Analfabeti dello spirito

Io sono nato in un paese di campagna quasi un secolo fa e ai tempi della mia infanzia gran parte degli anziani di allora aveva fatto per lo più la terza elementare, non erano molti quelli che avevano la licenza elementare; al mio paese poi, su una popolazione di quasi 10.000 abitanti, i laureati si potevano contare sulle dita di una mano, certamente lo erano il medico, il farmacista e il parroco e forse altre due o tre persone che però io non ho conosciuto. Mio padre si gloriava di aver fatto quasi tutta la sesta elementare.

Il fenomeno dell’analfabetismo un tempo era molto diffuso nei paesi di campagna ma fortunatamente un po’ il duce, un po’ la radio e successivamente la televisione, hanno incentivato e spinto molti a sentire la necessità di un po’ di cultura seppure elementare. Tutti ricordiamo il professor Manzi, il conduttore della trasmissione televisiva “Non è mai troppo tardi”, le scuole per adulti e i corsi serali per le superiori.

Credo che tutto sommato, soprattutto grazie alle leggi che nel dopo guerra hanno imposto l’istruzione fino al diploma di scuola media inferiore, la gente oggi si arrangi alla meno peggio anche se non possiamo affermare di essere un popolo che legge molto; per quanto riguarda la cultura religiosa invece mi pare di registrare un fenomeno quasi opposto. Fino a trenta, quarant’anni fa la quasi totalità dei ragazzi imparava a memoria il catechismo di San Pio X che propinava tutta la teologia, la morale e la Bibbia in una serie di domande imparate a memoria. Al giorno d’oggi invece i ragazzi che frequentano il catechismo sono sempre meno e solo pochi di loro riescono ad avere qualche “idea chiara e distinta” perché se era scadente la pedagogia religiosa di un tempo, quella dei nostri giorni fatta di cartelloni, di recite e di commenti su questioni di attualità è ancora più inconcludente. Nel dopo Concilio, in verità, la Chiesa olandese e successivamente quella italiana hanno realizzato un catechismo per adulti ma si è trattato di un’esperienza di breve durata.

Se posso esprimere un auspicio ritengo di dover suggerire una iniziazione cristiana soprattutto del mondo dei ragazzi passando a tutti i bambini concetti chiari e verità fondamentali. Concetti e verità i cui contenuti possano, con il passare degli anni, essere recuperati nel serio tentativo di far superare agli adulti l’analfabetismo religioso, che oggi purtroppo pare in crescita, attraverso una catechesi sostanziale trasmessa con i periodici parrocchiali che però devono essere in grado di raggiungere la totalità non solo dei battezzati ma di tutti i cittadini.

Il giudizio di Napoleone

La mattina mi alzo alle cinque, non solo perché la sapienza popolare afferma che “Il mattino ha l’oro in bocca” ma anche perché, mentre la casa dorme e fuori è ancora buio, ho modo di fare le mie pratiche di pietà senza essere disturbato.

Di solito recito il breviario bisticciando spesso con i salmisti del popolo ebraico che, con le loro parole, ribadiscono il pensiero di allora e cioè che Dio si sarebbe dovuto occupare solo del popolo ebraico, popolo che al Padreterno chiedeva stragi, morte e calamità per i nemici e si gloriava quando riusciva a passarli a fil di spada.
Confesso che leggo il breviario più per obbedienza e penitenza che per devozione, mi rifaccio però recitando le preghiere più conosciute e più popolari. Faccio poi un po’ di meditazione leggendo qualche testimonianza di gente semplice ma che crede e che tenta di seguire gli insegnamenti di Gesù.

