Silvestro

Qualche tempo fa il nostro Patriarca ha detto che a Venezia ci sono 100 chiese, una chiesa quindi ogni 500 veneziani. Di certo questi pochi sopravvissuti della Serenissima non possono accollarsi i costi del restauro e del mantenimento di tante chiese e la diocesi meno che meno. Però questo grido d’allarme è assurdo affidarlo al bollettino parrocchiale di questa unità pastorale. Esso dovrebbe essere fatto all’ONU, all’UE, al Governo, alla Regione e al Comune, al Papa e al Vaticano! Se io avessi delle responsabilità particolari in merito, creerei una commissione che non lasciasse pace ad ogni organismo internazionale e nazionale.
Ritengo che tutto questo sia compito specifico del nostro “governo patriarcale”.

GLI ACQUAZZONI IMPROVVISI

Ormai bastano anche brevi precipitazioni per mettere in ginocchio la chiesa di Santa Maria Mater Domini. Giovedì mi ha chiamato la custode dicendomi che la chiesa era allagata e che si stava staccando un asse del ballatoio dell’organo. Probabilmente le grondaie del tetto sono intasate e l’acqua piovana si infiltra per le fessure della facciata inzuppando il parapetto dell’organo. Ma anche i fìnestroni di metà chiesa lasciano entrare l’acqua, tanto che il pavimento si riempie ma non a causa dell’alta marea. La chiesa era stata restaurata negli anni 80, cioè 35 anni fa. Ora è necessario intervenire per fermare il degrado. Sappiamo che questi sono anni difficili dal punto di vista economico, ma non c’è soluzione: o la Regione ed il Comune finanziano il restauro delle chiese della città oppure sono destinate ad un lento decadimento. Tornando alla chiesa di Santa Maria Mater Domini dobbiamo dire che da otto anni l’arcone del presbiterio è puntellato con alcune tavole. Doveva essere un intervento urgente ed invece i restauri vengono rinviati per mancanza di fondi. Al rientro dalle ferie, presenteremo al Comune e alla Regione un progetto di intervento.

don Antonio