Come ho già scritto altre volte, m’ispiro a due testi: “Il Cenacolo” una rivista della Chiesa Metodista e “Il Breviario Laico” del Cardinal Ravasi. Il primo è un volumetto mensile che riporta frasi della Bibbia commentate da cristiani di quella Chiesa che dimorano in tutti i continenti. Questa lettura mi fa bene perché la sento semplice, innocente, concreta e perché si rifà alle esperienze quotidiane di tutti coniugando la fede con la vita. Nel secondo testo, di tutt’altro taglio e spessore, il Cardinal Ravasi, uomo di cultura e di fede, partendo da alcune citazioni di uomini di elevato spessore culturale, di ogni epoca e di tutte le correnti di pensiero ne fa un commento sempre di notevole levatura. Ravasi dimostra una cultura infinita e cita il citabile riuscendo a suggerire, a credenti e non credenti, proposte convincenti sia a livello di pensiero che di comportamento.

Questa mattina mi ha felicemente sorpreso e aiutato il pensiero di fondo, da cui questo prelato è partito, per fare una considerazione sull’umiltà e sul dovere di non lasciarsi condizionare dagli “idoli” del nostro tempo. La frase commentata è niente po’ po’ di meno che di Napoleone che, pur essendo l’imperatore, sorprendentemente afferma: “Un trono è solo un pezzo di legno coperto di velluto”. La gloria del mondo si riduce a tutto questo perciò dobbiamo evitare di farci incantare. Monsignor Vecchi, con meno prosopopea, ci diceva che quando incontriamo sapientoni che sanno tutto, che pontificano dall’alto, basta immaginarli in mutande perché salti il palco. Confesso che talvolta mi avvalgo anch’io, in alcune circostanze, di questo espediente.

L’imbroglio dei mass media

In tutta la vita il mio lavoro è stato quello di incontrare le persone per tentare di offrire loro un messaggio di speranza e un motivo che le aiutasse a vivere e a morire. Non vorrei esagerare ma sono migliaia e migliaia le persone che ho incontrato durante i miei quasi novant’anni di vita. A voler essere onesto devo confessare che ho incontrato anche alcuni soggetti litigiosi, egoisti, presuntuosi e imbroglioni ma sono convinto che anche questi ultimi probabilmente non si siano sempre comportati in un modo tanto esecrabile anzi forse in altre stagioni della vita, in altre occasioni o con altre persone potrebbero essersi comportati da galantuomini e persone perbene.

Sento di dover fare questa puntualizzazione perché se dovessi valutare la bontà o la cattiveria delle persone leggendo i giornali o guardando la televisione sarei costretto a concludere che il mondo è composto solamente da parolai, farabutti, imbroglioni, venditori di vento, trafficoni truffaldini e gente di questa risma. Ci sono comportamenti che esemplificano la distonia tra la brava gente e la cattiva gente che ci vengono offerti dalla carta stampata e dallo schermo televisivo. I mass media, che di certo non sono strumenti di educazione al bene ma imprese preoccupate solamente di vendere il “loro prodotto”, hanno costantemente la necessità per farsi leggere e per accontentare una certa morbosità dei lettori di presentare anomalie e di riportare notizie su fatti che escono dai binari di una vita sana e normale.

Ricordo che quando ero assistente degli scout, in tempi ormai lontanissimi, organizzammo per Natale una raccolta di legna e carbone per i poveri. Mi recai allora al Gazzettino e ottenni un angolino minuto del giornale per enfatizzare l’iniziativa. Neanche a farlo apposta il giorno dopo a Scorzé nacque un vitello con due teste e questo quotidiano dedicò all’evento cinque colonne e un titolo a caratteri cubitali. Mi venne la mosca al naso e andai dal direttore del giornale per protestare. Il direttore, con un’aria paternalistica da uomo vissuto, mi disse: “Il giornale è un’azienda che deve produrre e mentre il suo `caldo Natale` non fa aumentare di una copia le vendite del giornale, la notizia del vitello con due teste incuriosisce tutti e fa crescere il numero di copie vendute”.

Credo che le cose continuino in questo modo, io però sono profondamente convinto che le persone perbene sono la maggioranza assoluta infatti, se così non fosse, il nostro mondo non starebbe in piedi. A questo proposito già 2000 anni fa Gesù ci ha ammonito: “Guardatevi dai falsi profeti”. Sarà quindi opportuno che ci fidiamo più di Cristo che dei giornali.

L’offerta dell’ateo

Recentemente ho letto nella rubrica “Lettere al Direttore del Gazzettino” l’esternazione insolente e malevola contro i miei recenti interventi, riportati dalle testate cittadine su “Il Ristorante” per le famiglie povere e sul dramma dell’ingegner Cecchinato, inviata da una signora di Venezia che si è dichiarata atea. Questa signora si è erta a maestra per dirmi quello che dovevo dire e che dovevo fare.

La redazione de Il Gazzettino mi ha fatto pervenire la lettera offrendomi la possibilità di rispondere e io le ho risposto per le rime. Confesso che ho provato anche un certo rimorso pensando al “Porgete l’altra guancia” di Gesù ma poi è prevalsa la convinzione che ormai è ora di finirla con chi si erge a giudice e maestro quando in realtà è solo un soggetto pieno di sé e quanto mai settario.

Io ripeto, ancora una volta, di non avere nulla contro chi non crede perché sono convinto che si possa dialogare per crescere insieme e soprattutto per lavorare insieme alla costruzione di un mondo migliore. Il dualismo tra il credere e il non credere sembra una questione particolarmente difficile da conciliare, io comunque sull’argomento ho sempre mantenuto ben saldi due riferimenti: le affermazioni di Sant’Agostino e di Papa Giovanni XXIII. Sant’Agostino afferma che: “Ci sono persone che la Chiesa possiede e Dio non possiede e altre che Dio possiede e la Chiesa non possiede” e questo rende veramente difficile distinguere chi è credente da chi non lo è, mentre Papa Giovanni XXXIII, rivolgendosi sia agli uni che agli altri, afferma: “Sono infinitamente di più le cose che ci uniscono di quelle che ci dividono”.

Con la visione che scaturisce da queste due massime mi sono sempre trovato benissimo con le persone perbene sia che fossero credenti sia che non lo fossero. A conferma di ciò l’altro ieri ho ricevuto questa lettera: “Sono l’ateo che altre volte le ha inviato un modesto obolo perché so che lei ne fa buon uso non come farebbero molti prelati della Curia romana. A lei non assegnano nessun titolo onorifico ecclesiale ma quello che le assegnano le persone che la conoscono vale molto di più. Tra i motivi per cui non mi firmo c’è anche la vergogna che provo nel non poter offrire di più”. Firmato: un ateo che ammira chi si impegna per gli altri. Allegati euro 50. Questa mattina poi la figlia e il genero dell’ingegner Ernesto Cecchinato mi hanno donato altri cento quadri dipinti dal loro padre che mi stimava e mi voleva bene. Con atei del genere non solo possiamo andare d’accordo e impegnarci a costruire un mondo migliore ma io credo che possiamo anche entrare in Paradiso tenendoci per mano.

Il blog di don Armando Trevisiol

La fine dell’impegno di Don Armando ne “L’Incontro” segna anche il termine di questo diario, sebbene speriamo di convincerlo a scrivere ancora, pur non quotidianamente.

Quanto pubblicato finora resta visibile e commentabile. Come fatto finora, i commenti saranno inoltrati a suor Teresa che li stamperà e consegnerà a don Armando. Lo stesso per qualsiasi email.

L’Incontro volta definitivamente pagina

Nel primo numero del gennaio 2015 annunciai che, soprattutto per il fatto che mi avvio rapidamente verso i novant’anni, ritenevo doveroso passare il testimone della direzione del nostro periodico a don Gianni Antoniazzi, presidente della Fondazione dei centri don Vecchi.

Il tempo, per far si che il passaggio fosse dolce e graduale è stato piuttosto lungo, ma ora è giusto voltar definitivamente pagina, consegnando il periodico a chi ha domani.

Confesso che mi costa molto lasciare questo settimanale, che mi ha offerto infinite soddisfazioni e che mi ha permesso di parlare a cuore aperto per ben dieci anni alla città, che amo e per la quale ho dedicato la gran parte della mia vita.

Lascio “L’incontro” con i suoi cinquanta collaboratori e le sue cinquemila copie settimanali e mi auguro, che chi lo riceve, riesca a farlo crescere ulteriormente essendo esso il periodico del mondo cattolico di gran lunga più letto nella nostra città.

Saluto tutti i lettori con grande affetto e ringrazio di cuore i miei meravigliosi collaboratori.

Mi scuso per certe intemperanze e per i miei moltissimi limiti.
A tutti buon 2016

don Armando Trevisiol

La memoria dei religiosi

Io mi occupo del Camposanto da una vita. Le cose sono andate così. Un giorno di più di mezzo secolo fa, entrato per caso nella cappella costruita nell’ottocento assieme al primo recinto del nostro Camposanto su disposizione di Napoleone che giustamente volle i cimiteri lontani dalle chiese e dagli agglomerati civili, notai lo stato di abbandono totale in cui si trovava. Morto don Cortivo, che vi aveva officiato per qualche anno la Santa Messa, nessuno aveva più pensato a questa piccola cappella caduta in totale abbandono. Chiesi il permesso a Monsignor Da Villa, che era il mio parroco, di occuparmene perché quell’edificio sacro ritornasse a essere dignitoso e praticabile. Con il tempo mi sono talmente affezionato a quella chiesa e al Camposanto che da quando sono diventato un sacerdote pensionato me ne occupo a tempo pieno. Parto da questa premessa per giustificare il motivo della mia riflessione. Intorno al 1987 don Pace mi fece osservare che, mentre nel passato in cimitero c’era un “campo” riservato ai sacerdoti e alle religiose, in quegli anni per carenza di spazio lo avevano tolto per cui da allora i religiosi venivano sepolti un po’ in tutti “i campi”. Questo fatto non è di certo una cosa tragica ma a quel tempo c’era ancora la convinzione che i resti mortali delle persone consacrate dovessero riposare in un luogo riservato solo a loro.

Partendo dal suggerimento di don Pace promossi una colletta tra preti frati e suore, raccolsi nove milioni di vecchie lire e feci costruire, sulla collinetta accanto al monumento dei soldati austriaci caduti nella Prima Guerra Mondiale, una tomba molto capiente ove custodire i resti mortali dei religiosi e, ora che va di moda, anche le loro ceneri. Su questa collinetta fa bella mostra di sé una croce particolare progettata dall’architetto Renzo Chinellato. Ora però purtroppo avverto un certo senso di colpa per non aver curato più di tanto questa tomba che nella sua semplicità è certamente dignitosa ma di cui temo che né i preti, né i frati, né le suore né tantomeno i fedeli conoscano l’esistenza. Mi sono perciò riproposto di intervenire con “qualche segno” che evidenzi il luogo che custodisce i resti mortali di chi ha tentato di dedicare interamente la propria vita ai “figli di Dio” di questa nostra città e, passandovi davanti, li ricordi con una preghiera. Il mio Angelo Custode però, con discrezione e delicatezza, mi ha fatto osservare: “Non è che ora hai deciso di occuparti di questa tomba perché presto diventerà anche la tua dimora per sempre?”. Il mio Angelo Custode è saggio e onesto e devo ammettere che non ha tutti i torti ma piuttosto che le mie ceneri vadano disperse nel giardinetto del piazzale preferirei che riposassero sotto la croce della collinetta.

Le preghiere

Gesù ha affermato che nessuno è profeta nella sua patria e ha fatto questa affermazione quando ha provato l’amarezza del rifiuto e dell’ostilità del suo popolo. Il rifiuto del popolo di Gesù, generato dall’affermazione di Cristo di essere venuto non solo per il bene della sua gente ma per quello di tutti anche degli stranieri e dei popoli con fedi diverse, è arrivato al punto di spingere alcuni a tentare di ucciderlo gettandolo da un dirupo.

Di certo io non posso paragonarmi a Cristo, Lui aveva la possibilità di donare la verità, la salvezza, di indicare la via per arrivare al Padre mentre io non posso donare altro che qualche convinzione, qualche proposta o qualche interpretazione del messaggio evangelico.

Posso però confessare che in tutta la mia vita ho cercato soluzioni innovative per quanto riguarda la pastorale, la carità, la fede e l’interpretazione del messaggio evangelico. Posso affermare anche, senza tema di smentita, che le nuove soluzioni che ho cercato sono sempre state in linea con la sensibilità e i problemi della mia gente.

Penso però che un po’ per il mio carattere chiuso, per la franchezza delle mie prese di posizione e per le mie denunce mi sono trovato spesso solo, isolato e rifiutato dai vicini ma soprattutto dai colleghi mentre sono stato più che mai appagato dalla stima, dall’affetto e dalla condivisione dei lontani. I Comuni, le associazioni di volontariato, i giornali e le televisioni che sono venuti al Don Vecchi non si contano; ho sempre avuto la sensazione che moltissimi siano quanto mai interessanti alle nostre esperienze, desiderosi di conoscerle in maniera più approfondita mentre i vicini pare non solo che le diano per scontate ma anzi che ne siano irritati.

Oggi il cappellano di un ospedale di una città del Veneto, e non è il solo, mi ha chiesto se fosse possibile ricevere il nostro libretto di preghiere del quale finora abbiamo stampato 60.000 copie mentre sembra che qui nessuno, che si occupi dell’assistenza degli ammalati, abbia mostrato una qualche forma d’interesse. Non vorrei proprio che una volta morto mi facessero diventare una “bandiera”.

Liete sorprese

Un tempo “nell’introitus ad altare Dei”, parole con le quali si iniziava la santa Messa in latino, ci si riferiva a Dio che “allieta la nostra giovinezza”. Ora però ho felicemente compreso che il buon Dio è disposto ad accettare anche la nostra vecchiaia quando ci si rivolge a Lui con fiducia e confidenza. Ho constatato che quando sono più stanco, più depresso e più cosciente dei miei acciacchi e dei miei limiti il Signore mi manda qualche segno della sua attenzione e della sua benevolenza, segno che mi incoraggia e che mi aiuta a riprendere fiato e a continuare il mio servizio.

Qualche tempo fa, come ho già confidato ai miei amici, quasi un’intera classe delle magistrali, che festeggiava il mezzo secolo dal diploma, mi ha invitato a pranzo per celebrare questo lieto evento assieme al loro vecchio insegnante. Questo incontro mi ha riempito di consolazione perché ho potuto toccare con mano la loro stima e il loro affetto: ricordarsi di un vecchio prete dopo mezzo secolo di vita non è proprio una cosa di tutti i giorni.

Qualche tempo fa ho incontrato uno dei miei ragazzi scout che non vedevo da almeno venti-trent’anni. Sapendo che aveva fatto la carriera militare come suo padre e pensando che fosse arrivato al grado di maresciallo, gli ho chiesto scherzando: “Non sarai mica arrivato a generale?”. Con mia infinita sorpresa mi sono sentito rispondere: “Si don Armando mi sono appena congedato con il grado di generale dell’Aeronautica!” e sorprendendomi ancora di più mi ha confidato che si sarebbe reso disponibile a fare l’aiuto tipografo per la stampa de “L’incontro”.

L’altro ieri ho celebrato il commiato della madre di un anziano signore che mi ha detto: “Non si ricorda di me don Armando? Ero scout nella squadriglia delle volpi” e continuando in quel dialogo caldo e affettuoso mi ha ricordato che “Vassili”, un altro scout, è arrivato a ricoprire l’incarico di ambasciatore in Turchia.

Se prestiamo un po’ di attenzione ci accorgeremo che nei momenti di sconforto il Signore non manca mai di farci una carezza, una battuta sulle spalle o un complimento per risollevarci dalla tristezza.

“I morti”

Alla mia età ogni giorno sono costretto a misurarmi con le atmosfere un po’ romantiche ma sempre vere delle nostalgie, dei rimpianti e dei confronti descritti in maniera magistrale da Antonio Fogazzaro nel suo splendido romanzo: “Piccolo mondo antico”. Oggi poi l’evoluzione del costume, della mentalità e del modo di pensare e di vivere è così veloce da far emergere, in una persona di novant’anni nel confronto tra le proprie esperienze pregresse e il modo d’essere del giorno d’oggi, differenze veramente abissali. Io da più di mezzo secolo mi occupo della chiesa del cimitero, di questo piccolo mondo racchiuso da mura e cancelli e trapunto di cipressi alcuni secolari e altri appena piantati.

Sia chiaro, io non condanno, non mi ribello e non rifiuto il modo attuale di “vivere” l’evento della morte e il rapporto con i defunti ma sono costretto a fare confronti e valutazioni.

Sono quanto mai perplesso di fronte a una certa indifferenza e a una certa disinvoltura nel non affrontare questa realtà quasi nel “tentativo” di ignorarla, come non facesse parte delle problematiche della vita.

Lasciatemi fare qualche confronto tra i più evidenti e riscontrabili. Ricordo che intorno agli anni 60, tempo in cui ero cappellano presso il Duomo di Mestre, per il funerale si faceva una lunga processione aperta dalla croce, al passaggio del corteo le persone si toglievano il cappello e si facevano il segno della croce e i negozianti abbassavano le serrande.

Per “i morti”, all’imbocco di via Spalti, c’era una tale ressa di persone che si recavano alle tombe dei propri cari da far fatica ad aprirsi un varco tra la folla. Oggi al Duomo si permette di entrare in piazza solo al carro funebre che poi, seguito da qualche autovettura con i parenti più stretti, raggiunge velocemente il camposanto. Oggi spessissimo ai funerali partecipa un numero sparuto di persone e dopo il rito funebre, mentre la salma parte solitaria per la cremazione, la gente si sofferma a lungo a chiacchierare, almeno in apparenza, in maniera piacevole.

La società ha di certo ritmi diversi ma, mentre la realtà della morte rimane quella di sempre, le certezze che un tempo accompagnavano questo evento sembrano sbiadite e surrogate da un pragmatismo arido e in evoluzione talmente rapida che, almeno in apparenza, non consente più né di porti domande né di trovare risposte. Confesso che non mi so rassegnare ad una vita spesso faticosa che non conduce da nessuna parte se non alla tomba perciò mi aggrappo al pensiero della Terra Promessa e del Paradiso.

L’importante è seminare

Una delle utopie a cui ho sempre aspirato è quella di trasformare Mestre in una città solidale. Questa scelta non è nata come una propensione a una filantropia civile ma dalla convinzione profonda che la pratica religiosa, se non diventa solidarietà, rimane pietà fatua ed inconsistente.

L’inizio di questo mio cammino ha avuto origine con l’incontro casuale che ebbi, più di mezzo secolo fa, con un minuscolo gruppo della San Vincenzo presso la parrocchia del Duomo di Mestre. Mi parve allora che Federico Ozanam avesse suggerito un metodo e una finalità alquanto concreta ed anche se non aspirava a risolvere radicalmente il problema dei poveri aveva posto un mattone reale per creare questa struttura o, per dirla come madre Teresa di Calcutta, una goccia che contribuisce a dare vita al grande oceano. In qualche decennio la San Vincenzo crebbe, si diffuse in moltissime parrocchie, acquistò credibilità a livello della città e diede vita ad una serie di iniziative concrete, alcune delle quali ancora vive: Ca’ Letizia, il Ristoro, il mensile il Prossimo, il guardaroba, le docce, il barbiere, le vacanze per i vecchi e per gli adolescenti e le attività di formazione dei ragazzi alla solidarietà.

La seconda fase di questo progetto la sviluppai in parrocchia a Carpenedo con il Ritrovo, con Villa Flangini, con i Centri Don Vecchi e con la Bottega Solidale.

La terza fase si è concretizzata nel dopo pensione con il Polo della Solidarietà: vestiti, mobili, arredo per la casa, supporti per gli infermi, il Banco alimentare, lo spaccio per i generi alimentari in scadenza, il chiosco di frutta e verdura e il Ristorante Serenissima, ultimo nato.

Queste strutture penso abbiano fatto crescere lentamente una mentalità solidale a livello cittadino: vedi i numerosi lasciti, le eredità veramente consistenti che non possono essere giustificate se non dalla crescita di questa mentalità solidale. Prova ne sia: l’eredità Saccardo, il lascito dell’ingegner Cecchinato e il lascito di Anita Bergamo, ultimi segni di questo “campo coltivato” e ormai in fiore. L’origine di questa primavera della solidarietà è sempre la stessa: seminare gesti concreti di carità cristiana che prima o poi fioriranno e porteranno frutto.

I complotti contro il Papa

La notizia di due giorni fa che in Vaticano hanno individuato un secondo corvo che, per denaro o forse peggio ancora per screditare e per bloccare la riforma della Chiesa che Papa Francesco tenta di portare avanti prima con l’esempio e poi con la parola, mi ha veramente addolorato e indignato.

Ho sempre pensato che ci fossero delle resistenze da parte della gerarchia ecclesiastica, composta da persone abituate a vivere in palazzi dorati, venerate come semidei, in una cornice di prestigio principesco e in un contesto sacrale al di fuori della vita di tutti gli altri uomini; comprendo anche che costoro mal sopportino che si tolgano loro i baldacchini, i riti ampollosi, i titoli magniloquenti e il servilismo dei “dipendenti” però che si arrivasse a tanto proprio non me lo sarei mai immaginato.

In verità anche nel passato avevo avuto qualche dubbio che una parte dell’alta gerarchia, supportata da religiosi ai livelli più bassi dell’organizzazione, appartenesse ad una corporazione o peggio ancora ad una casta poco disponibile a una riforma da Vangelo però non avrei mai immaginato che questa avesse intenzione di organizzarsi per mettere i bastoni tra le ruote al tentativo di Papa Francesco di dar voce ad una Chiesa povera per i poveri.

Capisco che i mass-media siano quanto mai ghiotti degli scandali ecclesiastici e perciò, a volte, peschino nel torbido ingrandendo ed enfatizzando episodi che si verificano anche nelle migliori comunità, temo però che ora dietro a queste notizie si nasconda un realtà peggiore di quanto pensassi. Un paio di giorni fa un’anziana signora che partecipa alla vita religiosa della mia Chiesa mi ha portato l’ultimo numero di Panorama, periodico che non leggo mai e di cui non conosco l’orientamento ideologico, segnalandomi l’articolo del giornalista Ignazio Ingrao dal titolo: “Congiure in San Pietro”, articolo che mi ha lasciato letteralmente di stucco.

La Chiesa nella sua storia di crisi ne ha superate di ben più gravi, però mi addolora che questo Papa, che non solo per me ma anche per tutto il mondo cattolico rappresenta il meglio che si potesse sognare e desiderare, possa essere boicottato per intralciare una riforma che profuma di Vangelo. È veramente uno scandalo grave! Io, per quanto è nelle mie possibilità, farò del mio meglio per sostenerlo e seguirlo.

I soccorritori dei poveri

L’aspetto della pastorale che riguarda i poveri mi ha sempre interessato quanto mai perché da sempre sono convinto che se la religione alla fin fine non diventa solidarietà si riduce ad essere “aria fritta”. Per questo motivo ho speso metà della mia vita per aiutare i più poveri della nostra società e l’altra metà per stimolare le parrocchie e i singoli cristiani a impegnarsi seriamente in favore dei poveri.

Sono dovuto arrivare però a questa veneranda età per comprendere che non basta darsi da fare per aiutare chi è in difficoltà organizzando la comunità per recuperare quello che serve per prestare questo soccorso perché, fino a quando non si riesce a calarsi nella realtà in cui vive il povero, si rischia di fare solo della beneficenza ma ben difficilmente “ci si fa prossimo” come ci ha insegnato Gesù nella parabola del Buon Samaritano.

Qualche giorno fa sfogliando un giornale mi è capitato sotto gli occhi l’immagine di una giovane donna che con i sandali ai piedi cammina sulle dune di sabbia del deserto. La didascalia informava che si trattava di una “piccola sorella di Gesù”, ossia un’appartenente a quella congregazione religiosa che si rifà alla testimonianza di Charles de Foucauld, religioso che ha insegnato che per comprendere e aiutare i poveri bisogna vivere “come loro”.

La fotografia mi ha fatto venire in mente un episodio di tanti anni fa. Un giorno, alla porta della mia canonica, bussarono due giovani donne, una francese e una di Napoli, “due piccole sorelle di Gesù”, che mi chiesero se potevo aiutarle a trovare un lavoro perché avevano esaurito la loro piccola scorta di denaro. Dissi prontamente che avrei provveduto io ma gentilmente mi risposero che il pane volevano guadagnarselo. Proposi allora alcune soluzioni che mi sembravano confacenti alla loro condizione di suore ma gentilmente rifiutarono nuovamente: “Noi vogliamo vivere come le donne più povere, quindi le saremmo grate se ci trovasse un lavoro umile come lavare le scale”.

Capii allora che per occuparsi veramente e in maniera efficace dei poveri bisogna calarsi nella loro condizione esistenziale. Ho tentato. Quando sono andato in pensione infatti ho scelto di vivere al Don Vecchi come gli anziani poveri che ho cercato di aiutare però, quando entro nel mio studiolo, stanzetta di cui nessuno di essi dispone, mi sento sempre un po’ in colpa!

Amarcord delle magistrali

Qualche settimana fa è venuta a trovarmi al Don Vecchi una delle mie “ragazze” delle magistrali, facendomi una proposta che mi ha alquanto sorpreso ma che nello stesso tempo mi ha fatto molto piacere. Questa donna ultrasessantenne, che ha mantenuto una sua bellezza composta ed armoniosa, mi ha detto che lei e le sue compagne di classe, diplomatesi mezzo secolo fa, avrebbero desiderato festeggiare l’evento venendo a pranzare da me al Senior Restaurant del Don Vecchi.

Io ho sempre avuto un certo timore di questi incontri il cui denominatore comune sono vecchi ricordi un po’ sbiaditi e trasformati da tutte le vicende che si sono susseguite da quei tempi lontani ricchi di sogni, di emozioni e di progetti che la vita poi spesso smorza o perfino distrugge. Sarebbe stato però scortese non aderire a questo invito così cordiale che, tutto sommato, nasceva dalla simpatia e da una qualche forma di riconoscenza. Mi lusingava poi il fatto che di tutto lo staff di docenti che, insegnavano materie con un peso ben più consistente della religione, avessero scelto proprio me.

Pur con qualche piccola esitazione e preoccupazione le ho detto che sarei stato molto contento che fossero mie ospiti per il pranzo di una domenica di metà ottobre. Non è che non incontri spesso e con piacere qualche donna dai capelli grigi che mi dica: “Si ricorda don Armando che è stato mio insegnante alle magistrali?”, incontrare però quasi una classe intera è stata un evento veramente insolito. L’incontro è stato molto più felice e positivo di quanto potessi immaginare. Quello che mi ha fatto poi molto piacere è stato il constatare che sono rimaste donne sane, con valori evidenti e soprattutto il sentire che manifestavano con sincerità simpatia, affetto e riconoscenza per il loro vecchio insegnante che ha tentato con tutte le sue forze di trasmettere loro una visione positiva della vita.

L’insegnamento alle superiori mi costò veramente tanto anche perché sono sempre stato convinto di non aver le qualità necessarie, comunque sono stato contento che per loro il ricordo sia rimasto molto positivo.